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CAPITOLO 7




La sveglia suonò precisamente alle 6:30.

La rimandai e mi rigirai dalla parte opposta del letto.

Risquillò e guardai il monitor: 6:40.

La rimandai di nuovo e questa volta mi misi un cuscino sulla testa in modo da non sentirla. Avevo sempre odiato svegliarmi presto. Non era nella mia natura, al massimo potevo optare per le 9:30, se mi andava bene. Fortunatamente, quando lavoravo come cameriera, il mio turno iniziava a mezzogiorno.

E ora dovevo alzarmi prestissimo perché dovevo trovarmi davanti alla porta del principe alle 7:30. Proprio una sfortuna!

Mentre ero immersa nei miei sogni, sentii un rumore provenire da lontano. All'inizio non capii e pensai che fossero solo dei suoni da fuori. Mantenni gli occhi chiusi e mi riappisolai, ma poi un nuovo rumore fece capolino da più vicino. Ritornai in me rendendomi conto che la sveglia stava suonando per l'ennesima volta! Uffa!

La presi con entrambe le mani e stavo per lanciarla per terra, quando notai sul display un numero mostruoso: 7:10.

Mi rizzai a sedere sul letto. Dovevo andare dal principe tra soli venti minuti!

Non potevo fare tardi il mio primo giorno di lavoro!

Cercai cosa mettermi addosso nella confusone che avevo creato il giorno prima, perché troppo stanca per disfare le valigie, e iniziai a vestirmi velocissimamente. Non ero sicura di essermi messa i vestiti nel modo giusto; mi infilai la parrucca, stando attenta a fissarla bene per non far vedere miei veri capelli. Ethan mi aveva consigliato di tagliarli davvero, ma ero stata irremovibile: la mia bella chioma era intoccabile.

Una volta pronta, mi fiondai alla porta e corsi per tutti i corridoi.

Mi persi quasi subito. Le stanze erano tutte identiche e non sapevo a che piano si trovassero gli alloggi del principe. Le guardie del corpo stavano in un'ala riservata, ma i reali?

Ero disperata, avevo perso tutto il mio vantaggio a non urtare i domestici e a scovare la camera. Provai a chiedere indicazioni, ma nessuno mi rispondeva.

Che gli avessero tagliato la lingua? Oppure non avevano voglia di aiutarmi? La seconda era quella più realistica.

Dopo aver perso altri cinque o sei minuti ad orientarmi con in mano una cartina risalente all'Ottocento (ancora ne tenevano di così vecchie?!), presa da una vetrinetta con una chiave che mi avevano consegnato quando ero entrata ufficialmente come bodyguard, riuscii ad arrivare davanti alla stanza del principe. Sempre sperando che fosse davvero quella, respirai a fondo e senza pensare di avere almeno un quarto d'ora di ritardo, bussai forte alla porta.

All'inizio nessuno rispose e così pensai che dovesse essere già uscito, ma poi una voce disse: «Avanti».

Non mi rimase che affrontare il mio primo giorno di lavoro, che non era iniziato con il piede giusto.

Entrai dentro e vidi seduto di spalle davanti ad una scrivania il principe Theodore.

«Buongiorno, Vostra Altezza.»

Mi inchinai nonostante lui rimanesse voltato di spalle con le gambe accavallate. Dopo alcuni interminabili secondi, nei quali credetti che fosse in qualche modo morto o svenuto, lui esclamò con un tono freddo: «Pensavo che dovessi arrivare alle 7:30 e non alle 7:45, Allen».

«Mi dispiace molto, Vostra Altezza... non sono riuscito a trovare la strada.»

«E non ti è sembrato opportuno consultare una mappa prima?»

Detestavo il dover ricorrere al "voi" mentre lui a un semplice "tu" come se fossi stata sua sorella.

«Ce l'avevo una mappa, ma non era molto affidabile: ne ho trovate una risalente all'Ottocento dentro una vetrinetta» ancora non capivo perché una cartina dovesse stare dentro una vetrinetta quando sarebbe stata più utile a qualcuno.

A quelle parole sentii il corpo del principe irrigidirsi e prima che potessi aggiungere altro, si girò di scatto e incrociò il mio sguardo.

Adesso pareva furioso. «Hai preso la cartina della vetrinetta?!»

«Sì... non c'era altro da poter usare, quindi...»

