CAPITOLO 29
Gli sfoderai il sorriso più sincero che potevo fare.
Theodore rimase per alcuni istanti imbambolato a fissare la scena e alla fine, schiarendosi la voce, sussurrò: «Che cosa è successo qui?»
«Ho avuto visite durante la mia punizione.»
«Questo l'ho visto. Chi sono questi due?»
«Lei si chiama Klara, mentre lui Jared. Ho scoperto che sono due ribelli.»
Sgranò gli occhi. «Ribelli?! Dentro il palazzo?!»
«Sì, ma non vi preoccupate. Li ho conciati per le feste. Per un po' rimarranno riversi sul pavimento, ma vi assicuro che sono vivi.»
«Perché sono qui?»
«Da quello che ho capito volevano prendere una cassa di polvere da sparo. Però non so per quale motivo.»
«Impossibile. La polvere da sparo si trova nel complesso di Skyshade. È una zona altamente sorvegliata, è impossibile entrare senza autorizzazione.»
Andai alla cassa e rovesciai il contenuto sul pavimento. Dentro c'era davvero una poverina nera.
«Eppure questa cassa dice il contrario.»
«Non è possibile! Ho visto con i miei occhi quando veniva portata via!» gridò allarmato e su tutte le furie.
«Non preoccupatevi. Questi due traditori potranno benissimo dirci tutto quello che vogliamo.»
Jared, a sentire quelle parole, provò a strisciare verso il principe e gli prese un lembo dei pantaloni. «Vi prego, Altezza! Risparmiateci!» lo supplicò.
Lo allontanò con un calcio sibilando: «Non siete nella condizione di negoziare. Prima dovete dirci tutto quello che sapete e poi valuterò l'opzione di rinchiudervi in prigione senza arrivare alla decapitazione.»
Fece ripetutamente degli inchini. «Siete misericordioso, Altezza. Vi dirò tutto. Tutto quello che volete sapere.»
«Ipocrita. Voltagabbana» sentii sibilare Klara. «L'ho sempre saputo che non c'era da fidarsi di te. Pezzente! Vai sempre da chi ti offre il bottino migliore, voltando le spalle ai tuoi compagni! Ma io non sono come te. Non racconterò niente. Preferirei morire piuttosto che tradire il nostro capo e i nostri compagni!»
Detto questo, senza indugi, raccattò un vetro che era finito a terra a causa dello scontro e, prima che potessi impedirglielo, si tagliò la gola.
Mi catapultai su di lei cercando di coprirle la ferita, ma il sangue era troppo e sgorgava rapidamente. Klara spirò tra le mie braccia.
«È morta. Non c'è più niente da fare per lei. Togliti da lì.»
Mi scostai dal corpo, rendendomi conto solo in quel momento che ero tutta ricoperta di sangue. Anche le unghie e il viso lo erano.
Il pavimento era zuppo di sangue e mi chiesi come avrebbero fatto a rimuoverlo tutto e a far ritornare lo splendore di prima.
Mi costrinsi a rivolgermi al traditore rimasto. «La tua compagna è morta. Vuoi fare la sua stessa fine?»
Scosse la testa più volte, scosso dai brividi. «N-No. Vi dirò tutto.»
«Bene» iniziò Thed. «Partiamo dalle presentazioni. Chi sei tu?»
«S-Sono Jared Campbell. Lavoro come lavapiatti qui a palazzo da oltre un ventennio.»
«Come ti sei ritrovato a lavorare per i ribelli?»
«I-Io... Mi dispiace un sacco, Altezza! Perdonatemi... Sono vecchio e alcune cose mi sono sfuggite di mano.»
«Non hai ancora risposto alla domanda» dissi spazientita.
«M-Mi hanno contattato loro... Ero infelice qui a palazzo, della mia vita sotto il comando della regina Alexa e del re Alfred. In qualche modo loro lo sapevano e mi proposero di unirmi alla causa per spodestare tutta la famiglia reale, compreso voi, Altezza... In un momento di debolezza accettai e loro mi dissero che dovevo esserne più che sicuro perché dopo aver accettato non si poteva tornare indietro. Mi hanno fatto firmare con il mio stesso sangue l'accordo!»
Repressi il disgusto e chiesi invece: «Hai mai visto in volto queste persone?»
«Quando firmai ci incontrammo in un posto... in una capanna. Loro però erano coperti da una maschera bianca con un modificatore della voce. Non riconobbi nessuno.»
