22. Identità.
"Guerre più atroci delle civili sui campi d'Emazia cantiamo
e il crimine divenuto diritto, e un popolo potente
vòltosi con la destra vittoriosa contro le sue stesse viscere."
Lucano – Pharsalia.
Prese un grosso respiro prima di tirarsi a sedere. Il trucchetto di magia curativa che Gripho aveva utilizzato per sistemargli la spalla aveva funzionato alla grande.
In poco meno di venti minuti, la ferita che la Stregata gli aveva inferto si era quasi completamente rimarginata, tutto quello che rimaneva era un taglio trasversale un po' più profondo del normale.
Ad ogni modo, faceva ancora male: la pelle tirava e pizzicava. In più aveva perso parecchio sangue e non era certo che sarebbe riuscito ad alzarsi. Prim però, almeno, stava bene. E questo gli bastava.
Con sua grande sorpresa non fu poi così difficile stare in equilibrio su tutti e due i piedi.
Guardandosi intorno, Hugo provò un leggero senso di nausea mista ad ansia e a fastidio. I corpi degli Stregati si stavano disfacendo, sciolti come la cera di una candela. L'intera stanza era pervasa da un tanfo infernale.
Gli ci volle qualche istante per decidersi a passare oltre i cadaveri e ad imboccare la porta d'argento dietro la quale aveva visto sparire tutti gli altri.
Forse, sveltendo il passo, sarebbe riuscito a raggiungerli.
Sfiorò con le dita il pomello gelido della porta ed un brivido gli strisciò su per la schiena. Era da quando aveva messo piede nel castello che una sensazione sgradevole, un impalpabile disagio, gli pesava sul petto.
Le braccia che uscivano dall'argento si allungavano sinistramente verso di lui, sembravano volerlo ingoiare.
Spalancò la porta e sgusciò oltre la soglia. Per un breve lasso di tempo, una cascata di luce illuminò parte del pavimento, scoprendo delle piastrelle scure, probabilmente blu o nere, poi la porta si richiuse alle sue spalle con un tonfo tale da far tremare l'aria ed i suoi occhi piombarono nel buio.
Fece qualche passo avanti, poi allungò una mano di fronte a sé e sussurrò: -Pyra.-
Un istante dopo, una lucetta aranciata gli brillava fra le dita, senza scottarlo, lanciando scaglie dorate su ciò che si trovava intorno a lui.
Con suo sommo disappunto, dovette constatare che si trovava in una stanza.
Una stanzetta angusta, tappezzata di carta da parati scura e completamente vuota.
Forse ho sbagliato porta.
Si voltò, illuminò l'uscio con l'arancio del lume che gli ardeva in una mano e spinse la porta con l'altra, ma quella non si spostò nemmeno di un millimetro.
Hugo sfoderò uno dei suoi impagabili sorrisetti scocciati.
Fantastico. Pensò.
Serrò gli occhi e cercò di passare attraverso l'argento, ma nemmeno quella strategia funzionò. C'era qualcosa che non andava.
Si guardò intorno circospetto. Un'entrata senza uscita. Qualcuno, là fuori, non lo voleva fra i piedi, era palese.
Sentì un movimento alle sue spalle, come un battito d'ali, poi si voltò di scatto. La luce fra le sue mani sfumò improvvisamente ed un bagliore azzurrognolo allagò tutto l'ambiente insinuandosi fra le fughe delle mattonelle, a terra.
Una figura evanescente prese forma di fronte a lui, alta, sinuosa e terrificante.
I capelli castani le cadevano sulle spalle in una matassa di onde ipnotiche e ribelli, il sorriso che si apriva sul suo viso ghiacciava il sangue nelle vene.
Aveva le labbra rosse come il fuoco, la pelle di porcellana e gli occhi blu come il mare, brillanti, ma non vivi.
C'era qualcosa in lei che era morto, completamente, inesorabilmente morto.
