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CAPITOLO 38

«Che cosa?!» urlò.

«È tutto vero, Maestà.»

«Va bene. Puoi andare ora.»

Il principe aveva fatto uno schizzo verso l'alto e per poco non si alzò. «Che cosa succede? Papà è peggiorato?»

Scosse la testa. «Ieri alcuni prigionieri sono evasi dalla prigione. Ribelli, a dire il vero, e tra questi c'era anche quel dottore che si fa chiamare dottor Wilson e i suoi complici.»

L'aria della stanza si raggelò immediatamente.

Forse avevo capito male. Non poteva essere quel dottor Wilson. Era impossibile che fosse scappato il dottore che aveva fatto esperimenti sui prigionieri e che mi aveva drogata quando ero stata rinchiusa in prigione. Se quella volta non fosse intervenuto Thed, non so che fine avrei fatto.

Fui riscossa dal torpore a causa del pugno energico che il principe lanciò su un tavolino, posto vicino al letto.

Era rosso di rabbia e la vena sul collo gli pulsava.

Il panico, invece, prese possesso di me. Wilson non poteva essere libero. Non esisteva. Che cosa sarebbe successo alle persone che avrebbero avuto la sfortuna di incontrarlo?

Mi girai da un lato all'altro, cercando di riorganizzare le idee. Poi domandai: «Come è successo?»

Non credevo che la regina potesse rispondermi davvero. E invece lo fece: «Un paio di traditori sono scesi nelle segrete mentre c'era confusione, hanno tramortito le guardie e sono riusciti a farli evadere. Non si sa dove siano adesso».

«Ma è terribile!» esclamai, incapace di trattenermi.

«Sì, lo è.»

«E scommetto» riprese Thed «che la polizia e la guardia reale li stiano cercando assiduamente.»

«Ovviamente. Credevi il contrario?»

«No, certo che no.»

Era palese che stesse mentendo, ma la regina sembrò non accorgersene. «In ogni caso li ritroveremo.»

Stentavo a crederci.

«Comunque, mamma, devo annunciarvi che io ed Ethan, non appena saremo guariti, ci recheremo insieme presso Eveamon.»

Si fece sospettosa. «E che cosa ci andate a fare a Eveamon?»

«Voglio prendermi una pausa e rilassarmi e quel posto mi pare il posto perfetto per farlo.»

«Ne sei sicuro? Non è che c'è qualcosa sotto?» lo guardò attentamente come se in quel modo riuscisse a leggergli dentro.

Lui le sorrise e scosse la testa.

«Bene, allora. Hai il mio consenso. Adesso devo andare. Devo ancora discutere di alcuni affari di stato della massima delicatezza.»

Si avvicinò a Thed come se volesse abbracciarlo, ma si fermò prima, indecisa se farlo o meno. Alla fine, optò per mettergli una mano su una spalla.

Non appena rimanemmo soli, feci un gran sospiro di sollievo e tutta la tensione si sciolse dalle spalle.

Mi avvicinai al letto ancora preoccupata per quella questione. «È terribile che Wilson sia riuscito a fuggire.»

Lui mi attirò sé e incrociò le sue dita con le mie. «Non preoccuparti, mia principessa. Troveremo lui e i suoi seguaci e lo porteremo davanti alla giustizia. Non farà mai più del male a nessuno. È una promessa.»

Era così sicuro che non me la sentivo di contraddirlo. Accennai un piccolo sorriso e chiusi gli occhi, assaporando il suo odore fino in fondo.

Quando li riaprii, mi accorsi che mi guardava con un sorriso strano in volto. Mi fece girare la testa.

«Dovremmo riprendere da dove ci siamo interrotti.»

«Ma qualcuno ci sentirà.»

Il sorriso si allargò. «Guardie.»

Entrarono una manciata di soldati.

«Dite che Sua Altezza non vuole essere disturbato e poi andatevene in pausa per un'oretta o due.»

Si guardarono sconcertati e per poco non scoppiai a ridere.

«È un ordine, signori.»

Abbassarono il capo e uscirono. Poco dopo sentimmo i loro passi allontanarsi.

Mi mordicchiai il labbro con il cuore che mi galoppava nel petto mentre mi giravo verso Thed.

«Finalmente siamo soli.»

Mi prese per un braccio e in una rapida mossa, mi stese sul letto sotto di lui.

«Devi stare attento, altrimenti i fili nel braccio ti andranno via.»

