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Non è facile a sedici anni affrontare il carcere. Vivi nella tua bolla, fatta di genitori, parenti, scuola, amici e sport (sempre che ne pratichi uno). Passi le giornate guardando la tv, uscendo o facendo lunghe partite ai videogiochi. Poi all'improvviso ti ritrovi senza libertà, con obblighi, orari prestabiliti, a lavorare per pochi spiccioli in compagnia di agenti che ti considerano feccia e ragazzi che si trovano nella tua stessa condizione.
Una bella differenza. E se non sei forte, crolli.

Chi è dentro, è perché se lo è meritato. Vero. Verissimo. Ma ciò non toglie che è dura. Anche se te la sei cercata. Così come ho fatto io.
Poi se scopri di essere diverso dagli altri, le cose peggiorano. Affrontare la propria natura è già difficile. Farlo in gabbia, molto di più.

Sono stato fortunato. Nonostante le violenze e gli abusi, non ho mollato. La scoperta della mia omosessualità, non mi ha disturbato. Ero forte e non me ne rendevo conto. Ho sempre pensato che fosse Theo, quello forte. E io ero solo il suo alfiere. Ma quando è arrivato il momento di combattere, da semplice scudiero, mi sono trasformato in cavaliere.

È quello che ripeto continuamente ai ragazzi che conosco tutti i giorni con il mio lavoro. Incontro giovani di tutte le età e li aiuto ad affrontare le loro paure. A diventare dei cavalieri. Con qualcuno è facile. Con altri è più dura. Ma non mollo. Cerco di scavare nel loro io, e insieme proviamo a tirar fuori il coraggio.

Mi piace il mio lavoro. Il carcere mi ha fatto capire quello che volevo fare nella vita. Aiutare ragazzi come me, a diventare degli eroi. A combattere i loro fantasmi.

Incontro giovani con problemi di droga, vittime di abusi da parte dei genitori, con problemi comportamentali. Affrontiamo insieme, il loro drago interiore. Delle volte è un mostro ostico da sconfiggere, bisogna lottare per parecchio tempo. E quando arriva il momento di ucciderlo, mi faccio da parte e lascio che siano loro a finirli. A dargli il colpo di grazia. Molto spesso vinciamo. Altre volte, purtroppo, il drago è troppo forte.

Uscito dal carcere, ho completato gli studi. Sono riuscito ad andare al college e a diventare uno psicologo. Mi occupo di ragazzi che vengono affidati a strutture del governo. Ai servizi sociali. Collaboro con il tribunale. Delle volte divento il tutor di ragazzi che vengono strappati alle famiglie. Perché vittime di abusi. O perché l'ambiente in cui vivono è malsano.
Alcuni di loro li ho presi in affidamento.

Con me, da nove mesi, vive Kevin. È stato cacciato dalla famiglia adottiva per la sua omosessualità. Viveva in strada, vendendo il suo corpo a vecchi depravati. Il tribunale me lo ha dato perché l'aiuti a superare il trauma. Ho fatto di tutto per avere il permesso di tenerlo in affido. Ha quindici anni. È un ragazzo bello, dolce e curioso. Quando non combatte il drago. Perché quando lotta, diventa scostante, silenzioso e irascibile. A volte lo affrontiamo insieme. Molte altre, lo lascio da solo e veglio da lontano. Presente, ma non assillante.


Ho imparato a conoscerlo. So che quando non ce la fa, viene da me. Si siede sul divano al mio fianco e inizia a giocare con il bordo della maglietta che indosso. Poi mi abbraccia. Io lo coccolo, lo accarezzo nella testa. Lui si lascia avvolgere dal mio calore. E inizia a sfogarsi. Ascolto le sue paure, ma non dico niente. Quando parla, sta già affrontando il suo nemico. Da solo. Con me vicino.

Due giorni fa, mi ha confessato di aver conosciuto un ragazzo. Mi ha chiesto se poteva uscirci insieme. Gli ho detto che prima vorrei conoscerlo, che può invitarlo a casa e poi magari, andare al cinema. Mi ha chiesto se può dormire da noi. Ho acconsentito. A patto che la notte la porta resti aperta. Niente sesso. Sono stato chiaro fin dal primo giorno in cui è entrato nella mia casa. Nella mia vita.