«Quella è una reliquia di inestimabile valore! È della mia famiglia da generazioni, ci sono rappresentati tutte le stanze e i passaggi segreti della tenuta. Ci sono scritti degli appunti che ancora non sono stati tradotti!»

Mi sentii congelare. Davvero era una reliquia? Certo potevano anche metterla meglio! Ma ciò non toglieva il fatto che avrei dovuto informarmi diversamente. Come avrei fatto ora? Mi avrebbe cacciata subito. Ero riuscita a fare un disastro il mio primo giorno!

Ero così nervosa e agitata che mi mordicchiai un labbro mentre scuotevo la gamba. Provai a ingoiare la saliva, ma improvvisamente la mia bocca era arida. Non sapevo cosa dire o fare.

«Io... be'... non sapevo che fosse una reliquia... l'ho trovata e per non fare ulteriormente ritardo l'ho presa e...»

«Non ti è passato di mente di chiedere a qualcuno?» non mi accorsi che si stesse alzando, ero troppo occupata a non peggiorare la situazione.

«Ci ho provato ma nessuno voleva ascoltarmi!» ora avevo alzato il tono della voce.

«Ah davvero? E come mai sei stato costretto a prendere quella mappa? Se fossi stato puntuale fin da subito...»

«Non... non mi è suonata la sveglia.»

Piccola bugia, ma a fin di bene.

«Va bene, Allen, voglio crederti. Dov'è adesso?»

Mi sentii mancare. L'avevo buttata perché non mi era servita più, non avevo pensato che fosse inestimabile. Credevo che ce ne fossero molte altre uguali a quella. Sbiancai e dev'essersene accorto anche lui perché controbatté: «Suppongo che tu non ce l'abbia più».

Annuii impercettibilmente.

«Me lo immaginavo. Sai... non ti volevo come mio bodyguard, ma mia madre ha insistito tanto sul fatto che premiare colui che mi ha salvato avrebbe alzato i favori della gente. Lì per lì mi era sembrata una buona idea, ma adesso?»

Ormai ero fregata, mi avrebbe sicuramente sbattuta in prigione. Se veramente non mi voleva come guardia del corpo, a maggior ragione questo sarebbe stato un pretesto perfetto per togliermi dai piedi.

Con il cuore nelle orecchie aspettai che continuasse, tuttavia lui si era avvicinato ancora di più a me fino a quasi toccarci i nasi. Indietreggiai, ma non di molto perché mi fermò, mettendomi una mano sulla spalla.

Proseguì: «Sai... per questo potrei metterti in prigione».

Mi scrutò da cima a fondo.

«Mi dispiace, Vostra Altezza, ho sbagliato... non accadrà più, vi prego di darmi una seconda possibilità.»

Odiavo dover supplicare pietà come una criminale!

Avrei preferito fare qualsiasi altra cosa ma sfortunatamente mi servivano quei soldi.

Lui, d'altro canto, sembrava divertito dalle mie suppliche e non accennava a voler continuare il discorso.

Continuammo ad osservarci per qualche altro minuto prima che lui si allontanasse. «Ancora non ti manderò in prigione, Allen.»

«Grazie, Vostra Altezza.»

Prima che potessi continuare, mi interruppe con un'alzata di mano.

«Naturalmente dovrai ripagarmi in qualche modo.»

«Io... io...»

«Che c'è? Non vuoi, per caso?»

«No, certo che no. Solo... non posso ripagare la mappa. Non ho abbastanza soldi» abbassai gli occhi e mi vergognai del mio gesto. Non dovevo apparire debole davanti ai suoi occhi, non avrei accettato che gioisse della situazione.

Nonostante i miei pensieri, lui non sembrava divertito e neanche provava pietà. In realtà, non riuscii a decifrare la sua espressione.

«Non voglio che tu mi ripaghi con dei soldi.»

Ero confusa. Con che cosa avrei dovuto risarcirlo?

«Allora con cosa?»

«Mi dovrai fare un favore. Non adesso, ovviamente. Ma nel prossimo futuro quando ti chiederò di fare una cosa, tu la farai. Va bene?»

Ero allo stesso tempo incredula e felice di dovergli fare un solo favore. Mi sarebbe potuta andare molto peggio!

«Va bene, Altezza.»

Sperai solo che non fosse niente di esageratamente difficile o umiliante.

«Allora abbiamo un accordo, Allen. Se mai ti rifiutasti di mantenere la promessa, non ci penserò due volte a sbatterti in prigione.»