Hugo rimase immobile. Sentiva il cuore che gli pulsava nelle orecchie ma non aveva paura, piuttosto, era curioso. Non l'aveva mai vista dal vivo e non se l'era immaginata così. C'era qualcosa di familiare in lei, ma non avrebbe saputo dire con esattezza di che cosa si trattasse.
-Isobel- disse, senza distogliere lo sguardo neppure per un secondo. –Finalmente ho il piacere di fare la conoscenza della famosa pazza pluriomicida.-
La donna rise, una risata secca, atona. –Vedo che la mia fama mi precede. Bene,- Hugo fece scattare un'altra volta gli occhi in giro per la stanza, alla ricerca anche di un singolo oggetto, ma tutto ciò che riempiva quel posto era il nero delle pareti –questo vuol dire che avete paura di me.-
-Oppure che sei talmente patetica da risultare un fenomeno da baraccone ai nostri occhi- Hugo piegò le labbra in un sorrisino compassionevole. –Ci hai mai pensato?-
Isobel, questa volta, non rise.
-Non ti ho intrappolato qui per ascoltare le tue stupide storielle, Hugory.-
-Oh, quindi anche la mia fama mi precede? Quasi morivi dalla voglia di uccidermi, non è vero?- chiese, incrociando le braccia di fronte al petto. Aveva ogni fibra del corpo tesa, pronta a scattare.
Isobel si passò una mano fra i capelli. –E' da tempo che ti sto osservando. Io e te abbiamo molte cose in comune, Hugo. E' così che ti fai chiamare, giusto?-
Hugo strinse i pugni. Sentiva un senso di frustrazione ingabbiarlo, come una cappa densa di fumo che non lo lasciava respirare.
Isobel era tanto vicina che, se solo avesse voluto, avrebbe potuto allungare le mani e stringerle intorno al suo esile collo pallido. Ma lei, probabilmente, l'avrebbe freddato ancora prima.
-Hugory, per te- rispose solo.
Sul viso della donna si distese un sorriso compiaciuto. -Come vuoi, Hugory.-
Hugo si umettò le labbra. La testa gli pulsava così forte che credeva che di lì a poco gli sarebbe esplosa, ma doveva mantenere i nervi saldi e capire che accidenti avesse in mente quel diavolo. E, all'occorrenza, avrebbe dovuto ucciderla. O lei avrebbe ucciso lui.
-Dove hai messo i miei amici?- chiese improvvisamente, quasi assalendola.
-Non siamo qui per parlare nemmeno di questo.-
Hugo sbuffò, discretamente infastidito. –E di che cosa dobbiamo parlare, allora? Gossip? Temo sia tu l'argomento più chiacchierato del momento, mi hai soffiato il primo posto per un pelo...-
Isobel scrollò le spalle. –Sono le persone fragili che usano il sarcasmo per difendersi, lo sai?-
Non aveva idea di dove volesse andare a parare con quel discorso senza senso, ma non prometteva niente di buono.
-E' un modo carino per dirmi che non capisci le mie battute?- chiese, poi ridacchiò. -Già, continuo a dimenticarmi che probabilmente sei troppo stupida per capirle.-
Si trattò di un istante infinitesimalmente piccolo. Un momento prima Isobel era ad almeno un metro di distanza da lui, un momento dopo gli era accanto: gli sferrò un pugno sullo zigomo talmente forte che Hugo sentì le ossa sbriciolarsi come biscotti sotto alla pelle.
Barcollò all'indietro, tossì, gli salirono le lacrime agli occhi, ma non gridò. Non avrebbe mai gridato.
-Dì un'altra volta una cosa del genere- sibilò lei sulla sue labbra –e ti ammazzo.-
Il ragazzo ringhiò, ritirandosi lentamente dritto. Sentiva il viso disfatto, deturpato. -Va' all'Inferno.-
-Con piacere. Ma tu verrai con me. Ho un accordo da proporti.-
Hugo la guardò per qualche istante negli occhi, attonito. Avevano il colore degli abissi, dell'oscurità. Se la Morte avesse avuto gli occhi, sarebbero stati quelli di Isobel Pridemourn.
