CAPITOLO 39
La prigione di massima sicurezza era un complesso enorme, recintato con mura e filo spinato. Si stagliava in mezzo alla vegetazione in una posizione recondita, ai confini di Eveamon. Incuteva un certo timore ed era in netto contrasto con il resto del regno che invece era meraviglioso.
Ci dirigemmo all'entrata, una piccola apertura davanti alla prigione, e una volta lì aspettammo il nostro turno.
«Non credevo che in una prigione ci potesse essere la fila» dissi a Thed, visibilmente scocciata.
«Probabilmente queste persone vogliono visitare alcuni dei loro parenti. Non si direbbe, ma ci sono tanti prigionieri.»
«E vedo che hanno un permesso speciale» notai una donna con in mano una carta. Un poliziotto gliela prese e la controllò, prima di ridargliela.
«Oh, sì.»
«E noi, allora?»
«Non preoccuparti.»
«Abbiamo anche noi una carta in quel modo?»
«No, perché mi sono informato e ho scoperto che Rodrick Barrow non ha né familiari né amici e in tutti questi anni nessuno è mai venuto a trovarlo. Sarebbe inutile portare una carta falsa e in più anche qui ad Eveamon sanno qual è la mia faccia, quindi, sarebbe un buco nell'acqua in ogni caso.»
Fantastico.
«Quindi come facciamo?»
Il panico mi stava montando ad ogni passo che facevamo.
«Non voglio essere arrestata.»
«Non succederà, mia principessa. Abbi fiducia.»
Non aggiunse altro e a me venne voglia di urlare per la frustrazione.
Poi arrivò il nostro turno.
Il poliziotto ci vide e la prima cosa che fece fu inchinarsi davanti a Sua Altezza. Eravamo gli ultimi, perciò non c'era nessuno che potesse metterci ansia.
«Principe Ereditario... sono onorato della vostra presenza. Cosa posso fare per voi?»
Sbaglio o c'era una punta di irritazione nella sua voce?
«Buongiorno, signore. Oggi io e la mia guardia del corpo siamo venuti per vedere un prigioniero.»
«Capisco... non ci sono arrivate comunicazioni in merito ad una vostra visita» si guardò intorno come alla ricerca di tutto l'entourage.
«Ho voluto che rimanesse una cosa privata. Mia madre ne è al corrente, comunque.»
«Va bene... chi volete visitare in una prigione, Altezza?»
Un lampo di divertimento e scherno gli illuminò il volto. Avrei voluto farglielo sparire. Mi trattenni a stento.
«Siamo qui per vedere Rodrick Barrow.»
Il divertimento gli morì di scatto. Riaprì la bocca, ma le parole gli uscirono fredde e diffidenti: «Perché volete vedere quel traditore?»
«Per fargli alcune domande in merito a ciò che successe quasi ventitré anni fa.»
«Capisco» si accese una sigaretta e fece qualche tiro «dovete darmi un'autorizzazione, altrimenti non posso farvi passare.»
Il principe si sporse di più verso l'uomo. «So che devo darvi quella carta, ma è una questione davvero importante e vi pregherei di chiudere un occhio. Solo per questa volta, intendo.»
«Vorrei tanto, Altezza. Ma il fatto è questo: se io vi faccio passare senza la carta e qualcuno, per puro caso, lo venisse a sapere, si lamenterebbe con i miei superiori e loro non ci penserebbero due volte a cacciarmi. Voi capite, vero?»
«Comprendo benissimo le vostre preoccupazioni, ma vi assicuro che nessuno lo verrebbe a sapere.»
«Non potete prometterlo, Altezza, e io non posso farvi accedere.»
Thed stava perdendo la pazienza. «Neanche se ve lo chiede il Principe Ereditario?»
«Non siete il mio Principe Ereditario. Siamo ad Eveamon, non a Solaris. Non avete potere qui.»
Quanto mi sarebbe piaciuto ridurlo in poltiglia.
«Ma ho molta influenza, dico bene signore? Non andrebbe a vostro favore neanche se andassi a raccontare in giro qualche vostro segretuccio che tenete nascosto.»