Stavo per replicare, quando Thomas entrò nella stanza. «Scusate il disturbo, principe, ma la colazione è già iniziata da dieci minuti e tutti stanno aspettando voi. La regina non è molto felice.»

Lo vidi alzare un sopracciglio, ma può darsi che avessi visto male perché quasi subito cambiò atteggiamento e diventò dolce e pacato.

Davvero un doppiogiochista.

«Arrivo subito.»

Lasciammo la stanza e raggiungemmo la sala da pranzo. Credetti che non ci sarebbe stato bisogno della mia presenza, quando Thomas mormorò: «Dove vai, Ethan?»

«Stavo andando via... non penso di doverci essere durante la colazione.»

«Il protocollo è cambiato. Ora tutti i bodyguard personali devono rimanere a stretto contatto con la persona da proteggere.»

Avevano davvero paura di un nuovo attentato. Be' non mi stupii più di tanto. Dopotutto se quelle persone erano entrate una volta a palazzo, perché non lo avrebbero potuto fare una seconda?

Ci posizionammo in un angolino dove si vedeva benissimo tutta la sala. Tutti erano a sedere: la fidanzata del principe, la regina e il re che risiedevano a capotavola.

Non appena Theodore entrò, Alexandra si alzò per andargli incontro e dargli un bacio sulla guancia. Resistetti dal non vomitare. Davvero disgustoso!

Forse fu una mia impressione, ma quando Alexandra gli andò vicino, lui fece un passo indietro, malgrado avesse sul viso uno dei suoi enormi sorrisi.

Con me si comportava da vero idiota mentre con gli altri da angelo. Orribile.

«Buongiorno, Alexandra.»

«Buongiorno, mamma, papà» si inchinò.

Pareva un robot che eseguiva dei movimenti programmati. Per un momento mi dispiacque per lui. Mai e poi mai mi sarei voluta ritrovare in quell'ambiente che sembrava tutto men che meno una colazione in famiglia.

La regina parlò per prima e dal suo sguardo lasciava trapelare freddezza e arrabbiatura.

«Vedo che ti sei fatto attendere, Theodore.»

«Mi dispiace, mamma. Sono stato trattenuto» si girò a guardarmi per una frazione di secondo.

Che voleva fare? Dare la colpa a me?

Invece, si limitò a dare una pacca sulla spalla a una bambina e ci si sedette vicino.

Non essendo in grado di resistere all'impulso, domandai a Thomas: «Chi è quella bambina?»

La bimba aveva anche lei lunghi capelli neri fissati da due trecce composte; gli occhi, però, erano di un blu ipnotico. Aveva un sorriso acceso e un leggero rossore sulle guance. Proprio una bambolina. Dondolava le gambe e sembrava felice di trovarsi lì, non come il principe che non vedeva l'ora di andarsene.

«È la principessina Alyson. È la sorella del principe e terza figlia della regina. Ha da poco compiuto nove anni.»

«Chi è il secondo?»

Non sapevo poi molto della famiglia reale. Avevo sentito parlare di un secondo principe qualche volta, ma non ci avevo mai fatto troppo caso. Per dieci anni ero rimasta dentro l'accademia di arti marziali e lì non si parlava mai di fatti riguardanti la corona.

«Oh, il principe non è presente qui adesso.»

«Ma come? Con Sua Altezza, la regina si è arrabbiata e dell'altro non ha detto niente.»

«Diciamo che è più accomodante con il secondogenito dato che è generale dell'esercito e in questo periodo ha avuto molto da fare.»

Generale?

Stavo per chiedergli il nome del principe, ma poi fui attratta dalla conversazione che si stava facendo sempre più interessante.

«Mamma... avete interrogato gli attentatori sopravvissuti?»

«Certo. Ma nessuno ha voluto dire niente.»

«Potrei provarci io.»

«Assolutamente no! Non è roba per un ragazzino» gridò la regina sollevando gli occhi dal piatto.

A questo punto intervenne il re che non avevo sentito mai parlare: «Concediglielo, Alexa, dopotutto un giorno diventerà re e deve fare esperienza anche di questo tipo».

Mentre dialogavano mi resi conto che sia la regina che il re avevano capelli totalmente neri; la regina aveva occhi neri come quelli del principe, mentre quelli del re avevano una sfumatura bluastra.

