13
I miei genitori vennero a trovarmi dopo un mese e mezzo dal mio ingresso in carcere.
Mi ero ripreso dalle ferite che avevo riportato durante lo stupro e non si accorsero di niente. O non lo diedero a vedere.
Abbracciai prima mia madre, che mi strinse forte mentre piangeva, poi mio padre che invece si staccò quasi subito dal mio corpo. Non era mai stato un papà da abbracci. Il suo affetto era sempre celato dietro una maschera rigida. A me non importava, sapevo che mi amava, anche se non lo dimostrava con gesti eclatanti.
Mi domandarono come stessi e mia madre si informò se mangiassi abbastanza.
- Ti vedo dimagrito. - disse.
Finsi che andasse tutto bene e li ringraziai per la visita, che durò la mezz'ora canonica concessa ai detenuti.
Prima di andare via, mio padre mi abbracciò forte e lasciò scivolare delle banconote nella mia mano. Papà non faceva mai nulla per caso. Non era un tipo affettuoso, ma sapeva come funzionava il mondo. Lo ringraziai con lo sguardo, prima di voltarmi e andarmene.
Mi mancavano. E me ne resi conto solo in quei momenti.
Da ragazzi si pensa sempre di poter fare a meno dei genitori. Salvo poi disperarsi, quando non sono al nostro fianco. È strano come cambino le prospettive quando ci succedono cose che esulano dalla quotidianità. In casa non sopportavo la loro presenza e in carcere, la loro assenza, si faceva sentire.
Niente e nessuno può sostituire i genitori. È un dato di fatto.
Non raccontai a loro della recente scoperta sulla mia omosessualità. Non mi sembrava giusto, dargli un altro dispiacere. Ora lo sanno e l'hanno accettata senza problemi. Ma ci è voluto del tempo prima di riuscire a confessarlo.
Uscendo dalla sala delle visite, incrociai Maverick. Mi passò di fianco, diretto a sua volta, a qualche incontro.
Lo guardai attentamente. Era bello. Dannatamente bello. I suoi occhi azzurri erano vivi e l'espressione del volto dura. Quella non cambiava mai. Pensai che non l'avevo mai visto ridere dentro quelle quattro mura.
Incrociò il suo sguardo con il mio, ma non disse niente. Era la seconda volta che lo vedevo da solo, non in compagnia del suo gruppo.
Accennai un saluto con la testa, aprii la bocca per dire qualcosa, ma uscì fuori solo un debole "ciao".
Non rispose, ma notai un leggero movimento delle labbra, come un piccolo sorriso. Il mio cuore saltò un battito.
Mi ero preso una cotta per un delinquente. Vicino a lui, le gambe diventavano di pastafrolla. Era incredibile quello che suscitava in me, anche solo passandogli vicino. I suoi occhi mi ipnotizzavano, il cuore mi batteva forte e i miei sensi sembravano amplificare la loro portata. Ne sentivo il profumo e mi inebriava.
Lo volevo conoscere, volevo sapere tutto di lui e non avevo idea di come fare. Oltretutto non credevo potesse essere gay. Ma questo non fermava la mia voglia di saperne di più.
Rientrato in cella feci la cosa più naturale del mondo in quella situazione. Mi masturbai. L'ultima volta che l'avevo fatto era stata prima della violenza. Nemmeno quando avevo succhiato il cazzo a Tom, nonostante fossi venuto, mi ero toccato.
Mentre mi segavo, avevo in testa le immagini del pene del mio amico nella mia bocca. Venni copiosamente sulla mia pancia. Lasciai il mio corpo riposare sulla branda cigolante. Il giorno delle visite era la domenica. Ed era anche l'unico giorno di riposo dalla lavanderia.
Dovevo parlare con qualcuno. Mi alzai e andai a cercare Tom. Si trovava in cortile a petto nudo, con gli occhi chiusi, seduto a prendere il sole.
- Ciao Tom. - dissi.
Aprì gli occhi e mi guardò.