Impallidì, ma non si scompose. «E voi che cosa ne sapete?»
«Non credo lo vogliate scoprire, dico bene?»
Si mordicchiò un labbro combattuto. «Voglio qualcosa in cambio per la mia generosità.»
Buttò fuori l'ultimo rimasuglio di fumo e schiacciò la sigaretta in un posacenere già pieno. La puzza era intollerabile e più volte dovetti tapparmi il naso e chiudere gli occhi perché mi pizzicavano.
«Non lo metto in dubbio, signore» tirò fuori dallo zaino un sacchetto abbastanza pesante.
«Qui dentro ci sono 8000 monete d'oro direttamente da Solaris» gliele lanciò e lui le prese al volo, scuotendole con gli occhi illuminati.
Mi venne da vomitare.
Iniziò a contarle come se non si fidasse delle parole del principe.
Solo quando arrivò all'ultima moneta, rialzò gli occhi. «Sono davvero 8000 monete d'oro.»
«Mantengo sempre le promesse.»
«Potete entrare, ma voglio che questa mia generosità venga presa in considerazione quando passerò le vacanze a Solaris.»
«Non vi sembra di esagerare, signore?» dissi, stanca delle sue pretese.
«Non mi sembra di chiedere troppo, o sbaglio?»
Stavo per aggiungere qualcosa di poco conveniente alla situazione, ma Thed mi fermò in tempo. «Potrete venire a Solaris, ma non penso che lo vogliate fare ora con tutti questi attentati che si stanno verificando.»
Si zittì all'istante.
Sua Altezza riprese la parola: «Adesso io e il mio bodyguard dovremmo proprio entrare. L'orario per le visite sta terminando».
Il poliziotto ci guardò di traverso, ma non aggiunse altro sull'argomento. Prese le monete d'oro e abbozzò un inchino, che sembrava più una presa in giro, e ci lasciò andare.
«Quell'uomo è davvero uno stronzo!» sbottai quando ci fummo allontanati abbastanza.
«Chi lavora nelle prigioni spesso se ne approfitta» disse tranquillissimo.
«E come fai a saperlo?»
«Credi che sia l'unico? Solaris è piena di tizi come lui. Poliziotti che trascurano il loro dovere e che non hanno un briciolo di moralità quando si tratta di soldi.»
«E perché non li cacci?»
«Ti sembra facile? Senza prove non si può fare niente e loro sono maestri nell'occultarle. Comunque, la situazione è migliorata negli ultimi anni.»
«In che modo?»
«Con le ultime leggi che ha messo mia madre, le persone ci pensano due volte prima di farsi comprare con il denaro.»
Stavo per chiedergli che tipo di leggi c'erano, ma la guardia davanti a noi si fermò e ci fece entrare dentro una stanza.
Ci sedemmo e aspettammo che Barrow varcasse la soglia. Ero così nervosa che non riuscivo a stare ferma. Battevo continuamente il dito sul legno duro del tavolo e muovevo freneticamente la gamba.
«Mi stai mettendo ansia. Fermati.»
Mi fermai. Ma dopo poco ricominciai.
«Allora lo fai apposta. Ti ho detto di fermarti. Stai mettendo agitazione anche a me.»
«Non è colpa mia. È più forte di me. Se ti metto tutta questa ansia, non guardarmi.»
Lanciò gli occhi al cielo e si girò dall'altra parte.
Sbuffai.
Dopo poco entrò un uomo sulla sessantina, ammanettato e vestito di arancione. Aveva il viso scabro e profonde occhiaie. Non aveva moltissime rughe, anche se aveva perso quasi tutti i capelli. Era magro e disidratato, anche se non mancò di guardarci con un'espressione di curiosità e ostilità.
Aveva una strana luce negli occhi che la prigione non aveva spento del tutto: nonostante l'età sembrava ancora un giovane pieno di vita.
Si mise a sedere davanti a noi. Posizionò le mani intrecciate sopra il tavolo e ci guardò per parecchi istanti prima di concentrarsi unicamente su di me.