I modi erano impeccabili e assolutamente fermi e distaccati. Rimanevano seduti composti senza spostarsi di un millimetro. Tuttavia, il re sembrava un po' meno severo della regina, che invece non aveva neanche un capello fuori posto dalla sua elaborata capigliatura.

Dopo un attimo di riflessione spostò lo sguardo da Theodore al re e di nuovo a Theodore, finalmente si decise ad aprire bocca. «D'accordo, permesso accordato. Ma devi essere accompagnato dalle tue guardie del corpo.»

Per poco non si alzò per esultare.

«Comunque, non dovete preoccuparvi» continuò. «A breve scoveremo il responsabile di questi misfatti» la sovrana disse con convinzione.

Non ne sembrava così convinta, ma non lo dette a vedere.

«Ma quindi posso andare anche io nelle segrete a interrogare quelle persone?» domandò la principessa.

«Sei troppo piccola, Alyson. Quando sarai grande potrai andare anche tu» la rassicurò il fratello.

Lei parve delusa, ma poi prese una fetta di pane con la marmellata e se la ficcò in bocca.

Per cambiare argomento, Alexandra proclamò a tutti presenti: «Vostre Maestà, ormai io e il principe siamo fidanzati da quasi un anno. Credo... credo» fece un respiro profondo.

«Credo che sia giunto il momento di sposarci.»

Il principe quasi si strozzò con un pezzo di pane.

«Alexandra... non ti sembra di correre un po' troppo?»

«No, penso che sia giunta l'ora di sposarci.»

Theodore stava per controbattere, ma la regina lo interruppe.

«Theodore, in effetti è quasi un anno che siete fidanzati, il matrimonio è inevitabile a questo punto.»

«Ma mamma! Di questi tempi non è troppo pericoloso fare un matrimonio?»

«Figliuolo» ora era il re a parlare «un matrimonio reale distrarrà la gente da tutta questa faccenda. Non farà male un po' di svago.»

«Tuo padre ha ragione.»

«Svago?! È della mia vita che state parlando! Voglio decidere io il momento migliore per il mio matrimonio!»

Si alzò dalla sedia, facendola cadere. Accorgendosi dell'errore, anche dallo sguardo furente della madre, la raccattò e si risedette.

«Mamma, papà, ora non mi sembra opportuno celebrare un matrimonio. Alexandra merita di più di un matrimonio fatto a corsa per tranquillizzare i cittadini.»

Mi salii qualche dubbio alla frase "Alexandra merita di più". Certamente non era un angelo.

«Theodore... io voglio sposarti. Non mi interessa se sarà fatto di corsa, l'importante è che ci amiamo, no?»

«Sì, ma...»

«Basta!» replicò così forte la regina da farmi sobbalzare. «Questo matrimonio si celebrerà e niente e nessuno potrà farmi desistere. Dovrai fartene una ragione, Theodore.»

Dopo quella sfuriata nessuno osò riaprire bocca.

La colazione finì nel più assoluto silenzio, interrotto solo dai respiri un po' troppo rumorosi del principe.

Erano sul punto di congedarsi e finalmente avrei tirato un sospiro di sollievo, ma naturalmente cantai vittoria troppo presto perché la sovrana disse: «Theodore... vorrei conoscere la tua nuova guardia del corpo».

Lui, ancora arrabbiato per prima, sussurrò a denti stretti: «Ethan... puoi venire avanti?»

Ero talmente stordita per quella chiamata che i miei piedi rimasero ben piantati a terra. I miei occhi vorticavano da un lato all'altro della stanza, non sapendo bene cosa dovessi fare.

Alla fine, Thomas mi bofonchiò all'orecchio: «Che stai facendo lì impalato?! Forza, sbrigati!» mi dette una piccola spinta sulla schiena.

Ritrovata la mobilità, feci alcuni passi in avanti e mi schiarii la voce.

«Eccomi, Vostra Maestà... volevate vedermi?»

Mi costrinsi a guardarla negli occhi, nonostante il principe mi stesse mandando delle occhiatine fulminanti.

Che cosa voleva da me?!

«Ti ringrazio per l'enorme contributo che hai dato alla corona. Senza di te, adesso saremmo stati in guai ben peggiori.»

«Vi ringrazio, Vostra Maestà, non è stato niente di straordinario, chiunque lo avrebbe potuto fare.»

«Oh... ne dubito. Sei stato davvero un eroe e proprio per questo brinderò a nome tuo, Ethan!»

Bevevano davvero a colazione?!