Ed ecco di nuovo la maschera... Che fossero gli stessi della signora Johnson?
«Era la loro base quella? Ti ricordi niente?» disse il principe.
«Non penso. Era vuota e per primi se ne andarono loro, lasciandomi lì.»
«Quella donna... Klara era con te?»
«No. Non la conoscevo nemmeno prima che quelle persone me la presentassero come mia compagna. Dissero che d'ora in avanti avremmo dovuto lavorare insieme.»
Mentre parlava non potei evitare di vedere che continuava a massaggiarsi le costole. Rispondeva a fatica e doveva fare sempre pause molto lunghe.
«Che tipo di lavoro vi hanno dato?»
«Dovevamo seguire le indicazioni del capo e fare esattamente come ci diceva.»
«Chi è questo capo?» domandò Thed.
«Non ce lo dissero. Parlavamo sempre al telefono e molto di rado. Di solito ci spedivano dei bigliettini con su scritto la nostra missione. Poi li bruciavamo...»
Fu interrotto dalla tosse.
Si riprese dopo qualche minuto. «S-Scusatemi, Vostra Altezza...»
«Che dovevate fare per questo capo?» disse senza espressione.
«Spiare la famiglia reale, dire i vostri spostamenti, le vostre abitudini. Credevo che fossero innocui e che non avrebbero oltrepassato i limiti, ma poi...»
«Poi?» insistei.
«Poi ci hanno chiesto di procurarci alcune taniche di benzina...»
Il principe impallidì. Strinse la mascella e gli occhi si infuocarono. Prima che potessi rendermi conto di quello che stava per fare, lui era già su Jared. Lo prese per la collottola e lo tirò su di peso.
Erano faccia a faccia.
«Siete stati voi a dare fuoco al castello?! Avete causato voi la morte di decine di persone?!»
«Calmatevi, Altezza» mi avvicinai cercando di farlo allontanare. Il suo sguardo era odio puro. Non lo avevo mai visto così.
«Rispondi!»
Campbell riprese a tremare e a singhiozzare. «Ce lo hanno imposto, Altezza... M-Mi dispiace. Per questo merito la morte, ma vi assicuro che non siamo stati noi ad appiccare l'incendio. Dovevamo solo prendere alcune taniche di benzina e portarle nella struttura dove adesso ospita il personale di servizio durante la ristrutturazione. Il nostro compito era quello di metterle lì e basta. Non sapevo che servissero per un gesto così meschino! Non avrei mai accettato altrimenti!»
Qualcosa mi diceva che lo avrebbe fatto di nuovo. Quest'uomo era il tipo che in un primo momento si schierava dalla parte più conveniente per poi tradirla subito dopo.
Il principe lo lasciò andare lentamente, non perdendolo di vista, come se avesse paura che gli potesse sfuggire da un'istante all'altro.
«E dopo che dovevate fare?»
«Solo questo. Ve lo giuro. Poi il capo ci scrisse che il piano era stato rimandato a seguito di complicanze e che saremmo stati pagati dopo il colpo.»
Un flashback mi colpì come una bastonata: io nel corridoio che assistevo ad una conversazione tra Jared e Klara. Avevano parlato di un piano rimandato. Chi lo avrebbe mai detto che stavano parlano dell'incendio che avrebbe sconvolto tutti qualche settimana dopo?
Dovevo indagare subito! La mia negligenza aveva portato alla morte tantissime persone.
Non sarebbe mai più ricapitato. Non avrei mai più fatto un errore del genere.
«Sei coinvolto anche all'attentato durante il torneo dei bodyguard?» aggiunse Thed con voce stanca. Tutta questa situazione lo stava esaurendo fisicamente e mentalmente.
«No. L'unico grande colpo a cui ho partecipato è stato l'incendio.»
Notai, anche se impercettibile, un velo di orgoglio in quello che diceva.
Il desiderio di ucciderlo mi pervase fin dentro le ossa.
«Capisco... Per il momento proverò a crederti. I ribelli non ti hanno mai messo al corrente di qualche loro piano futuro?»
Ci pensò su un attimo. «N-No... il mio rango all'interno del gruppo era abbastanza basso. Non ero un pezzo grosso a cui gli altri dovevano sottostare. Semmai il contrario...»
«Hai mai sentito parlare dello Sterminatore?»
Era una domanda un po' disperata, ma dovevo pur provarci.