- Ciao Ryk. -
Dopo il pompino che gli avevo fatto, i nostri rapporti erano rimasti gli stessi di prima. Non avevamo mai fatto accenno a quello che avevamo combinato quella sera. Restava il nostro segreto e né Patrick né gli altri ragazzi sospettavano niente.
- Posso parlarti? - domandai.
- Certo! Dimmi tutto. -
Alzai il petto e presi un bel respiro.
- Credo di essermi preso una cotta. -
Tom alzò la schiena, appoggiata al tavolino e spalancò gli occhi.
- No, amico eh! Ti prego no! Ho capito che quello che abbiamo fatto ti è piaciuto, ti ho fatto i complimenti per come succhi il cazzo, ma levatelo dalla testa! Non ho nessuna intenzione di mettermi con te. -
Quel giorno reagii in maniera piuttosto imbarazzata. L'ultima volta che ci siamo visti a cena, invece, gli ho ricordato l'episodio, guardandolo intensamente e ripetendogli la frase. Mi ha mandato a fanculo. Gli ho risposto che se voleva poteva farlo lui personalmente. Mi ha guardato male. Poi siamo scoppiati a ridere entrambi.
Non posso che ringraziare di avere un amico come Tom. Non perché ha fatto da cavia ai miei esperimenti. Ma semplicemente perché mi è stato vicino. Sempre. Si è preso cura di me insieme a Patrick, tutte le volte che sono stato violentato. E non sono state poche.
Alle sue parole ero rimasto di sasso.
- No... No... Tom... non è come pensi! - dissi.
- Ascolta, sei simpatico, perfino un bel ragazzo. Insomma mi scopo certe signorine che rispetto a te, sono dei cessi. Potrei anche pensare di rifarmelo succhiare, se vuoi continuare con i tuoi esperimenti. Ma non mi fidanzerò con te. Insomma, siamo amici, cerchiamo di restare così, intesi? -
Scoppiai a ridere. Mi fissò come se avesse visto un alieno.
- Perché... Perché stai ridendo. - mi domandò.
- Perché hai fatto tutto da solo. Non ho mai detto di aver preso una cotta per te. -
- Oh! E allora di chi stai parlando? Perché se è Patrick, amico fidato, non fa al caso tuo. È etero... E poi... E poi è brutto. Insomma puoi avere di meglio... E ce l'ha anche storto. -
- Questo lo so! - risposi.
- Come fai a saperlo? - disse arcuando le sopracciglia.
- Beh, si masturba, tutti i giorni, davanti a me, so com'è il suo cazzo. E comunque non è Patrick. -
- Bene... - fece un respiro di sollievo. - E allora sentiamo... Chi è? -
Sorrisi.
- Sembri geloso! - dissi.
- Ma come ti viene in mente. La mia è solo curiosità. Dai spara! Di chi ti sei innamorato? -
- Non so se mi sono innamorato, so che provo una fortissima attrazione per... -
- Per? -
-Maverick! - dissi tutto d'un fiato.
Non la prese molto bene. Non la prese bene per niente. Si alzò dalla panchina per allontanarsi velocemente da me.
Gli corsi dietro, urlando il suo nome.
- Tom... Tom... Aspetta! Perché vai via? Dimmi qualcosa! -
Si girò di scatto e tornò verso di me con gli occhi fuori dalle orbite. Mi raggiunse e mi puntò l'indice sullo sterno.
- Tu! Non ci provare nemmeno! Stai lontano da Maverick! Stai lontano da lui! -
- Ma perché? -
- Perché è pericoloso! E non ho nessuna intenzione di venire al tuo funerale. -
Abbassai lo sguardo a terra. Poi rialzai la testa.
- Cosa ha fatto? Perché è in prigione? -
- Non è importante! Sappi solo che è pericoloso. Molto pericoloso! -
- Dimmi perché è qui dentro! - dissi deciso.