Anche il re, Alexandra e il principe sollevarono i bicchieri per brindare.

Mi venne un'idea.

«Vostra Maestà, lasciate che vi metta io il drink nel bicchiere.»

«Non c'è bisogno. Per questo ci sono i camerieri.»

«Insisto. Sarebbe un onore.»

Perché dovevo sempre parlare?! Perché non me ne rimanevo mai zitta?!

Lei accennò un piccolo sorriso e così feci per prendere il calice di vino, ma proprio quando stavo per passare il bicchiere ormai pieno, inciampai sui miei stessi piedi e rovesciai tutto il liquido sul vestito della regina.

Lei si alzò immediatamente e orripilata provò ad asciugarsi. Io ero immobile con in mano ancora il bicchiere.

Ero talmente imbarazzata che provai ad aggiustare la situazione.

«Mi dispiace moltissimo, Vostra Maestà» sussurrai incerta.

Raccapezzai un paio di tovaglioli e nella foga di farlo lasciai andare il bicchiere che si schiantò sul tavolo, rompendosi in mille pezzi.

Alcune schegge schizzarono addosso ad Alexandra, la quale iniziò ad urlare e a divincolarsi. Alcune ancelle dovettero intervenire per evitare che la situazione peggiorasse e che Alexandra non provasse a togliersi da sola le schegge. Il re accorse immediatamente dalla regina che intanto era ancora alle prese con l'abito. La principessa faceva delle piccole risatine mentre il principe rimaneva a sedere a godersi lo spettacolo, imperscrutabile.

Come faceva a rimanere impassibile anche ora?! Avevo fatto un disastro e lui non aveva neanche aperto la bocca!

Continuai a scusarmi e cercai di fare qualcosa, ma ovviamente le sventure non erano finite perché non mi accorsi che un lembo della maglietta mi era rimasta attaccata alla tovaglia e perciò, non appena mi mossi, feci cadere a terra tutta la tovaglia; i piatti e i bicchieri andarono in frantumi.

Come poteva andare peggio?

Mi misi una mano fra i capelli e una sulla bocca non sapendo cosa fare. Come era possibile che tutte le disgrazie stessero accadendo proprio a me e per di più nello stesso momento?!

La regina urlò: «Cosa hai fatto! Allen!» non la avevo mai vista così arrabbiata.

Alexandra piangeva ancora con i vetri che le tagliavano il viso. Perché rimaneva lì? Non se ne poteva andare?!

La piccola principessa rideva così forte da sovrastare quasi le grida degli altri.

Prima che potessi fare qualcosa, una mano toccò il mio braccio e io sussultai di sorpresa. Che fossero le guardie che venivano ad arrestarmi?

Mi girai ma non vidi delle guardie, bensì il principe che mi guardava con la fronte corrucciata.

«Vuoi rimanere qui a farti arrestare oppure vieni con me?»

«Ma... ma...»

«Non ti preoccupare. Ci penserà Thomas a loro.»

Thomas, nel frattempo, era già arrivato a soccorrere i reali.

«Allora?»

Ero troppo confusa e stanca per discutere.

«Va bene...»

Mi sorrise, mi prese per un polso e iniziò a correre attraverso i corridoi di quell'enorme castello.

Superammo l'entrata e i giardini fino a ritrovarci in un'area che non avevo mai notato prima. C'erano tantissimi alberi, un piccolo ruscello da dove proveniva il suono melodico dell'acqua, due altalene abbandonate e una panchina che si stanziava di fronte al ruscello. Oltre a questo, c'era anche un piccolo sentiero fatto di ghiaia e che noi stavamo in quel momento calpestando.

Il vento mi arrivava in faccia e mi faceva rallentare e ansimare. Alla fine, dovetti fermarmi perché un dolore lancinante mi premeva il fianco.

Mi piegai in due, respirando affannosamente.

«Stai bene?»

Dovetti attendere alcuni istanti prima di rispondere, il tempo di riprendere fiato.

«Sì... sto bene» mi raddrizzai in modo da girarmi intorno e capire che ci eravamo fermati vicino ad una delle panchine. Da lì la vista del ruscello era ancora più bella: si vedevano le rocce dalle quali scendeva l'acqua creando una piccola discesa. Rimasi a bocca spalancata, incapace di pronunciare qualsiasi parola.

Be' non mi preoccupai molto di non riuscire a parlare perché il principe mi fece notare il mio enorme disastro di poco prima. «Non credevo che avresti preparato una piccola presentazione delle tue indubbie qualità.»