Un brivido tremolante gli strisciò a fior di pelle, poi scoppiò a ridere. –Ok, forse abbiamo due modi diversi di concepire lo humour perché anche io non capisco le tue battute.-
-Se io e te ci alleassimo- proseguì imperterrita la donna –saremmo imbattibili. Io potrei darti tutto, Hugory: ricchezza, lussuria, potere.-
Hugo scattò in avanti, finendo con il busto ancor più schiacciato contro di lei. Le sue mani saettarono verso il suo collo ma fu come se qualcosa gli impedisse di avvicinarsi oltre.
Rantolò, come un cane bastonato. –Tu devi ridarmi i miei amici e la Strega Madre. E poi devi andare all'Inferno.-
Isobel scoppiò a ridere, una risata stridula, acuta, affilata come le lame di mille coltelli. -Io devo ridare loro a te? La verità è che tu non puoi riprenderteli perchè non sei abbastanza forte per farlo.-
Hugo sentiva la rabbia bruciargli nel petto, un incendio che gli divampava dentro fino a corrodergli l'anima. E poi qualcos'altro, una sensazione pungente e fastidiosa, come una freccia che si piantava esattamente nel centro del bersaglio.
Non sei abbastanza forte.
-Mi fai pena- biascicò.
-Anche tu- rispose Isobel e gli conficcò le dita nella guancia, obbligandolo a guardarla. Aveva buona parte del corpo immobilizzato, come congelato. I suoi occhi erano strani, lo facevano sentire vuoto, solo.
Un'immagine gli balenò nella mente, come un fulmine a ciel sereno. Gli occhi di Prim. Scuri, caldi, vivi. Avrebbe voluto vederla, le lentiggini che le frizzavano sulla punta del naso e la sua voce che diceva: "Questo non è vero. Non è stata colpa tua".
Ma lei non c'era. C'erano solo Isobel ed i suoi occhi magnetici, duri come la pietra ed ipnotici, totalizzanti.
-Non puoi proteggere chi ami senza potere, Hugory- continuò. -E solo io posso darti il potere che cerchi. A te la scelta.-
Hugo contrasse forte la mascella, cercando di svincolarsi dalla presa ferrea di quelle dita appuntite sulla sua pelle. Le parole, però, scavavano più a fondo, in anfratti della sua anima che aveva tenuto gelosamente nascosti per anni. -Io non so che farmene del tuo schifoso "potere".-
Isobel strinse ulteriormente la presa. –Beh, allora trova qualcosa da farci perché io te lo darò. Che tu lo voglia o meno.-
Questa volta, Hugo non rispose.
Sentiva i pensieri intorpiditi, sfumati, confusi gli uni sugli altri. Era come se si stesse addormentando, a forza di guardarla negli occhi luccicanti.
Tanto strani eppure tanto familiari.
Distolse lo sguardo, ma Isobel lo appiccicò con le spalle alla porta d'argento con un solo strattone secco. Il suo corpo sembrava quello di un pupazzo di pezza.
-Guardami- gli intimò.
Sentì il cuore perdere un battito e spostò di nuovo lo guardo nel suo.
Occhi azzurri.
Pensò che li avrebbe riconosciuti fra mille mentre la sua testa piombava lentamente nel buio dell'oblio. Ricordò le labbra di Prim premute contro le sue. Kleatine, suo padre e suo zio, le giornate passate con gli altri nella piazzetta della rocca. Non era riuscito a proteggere chi amava perché non era abbastanza forte. Ma Isobel lo era. E lo avrebbe reso altrettanto forte.
L'ultima cosa che sentì fu la voce roca di Isobel che gli si insinuava fastidiosamente nelle orecchie.
-Ti darò il potere e tu mi darai la tua fedeltà. Sarai solo, completamente al mio servizio. Per sempre.-
Nebeus si tuffò letteralmente nella sala delle riunioni. Gli affreschi sul soffitto lo travolsero non appena entrò. Sentiva il fiato strozzato in gola ed un caldo asfissiante che lo opprimeva sotto alla collottola abbottonata della camicia.