«Starò attentissimo.»

Si mosse, avvicinando il corpo più vicino al mio, ma così facendo sussultò.

«Stai male? Ti fa male la ferita?»

«No, no. Sto benissimo quando sto con te. Neanche il dolore può fermarmi.»

«Esagerato.»

Mi accarezzò il viso delicatamente e piano piano avvicinò la sua bocca verso la mia, dandomi un bacio leggerissimo che lo sentii appena.

«È tutto qui quello che sai fare?» domandai audace.

«Che cosa vorresti?»

«Lo sai.»

«Voglio sentirlo da te, mia principessa. Dalle tue belle labbra morbide.»

«Idiota» borbottai.

«Ti ho sentita.»

«Bene.»

Prima che ci ripensassi, con una mano gli presi il colletto della camicia fino a ritrovarci naso contro naso.

«Cosa vorresti fare adesso?»

«Lo scoprirai.»

Lo baciai con foga, approfondendo il bacio sempre di più fino a quando non mi sentii legata a lui indissolubilmente. Fino a quando le nostre anime non si fusero insieme.

Gli presi una manciata di capelli nel pugno e li tirai indietro. Mugolò dal piacere. Risi soddisfatta mentre gli lasciavo piccoli baci sul collo e sulla mandibola.

«Sento che sto perdendo il controllo, mia principessa. Ti consiglio di smetterla se non vuoi che le cose si facciano pericolose.»

Alzai un sopracciglio e lo guardai dritto negli occhi. Iniziai a risalirgli il petto con la mano fino alla pancia per poi risalire e scendere di nuovo. Strinse i pugni, ma cercò di concentrarsi su di me.

«Sono molto curiosa di vedere come le cose possano diventare pericolose...»

«Non so se ti converrebbe vederlo o sentirlo...»

«Questo sta a me deciderlo, non credi?»

Veloce come un fulmine mi bloccò la mano e me la serrò sul letto. Mi osservò con uno strano luccichio negli occhi. Come un predatore che guarda la sua preda.

«Lo hai voluto tu, mia principessa. Da adesso in poi non ti potrai più ritrarre.»

«Non voglio farlo, Teddy, ma non credo che dovremmo viste le tue condizioni.»

Solo qualche ora prima era rimasto gravemente ferito.

Mi guardò sofferente, ma alla fine dovette concordare con me.

«Per quanto voglia renderti mia su questo letto d'ospedale, devo darti ragione.»

Mi strinse più forte al suo petto, baciandomi la testa.

Potevo sentire tutto il suo amore, tutto il nostro legame andare a completarsi sempre di più. Lo percepivo dentro e fuori di me ed era come se non ne avessi mai abbastanza.

Di lui.

Di noi.

Ogni volta che gli stavo accanto mi sentivo completa.

Totalmente.

E per sempre.

...

«E quindi? Come credete di fare?» gli domandai mentre salivamo in macchina, pronti per raggiungere Eveamon.

«Qualcosa mi inventerò strada facendo.»

Erano passati due mesi dall'attacco al castello e ormai tutto era stato aggiustato. Non sembrava più che lì fosse avvenuto qualcosa.

Tranne per le persone che ci lavoravano e che avevano una paura immensa. La guardia era stata aumentata e adesso nessuno poteva entrare o uscire senza un'autorizzazione diretta della regina. Ed era pressoché impossibile farsela dare. Eravamo come in prigione, ma per fortuna quel giorno saremmo partiti perché non sopportavo più dover rimanere rinchiusa lì e sentire solo per telefono Ethan ed Aileen che, per fortuna, non erano stati scoperti e non erano rimasti feriti.

Anche le aree danneggiate dall'incendio erano state finalmente aggiustate e tutto il personale era tornato a vivere lì. Ancora non avevo affrontato questo argomento con Thed che continuava a cambiare discorso ogni volta che glielo accennavo.

Ormai entrambi eravamo guariti, anche se mi era rimasta una leggera zoppia. Il dottore aveva detto che anche quella sarebbe guarita in un paio di settimane.

Si prospettava un viaggio lungo e così un maggiordomo stava caricando i bagagli in macchina.

La regina aveva insistito per farci portare una scorta numerosa, ma il principe aveva risposto che non ne avevamo bisogno e che saremmo stati al sicuro, rimanendo nell'ombra.

«Lo avete detto anche alcuni giorni fa, ma ancora non vi siete inventato niente.»