Lì per lì rimasi interdetta, ma poi mi ripresi e replicai: «Sono contento che vi siate divertito, Vostra Altezza».

«Impossibile non rimanere attratto da quel bellissimo spettacolo. Hai mai pensato di andare a recitare? Sicuramente saresti un bravissimo improvvisatore.»

Sbaglio o mi stava mandando delle frecciatine? Be' se credeva che me ne sarei rimasta zitta a subire, si illudeva alla grande.

«Non penso che sarei un bravo attore, non bene come Vostra Altezza almeno...»

«Che vuoi dire?»

«Be' non è da tutti cambiare totalmente atteggiamento e personalità in cinque minuti. Da un leone, a un tenero agnellino.»

«Sei un ottimo osservatore, vedo» mi sorrise sprezzante.

«L'unica cosa che mi sfugge è il motivo per il quale con gli altri siete così buono e gentile, mentre con me fate vedere un lato più cattivo.»

«Ogni tanto dovrò pur riposare. Sai, recitare stanca molto, a lungo andare.»

Feci una smorfia disgustata, ma preferii non aggiungere altro.

Cambiai argomento. «Perché mi avete salvato? Da quello che ho capito è che voi non mi sopportate. Allora perché tanta briga di aiutarmi?»

Avevo paura che lo avesse fatto per chiedermi un altro favore. Sarebbe stato davvero astuto.

«Ti trovo interessante, Ethan Allen. Voglio vedere altro di te e se tu fossi stato buttato fuori dal castello non avrei potuto» mormorò il mio nome con così tanta enfasi da farmi salire un brivido.

Che sapesse la mia identità? Impossibile, non gli avevo dato modo di dubitare.

«Perché siamo venuti proprio qui? Che posto è questo?»

Si sedette sulla panchina e chiuse gli occhi.

Credetti che non mi avrebbe risposto, ma poi li riaprii e sussurrò come se fosse immerso in un ricordo: «In questo luogo ci sono venuto molte volte con il mio fratellino quando eravamo piccoli. Era il nostro rifugio dalla corte che a volte poteva risultare pesante soprattutto per due bambini. Di solito giocavamo a fare i pirati e spesso ci tuffavamo nel ruscello facendo finta di essere alle prese con un mostro marino. Altre volte rimanevamo sull'erba a disegnare in cielo delle figure. Nessuno ha mai scoperto il nostro nascondiglio perché pensavano che fossimo nelle nostre stanze. Era divertente, ma purtroppo poi è finita...»

Rimase imbambolato a guardare il fiume.

Ero sempre più curiosa e così chiesi: «Il fratello di cui parlate è quello che oggi non si è presentato a colazione?»

Si voltò a guardarmi così velocemente da farmi pensare che mi avrebbe scannata; tuttavia, con voce leggermente delusa e triste continuò: «No... non è lui...»

Prima che potessi aggiungere qualcosa, si alzò di scatto e assunse una finta aria divertita. «Non importa comunque, abbiamo cose più importanti da fare. Non è vero, Allen?»

«Sì, certo, Vostra Altezza.»

«Bene. Vieni con me. Voglio mostrarti una cosa.»

Ancora incuriosita per la storia del misterioso fratello, lo inseguii attraverso una fitta rete di alberi.

Lui camminava con passo molto spedito e io dovetti quasi correre per non perderlo di vista; tutta quella vegetazione mi ricordava moltissimo la prima prova che avevo affrontato per il lavoro e così mi sbrigai a raggiungere il principe perché non volevo scoprire se anche lì ci fossero degli orsi.

Ad un certo punto Theodore si fermò all'improvviso e per poco non gli andai a sbattere contro, ma così facendo misi il piede male e persi l'equilibrio. Ero sicura di cadere per terra e farmi molto male, quando delle braccia solide mi circondarono la schiena, impedendomi di cadere. Io e il principe rimanemmo a fissarci reciprocamente per alcuni istanti; avevo il battito del cuore leggermente accelerato, ma pensai che fosse solo per lo spavento.

Alla fine, lui distolse lo sguardo e mi aiutò a raddrizzarmi.

Mi parve un comportamento gentile da parte sua e per un momento pensai di averlo giudicato male, poi quello che disse dopo mi fece ricredere. «Stai bene?»

«Sì... grazie.»