Perché i prigionieri dovevano sempre guardare me?!
Mi schiarii la voce. «Siete Rodrick Barrow?»
«In persona. Per quanto ne so non fate parte della mia famiglia e neanche dei miei conoscenti; quindi... chi siete voi due?»
«Mi chiamo Ethan Allen e sono il bodyguard del Principe Ereditario di Solaris che è lui» indicai Thed.
«Interessante... e che cosa è venuto a fare in una prigione di massima sicurezza di Eveamon il Principe Ereditario di Solaris?»
«Siamo venuti per parlare con voi» disse Thed, incrociando le gambe.
«Non datemi del "voi", dopotutto sono pur sempre un criminale.»
Rimanemmo in silenzio per alcuni istanti e poi Barrow riprese: «Suppongo che abbiate una buona ragione per essere qui, altrimenti non avreste fatto tutta questa strada».
Per quanto mi sforzassi, non vedevo in Rodrick Barrow il criminale che tutti descrivevano. Vedevo solo un uomo, piegato ma che ancora non si era spezzato e che stava lottando con tutte le sue forze per non affondare del tutto.
Che davvero avessero fatto un errore? Forse non era lui il capo degli attentati di quasi ventitré anni fa.
«Bene» ripresi io. «Sappiamo che sei stato rinchiuso qui perché hai cospirato contro Solaris, creando scompiglio e decine di morti. Ma, malgrado questo, non crediamo alle storie che si raccontano. Pensiamo che tu possa essere innocente. Siamo qui per chiederti di raccontare la tua storia.»
Mi guardò con... compassione?
«Avete una sigaretta, per caso? Sono anni che non fumo e mi manca da morire.»
Ero strabiliata: davvero stava chiedendo una sigaretta nel bel mezzo di una discussione che lo avrebbe potuto portare alla salvezza?
«Non fumiamo» dissi seccamente.
«Peccato. Me ne sarebbe proprio servita una.»
«Ritornando al discorso principale...» riprese il principe «vorremmo che tu ci raccontasti cosa successe ventidue anni fa.»
«Sono davvero stupito che dopo anni due ragazzi siano venuti qui a chiedermi una cosa del genere dopo che sono stato giudicato colpevole. Cosa vi fa credere che io sia innocente?»
«Mio padre lavorava come capo delle guardie reali e si licenziò dopo poco il tuo arresto. Non ci torna questo: se tu sei davvero il colpevole, come è possibile che mio padre si sia licenziato invece che essere felice? Nell'ultimo periodo era sempre più irrequieto e aveva paura continuamente che qualcuno lo seguisse o che potesse fare del male a mia madre o a me e mia sorella.»
«Dovresti chiederlo a lui.»
Mi irrigidii. «È morto.»
«Oh... Mi dispiace. Condoglianze.»
«In ogni caso» riprese «ci potrebbero essere decine di motivi per i quali vostro padre era in quello stato.»
«È vero, ma sono assolutamente certo che lui amava il suo lavoro e che non lo avrebbe mai lasciato a meno che non fosse successo qualcosa di molto grave.»
«Capisco. Come si chiamava vostro padre?»
«Arthur... Arthur Allen.»
Strabuzzò gli occhi e si sporse ancora di più verso di noi. «Quell'Arthur Allen? Siete davvero figlio di lui?»
Io e Thed ci guardammo. «Conoscevi mio padre?»
«Accidenti se lo conoscevo! Era il migliore nel suo campo e ho avuto il piacere di incontrarlo e di farci amicizia ormai decenni fa. In effetti mi aveva detto che sua moglie era incinta di due gemelli.»
La faccenda stava prendendo una piega strana. «Come vi siete conosciuti?»
«Avevamo un amico in comune... Anselm Turner.»
Diventai fredda come il ghiaccio. Allora quell'uomo c'entrava davvero qualcosa!
«Diciamo che loro erano davvero amici. Arthur lo rispettava davvero tanto.»