Entrambi mi guardarono incuriositi, specialmente Theodore. A quel punto della faccenda, non potevo permettermi di tenerlo ancora all'oscuro.
«Come sapete dello Sterminatore? Solamente i ribelli sanno di lui, ma nessuno sa della sua vera identità. Forse i compagni più stretti e importanti. Non di certo io.»
Il principe aveva uno sguardo indecifrabile. Mi squadrava dall'alto al basso senza dire niente.
«L'ho sentito dire durante le mie indagini.»
«Ma davvero? Di quali indagini parli, dato che non ho acconsentito a niente del genere?» disse incrociando le braccia.
Per un momento mi sentii piccolissima sotto il suo sguardo indagatore. Le guance mi avvamparono dalla vergogna. Desiderai di sparire sottoterra.
Ma nonostante questo, alzai la testa, guardandolo dritto negli occhi. Lo sfidai. Alla fine, fu il primo ad abbassare lo sguardo.
«Comunque sia... non hai niente da aggiungere?»
«No, Altezza... non so altro, a parte una cosa...»
«Che aspetti? Dilla.»
«Sì... be' una volta ho sentito quei tizi con la maschera parlare di una guerra imminente tra i ribelli e la corona.»
Mi si drizzarono tutti i capelli. Davvero avevo sentito bene?
«Una guerra? Che tipo di guerra?»
«Un grande colpo che rovescerà la monarchia.»
«E quando dovrebbe essere messo a punto?»
Mi stupiva che rimanesse impassibile davanti quella notizia.
«Non lo so... Non so altro, davvero.»
«D'accordo. Adesso vattene.»
«Cosa?!» gridai sconvolta.
«Gli ho detto di andarsene perché abbiamo da discutere.»
«Ma lo lasciate andare così?»
«Ovviamente. Ha rivelato tutto e ho deciso di premiarlo con l'assoluzione. Hai da ridire, Ethan?»
«No, Altezza...»
«Grazie, principe! Vi sono enormemente grato per la vostra magnanimità. Non mi scorderò mai questo gesto. Mai finché vivrò.»
«Basta adesso. Vattene prima che ci ripensi.»
Si alzò traballante, fece molti inchini uno dietro l'altro e zoppicando se ne andò.
«Davvero volete lasciarlo andare via così?» ero stupita e arrabbiata per quello che il principe aveva fatto.
Fece finta di non avermi sentito. «Entra dentro, Thomas.»
Thomas entrò ignorando completamente il cadavere di Klara. «Mi avete chiamato, Vostra Altezza?»
«Hai visto un uomo che usciva frettolosamente dall'armeria?»
«Sì.»
«Bene. Quell'uomo si chiama Jared Campbell ed è un ribelle che ha cospirato contro la corona. Anche questa donna era una ribelle, ma si è uccisa per non rivelare informazioni sui traditori. Devi far arrestare quell'uomo e farlo confessare. Il giudice deciderà la pena migliore. Hai capito?»
«Sì, Vostra Altezza. Provvedo subito.»
Se ne andò e dopo neanche dieci minuti sentimmo delle urla.
Thomas rientrò alcuni secondi dopo. «Il ribelle è stato arrestato dalle guardie reali. Ha provato a fare resistenza, ma le sue condizioni fisiche glielo hanno impedito.»
«Molto bene. Adesso puoi andare. Di' a mia madre che non ci sarò per cena a causa di un imprevisto che devo risolvere immediatamente.»
Presupposi che l'imprevisto fossi io.
«Certamente.»
Fece per voltarsi, ma Thed lo fermò nuovamente: «Oh, e un'ultima cosa... fai ripulire questo disastro. L'armeria deve ritornare idilliaca. Non ci voglio trovare neanche una macchia.»
Disse tutto questo senza far trasparire neanche un'emozione.
Non avevo mai visto questo lato del principe. Era così freddo e calcolatore.
«Lo riferirò, Vostra Altezza.»
Se ne andò senza neanche farmi un cenno di saluto. Sbuffai indignata.
«Andiamo, Ethan. Abbiamo tante cose di cui parlare.»
...
«Allora? Che cosa hai da dire sulle indagini che hai detto di aver fatto a mia insaputa, quando sapevi benissimo che ero contrario da quella volta sull'aereo?»
Superficialmente poteva sembrare freddo e ostile, ma sotto sotto sapevo che era triste e deluso perché non lo avevo messo al corrente di una cosa così importante.