«Sai, Allen... certe volte mi chiedo come è possibile che tu sia diventato la mia guardia del corpo. Sei così maldestro. Se non riesci neanche a stare in piedi, come farai a proteggermi?»

Lo fulminai con lo sguardo. Notai un piccolo ghigno sulla sua faccia e per questo mi venne il voltastomaco solo ad osservarlo.

«Vostra Altezza, vi devo ricordare che neanche un mese fa vi ho salvato la vita da quegli attentatori? Lì non sembravo maldestro o incapace, o sbaglio?»

Lo vidi irrigidirsi e sbuffare. Una piccola rivincita su quell'idiota. Era ingiusto che ogni volta dovesse stuzzicarmi e provocarmi.

Tutta contenta, lo continuai a seguire per il tratto successivo e dopo una decina di minuti, Theodore esclamò: «Eccoci arrivati! Questo è il posto in cui ti volevo portare».

In realtà non vedevo niente di interessante o particolare. C'era solo qualche albero e alcuni rametti rinsecchiti per terra.

«Non vedo niente.»

«Aspetta e vedrai. Non ti hanno mai insegnato l'arte della pazienza, Allen?»

«E a voi vedo che manca l'arte dell'umiltà, Altezza.»

Si limitò a guardarmi e io in risposta gli feci un sorriso caloroso.

«Non hai paura che con la tua insolenza possa decidere di farti arrestare?»

In effetti non ci avevo pensato; tuttavia, non mi lasciai intimidire da questa minaccia. Non poteva controllare anche le mie parole e di certo non glielo avrei lasciato fare.

«E per cosa dovreste farmi arrestare? Sono solo stato sincero. Avreste preferito qualcuno al vostro fianco che non vi dicesse la verità e di cui non ci si potesse fidare?»

Scoppiò a ridere così intensamente che vidi comparire sulle guance due fossette; gli occhi gli lacrimavano e se li dovette asciugare con la manica del maglione.

Ero sempre più confusa: che cosa c'era tanto da ridere? Come si permetteva di ridere di me?! Non poteva fare tutto quello che gli pareva solo perché era il Principe Ereditario!

«Perché ridete così?»

Lui riprese fiato e ancora rosso in volto per lo sforzo. «Sei davvero insolito, Allen... farò in modo di non perderti di vista.»

Che cosa voleva dire con questo? Non capivo se mi stesse insultando o meno. E poi il fatto di non perdermi di vista? Non ero una bambina da tenere sotto controllo! Né tantomeno un accessorio! Perché mi era toccato fare da badante a uno squilibrato? Perché non me ne ero rimasta a casa?

Le mani iniziarono a tremarmi e fremevo dalla voglia di urlargli contro e dargli un pugno dritto in faccia. Purtroppo, però, non potei fare niente di tutte queste cose perché lui si era già allontanato.

Ero quasi tentata di tornarmene al castello e di lasciarlo lì a vagare da solo, ma poi mi ricordai che, se mai gli fosse successo qualcosa, avrebbero dato la colpa a me.

Inspirai a fondo e ripresi a camminare.

Il principe svoltò alcuni angoli abbastanza erbosi, dove puntualmente i miei vestiti rimanevano impigliati in qualche ramo appuntito. Finalmente si fermò.

Superai un tronco di albero caduto e mi posizionai di fianco a Theodore.

Rimasi totalmente spiazzata. Davanti a me si ergeva un enorme albero al centro di alcuni cespuglietti.

Era magnifico, tuttavia ancora non riuscivo a capire il motivo per il quale il principe mi aveva condotta lì. Certo, l'albero era probabilmente il più bello di tutto il giardino oltre a essere anche il più grande. Ma perché ci trovavamo qui?

«Vostra Altezza... non capisco ancora perché siamo qui.»

Lui intanto era rimasto a contemplarlo senza fiatare. Dopo un po' cominciai a preoccuparmi, ma poi, non distogliendo lo sguardo dalla pianta, disse: «Non è un semplice albero, Ethan...»

«Ah no? E allora cos'è?»

«È chiamato Albero dei Desideri perché esaudisce i desideri delle persone.»

Un albero dei desideri? Che cosa mi stava raccontando? Credeva che fossi così sciocca?

«Chi credete di prendere in giro? Un albero non esaudisce i desideri.»

A quel punto si girò all'improvviso a guardarmi. I suoi occhi incrociarono i miei e vidi comparire il suo solito ghigno arrogante.