Gli altri erano seduti sugli spalti marmorei intorno all'arena e discutevano animatamente.
La scritta dorata "Ad gloriam", a terra, rifletteva le scaglie vacue della luce delle candele. Era sera, quasi notte ormai. Hugo aveva promesso che sarebbero tornati prima dell'alba successiva.
-Perché mi avete...- si azzardò a chiedere ma incontrò immediatamente lo sguardo apprensivo di Ametrine ed allora capì.
Gripho.
"Un po' per gli altri e un po' per te" aveva risposto, come fosse la cosa più naturale del mondo. Perché era troppo carino per morire. E lui era un idiota. Un gigantesco, inimitabile idiota.
-Non avete più...- biascicò, ma Crator si alzò in piedi e puntò le nocche chiare sulla balaustra che li divideva, di fronte ai seggi. –Il contatto mentale con i Goldbone si è interrotto.-
Prodel tirò un pugno secco accanto a sé e poi si morse la punta delle dita. Aveva le pupille dilatate come quelle di un gatto spaventato. –Sapevo che non avrei dovuto permettere loro di andare.-
Opalina scosse la testa vigorosamente. –Era l'unica via percorribile, Prodel.-
-Affatto- rimbeccò Crator, sporgendosi in avanti. Aveva il colorito cinereo di uno che è sul punto di vomitare. –Avremmo potuto evacuare la città ed ora...-
-Ora saremmo tutti morti- decretò Nebeus facendo un passo avanti. –Se la città non è crollata vuol dire che Sybilla è ancora viva. Sono riusciti almeno a rallentarla, questo è certo.-
Terragon, che era stato in silenzio fino ad allora, alzò la testa di scatto, puntando gli occhi scuri sul ragazzo. Teneva le braccia incrociate di fronte al petto e, come al solito, la sua espressione di sufficienza la diceva lunga.
-E tu che hai intenzione di fare?- domandò, lanciandogli un'occhiata torva. –Sei contrario o a favore?-
Nebeus deglutì. –Che cosa?-
-L'intervento delle streghe al castello di Atlante- rispose asciutto Prodel. –Il messaggio è stato diffuso per tutta Runadium. Alcuni civili si sono dichiarati disposti a partire in qualsiasi momento, insieme alle Guardie d'ordinanza.-
-In altre parole... partiremmo immediatamente?-
Prodel annuì, portandosi le dita intrecciate fra loro di fronte alle labbra.
Nebeus sospirò. –In tal caso...-
-In tal caso, ci sarebbero delle ripercussioni- tuonò perentorio Terragon. –In tal caso, staremmo mettendo a repentaglio le vite di almeno cento streghe per un atto di irresponsabilità che potrebbe non portare a nessuna risoluzione, quando potremmo ancora mettere in salvo buona parte dei cittadini.-
Nebeus spostò lo sguardo sull'uomo con una lentezza quasi esasperante e lui sorrise, scoprendo i denti fini e i canini appuntiti, come quelli di una iena.
-Abbiamo sulle spalle il destino di un'intera popolazione, Nebeus Dustwift. Oggi non decidiamo per noi o per i nostri interessi. Oggi decidiamo la sorte della comunità. Dobbiamo essere certi, in qualunque caso, di aver preso la miglior decisione possibile. Mi sono spiegato?-
Nebeus non rispose, semplicemente continuò a fissare l'uomo che aveva davanti mentre dentro di lui si scatenava un tornado di pensieri diversi.
Terragon aveva ragione: aveva sulle spalle la sorte di tutta la città e non poteva scegliere sulla base dei sentimenti. Doveva usare la testa. Ma la sua testa era un groviglio intricato di dati contrastanti che non avevano né capo né coda.
Aveva solo diciassette anni. Come pretendevano che un ragazzo di diciassette anni potesse prendere decisioni di tale portata così su due piedi, senza avere il tempo di ragionarci né tanto meno basi sicure a cui appigliarsi?
Come pretendevano che uno come lui potesse decidere?