D'altra parte, come avrei fatto? Thed mi aveva espressamente ordinato di non indagare, anche se non gli avevo mai promesso che gli avrei dato retta.
Andai a sedere sul mio letto in camera del principe. Feci un bel respiro profondo e mi preparai a raccontargli ogni cosa.
«Mi dispiace di non avervi messo al corrente delle mie nuove indagini segrete. A mia discolpa posso dire che sono stato costretto!»
«Da chi?»
«Da voi! Mi avevate ordinato di rimanerne fuori e così mi sono sentito costretto a tenervi nascosti i miei progressi.»
Sbuffò arrabbiato. Fremeva di collera. «Ti avevo intimato di non mettere il naso nelle indagini mie e di Thomas. Da quella volta sul viaggio di ritorno pensavo fosse chiaro che non dovevi continuare ad indagare.»
Si sedette su una sedia, mettendosi le mani sul viso.
«Non ve l'ho mai promesso, però...» borbottai.
Mi guardò storto. «Credevo che avresti avuto un briciolo di cervello e che non avresti corso inutili rischi!»
«Non ho corso rischi. Ve lo assicuro.»
Be'... qualche rischio c'era stato, ma non così grande dal doverlo mettere al corrente.
«E se ti fosse successo qualcosa? Come avrei fatto ad aiutarti?»
«Non ho bisogno del vostro aiuto. So badare a me stesso.»
«So benissimo che sai badare a te stesso!» gridò «ma qui non riguarda solo te, Ethan! Hai mai pensato a come mi sarei sentito se avessi saputo che qualcuno ti aveva pugnalato come l'ultima volta? O magari che eri in fin di vita in ospedale? Come pensi che avrei potuto reagire, sapendo che la persona più importante della mia vita si trova tra la vita e la morte su un letto di ospedale?!»
A quel fiume di parole, rimasi in silenzio. Aprii la bocca per replicare ma, non trovando le parole giuste, la richiusi.
Mi mordicchiavo un labbro ritornando sempre su quelle sette parole che mi avevano paralizzata: "La persona più importante della mia vita". Per Theodore ero davvero la persona più importante, fino al di sopra del fratello Xavier, ancora disperso e ormai quasi certamente morto.
Quelle semplici parole mi avevano gonfiato il cuore di felicità. Avrei tanto voluto gridarlo anch'io. Anche per me lui era più importante della mia stessa vita.
Poi, invece, rimasi in silenzio. Mi sentivo i suoi occhi addosso in attesa di una mia qualunque risposta. Volevo tanto abbracciarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene, ma il peso delle mie bugie mi calpestò duramente.
Per quanto cercassi di ignorarlo, non potevo dimenticare che tra noi si frapponevano più bugie di quanto avrei voluto.
Ero meschina perché avevo ingannato tutti mentendo sulla mia identità.
Ero egoista perché, invece di dire tutto per rimediare alle mie colpe, mi ostinavo a tenere in piedi la messinscena per paura di perderlo.
Mi odiavo terribilmente per questo.
E in più adesso gli avevo tenuto nascoste le mie indagini e i risvolti positivi che avevano avuto.
Dopo aver fatto tutte queste cose, ero sicura di non meritarmi affatto l'amore del Principe Ereditario.
Abbozzai un sorriso e andai vicino a lui. Mi accorsi che aveva gli occhi lucidi e mi premurai di asciugarglieli. «Non dovete essere triste. Sto bene, non mi è successo niente.»
«Per il momento. Ma non puoi sapere cosa ti riserverà il futuro.»
«Avete ragione. Ho sbagliato a non dirvi niente e ad investigare da solo. Tuttavia, non posso dirvi che me ne pento e che da adesso in poi non lo farò più perché sarebbe una bugia.»
«Lo so. Sei così testardo quando ti ci metti.»
«Mi impedirete di continuare ad investigare?»
«No. Vorrei farlo, ma so che non mi ascolteresti. Sarebbe tutto fiato sprecato proprio come quella volta sull'aereo... Puoi continuare questa tua indagine ad una sola condizione.»
Drizzai le orecchie. «E cioè?»
«Che da ora in poi nelle tue indagini includerai anche me. Lavoreremo insieme e questo sarà anche un modo per tenerti d'occhio e per proteggerti.»
Questo risvolto della situazione non era poi così male. Avevo sperato di poter lavorare con Theodore.