«Quanto sei noioso, Ethan! Goditi il viaggio e basta.»

«Prima di partire devo mostrarvi una cosa.»

Era da due mesi che volevo mostrargli quelle lettere nella stanza di Xavier, ma non avevo mai trovato il tempo o il momento giusto prima di adesso. Certo, poco prima di partire non sembrava un'ottima idea, ma dovevo farlo e il tempo era ormai scaduto.

Si girò incuriosito a guardarmi, abbassandosi gli occhiali da sole. «Adesso? Stiamo per partire. Non puoi mostrarmelo quando torniamo?»

«È una cosa di importanza vitale. E penso che ci servirà anche per quando ci troveremo ad Eveamon.»

«Non potevi dirmelo prima?»

«Non ho trovato il momento giusto.»

«E questo ti sembra il momento giusto? Abbiamo un programma da rispettare!»

«Sciocchezze. Se ritarderemo sulla tabella di marcia, non succederà niente. E poi ci vorrà poco.»

Finalmente si arrese. «Va bene, ma deve volerci poco.»

Lo trascinai letteralmente verso la stanza di Xavier e, non appena ci fummo davanti, si irrigidì. «Che cosa ci facciamo qui?»

La sua faccia era talmente bianca che sembrava che avesse visto un fantasma. Lo vidi ingoiare più volte la saliva e passarsi le mani sui pantaloni.

«La cosa che devo mostrarti si trova all'interno.»

«Non posso entrarci» fece un passo indietro.

«Va tutto bene. So che puoi farcela.»

Mosse ripetutamente la testa da un alto e poi dall'altro in preda al panico. Gli occhi gli divennero due fessure e strinse le mani a pugno fino a conficcarsi le unghie nella carne.

«Così ti farai uscire il sangue.»

Non mi ascoltava. Sembrava come paralizzato.

Non è che avevo sbagliato a portarlo lì? Ma prima o poi avrebbe dovuto scoprire le lettere che Xavier si era inviato con quel L.S.

Forse il mio approccio era stato un po' troppo brutale, ma avevo passato quei due mesi a pensare ad un modo per rivelarglielo più delicatamente possibile.

Alla fine, ero arrivata alla soluzione che non esisteva un modo delicato per dirglielo. Potevo solo stargli vicino e confortarlo.

Ed è quello che feci in quel momento.

Gli presi il pugno e lo strinsi forte. Poi lo abbracciai e lo rassicurai. «Va tutto bene. Sono qui con te. Se è troppo, non importa. Possiamo tornare un altro giorno.»

Rilassò la mano e la aprì per permettermi di prendergliela. Poi mi guardò e la tensione dalle spalle sparì. «No, hai ragione. Non posso evitare per sempre la sua stanza.»

Entrammo dentro e per un secondo rimase immobile con lo sguardo assorto verso i mobili e le pareti di quell'enorme stanza.

«Non è cambiato proprio niente qui» disse prima di seguirmi.

Andai diretta al punto del muro dove l'ultima volta avevo trovato la porta.

«Che cosa volevi mostrarmi?»

«Aspetta. L'ho quasi trovata.»

Finalmente aprii lo scompartimento e dal risucchio d'aria che sentii dal principe, capii che ne era rimasto stupito quanto me l'ultima volta.

«Non ne sapevi niente?»

Scosse la testa. «Ci dicevamo tutto, ma questo non me lo aveva mai accennato.»

Forse non era poi così sincero come Thed credeva, ma evitai di dirlo ad alta voce.

Trovai le lettere nella stessa posizione nella quale le avevo lasciate. Le tirai fuori e le feci vedere al principe.

«E che cosa sarebbero?»

«Lettere che il principe Xavier e un certo L.S si sono scambiati nei sei mesi prima la sua scomparsa.»

Ci sedemmo sul tappeto e iniziammo a leggere quelle che avevo già visto la prima volta, se non per alcune che, invece, non avevo avuto il tempo di guardare.

«La sera dell'attacco eri qui?» domandò assorto.

«Sì. Mi era venuta in mente una teoria e volevo verificarla. Diciamo che queste lettere le ho scoperte per caso.»

Le appoggiò sulle gambe. «Non capisco proprio cosa c'entri Xavier con questo tizio e perché continuava a scrivergli.»

«Me lo sono domandata anch'io... Forse c'entra qualcosa con la sua scomparsa» azzardai.