Si voltò verso i campi da basket, passandosi una mano fra i capelli. Poi si girò verso di me. Rivolse lo sguardo nuovamente verso i campi, dove i Guns stavano giocando. Li indicò.
- Loro sono tutti degli assassini! Maverick è un assassino! Non farti ingannare dai suoi occhioni azzurri. Lui ha ucciso una persona! -
- Chi... Chi ha ucciso? - domandai.
Avevo il cuore a mille. Ma volevo sapere. Dovevo sapere! Non poteva essere vero. Io l'avevo visto, quando ci eravamo incontrati nello spogliatoio. Lui aveva il cuore puro. Non potevo sbagliarmi. Non volevo sbagliarmi.
Rimasi in attesa di una risposta. Fissavo Tom dritto negli occhi. Sbuffò. Poi me lo disse.
- Ha ucciso il padre. - sospirò.
Smisi di respirare. Non poteva essere vero. Doveva esserci un errore. Ma lo sguardo di Tom era glaciale. Era la verità.
Se ripenso a quel momento, ricordo perfettamente il giorno. Era una bella giornata e il sole addosso a Tom, faceva risaltare i suoi muscoli e i suoi occhi chiari. Ricordo perfino il senso di smarrimento che avevo provato. Tra tutti i ladri e gli spacciatori, mi ero preso una cotta per un assassino. Uno che aveva ucciso il padre. Provavo il desiderio di vomitare. Io amavo mio padre. Era il mio eroe. Il mio primo amore. La sola idea di ammazzare un proprio genitore, era inconcepibile per me.
Non so quanto tempo restai lì, in piedi, totalmente smarrito. Non dev'essere stato poco, perché dopo un po', Tom mi toccò una spalla.
- Ehi... Tutto ok? - disse.
- Si... Credo di sì. Ora devo andare! -
Mi girai e corsi via. Verso la mia cella. Non avevo più molta voglia di restare in cortile a prendere aria.
Restai tutto il giorno sul letto a fissare la branda sopra la mia testa, senza muovere un muscolo.
Non dissi niente neanche quando Patrick si mise a cagare, scoreggiando e riempendo la cella di puzza di merda.
Lui e i suoi problemi intestinali. Mi ha reso insensibile ai cattivi odori. Ora quando vado da qualche parte, se c'è puzza di cacca, non ci faccio caso. Niente odora come la merda dello scozzese.
Tempo fa siamo andati a New York insieme, per trascorrere un week-end. Ho preteso camere separate. Ne avevo abbastanza della sua puzza. E delle sue sonore scoregge. Dopo aver passato con lui due anni della mia vita, credo di essermi meritato un po' di aria buona. E non voglio più vedere il suo cazzo storto.
Dice che è ancora attivissimo. Ha ripreso a scoparsi le vecchie ereditiere. Gli ho detto di fare attenzione, o rischia di tornare dentro, incastrato nuovamente da un finto stupro. Mi ha risposto che ora si scopa solo vedove.
- Non c'è pericolo! - ha detto sorridendo.
Gli ho risposto che è ora che si trovi una brava ragazza. Una di quelle con la testa sulle spalle.
Ma non ne vuole sapere. La sua vita gli piace così. Si sente ancora un gigolò. Io sospetto che abbia paura di legarsi. Dopo tanti anni di carcere, vuole sentirsi libero. Senza legami. Senza dover essere costantemente sotto controllo.
Rimasi tutta la domenica nel letto a riflettere sulle parole di Tom. Maverick era pericoloso. Un assassino. Eppure io l'avevo visto. Avevo guardato i suoi occhi. Era un ragazzo buono. Non poteva aver ucciso qualcuno.
Mi addormentai. E sognai. Un incubo. Come consuetudine. Ero a casa mia. Dormivo nel mio letto. Avevo sentito dei rumori ed ero sceso al piano di sotto per scoprire cosa stesse succedendo. Avevo trovato Maverick sopra il corpo di mio padre, disteso a terra. Lo stava colpendo con una mazza. Il cranio spappolato. Pezzi di cervello sparsi ovunque. Avevo urlato. Lui si era girato e mi aveva guardato con occhi spiritati. La bocca sporca di sangue. Stava mangiando il cervello di mio padre.