Continuò il principe perché io ero incapace anche di aprire bocca in quel momento: «Come vi conoscevate tu e Turner?»
«Siamo cugini.» Disse la parola "cugino" con una nota di profondo disgusto.
Mi sarebbe piaciuto scoprire perché, ma Thed aveva già ripreso: «Quindi sapevi anche di Tim Harris?»
«Ne ho sentito parlare da Arthur. Era il suo vice, anche se non ne parlavamo spesso mentre eravamo noi tre insieme perché Anselm non lo sopportava.»
Improvvisamente mi tornò l'uso della parola. «Tim ci ha detto che Anselm era arrogante e voleva sempre comandare su mio padre.»
«Se davvero ha detto così, allora mi sta simpatico anche senza conoscerlo. Ha capito perfettamente come era davvero mio cugino, anche se Arthur non voleva ammetterlo e continuava a dargli seconde opportunità.»
«Dopo che sei stato arrestato, è scomparso e da allora non si fa più vedere.»
Sputò in un recipiente sul tavolo e immaginai che lo volesse fare con suo cugino.
«È sempre stato un codardo. Non mi meraviglio che se la sia data a gambe.»
«Ci potresti raccontare come andò veramente ventidue anni fa? Non crediamo alla storia che tutti dicono.»
«Be' dato che ho scoperto che tuo padre era Arthur Allen, sono disposto a raccontare la mia storia perché, al di là di tutto, sono d'accordo con te: lui non si sarebbe mai licenziato se non avesse avuto un motivo più che valido per farlo.»
Chiuse gli occhi e immaginai che andasse a ripescare i ricordi di quel periodo. Gli scese una lacrima. Non doveva essere facile riportare alla mente eventi tanto dolorosi.
Il principe mi prese la mano e intrecciò le mie dita con le sue. Gli sorrisi.
«Allora, be'... suppongo che vogliate che io cominci dall'inizio. Cercherò di fare più in fretta che posso per non rischiare di finire il nostro tempo.»
In effetti non mancava poi così molto allo scadere dell'orario di visita.
«Come vi ho già detto, ero amico di Arthur da alcuni anni. Ci siamo conosciuti per la prima volta ad una cena in famiglia dove Anselm aveva portato anche lui. Tra una chiacchierata e l'altra siamo diventati amici. Lo rispettavo moltissimo per la persona che era e anche per il lavoro che aveva. Pensavo che fosse una cosa molto nobile fare tutto quello che vostro padre faceva per il regno.»
Si passò le mani fra i pochi capelli che gli rimanevano e si sistemò meglio sulla sedia. Sembrava a disagio mentre raccontava.
«Comunque, più volte dissi ad Arthur di trovarsi migliori compagnie di quella di mio cugino. Gli rivelai che aveva cattive conoscenze e che prendeva lunghi periodi di permesso da Sua Maestà. Spariva anche per settimane e nessuno sapeva dove andasse. Lui non diceva mai niente. E sapete cosa mi ripeteva ogni volta Arthur?»
Scuotemmo la testa, anche se potevamo sapere a cosa alludesse Rodrick.
Fece una risatina vuota. «Che lo sapeva. Sapeva che frequentava cattive persone e che spariva per settimane, ma che non gli importava. Mi rivelò che spesso aveva interceduto per lui con il re e che lo aveva salvato dal licenziamento più volte. Il re stimava moltissimo Arthur e così chiudeva un occhio nei confronti di Anselm. Inoltre, mi disse che era compito di un amico stargli accanto e aiutarlo a ritrovare sé stesso. Per lui era solo una fase che poi sarebbe passata. Non voleva che mi comportassi come quel Tim Harris che mi avete rammentato prima.»
Tamburellai le dita sul tavolino pensierosa. «E cosa gli dicevi in questi casi?»
«Che era troppo buono con lui e che prima o poi gli si sarebbe ritorto contro perché Anselm, per quanto rifiutasse di ammetterlo, era marcio dentro e non si sarebbe fatto scrupoli ad ucciderlo, qualora si fosse messo contro il suo piano. Qualunque esso sia stato.»