Vedendolo dubbioso, gli mostrai la lettera più recente, quella datata 20 maggio.

Man mano che la scorreva divenne sempre più pallido. La rilesse alcune volte prima di appoggiarla con mani tremanti.

«Questo significa che... che...»

«Xavier aveva più di un motivo per fare quel viaggio. Doveva incontrare L.S. Magari lo ha rapito! Questo spiegherebbe anche l'aereo a cui mancava un pezzo di motore. Deve averlo danneggiato L.S. Dopotutto è stato lui a dirgli il modello.»

«Ma non il fatto che all'andata l'aereo non era danneggiato. Non spiega affatto perché il motore era nella stanza di Kendrick. Qui L.S. dice che deve svelare il desiderio più profondo di mio fratello... mi chiedo quale sia stato...»

«Forse stava solo farneticando.»

«Pareva molto convinto.»

«Lo avrà fatto solo per confonderlo.»

«Può darsi... Ma comunque non riesco a pensare ad un desiderio così profondo di mio fratello. Per anni è stato malato e mia madre lo ha tenuto lontano dagli scoop e dai media. Poi, alla sua morte, i funerali sono stati privati e gran parte delle persone non sapeva neanche che io avessi un fratello! Figuriamoci che fosse morto! Nessuno poi lo ha più menzionato.»

Anch'io non sapevo che Thed avesse un fratello ed era stato uno shock scoprirlo.

«In ogni caso» ripresi il filo del discorso «se L.S. voleva che viaggiasse con uno specifico aereo... magari ha architettato tutto per fingere che fosse morto!»

«Mi sembra una supposizione alquanto improbabile. Se l'aereo era guasto come ha fatto a volare in sicurezza fino a Keasiria?»

«Forse... Non lo so...»

«Lui ha cambiato rotta e prima di dirigersi qui, è andato verso est. Poi più nulla. Una settimana dopo hanno trovato delle tracce dell'aereo, ma di loro non c'era traccia.»

«Ti ricordi il modello dell'aereo che hanno usato per partire?»

«Era un jet privato, ma non mi ricordo il nome.»

«E invece il modello del pezzo di motore che hai ritrovato da Kendrick?»

«Era lo stesso del jet privato. Su questo ne sono certo.»

«E allora in qualche modo l'aereo deve essere riuscito ad arrivare a Keasiria, ma poi a precipitare al ritorno, in un posto in cui a nessuno è venuto in mentre di guardare.»

Sentivo che non stavamo andando verso la strada giusta... mancava ancora un pezzo.

«Gli altri come sono tornati?»

«Con un altro jet privato, non uguale al primo. Mio fratello ha preso quello danneggiato per poi precipitare.»

«Qualcosa non mi quadra. Xavier doveva ancora vedere L.S. Non sarebbe stato così azzardato.»

«Forse non sapeva che fosse rotto.».

«Può darsi... ma se davvero era stato un esperto di aerei, avrebbe dovuto saperlo. Magari non ha detto niente agli altri per non farli preoccupare e ha tentato la sorte. Sperava che gli fosse favorevole e invece...»

Stavamo facendo congetture assurde, me ne rendevo conto. Ma per ora non avevamo di meglio.

«Quando lo ha dirottato è stato il momento in cui è andato a cercare il luogo dell'incontro con L.S.» e poi dopo un attimo di riflessione «sai dove si stava dirigendo?»

«Gli ultimi segnali risalgono al 27 giugno. Mio fratello stava tornando a Solaris, ma poi ha cambiato rotta verso est, sulle montagne. Poi più niente. Il segnale è scomparso, come se fosse stato interrotto.»

«A est che montagne ci sono?»

«C'è la catena di Silvaris... hanno controllato ma non c'è niente su quelle montagne. Probabilmente non stava andando là.»

Annuii pensierosa. Allora dove si stava dirigendo?

«Secondo me, per risolvere il mistero della sua scomparsa, dobbiamo analizzare quelle ultime ore e scoprire la vera identità di L.S.»

In un modo o nell'altro sentivo che lui era un pezzo importante del puzzle che stavamo provando a ricomporre.

«Senti...» ripresi «i suoi amici non ti avevano detto niente a proposito di Xavier quando erano in viaggio? Anche il minimo particolare potrebbe essere importante.»