Terragon sorrise di nuovo, buttando indietro i ricci scuri. –Ricordo bene tua madre, Nebeus. Lizbette era una donna scaltra e sapeva sempre cosa era meglio fare. In una situazione simile, avrebbe scelto di salvare il salvabile, non si sarebbe mai invischiata in una tale pazzia.-
La sensazione che provò sentendo pronunciare quelle parole fu strana, dolorosa, come se qualcuno gli si fosse avvicinato con circospezione e poi, senza preavviso, avesse deciso di rompergli le ossa a suon di bastonate.
Lizbette Dustwift.
Sua madre.
Subentrò una sensazione ancora più strana, una voglia matta di avanzare nella sala e tirare un pugno in faccia a Terragon.
Perché lui non sapeva niente di sua madre. Non sapeva di come stesse sveglia fino a tardi per preparargli i vestiti per l'accademia. Non sapeva di come avesse sempre saputo e di come l'avesse semplicemente accettato per quello che era, senza porre domande. Non sapeva delle lentiggini identiche alle sue, dei capelli biondo cenere e degli occhi verdi che avrebbe tanto voluto ereditare.
Non sapeva che sua madre, Lizbette Dustwift, non avrebbe semplicemente salvato il salvabile. Avrebbe salvato tutti. Ad ogni costo. Perché era quello che era giusto fare.
Ricordò il giorno in cui era morta. "Pugnalata alle spalle mentre usciva dal Palazzo" gli avevano detto, ed era stata Isobel.
Poi un altro ricordo, un flash di ginocchia ossute, capelli castani arruffati ed occhi coraggiosi che sanno quale è il loro dovere.
"Tu parli, Terragon Softlance? Tu che impugnavi il pugnale?".
Nebeus fece spallucce, slacciando i primi bottoni della camicia. -In tal caso, farò quello che avrebbe fatto mia madre.-
Terragon sorrise e il ragazzo pensò che Gripho sarebbe stato fiero di lui se solo l'avesse visto in quel momento. Non era sicuro che fosse la scelta giusta. Ma era la più coraggiosa. Ed era un inizio.
-Voto per andare a salvare i ragazzi.-
La traccia di sangue si interrompeva bruscamente di fronte all'ennesimo bivio.
Prim si chiese con che coraggio lo chiamassero "castello di Atlante" quando per ogni passo che muoveva era sempre più convinta di trovarsi in un labirinto senza fine. Aveva passato una quantità incalcolabile di tempo a vagare per i corridoi.
Le vie si intrecciavano, si sdoppiavano, si univano e poi si separavano di nuovo, dandole continuamente l'impressione di essere tornata al punto di partenza.
Forse non era stata poi un'idea tanto intelligente seguire la traccia sul pavimento.
Sospirò e si accasciò contro il muro, accanto ad uno dei candelabri, cercando di riflettere. La testa le scoppiava.
Socchiuse gli occhi ed inspirò profondamente, cercando una soluzione rapida. Non aveva tempo da perdere e non poteva semplicemente continuare ad avanzare alla cieca.
Improvvisamente, un'idea balenò nel retrobottega della sua testa.
Le sue dita volarono alla tasca dei pantaloni e presero a frugare freneticamente alla ricerca di qualcosa.
Un secondo dopo, fra le mani stringeva il ciondolo di bronzo che le aveva regalato Sybilla. Il bronzo rimaneva freddo fra le sue dita, mandava riflessi che oscillavano tra un pallido giallo ed un rosso vivo.
Lo osservò attentamente per qualche secondo, sperando con tutto il suo cuore che quella sua repentina intuizione avesse esito positivo. Era la sua unica speranza.
"Se avrai bisogno di sapere dove sono, usa questo."
-Portami da Sybilla.-
Passarono pochi istanti. Il ciondolo prese a pulsare fra le sue mani come un cuore umano.
Le sembrava che una forza strana la stesse guidando nella direzione giusta, che la stesse traghettando dolcemente.
Senza nemmeno accorgersene, iniziò a camminare, imbucando il corridoio di destra.