Quest'ultima frase mi fece pensare: Turner aveva a che fare con la morte di papà?
Impossibile. Lui era morto per un terribile incidente a causa della mia sconsideratezza. Niente di più.
«E dopo che accadde?» disse il principe, guardando l'orologio.
In effetti, non mancava molto tempo.
«Passammo alcuni mesi in questo modo fino alla nascita dei gemelli. Lì vostro padre sembrava un'altra persona. Era sempre felice, nonostante gli attentati continuassero già da qualche mese. Poi una sera, mentre mi trovavo a letto, entrò un gruppo di soldati vestiti da guerra. Per farvi capire... avevano mitragliatrici, pistole e pugnali. Erano attrezzati per una guerra più che per arrestare un uomo disarmato.
Mi buttarono giù dal letto e mi puntarono le armi contro. Ero spaventato a morte e chiesi che cosa fosse successo. Loro risposero che ero accusato di essere il capo dei ribelli. Non ci capivo niente, ero del tutto confuso e provai a difendermi, dicendo che non sapevo di che cosa stessero parlando, che non potevo essere io. Non c'entravo niente, ma loro non mi ascoltarono e mi ammanettarono. Alla fine, rivelarono che c'erano delle prove inconfutabili. Ero stato visto nel loro nascondiglio ed erano già stati arrestati molti di quelli. Oltre a questo, c'erano prove sul fatto che avevo organizzato tutti gli attentati.»
«Che prove?»
«Testimonianze di alcune persone, fotografie, documenti compromettenti.» Una lacrima gli discese sulla guancia.
«Adesso sembro uno sciocco a piangere così.»
La lacrima si trasformò in un singhiozzo e poi in tanti singhiozzi.
Strinse la mascella e i pugni in una stretta così ferrea che credetti davvero che il suo corpo potesse esplodere.
«Non sei uno sciocco. Per niente» dissi con gli occhi pieni di compassione.
«Perché? Perché siete qui? Perché volete aiutarmi?»
«Vogliamo giustizia per te, per il signor Allen e per tutti quelli che soffrono oggi e che hanno sofferto in passato. Ci sono delle ribellioni e sono molto peggiori di quelle di ventidue anni fa. Credo che, se non le fermiamo, si possano trasformare in una terribile guerra che porterebbe devastazione e morte» ammise Thed.
Un brivido di terrore mi discese lungo la schiena.
«E poi» riprese «pensiamo anche che i fatti di allora e di ora siano collegati. Sono certo che per mettere fine una volta per tutte a quello che accade oggi, dobbiamo necessariamente trovare la verità di ventidue anni fa.»
Annuii impercettibilmente, ripensando a tutte quelle persone che erano morte per proteggere il regno o a quelle che si erano ritrovate in mezzo senza avere via di scampo. Ripensai alla signora Johnson, ricattata da quegli attentatori solo per proteggere la figlia, o ad Alexandra che, per quanto tra di noi non scorresse buon sangue, non reputavo giusto che dovesse rimanere invischiata in faccende più grandi di lei.
E poi c'era la mia famiglia, spezzata e distrutta da quelle persone. Mio padre era morto, ma non avrei mai permesso che un'altra persona a me cara dovesse soffrire né a causa dello Sterminatore né di nessun altro.
Barrow elaborò le cose dette da Thed e dopodiché espirò profondamente. «Mi rinchiusero nelle segrete del palazzo reale per giorni. Mi portavano il cibo una sola volta al giorno e l'acqua era così calda che era imbevibile. Dopo un tempo che mi parve infinito vennero ad interrogarmi, ma io non sapevo mai a cosa si riferissero. Gli dicevo che non ero io il capo dei ribelli, che non avevo mai fatto del male a nessuno. Loro, però, non mi credettero e continuarono per giorni il loro interrogatorio, offrendomi anche una pena minore se gli avessi fatto dei nomi. Alla fine, non vennero più. Stetti altre due settimane in quelle prigioni puzzolenti e fu allora che lo vidi arrivare. Arthur era riuscito a venirmi a trovare. Ero debole e disidratato, ma comunque riuscii a cogliere lo stato in cui il mio amico si trovava.»