«Mi ricordo che glielo domandai più volte, ma loro risposero sempre che si comportava allo stesso modo, forse era un po' più agitato e pensieroso. Ma per il resto era tutto okay. Loro non sapevano nemmeno niente del guasto al motore. Oh, e poi mi rivelarono che era un po' triste perché non ero con loro. Infatti, partì in fretta e furia per tornare da me, prendendo lo stesso aereo che poi è precipitato» respirò a fondo e poi continuò: «Ma alla luce di queste scoperte, non so più se la sua tristezza era causata dalla mia mancanza. Non voleva tornare da me, ma andare a trovare L.S. La mia influenza deve avergli dato l'alibi perfetto. Sinceramente non so più chi fosse davvero mio fratello. È diventato un estraneo per me.»

Si girò alla finestra e guardò fuori amareggiato e con le lacrime agli occhi. Doveva essere stato un duro colpo scoprire che la persona a cui teneva di più non era stata sincera. Aveva passato anni a sentirsi in colpa quando invece Xavier non era morto perché stava tornando a casa, ma perché doveva incontrare L.S.

Gli presi la mano. «Mi dispiace per quello che hai dovuto sopportare, ma sono sicura che Xavier ti voleva tantissimo bene e che gli mancavi davvero. E poi dovresti essere contento che alla fine non abbia preso l'aereo danneggiato per tornare da te. Così puoi finalmente toglierti dalle spalle quella stupida colpa che continui a trasportare da anni.»

Mi zittii all'istante. Mi maledissi per essere stata così insensibile e stupida.

Contro ogni mia previsione, mi sorrise e annuì leggermente. «Hai ragione, mia principessa. Xavier mi ha nascosto molte cose, ma, nonostante ciò, sono sicuro che avesse i suoi buoni motivi. Dobbiamo continuare ad indagare.»

Espirai sollevata.

«Allora... i suoi amici avevano detto che in quei giorni era agitato e pensieroso e questo può essere spiegato grazie alle nostre ultime scoperte. Dopo quanto è scomparso il segnale?»

Ci rifletté su. «Circa un'ora.»

«Quindi non avrebbe avuto il tempo di andare a visitare L.S. Dobbiamo scoprire che cosa è esattamente successo in quell'ora.»

«Hai qualche idea?»

Scossi la testa. «È meglio se adesso andiamo. Sono sicura che scopriremo qualcosa quando saremo ad Eveamon.»

Almeno era quello che speravo.

«Direi di sì. Siamo già molto in ritardo con la nostra tabella di marcia.»

...

Salimmo sulla macchina lussuosa del principe. Era così bella che rimasi a bocca aperta, anche se poi mi ricomposi subito. «Non avevi detto che era meglio viaggiare senza dare nell'occhio?»

«Infatti è quello che ho fatto.»

«E questa cos'è?»

«È la mia macchina, mia principessa. Non capisco cosa intendi» accese il motore.

«Intendo dire che questa è un'auto lussuosa e anche molto a occhio e croce. Costerà 500 mila monete d'oro!»

«Non penso, invece. Questo è un ultimo modello... il suo costo si aggira intorno al milione di monete d'oro.»

Per poco non soffocai con la mia stessa saliva. «Cosa?! Un milione di monete d'oro?! Ed è quella meno costosa?»

«Certo. Questa macchina è stata un regalo.»

«Grandioso, allora» e poi fra me e me: «Neanche fra un miliardo di vite mi potrei permettere un'auto così».

«Ti basta chiedere, mia principessa. Se ti piace questa macchina, posso fartela avere in un battibaleno.»

«Davvero me la regaleresti?»

«Farei di tutto per te. Questo non è niente.»

Mi girai per non fargli vedere che arrossivo. «Questo non toglie il fatto che dovremmo passare inosservati» aggiunsi per cambiare argomento.

«Non preoccuparti, mia principessa. Farò in modo che sia così.»

Detto questo accelerò così tanto che dovetti ingoiarmi la rispostaccia che mi stava uscendo dalla bocca.

Il viaggio per Eveamon era lungo da fare tutto in macchina e dopo tre ore, non riuscivo più a stare seduta. Così, per evitare di avere un esaurimento nervoso, optai per una conversazione con il principe.

«Thed» dissi.

«Dimmi» era concentrato sulla strada mentre armeggiava con la radio.

«Perché non vuoi che torni nella mia stanza ristrutturata?»

La mano gli si congelò sui tasti.

So che era una domanda un po' troppo improvvisa, ma davvero non riuscivo a togliermela dalla testa e poi quale momento migliore di questo per farla?