Mi è saltato addosso estasiato, mi ha abbracciato e mi ha detto che mi vuole bene. I miei occhi si sono riempiti di lacrime. Ho retto fino a che non è corso in camera sua, per "trovare qualcosa di decente da mettere" per l'appuntamento. Poi sono crollato. Sono andato in bagno e mi sono fatto un bel pianto. È stato liberatorio. Sono felice. E sono felice se lui è felice.

Un mese fa invece, mi ha chiesto di adottarlo. Ero senza parole. Voleva che diventassi il suo papà.
Mi sono subito informato presso il tribunale per sapere se la cosa fosse possibile. Nessun problema, i genitori volevano sbarazzarsi di lui. Quando gliene ho parlato sembrava contento. Poi la sera abbiamo litigato.

Non gli ho dato il permesso di andare a una festa. Mi ha riempito di insulti. Ha detto che non vedeva l'ora di compiere diciotto anni per andarsene a vivere da solo. Lontano da me che in quel momento ero il drago più ostinato che avesse mai affrontato. Non mi ha rivolto la parola per una settimana. È stata una sofferenza per il mio cuore.

Poi è tornato. Io avevo accantonato l'idea di adottarlo. Si è seduto vicino a me sul divano. Come sempre. Come quando ha bisogno di aiuto per sconfiggere il mostro. Ha giocato con l'orlo di uno dei buchi dei miei jeans strappati. E mi ha chiesto a che punto erano le pratiche dell'adozione.
Gli ho risposto che mi ero fermato. Che non aveva senso adottarlo se a diciotto anni fosse andato via. Mi ha guardato, con quei suoi grandi occhi nocciola. Erano lucidi. È scoppiato a piangere e mi ha abbracciato chiedendomi scusa tra un singhiozzo e l'altro. Ho fatto finta di niente. Come se non mi importasse. Volevo fargli capire che le parole sono importanti. Che non si può ferire una persona e sperare di farla sempre franca. Poi non ho retto e mi sono messo a piangere anche io. Ma senza farmi vedere. Sopra la sua spalla. Era caldo il suo corpo quando mi abbracciava. E l'ho stretto forte a me. È incredibile l'amore che si può provare per una persona che non ha neanche il tuo stesso sangue. Ma l'amore è amore. Non esiste religione, razza o colore della pelle, che possa sconfiggere questo sentimento.


È lunatico. Ma quale ragazzo di quindici anni, non lo è? Passa dalla gioia più estrema alla depressione più totale. Cerco di fargli capire tutto l'amore che provo per lui. Delle volte ci riesco, delle altre meno. Ma il mio appoggio non manca mai.

Io a sedici anni ero in carcere. Sono dovuto crescere in fretta. Ho guarito le mie ferite da solo. Con l'aiuto di Patrick e Tom. Ora cerco di guarire le sue. Affrontiamo il drago insieme. E sono sicuro che riusciremo a sconfiggerlo. Tra una settimana diventerò ufficialmente suo padre. E ho il cuore pieno di gioia. Anche se per lui già lo sono. Mi chiama Daddy. E ogni volta che lo dice, gli occhi mi si riempiono di lacrime.

Quando si accorge, mi dà della mammoletta. Io lo minaccio di non farlo uscire di casa per una settimana e lui mi chiede subito scusa. Poi scoppiamo a ridere insieme. Mi salta addosso e facciamo la lotta. Finiamo sfiniti sul tappeto, la sua testa sul mio petto, io che l'accarezzo e lui che riprende fiato.

Papà. Chi l'avrebbe mai pensato, quando ero in carcere. A sedici anni dovevo affrontare il mio drago, ora combatterò a fianco di mio figlio. E di tutti gli altri ragazzi che avranno bisogno del mio aiuto. Voglio stare vicino a tutti loro, così come lo sono stati Tom e Patrick con me.

Il giorno che subii la mia seconda violenza, tornai in cella con le mie gambe. Avevo qualche livido, un labbro spaccato, ma nel complesso stavo meglio, rispetto alla prima volta.
Quando Patrick mi vide, mi abbracciò, mi aiutò a distendermi sul letto e senza dire una parola, iniziò a curare le mie ferite.

Quante volte l'ha fatto. Ho perso il conto. Ma quella volta, nonostante tutto l'amore che ci mise, non mi guarì. La ferita più grande era dentro il mio cuore.
Lo sentivo lacerato. Mi ero illuso di capire le persone. E invece mi ero sbagliato completamente.