«E chi te lo dice che non lo faccia davvero? Ci sono numerosissime prove.»

«Ma davvero? E sarebbero?»

Si girò totalmente nella mia direzione e mise le mani dietro la schiena.

«E come faccio io a saperlo? Dopotutto i desideri sono segreti.»

Alzai gli occhi al cielo. Era ovvio che non avesse le prove. Stupida io che ancora mi ci lasciavo abbindolare.

Scorsi nelle parole del principe una sorta di tristezza e allora pensai che stesse rimuginando ancora su suo fratello. Siccome la curiosità prevalse, gli chiesi: «Vostra Altezza... ci venivate spesso con vostro fratello?»

Mi sembrò che si fosse asciugato gli occhi lucidi, ma fu una cosa così immediata che non ero sicura di ciò che avevo visto.

«Sì... ci venivamo spesso. Comunque... vuoi provare?»

Mi prese totalmente alla sprovvista. «A fare cosa?»

«A esprimere un desiderio, ovviamente.»

«Cosa? Non ho tre anni.»

«Ah no? Allora ho letto male il curriculum.»

Davvero simpatico.

Non mi dette il tempo di controbattere che cominciò ad avvicinarsi sempre di più a me. Io indietreggiai fino a sbattere contro la corteccia dura dell'albero. La botta mi tolse il fiato, ma non lo mostrai. Per tutto il tempo non distolsi gli occhi da quelli del principe.

Che cosa aveva in mente? Se avesse anche solo alzato un dito su di me, gli avrei fatto patire le peggiori pene dell'Inferno, tanto da fargli supplicare pietà.

«Vostra Altezza... non mi sembra appropriato quello che state facendo.»

«E che cosa starei facendo, Allen?» batté una mano al lato della mia testa, impedendomi di fuggire.

Non era la prima volta che succedeva. Sempre a me dovevano accadere queste situazioni?!

«Vostra Altezza, in questo modo mi obbligate a fare una cosa di cui poi vi pentirete.»

«Intendi darmi un altro calcio, per caso?»

Era così vicino che i nostri nasi si stavano sfiorando.

Adesso stavo letteralmente perdendo la pazienza. La sua vicinanza mi dava il voltastomaco, ma soprattutto il suo malefico sorriso in faccia mi dava un terribile fastidio.

«Altezza... per favore.»

«Sai, Ethan... ultimamente mi chiedo se tu sia colui che dici di essere. Sai, guardandoti da più vicino, mi ricordi qualcuno che ho già visto.»

Trasalii. Ingoiai un groppo che mi si era fermato in gola così forte da farmela dolere. Che si fosse reso conto di qualcosa? Non si sarà mica accorto che ero la stessa persona della festa? No, non potevo rischiare. Non dopo tutta la fatica che avevo fatto per questo stupido lavoro!

Prima che potesse aggiungere qualunque cosa, gli detti una spinta abbastanza forte da farlo indietreggiare di qualche passo.

«Toglietevi di dosso! Perché mi avete portato qui?! Non ho niente da nascondere!»

La mia voce incrinata diceva il contrario.

Lui tirò su le braccia. «Non volevo farti innervosire, Ethan.»

Da quando era passato a usare il mio nome? Be' non proprio mio, ma comunque qualcosa che in quel momento mi apparteneva.

«Non mi sono innervosito.»

«La tua faccia dice il contrario.»

Ero così arrabbiata che sarei potuta esplodere, ma mi obbligai a respirare profondamente e a dire: «Dobbiamo andare, Vostra Altezza... ci staranno già cercando».

Stavo per dileguarmi il più velocemente possibile, quando per mia grande fortuna inciampai sui miei stessi piedi.

Grandioso!

Prima che potessi anche solo rendermi conto di quello che era successo, misi le mani avanti e andai a sbattere contro il principe. Entrambi cademmo per terra e per sbaglio posai le mie labbra su quelle di Theodore.

Sgranai gli occhi, incredula di cosa avessi appena fatto.

Rimanemmo a fissarci in quel modo per qualche secondo e poi mi staccai velocemente con il cuore che batteva talmente forte nelle costole da farmi male. Mi rialzai a velocità supersonica; ero talmente imbarazzata da non riuscire neanche a guardarlo.

L'unica cosa che dissi fu questa: «Questi giardini non sono pericolosi. Ci vediamo al castello».

Detto questo corsi dalla parte opposta, non controllando neanche se il principe si fosse rialzato.

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