«Perché me lo chiedi così di getto?» rispose calmo.

«Ogni volta che te l'ho domandato, hai cambiato discorso. Ho pensato che questo fosse il momento giusto.»

«Mentre stiamo andando ad una prigione?»

«Mentre siamo noi due da soli.»

Strinse le mani sul volante con gli occhi fissi sulla strada. Pensai che anche stavolta avrebbe sviato e cambiato argomento ma, invece, sospirò e si rilassò. «So che può sembrare una cosa ridicola e anche adesso che lo sto per dire mi sento un vero idiota. Non voglio che tu ritorni nella tua stanza perché so che sentirei terribilmente la tua mancanza. In tutti questi mesi mi sono così abituato ad averti sempre vicino a me che mi sono dimenticato che prima o poi saresti dovuta tornare nei tuoi alloggi» riprese fiato. «Bene, ora che ho vuotato il sacco, puoi anche metterti a ridere, beffeggiandomi per le sciocchezze che ho appena detto.»

Non risi. «E perché mai dovrei farlo?»

Ero quasi infastidita dal fatto che pensasse che lo avrei preso in giro per una cosa così.

«Non hai detto affatto delle sciocchezze e ammetto che è strano il pensiero di dover andare nella mia camera invece che nella tua. Ma è anche vero che se non ci torno, la regina o qualcun altro potrebbe insospettirsi e farsi due domande.»

«Hai ragione, mia principessa. A questo non avevo pensato. Vorrà dire che non appena torneremo, ti aiuterò a ritrasferirti. Naturalmente questo non vuol dire che la mia camera non sarà più aperta per te. Ogni volta che vorrai potrai venire a trovarmi, soprattutto di notte.»

Arrossii. «Questo vale anche per te.»

Fece un sorrisetto. «Ti prenderò in parola. Da adesso in poi, non potrai più rimangiartela.»

Avevo il presentimento che stesse dicendo sul serio e che me lo sarei ritrovato in camera più volte di quelle che mi sarei aspettata. Che cosa avevo fatto?

Dopo dieci ore di viaggio, dove ci eravamo fermati pochissimo a riposarci, arrivammo finalmente dentro Eveamon. Ai confini c'era un posto di blocco, con soldati non proprio amichevoli. «Perché siete qui?»

Il principe abbassò un finestrino e fece vedere lo stemma della casa reale di Solaris. «Io e la mia guardia del corpo siamo in visita.»

Si inchinarono così velocemente che per poco non andarono a sbattere contro la macchina. «Ci dispiace, Vostra Altezza. Non ci erano arrivate comunicazioni in merito ad una vostra visita.»

«Non preoccupatevi, non sono qui in via ufficiale. Voglio solo godermi le meravigliose spiagge di Eveamon. In questo periodo sono un vero spettacolo, non trovate?»

«Oh sì, Altezza. Sono davvero bellissime.»

Ci lasciarono passare.

«Pensi di usare questo stratagemma anche nelle prigioni?»

«Ci proverò, ma non credo che questo basti. Il prigioniero ormai non è più di Solaris e quindi non ho molta voce in capitolo. Qualcosa mi verrà in mente.»

Lo speravo molto, altrimenti tutta questa fatica non sarebbe servita a niente.

«Prima di andare, ci dovremmo fermare in un hotel per sistemarci, rinfrescarci e riposarci.»

«Non perderemo troppo tempo?»

«Perché? Vuoi andare a parlare col prigioniero mezza addormentata? Non sarebbe uno spreco?»

Come a dargli conferma, feci un grande sbadiglio. Ero distrutta. Forse era davvero il caso di riposarci.

«Ma non abbiamo prenotato da nessuna parte.»

«Non preoccuparti di questo. Ci ho pensato io. Tu devi solo rilassarti.»

E come potevo con quello che dovevamo fare?

Malgrado ciò, rimasi del tutto incantata davanti alla bellezza mozzafiato di Eveamon. Sembrava un gioiello che luccicava! I prati erano lunghe distese verdi incontaminate, le abitazioni erano incorniciate da alberi e siepi di varie dimensioni, le persone camminavano indaffarate, ma si fermavano anche a guardare le numerose fontane elaborate che abbellivano le strade.

Per andare all'hotel passammo da una stradina dalla quale si vedeva il mare illuminato dal sole caldo della primavera.

Era uno spettacolo meraviglioso e sperai davvero che prima di ripartire saremmo potuti andare sulla spiaggia.