Più andava avanti più il ciondolo pulsava forte, trasmettendole sottili scariche elettriche che le attraversavano il corpo.
Pochi minuti dopo, si trovava di fronte ad un enorme portone in ferro battuto, degno di una fortezza medievale.
Era arrivata, ne era certa.
Il ciondolo sembrava urlare fra le sue mani, tale era l'energia che emanava. Sybilla era lì. Doveva essere lì.
Sentiva la paura intorpidirle i muscoli e rallentarle i pensieri. Sapeva che, dall'altra parte, non avrebbe trovato solo Sybilla. Ma non poteva tirarsi indietro, non arrivata a quel punto.
E, comunque, non mi pare di avere alternative.
Sorrise tra sé e sé, scoraggiata. Per l'ennesima volta non aveva scelta.
Ma forse, quella poteva essere l'ultima.
Chiuse gli occhi, prese un respiro, si allacciò il ciondolo intorno al collo e tese le braccia avanti, sfiorando con i palmi delle mani il ferro gelido.
Poi spinse.
E la porta si spalancò di fronte a lei con una facilità sorprendente, senza che ci fosse nemmeno bisogno di accompagnarla.
Un'esplosione azzurra la avvolse, costringendola a coprire la vista.
Quando i suoi occhi si abituarono alla luce fiammeggiante, quello che vide la pietrificò sul posto.
Davanti a lei si apriva una sala enorme, completamente ricoperta di lastre di pietra dura e grigia come il piombo.
La luce si riversava a cascate da coppe di cristallo infisse al muro nelle quali traballavano fuochi celesti che gelavano l'aria.
Per il resto, l'ambiente era completamente spoglio, fatta eccezione per le gabbie di metallo addossate alla parete opposta. Quando Prim alzò gli occhi e vide chi vi era contenuto, per poco non cacciò un urlo disperato.
Ailore continuava ad aggrapparsi alle sbarre di ferro e a scuoterle con quanta forza aveva in corpo, nella speranza di romperle, ma senza successo.
Prim notò che fosse coperto di sangue e sperò che non si trattasse del suo.
Accanto a lui, Gripho, seduto a terra, si reggeva la testa con una mano affondata fra i capelli biondi, lanciando di tanto in tanto schiaffi dolorosi col palmo aperto dell'altra mano al fondo della gabbia.
I gemelli erano stati rinchiusi in un'altra gabbia.
Pyper stringeva fra le braccia Lucky che continuava a strillare e piangere rannicchiato su se stesso con la fronte sulle ginocchia. Aveva un braccio teso oltre le sbarre e stringeva nella mano la mano inerte e pallida di qualcun altro.
Al centro esatto della stanza, circondato da fiaccole piene dei fuochi gelidi, era stato disegnato un pentacolo e, in mezzo, il corpo di Sybilla giaceva a terra, candido, puro, eternamente impassibile come se lo ricordava.
Sembrava essere l'unica che non era cambiata nel corso di quel brevissimo lasso di tempo. Prim rise della sua sorte.
Bastava un istante per stravolgere la vita di un numero enorme di persone. Trovava esilarante e patetico insieme come uno stupido, insignificante secondo potesse spazzare via tutto ciò che si possiede, ogni certezza.
In piedi accanto al pentacolo, stretta nella divisa da combattimento, c'era Isobel.
I suoi occhi erano di un azzurro irrealmente vivido, riuscivano a sovrastare anche il fuoco delle fiaccole.
Di nuovo, percepì di essere legata da un filo sottilissimo e invisibile al mostro che si trovava di fronte e per un istante ebbe un fremito di repulsione verso se stessa.
Isobel, nella mano destra, stringeva la Spada.
Prim si sentì una completa idiota. Per la seconda volta, stava andando ad affrontare una delle creature magiche più potenti che esistessero completamente disarmata.
E per la seconda volta aveva la presuntuosa speranza che ne sarebbe uscita viva.
Era una pazza. Primrose Palegrove era completamente uscita di senno.