Come si fa a stare così male, per il comportamento di una persona che nemmeno conosci? Un ragazzo che vedi da lontano e di cui non sai nulla?
Eppure era così. Ero cotto. E ci stavo male. E lo scozzese non poteva fare niente. Per questo decisi di dirgli che ero gay. Che mi ero innamorato di Maverick.

- Pat? -
- Che c'è? Ti sto facendo male? - rispose allarmato.
- No... no... tranquillo. Sono gay! -
- Ho sempre avuto il sospetto. - disse, mentre continuava a passare il cotone su un'abrasione che avevo sulla guancia. - Non so se l'ho capito perché mi guardi sempre il cazzo o perché fai apprezzamenti sul mio bel culo. -
Lo scrutai intensamente. Si fermò. Mi guardò. Capì che ero serio.
- Oh, amico, non dirmi che è la verità. -
- Se lo fosse, sarebbe un problema? -
- No... voglio dire... è un problema tuo... cioè... Mi sto spiegando male, non intendo dire che... -
- Ho capito cosa vuoi dire, non ti preoccupare. Ma voglio che mi dica, se la cosa ti disturba. -
- Oh... no. Assolutamente no. -
- Bene! Perché non ho intenzione di violentarti nella notte. E soprattutto non guardo il tuo cazzo, sei tu che lo tieni sempre in vista. E non ho mai fatto apprezzamenti sul tuo culo. Non è per niente bello. È secco. Sei senza chiappe. -
- La tua è tutta invidia. Solo perché sai che non te lo darò mai. -

Scoppiammo a ridere. Poi gli presi il polso.
- Veramente bro! Voglio sapere se la cosa può darti fastidio. -
- Non sarei qui a curare le tue ferite, se fosse un problema. - rispose.
- Ok. - dissi.
- Perché me lo stai dicendo ora? - domandò.
- Non lo so. Forse perché in questo momento sono fragile. E ho bisogno di un amico. -
- Sono qui. Tutte le volte che vorrai. -
- Ora lo so! -

Mi lasciai curare, e dopo qualche minuto di silenzio, ripresi a parlare.
- Penso di essermi innamorato. - dissi.
- Di chi? - chiese distrattamente.
- Di Maverick. -
Si fermò nuovamente. Sgranò gli occhi. Poi sorrise.
- Ora sì, che mi stai prendendo in giro. - disse convinto.
- Sono serio anche stavolta. - risposi.
- Non puoi! - disse deciso, quando si rese conto che stavo dicendo la verità, anche in quel momento. - Non è il ragazzo giusto per te! Devi stargli lontano! -
- Lo so! L'ho capito poco fa. -
- C'era anche lui stavolta? - domandò.
- Si. Ma non ha partecipato. È rimasto lì, fermo a guardare mentre abusavano di me. -
Sospirò.
- Come fai a esserti innamorato di uno così. Posso capire che non è un brutto ragazzo. Ma andiamo! È un assassino. È pericoloso. E soprattutto, non ha fatto niente per aiutarti. -
- Già. - dissi. - Ma c'è qualcosa che mi attira a lui. -
- Il suo grosso cazzo? - disse Patrick.
Aggrottai la fronte.
- Perché glielo hai visto? - domandai.
Alzò un sopracciglio.
- Perché tu no? È impossibile da non vedere. È più grande dello Stato di New York. -
- Idiota. No, non l'ho visto. L'unica volta che l'ho incontrato sotto le docce, se lo stava facendo succhiare. Ed era infilato nella bocca di quel ragazzino di colore. Poi si è girato e gli ho visto il culo. Quello è un bel culo. Tondo e sodo. Non come quelle mozzarelle secche che hai tu al posto delle chiappe. - dissi cercando di sdrammatizzare.
- Gola profonda. - mormorò Patrick.
- Come scusa? -
- Dicevo, Gola profonda. Il negretto. Lo chiamano così. Riesce a mettere in bocca un sacco di centimetri di cazzo. Secondo me gli hanno tolto le tonsille. Perché altrimenti non si spiega. - rispose grattandosi il mento, dubbioso.

Sorrisi. Le sue battute, per quanto cretine, mi liberavano la mente dai cattivi pensieri.
- Comunque anche se desideri farti aprire come una cozza, stai lontano da Maverick. È pericoloso e non fa per te. Promettimelo! -
- Ci proverò, te lo prometto! -

Giuro di averci provato con tutte le mie forze, a stargli lontano. E ci ero quasi riuscito. Fino a che non ha mandato all'aria tutti i miei piani. Fino a che, non ha deciso di baciarmi.

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