«Ti piace, eh?»

«È davvero bellissima.»

«Lo so. Gran parte dei parchi di Eveamon sono stati dichiarati tesori nazionali e nessuno può anche solo fare del male ad un fiore.»

«Quindi tutti questi prati sono incontaminati?»

«Esatto. La gente che abita qui si impegna a preservarli. Ma lo spettacolo davvero meraviglioso è l'oceano. Ci vivono centinaia di specie marine e le sue acque sono così pure che ci si può quasi specchiare. "Sembra di vedere il paradiso" è stato detto in una rivista di qualche settimana fa. E infatti è proprio così. Non ci sei mai venuta, mia principessa?»

Scossi la testa amareggiata. «No. Ho sempre visto poco il mondo perché da quando avevo sei anni fino ai sedici sono sempre stata dentro l'accademia di arti marziali ad affinare le tecniche di combattimento. Ci lasciavano uscire solo per brevi periodi, una o due settimane al massimo, ma non avevamo mai abbastanza soldi per andare ai confini di Solaris, figuriamoci qui ad Eveamon! In realtà, mi domandavo spesso come avesse fatto mio padre a pagare la retta dell'accademia dato che è salatissima, ma alla luce di quello che ho scoperto, credo che l'abbia pagata con i risparmi del suo stipendio» feci una pausa. «Quindi no, non sono mai venuta sulle spiagge di Eveamon.»

«Allora dovremo assolutamente rimediare, mia principessa. In un modo o nell'altro andremo a vedere l'oceano.»

Sorrisi con il cuore che mi scoppiava di gioia.

La notte la passammo in un hotel veramente lussuoso e bellissimo: tutto era rivestito d'oro e su ogni superficie c'era un tessuto pregiato. Ne rimasi incantata ma anche strabiliata dalla grandezza della mia stanza che superava di almeno due volte quella al castello (e quella era davvero grande e bella).

Io e il principe avevamo deciso di prendere due camere diverse per non dare nell'occhio, anche se nel bel mezzo della notte non potei fare a meno di sentire un vuoto al centro del petto così profondo da lasciarmi senza fiato.

Nonostante detestassi ammetterlo, mi sentivo sola in quella grande stanza senza la presenza del principe.

"Sei una debole" pensai.

Mi tirai la coperta fin sopra la testa e costrinsi gli occhi a chiudersi.

Dopo alcuni tentativi, la stanchezza prese il sopravvento e mi abbandonai al suo dolce abbraccio.

...

Correvo di notte per una strada lunga che non finiva mai.

Non vedevo niente.

Il sudore mi imperlava la fronte e il cuore mi schizzava fuori dal petto ad ogni respiro che prendevo.

I polmoni erano in fiamme.

Mi faceva male dappertutto.

Eppure, sentivo la testa leggera come se avessi bevuto.

Volevo fermarmi, ma la mente mi intimava di continuare perché il tempo stava finendo.

Forse era già finito.

Ignorai il corpo che mi supplicava di fermarlo e finalmente vidi in lontananza la fine di quella strada.

Presa da una strana euforia, accelerai il passo.

Davanti a me c'era un muro. "Maledizione!" imprecai dentro di me.

Come avrei fatto adesso?

«Ali... Ali... aiutami, ti prego.»

Da dove proveniva quella voce?

Guardai per terra e vidi il corpo in fin di vita di mio padre. Mi buttai su di lui.

«Papà, papà! Svegliati! Che è successo?» urlai con le lacrime che mi bagnavano il viso.

Potevo sentire un liquido vischioso che mi danzava sulle mani. Lo avevo sentito troppe volte per non accorgermi che quello fosse sangue.

Il suo sangue.

Il sangue di mio padre.

Le mani mi tremavano mentre cercavo di smuoverlo. Mi costrinsi a tenerle ferme.

«Svegliati, svegliati.»

«H-Ho t-tanto freddo.»

«Dove ti fa male? Dimmelo, forza.»

Cercai di fermargli l'emorragia, ma non trovavo la ferita. Perché non c'era?

Era tutto sbagliato.

Prima che potesse rispondere, chiuse gli occhi e scomparve.

Rimasi a mani vuote.

Lanciai un urlo in preda al panico.

"Dov'è? Dov'è?" mi ripetevo senza sosta, tastando il pavimento.

Una luce mi illuminò.

Una faccia senza volto mi sovrastava.