Quando Ailore la vide, si mise a gridare come un ossesso, facendosi quasi saltare le dita a forza di strusciarle contro le sbarre.
-Vattene, Prim! Scappa! Ti ucciderà!-
Prim avanzò nella sala di pietra mentre sul viso di Isobel si apriva un sorriso sempre più rivoltante.
Era bella, Isobel. Ma la sua bellezza era corrotta in modo profondo e viscido, per ogni singola particella che componeva la sua essenza.
Era spietata. E la luce che le brillava negli occhi non era il bagliore della purezza, era la scintilla della follia.
-Sei arrivata sul più bello- dichiarò, facendo volteggiare fra le mani la Spada. –Stavo giusto per finire il lavoro.-
Prim non rispose.
Lanciò semplicemente lo sguardo più avanti, oltre il pentacolo, alle gabbie.
Intercettò gli occhi di Pyper che stringeva ancora forte fra le braccia Lucky, le labbra tirate, le occhiaie profonde, la pelle giallognola ed i capelli spenti. C'era qualcosa di diverso anche in lei, riusciva a vederlo.
Tremolava, come la fiammella di una candela.
Quando abbassò lo sguardo, seguendo la linea che il braccio di Lucky tracciava fino a stringere la mano della figura stesa a terra, il suo cuore ebbe un sussulto.
Capelli candidi, tratti familiari, allungati, regali. Il colore scarlatto dello stesso vestito di pochi giorni prima che si mischiava a quello del sangue.
Pelle talmente grigia da sembrare trasparente, sottili labbra viola.
Prim sgranò gli occhi, incredula.
Euphenia Goldbone.
Morta.
E suo figlio piangeva disperato, stringendole la mano dietro ad una serie di sbarre fredde e ferrose. Perché, nonostante l'odio, la rabbia, il rancore, il disprezzo, quella era sua madre.
Ed Isobel gliela aveva portata via.
-L'hai...- balbettò ma Isobel piroettò intorno alle fiaccole del pentacolo ed in meno di un secondo fu accanto a lei.
-L'ho uccisa- affermò convinta, come fosse un vanto. –Iniziava a ribellarsi e, beh, anche quando si stringe un patto tra Streghe Rosse sta tutto nel saper esser un vero leader. Io lo sono, lei non lo era.-
Prim rimase immobile, congelata accanto a quella sadica senza scrupoli. La Spada le volteggiava sotto al naso e lei non riusciva a muovere nemmeno un muscolo, impietrita dal terrore. –Ecco come hai fatto ad entrare a Kleatine indisturbata. Euphenia era la tua Strega Rossa...-
-Ed io ero la sua- replicò Isobel raggiante. –Per il Patto di Sangue sarei dovuta morire con lei uccidendola, ma, si sa, la magia nera fa miracoli. Peccato, e pensare a tutto il tempo che ho impiegato a convincerla ad insinuarsi nella tua mente!-
Prim si volto di scatto, guardandola terrificata.
Gli altri, in fondo alla stanza, erano ammutoliti.
-Eri tu...- sussurrò, indietreggiando velocemente. –Sei sempre stata tu. I miei sogni, le voci che sentivo, io...-
Era come se le avessero rovesciato addosso un secchio d'acqua gelida. Sentiva blocchi di domande che riaffioravano dal fondo del suo cervello e si scioglievano come neve al sole.
-Eri tu...- ripeté. –A casa di Esperancia, quando non è riuscita a vedere la mia visione...-
-E devi ammettere che sarebbe stato un bel problema se avesse scoperto che appartieni alla nona stirpe.-
Prim si fermò di botto, immobile, quasi spalle al muro.
-Aspetta un secondo, come facevi tu a...- Sentiva il respiro nel petto affannato, il cuore rivoltato e stretto in una morsa letale. L'ansia, l'agitazione, la paura, la tristezza, la disperazione, la rabbia. Tutto si stava condensando, ogni sensazione era amplificata, imprecisata e dirompente. Un'illuminazione le strozzò il fiato in gola.