Avevo paura di sapere come sarebbe andato avanti. «Era agitato, spaventato per qualcosa e si guardava continuamente in giro. Mi ricordo che si rannicchiò il più possibile vicino a me e mi sussurrò pianissimo che sapeva che ero innocente, che avrebbe trovato un modo per liberarmi e che mi avrebbe raccontato tutto. Ma non subito perché era troppo pericoloso. Qualcuno avrebbe potuto ascoltare e crearci dei problemi. Riuscii a strappargli solo che in tutto quello che mi stava capitando c'entrava qualcosa Anselm, che avevo avuto ragione a metterlo in guardia su di lui, ma che ormai era troppo tardi perché era scappato. Mi promise che prima o poi l'avrebbe trovato, ma che per il momento la sua priorità ero io. Disse che sarebbe tornato qualche giorno dopo. Inutile dirvi che non tornò mai. Stetti settimane ad aspettare una sua visita, ma fu tutto inutile. Il resto lo sapete meglio di me.»
Cercai di elaborare tutte le informazioni acquisite: mio padre sapeva tutto. Era per questo che era così spaventato in quell'ultimo periodo. Strano che non fosse tornato. Forse qualcuno lo ricattava? Oppure, alla fine, aveva avuto troppa paura per aiutare il suo amico?
Entrambe le risposte mi ghiacciarono il sangue.
«Dopo poco mio padre si licenziò e poi, quando avevo sedici anni, dopo una mia azione stupida, rimase ucciso in un magazzino.»
«Mi dispiace molto... Chi lo ha ucciso?»
«Un gruppo di ragazzi che mi avevano tratto in una trappola: andai in questo magazzino e iniziarono ad aggredirmi. Mio padre accorse in mio soccorso, ma gli spararono. Morì tra le mie braccia.» Repressi le lacrime che minacciavano di uscirmi.
«È davvero ingiusto che un ragazzino di quell'età debba guardare una cosa così.»
Gli sorrisi tristemente.
«Sappiamo che gli attentati sono organizzati da un certo uomo che si fa chiamare "Lo Sterminatore".»
«È buffo.»
«Cosa?» dissi perplessa.
«Anche al tempo il capo dei ribelli era chiamato così.»
...
Mi rigirai la fotografia che tenevo saldamente in mano.
«A furia di guardarla, gli occhi ti bruceranno.»
Eravamo usciti dal carcere, dopo aver promesso a Rodrick di scoprire la verità. Lui, in compenso, ci aveva regalato una fotografia che raffigurava lui, Arthur e Anselm che sorridevano in un parco.
Quello veramente entusiasta di stare lì era mio padre. "Oh, papà..." pensai "perché ti fidavi così tanto delle persone?"
«Voglio imprimerla nella mente in modo da scovare anche il più piccolo indizio.»
«Che indizi devi trovare in una fotografia così sgranata? E poi non si vede niente di sospetto» disse accelerando il passo.
Guardai le tre figure sorridenti, prestando maggiore attenzione ad Anselm: era un uomo alto, slanciato e molto atletico. Portava i capelli castani rasati dalle parti. Non mi stupii che potesse sfidare mio padre.
Forse aveva ragione il principe: quella non era altro che una fotografia.
La misi in tasca del giacchetto e lo raggiunsi. «Che ne pensi delle informazioni che abbiamo ricevuto?»
«Sono interessanti, ma alla fine hanno solo confermato quello che già sapevamo» esclamò.
«Però sullo Sterminatore ha detto una cosa che non sapevamo: ne esisteva già uno. Magari è lo stesso o forse quello di ora ha preso solo il nome.»
«Credi sia Turner?» aggiunsi dopo un attimo di riflessione.
«Perché no? Tutti gli indizi portano a lui.»
«Ma allora perché agire dopo tutto questo tempo?»
«Forse per qualche suo gioco mentale malato?»