«Affare fatto!»
Gli porsi la mano e lui me la strinse. «Bene. Adesso che abbiamo un accordo raccontami tutto quello che hai scoperto.»
Passai gran parte della notte a narrargli tutte le mie scoperte. Di Sanchez, dello Sterminatore, della signora Johnson, del fatto che avevo visto Robinson a spacciare droga (tralasciai la faccenda di Alexandra, per il momento), dei miei sospetti sull'innocenza di Kendrick.
«Perciò credi che mio fratello sia innocente solo perché te lo ha detto lui?»
Si mise a ridere di gusto.
Dopo alcuni minuti, incominciai ad innervosirmi. «Non è solo questo. È più come una sensazione.»
«Una sensazione?» era perplesso.
«Sì... Non potete capirlo. Non c'eravate.»
«Se davvero è come dici, come lo spieghi la sua comparsa qui nella capitale alcune ore prima dell'incendio, quando aveva detto che sarebbe ritornato dalle montagne solamente il giorno dopo?»
Questo, in effetti, non lo potevo sapere.
«Magari è tornato prima e non ve lo ha detto per farvi una sorpresa?»
«Kendrick? Una sorpresa? Penso che in tutta la mia vita lui non mi abbia mai fatto una sorpresa, neanche per il mio compleanno.»
«Forse aveva delle questioni da risolvere e ha preferito non dire niente.»
«Forse con i ribelli...»
Sospirai frustrata. Come potevo provare davanti agli occhi del principe che suo fratello era innocente?
«Secondo me non c'entra nulla con la morte del principe Xavier.»
Al nome di suo fratello, Thed si irrigidì. «Non è un argomento da affrontare adesso. È meglio se dormiamo ora. Si è fatto tardi e domani dovrò anche andare a fare beneficenza.»
«Ritornate al villaggio che abbiamo visitato insieme?»
«Sì. Dopo gli altri posti, vado anche lì. Perché? Vuoi venire anche tu?» mi guardò con una scintilla negli occhi.
«E me lo chiedete anche? Certo che voglio venire! Sono la vostra guardia del corpo. È normale che vi accompagni.»
«Bene allora. Domattina puntuale.»
«Benissimo. Non farò tardi.»
Questa sarebbe stata l'opportunità per visitare la famiglia di Noah: il bambino che avevo aiutato a ritrovare i suoi genitori. Mi avevano invitata a visitare casa loro, ma fino ad allora non avevo mai trovato il tempo.
Si infilò sotto le coperte senza dire altro sulla questione di Xavier.
In quel momento, giurai a me stessa che non mi sarebbe importato niente della fatica che avrei dovuto impiegare. In un modo o nell'altro avrei riabilitato Kendrick agli occhi di Theodore, scoprendo le circostanze che avevano portato alla morte di Xavier.
«Che fai? Non vai a dormire? Preferisci stare qui vicino a me?»
Ritornai alla realtà. «No!»
Mi ricomposi e andai dritta nel mio letto. «Non potrei mai essere così audace da entrare di soppiatto dentro il letto di Vostra Altezza.»
«Neanche se è Sua Altezza in persona a chiedertelo?» aggiunse con un sorrisetto un po' troppo malizioso.
«Non sarebbe appropriato, Altezza.»
«Decido io cosa è appropriato oppure no.»
In un frangente di secondo temetti davvero che mi invitasse a dormire vicino a lui quella notte.
Ma, invece, si girò da un lato, sbadigliando: «Buonanotte, Ethan».
«Buonanotte, Altezza» dissi sollevata.
...
«Non verrà anche Thomas?» domandai a Theodore la mattina davanti all'ingresso. Stavamo partendo, ma di Thomas neanche l'ombra.
«Ha preso alcuni giorni di ferie perché doveva andare al matrimonio di sua sorella. Perché me lo chiedi? Hai paura di rimanere insieme a me?»
Si avvicinò pericolosamente.
«Niente affatto. Chiedevo solo perché di questi tempi è meglio se avete più protezione possibile» mi scostai.
«Ci sei già tu che mi proteggi e poi ci saranno almeno dieci guardie appostate nei dintorni. Certo, non quando saremo ad Hardwall.»
«Ancora vostra madre non lo sa che andate a visitare quel villaggio?»
«No... non ho avuto tempo. Dopo l'incidente di mio padre si è sempre chiusa o nel suo ufficio o nella sala del trono. Non la vedo quasi mai, ad eccezione dei pasti» disse tristemente.