–Hai letto il diario- concluse.
Isobel sorrise, un sorriso tetro e raccapricciante. –Perbacco, come sei perspicace sorellina! E pensare che assomigli tanto alla mamma...-
Passarono secondi interminabili, scanditi solo dal battito lento del suo cuore. Le sembrava di stare annegando in un mare di dolore. Le mani le tremavano, le ginocchia minacciavano di cederle da un momento all'altro.
-Che fai, non rispondi?- domandò Isobel, avanzando di un passo verso di lei e Prim indietreggiò ancora, trovandosi definitivamente appiattita contro la dura pietra.
-Che cosa...- mugolò, ma Isobel la interruppe di nuovo.
-Ti ho sorpreso?- domandò, un sorrisetto compiaciuto ad incresparle il viso. –Eppure guarda, stesso colore di capelli, stessa forma degli occhi, del viso...- fece, passando in rassegna con le dita le parti del corpo che le aveva indicato.
-Per il resto, io sono tutta papà.-
Prim rimase immobile per qualche altro istante, in attesa. Cosa aspettava? Che qualcuno entrasse da chissà dove e gridasse che non era vero, che era tutto uno scherzo, che era tutto un sogno e che il giorno dopo si sarebbe svegliata nel suo letto, a casa sua e poi, dopo aver fatto colazione e salutato i genitori di cui nemmeno ricordava le fattezze, sarebbe andata a scuola, avrebbe chiacchierato con Emily ed avrebbe sostenuto un test di biologia.
Perché quella era la sua vita.
E ciò che quella pazza assassina stava blaterando erano menzogne. Nient'altro che menzogne.
-Menti- rantolò, guardandola dritta in quegli occhi sadici e chiari, tanto simili a quelli di sua madre. –Deliri.-
Isobel ridacchiò. Sembrava divertita da una situazione che di divertente non aveva proprio niente.
–Ma come, ancora non hai capito?- chiese, avvicinandosi a lei.
Un brivido gelido le corse su per la schiena fino a congelarle le ossa, i muscoli, il cervello.
Disgusto. Repulsione.
Sgranò gli occhi, si strinse di più alla parete.
Non avvicinarti.
-Sono io, Prim.-
Fece un altro passo. Era vicina. Troppo vicina.
Per un attimo desiderò che la uccidesse, che le togliesse il respiro infilandole la spada in mezzo al petto.
Per un attimo, desiderò essere morta.
-Sono Vivian.-
ANGOLINO TUTTO NOSTRO:
Ciao ragazzi!
Aggiungo questa nota d'autore solo ora perché ieri ho messo il capitolo che erano quasi le due e poi sono filata a letto.
Come state?
Io un po' acciaccata, ma felice, e sapete perché? Perché come sempre voi siete delle creature a dir poco meravigliose.
Tanto per farvi un'idea, questa settimana siamo stati 75* in classifica.
Aspettate, lo ripeto: 7 5 * I N C L A S S I F I C A !
Io non so se riesco a darvi un'idea di quantio io stia festeggiando in questo momento. Quando ho iniziato a scrivere Runadium, mi sarei aspettata di tutto, ma non questo. Era (e tutt'ora credo che lo sia), una storiella mediocre, una fra tante. E sapete di chi è il merito se ho raggiunto questi risultati?
Sapete chi devo ringraziare per le 7k visualizzazioni, per gli 823 voti e 1.1k commenti?
Voi.
Voi che ogni volta siete lì pronti a votare, leggere e chiacchierare con me. Voi che ci siete SEMPRE. E questo conta molto di più della bravura, perché anche il più bravo scrittore, senza lettori, non va da nessuna parte.
Quindi grazie. (Sì, lo so che lo dico sempre, ma ci tengo davvero perché siete... la mia gioia, e non scherzo.)
Comunque, dopo avervi lasciato questa notazione, spero che il capitolo vi sia piaciuto e mi dileguo.
Un bacione grande, come sempre, e al prossimo capitolo (-2 o_o).
Sayami98.
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