«Può darsi...» all'improvviso mi venne un'illuminazione. «E se quella firma nelle lettere che ha ricevuto Xavier, L.S., stesse per lo Sterminatore?»
Mi posizionai davanti a lui con gli occhi che mi brillavano per aver fatto una possibile scoperta.
Sua Altezza trasalì e rabbrividì. «Che cosa avrebbe voluto lo Sterminatore da mio fratello?»
A questo non sapevo dare una risposta, così rimasi in silenzio.
Thed riprese la parola: «Non possiamo escludere nulla, ma spero davvero che tu abbia torto. Perché, se non fosse così, sarebbe davvero mostruoso. Lo Sterminatore si sarebbe servito di mio fratello per i suoi scopi malvagi. Forse è stato proprio lui a danneggiare l'aereo su cui viaggiava per poi farlo precipitare».
Sperai tanto di sbagliarmi.
«In ogni caso» iniziai, ricomponendomi «possiamo escludere Barrow. Lui è solo un'altra vittima. Dovremmo parlare con Turner.»
Fece una risata amara. «La vedo dura se è davvero lui lo Sterminatore.»
«Dobbiamo pur provarci!» esplosi esausta.
La testa mi girava per tutti quegli avvenimenti e non mi riusciva riordinare le idee.
Mi sentivo svuotata.
Dovevo prendermi una pausa. Adesso avevo bisogno solo di quello.
«Hai ragione, mia principessa: dobbiamo provarci e proprio per questo, una volta a palazzo, ho intenzione di far indagare Thomas su Turner. Adesso, però, devo mantenere una promessa.»
...
Arrivammo alla spiaggia dopo circa un'oretta di viaggio in macchina.
Rimasi incantata a guardare l'oceano che appariva ancora più bello di quanto avessi mai potuto immaginare.
«Come è dal vivo?»
«È semplicemente bellissimo. Non ho mai visto niente di più bello.»
Ammirai l'arcobaleno sopra l'acqua e lo stormo di gabbiani che volava. «Sembra uscito da una fotografia.»
Affondai le gambe nella sabbia morbidissima e inspirai profondamente l'aria salmastra. Amavo davvero tanto il mare, anche se avevo avute poche occasioni per visitarlo.
Il vento tra i capelli, i castelli di sabbia, le lunghe passeggiate sul bagnasciuga, le nuotate erano tutte cose che mi sarebbe piaciuto fare con la mia famiglia ancora tutta unita e felice. Avrei dato tutto pur di passare anche solo cinque minuti un momento come quello. Avrei dato tutto per rivedere papà e dirgli che finalmente avevo visto l'oceano di Eveamon. Ne sarebbe stato orgoglioso? Oppure si sarebbe intristito perché lui non era lì per guardarlo insieme a me?
Una lacrima mi discese sulla guancia prima che me ne potessi accorgere.
«Perché piangi?» mi domandò preoccupato.
Riaprii gli occhi e lo guardai, assumendo l'espressione più entusiasta che potei. «Sto solo pensando che a mio padre sarebbe piaciuto moltissimo.»
Mi prese le mani e le strinse forte. «Sono sicuro che adesso si trova in un posto dove c'è sempre l'oceano. Sono convinto che proprio ora si sta facendo un bagno in acque pure e bellissime come queste.»
Per quanto potesse essere una cosa sciocca da credere, mi rincuorò più di quanto mi aspettassi.
«Hai ragione» annuii e mi asciugai le lacrime.
«Non ti ho portato qui per vederti piangere» mi prese in braccio.
«Che cosa fai?!» mi ribellai prima di arrendermi e mettergli un braccio dietro il collo.
«Sto per farti conoscere l'oceano più bello del mondo.»
«Non vorrai buttarti in acqua? Ci ammaleremo!»
In risposta ebbi solo un sorrisetto cospiratore.
Si buttò in acqua. Trattenni il respiro, aspettandomi di ricevere il cambio repentino di temperatura. Per mia grande sorpresa, invece, l'acqua era calda e stranamente confortevole. Le onde erano piccole e regalavano una sensazione di calma e tranquillità.