Ci misi qualche secondo a mettere a fuoco l'immagine. Il cuore mancò un battito e divenni rigida come se fossi morta.

L'uomo senza volto teneva un coltello nella mano e lo puntava direttamente alla gola di Theodore.

«Lascialo» gli intimai, alzandomi.

«Mia principessa... scappa!»

Non lo feci.

«Lascialo» ripetei.

Feci alcuni passi in avanti con il panico che aumentava sempre di più.

L'assalitore gli premette di più il coltello fino a fargli uscire un rivolo di sangue.

«No! Lascialo andare! Prendi me al suo posto. Uccidi me, ma lascia stare lui.»

«È troppo tardi, Alisa Allen» la sua voce era come una melodia gelida che ti si infiltrava nelle viscere per ucciderti lentamente e dolorosamente.

«Come sai il mio nome?»

Non ragionavo più. Nella testa avevo solo la stessa frase che si ripeteva come un disco rotto: "Troppo tardi". "Troppo tardi". "Troppo tardi".

Non rispose.

Feci un passo in avanti e così lui provocò un taglio netto sulla gola del principe. Il sangue uscì come un fiume in piena dalla sua gola, schizzandomi su ogni parte del corpo.

Mi tappai le orecchie.

Troppo tardi. Troppo tardi. Troppo tardi.

Provavo solo orrore.

Urlai.

...

Aprii gli occhi di scatto talmente sudata che sembrava che avessi fatto una maratona. Non mi accorsi di star davvero gridando fino a quando due grandi braccia non mi circondarono, stringendomi forte.

Provai a divincolarmi.

«Calmati, Ali. Sono io. Va tutto bene, sei al sicuro.»

A poco a poco ritornai in me e smisi di urlare.

Chiusi gli occhi ancora scossa dai brividi e dalla terribile paura che avevo provato.

«Sei qui. Sei davvero tu» gli tastai la testa, le mani, le braccia.

«Certo che sono qui. Dove altro potrei andare? Stai tranquilla, hai avuto solo un incubo.»

«E-Era così reale. Vedevo tutto in maniera lucidissima. Tu... tu eri...»

Non sapevo neanche io cosa rispondere.

«Va tutto bene. Rilassati ora. Non vorrai mica svegliare tutto l'hotel, giusto?»

Era vero. Con le urla forse avevo creato dei problemi.

«Dici che mi hanno sentita?»

Iniziò ad accarezzarmi i capelli. «Spero di no, ma non ne sono sicuro. Ho sentito che ti lamentavi e che chiedevi aiuto così sono corso da te. Ti ho trovata profondamente addormentata. Ho provato a svegliarti, ma non ne volevi sapere. Poi hai lanciato quell'urlo.»

Si fece serio. «Che cosa è successo?»

«Ho solo sognato mio padre che stava per morire. Non è la prima volta che succede. Ho questi tipi di incubi da quando è morto. Ormai ci sono abituata.»

«E non hai pensato di farti aiutare da qualcuno?»

«Ci ho provato, ma non è mai cambiato niente. Solo che ora era diverso...»

«In che senso?»

Ripensai al sogno ancora vivido nella mia mente e repressi un brivido di terrore. «Questa volta c'eri anche tu. Ti stavano puntando un coltello alla gola.»

«Chi?» non smise di accarezzarmi, anche se adesso era totalmente concentrato sul mio racconto.

«Non lo so. Non aveva un volto. Ho provato a supplicarlo, ma mi ha detto che era troppo tardi. Poi ha mosso il coltello e...» le parole mi si tapparono in gola e non vollero più uscire.

«Non preoccuparti. È tutto finito adesso. Era solo un sogno. Sono qui insieme a te.»

«Era così vivido che sembrava la realtà.»

«Ma pur sempre un sogno. Rilassati adesso» parlava in maniera calma e rilassante.

Mi avvolse tra le sue braccia e ci sdraiammo sul letto. Mi misi comoda sul suo braccio, mentre lui mi accarezzava delicatamente la spalla. Mi sentivo protetta e al sicuro nelle sue braccia e per la prima volta in vita mia potei abbandonarmi al pensiero che, nonostante tutto, ci sarebbe stata sempre una persona a risollevarmi e a guardarmi le spalle. C'era qualcuno con cui condividere il peso che portavo sulla schiena.

"Non devo fare tutto da sola" pensai. Questo pensiero mi fece sorridere.

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