Mi ero svegliato completamente sudato. Scosso e con il cuore a mille. Era stato solo un brutto sogno, ma era sembrato tutto così reale che iniziai a tremare. Poi iniziai a piangere sommessamente. Non mi addormentai più.
Due giorni dopo, Shaq me lo rimise in culo. Stavolta successe nelle docce del carcere.
Ero andato a lavarmi dopo la giornata passata in lavanderia. Pensavo di essere da solo, solitamente a quell'ora, i Guns giocavano a basket.
Ero sotto il getto dell'acqua, gli occhi chiusi, godendomi il momento. Quando li riaprii, mi trovai circondato da cinque neri. Sorridevano.
Feci per andarmene, ma bloccavano la porta.
Provai a passare, ma mi fermarono.
Mi presero per le braccia e mi trascinarono dentro.
- Ciao bellezza. - disse Shaq. - Ti trovo in forma. -
Non risposi. Ero in trance.
- Hai perso la parola? - domandò, mostrandomi i suoi denti. Uno era d'oro.
- Ora te la faremo tornare noi. - disse uno dei suoi amici.
- Vedo che sei già pronto. Ti sei spogliato per noi. - riprese Shaq.
Mi girò intorno e mi diede una sculacciata nel sedere.
- Mmmm, che belle chiappe sode. Sai, non ho fatto altro che pensare al tuo culo, in quest'ultimo periodo. A come è stretto. A come era stretto, prima che ci passassimo noi. - scoppiò in una grassa risata. I suoi compari sghignazzavano.
Mi spinse a terra e mi fece inginocchiare. Mi diede un'altra sculacciata.
Rimasi in silenzio, senza muovermi. Come se questo potesse fermarli. Pura illusione.
Invece mi scopò, infilando il suo grosso cazzo tra le mie chiappe, mentre il getto dell'acqua, pungeva la mia schiena. Il mio cazzo si fece duro. E stavolta lo notarono, non c'era il tavolo a coprirmi.
- Mmmm, vedo che ti piace troia. -
Ero a carponi, come un cane. Mi tirò la testa all'indietro, prendendomi per i capelli.
- Ora lo succhierai ai miei amici. - mi sussurrò all'orecchio.
Non risposi. E quando uno dei suoi amici, si inginocchiò davanti a me maneggiando la sua mazza, lo presi in bocca e iniziai a succhiare. Come se mi piacesse. Ma non era così.
Mi scoparono a turno, come la prima volta. Ero fuori dal mio corpo. Come se stessi assistendo alla scena da una posizione privilegiata.
C'era anche il ragazzo nero quindicenne, che avevo visto la prima volta, succhiare i cazzi di cinque ragazzi. Si mise in ginocchio vicino a me. E iniziò a succhiare anche lui uno degli altri ragazzi. Era una signorina. Lui lo faceva per piacere. O per protezione. Io no. Io venivo stuprato.
Girai la testa e lo trovai lì. Davanti alla porta. A osservare la scena.
- Ehi Mav! Vuoi favorire? - gli domandò Shaq.
Scosse la testa.
Iniziai a piangere, senza emettere alcun suono. Mi sentivo umiliato. Maverick stava guardando la violenza, ma non stava facendo niente per impedirla.
Mi sentivo tradito. Iniziai a succhiare con più vigore. Volevo finisse presto.
Mi sborrarono in faccia. Sulla schiena. Dentro al culo. Mi pestarono di nuovo. Stavolta con meno impeto. Poi mi lasciarono lì, sdraiato sul piatto doccia. A piangere.
Alzai la testa. I suoi occhi di ghiaccio mi fissavano. Ma non si mosse. Anzi si girò e uscì dalla stanza. Senza aiutarmi. Senza dire una parola.
Aveva ragione Tom.
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