Riemergemmo quasi nello stesso istante e ci guardammo con intensità.
«L'acqua è piuttosto calda» mormorai alla fine.
Scoppiò a ridere. Una risata sincera, libera, senza preoccupazioni.
«Perché ridi?»
«Mi stupisci sempre di più, mia principessa.»
Stavo per chiedergli di spiegarsi meglio, quando si avvicinò e mi circondò con le sue braccia. Mi abbandonai al suo calore, inspirando il suo odore che sapeva di mare.
Si scostò il tanto che bastava per guardarmi negli occhi. «Ti amo, mia principessa.»
Rimasi imbambolata a fissarlo. Dentro di me sentivo come un groviglio di emozioni impossibile da sciogliere. Il desiderio di dirgli che anch'io lo amavo mi pervase fin dentro le ossa. Sembrava così facile. Bastava rivelargli che anch'io lo amavo con tutto il cuore, che avrei fatto qualsiasi cosa per lui. Anche morire, se necessario.
La mia bocca si aprì e... non disse nulla.
Ero rimasta così tanto spiazzata che mi mancavano anche le parole. Ero sicura di provare lo stesso, eppure perché non ero riuscita a dire niente? Che cosa mi impediva di mettere a nudo la mia anima?
Forse il pensiero che questa bellissima illusione prima o poi si sarebbe dissolta, che prima o poi lui si sarebbe sposato con una bellissima ragazza nobile e piano piano il pensiero che aveva di me si sarebbe tramutato in un lontano ricordo da raccontare come favola ai figli per farli dormire.
Perché era di questo che si trattava. Di un'illusione. Prima o poi i nostri titoli si sarebbero scontrati. Un Principe Ereditario non poteva sposare un umile guardia del corpo. Chiunque si sarebbe opposto, prima di tutti la regina. Non avrebbe mai approvato e prima o poi Thed le avrebbe dato ragione e mi avrebbe lasciata.
La nostra sarebbe rimasta una storiella divertente e niente di più.
A quel punto che cosa avrei fatto? Come lo avrei sopportato?
Se avessi avuto un minimo di buonsenso, avrei dovuto mettere fine a tutto quello che stava succedendo. Gli avrei spezzato il cuore, ma sarebbe stato per il suo bene. Per il mio.
Tuttavia... perché non mi riusciva? Che cosa mi impediva di dirglielo?
Lo guardai e abbassai lo sguardo. Non potevo. Non in quel momento. Prima o poi lo avrei fatto, ma non oggi e non domani.
Semplicemente non ero pronta a dividermi da lui.
Ma per quanto lo ritardassi, prima o poi il momento sarebbe arrivato.
Un orribile brivido mi pervase la schiena, un presentimento lacerante che mi serrava le viscere.
Ritornai alla realtà, sentendo le dita di Thed sfiorarmi la guancia. «Te l'ho mai detto che sei bellissima?»
«Almeno un milione di volte.»
«Così poche? Allora vuol dire che dovrò continuare a ripetertelo.»
Gli presi i capelli e li chiusi nel pugno. Lo avvicinai a me fino a quando le nostre labbra non si sfiorarono pianissimo.
Riuscivo a sentire l'acqua salata sulle sue labbra e il respiro affannoso che mi solleticava il viso.
Mi avvicinò a sé per ridurre al minimo la distanza. Quando ci dividemmo, posizionò la fronte contro la mia.
Rimanemmo così, uno contro l'altro, con le onde che si infrangevano contro i nostri corpi, con la consapevolezza che prima o poi avrei dovuto dirgli tutto, ma che per ora non c'eravamo che noi due soli.
Due corpi.
Una sola anima.
Per quanto non volessi ammetterlo, sentivo che più il tempo passava e più mi incatenavo a lui.
Indissolubilmente.
Mi chiesi come avrei fatto a liberarmi.
Sapevo che avrebbe fatto male e che dopo non sarei stata più la stessa.
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