«Non ci sono novità sul re?»
Scosse la testa. «Per ora no...»
«Non preoccupatevi. Sono sicuro che nel giro di poco si sistemerà tutto.»
Non lo dicevo solo per tranquillizzarlo. Ci credevo davvero.
«La macchina è pronta, Altezza. Non appena vorrete, possiamo partire» annunciò una guardia reale rivolta a Theodore.
«Bene. Allora andiamo subito prima che inizi a piovere.»
In effetti la giornata non sembrava delle migliori, nonostante fossimo già a marzo inoltrato.
Percorremmo le strade della capitale Firststar fino ad andare nella città più vicina: Moonwind.
«La prima fermata sarà l'ospedale pediatrico.»
Per quanto cercassi di trattenermi, non potei evitare una risatina. Non ce lo vedevo proprio il Principe Ereditario con un mucchio di bambini.
«Perché ridacchi?» domandò, scrutandomi attentamente.
«Niente, niente.»
L'interno dell'edificio era veramente grande e colorato. I muri erano zeppi di animali, arcobaleni e piante.
Fummo accolti calorosamente da un gruppo di bambini che ci guardavano con occhi e bocca spalancati. Il personale dell'ospedale fece un inchino al principe e una di loro, probabilmente la direttrice, disse a Thed: «È un piacere avervi qui, Vostra Altezza».
«L'onore è tutto mio» rispose con un enorme sorriso.
«Allora seguitemi...»
Ci affrettammo dietro alla direttrice e fui ben felice di vedere che Theodore, mentre passava, salutava con la mano ogni bambino che incontrava, regalando alcune caramelle che aveva in tasca.
Era veramente premuroso.
I bambini lo guardavano estasiati e ogni tanto lo fermavano, prendendogli un lembo del cappotto. Allora Thed si fermava ogni volta parlando con il bambino in questione, prendendolo in braccio per fargli fare una giravolta oppure, se troppo grande, gli dava una pacca su una spalla.
Arrivammo a destinazione parecchio in ritardo, ma non me ne importava granché.
Vedere il principe così felice in mezzo a tutti quei bambini era la visione più bella del mondo.
Passai due ore a sentire Theodore leggere delle storie sul tappeto di una grande sala giochi. Tutti i bambini e qualche genitore erano riuniti in cerchio ad ascoltarlo.
Io ero a fare la guardia davanti alla porta, ma questo non mi impedii di vedere la quantità di amore che Thed donava a ciascuno di quei bambini. Il modo in cui raccontava le storie, poi. Era qualcosa di affascinante. Coinvolgeva talmente tanto che più di una volta persi di vista quello che stavo facendo.
Non avevo mai visto un Principe Ereditario trattare i suoi piccoli sudditi come dei figli. Mi lasciò meravigliosamente di stucco.
Dopo le storie, andammo nelle stanze dei bambini troppo malati per scendere dal letto. Mi spezzava il cuore vederli in quella maniera. Non era giusto che esserini così piccoli non avessero neanche la forza di alzare un braccio. La vita a volte era davvero ingiusta.
Anche per loro il principe gli riservava tutto l'amore che poteva: si sedeva sul letto e gli leggeva qualcosa, una storia solo per loro. Oppure ci giocava.
In ogni caso, alla fine ogni bambino gli donava un sorriso che mi scaldava il cuore.
«Siete stato davvero bravo. Non mi aspettavo che, insomma...» non riuscivo a trovare le parole giuste.
«Che fossi così dolce e amorevole?»
«Esatto.»
«Be' pensavi che sarei dovuto andare lì con in faccia la pietà?»
«Ovviamente no.»
In tutte quelle ore non lo avevo mai visto provare pietà o commiserazione. Neanche per quelli che erano molto malati.
«Credo che a tutti quei bambini non faccia piacere che la gente li guardi con la pietà negli occhi e, dato che sicuramente sarà già successo, ho pensato fosse meglio trattarli normalmente, invece che malati terminali a cui rimangono pochi giorni di vita.»
«Avete fatto più di questo. Ho visto quanto amore gli avete donato. Sembravano i vostri figli!»
«Ho fatto il meglio che ho potuto. Ho sempre detestato apparire come il principe viziato a cui non si può sfiorare un capello. Così cerco di mischiarmi al mio popolo per capirne i bisogni.»
«Siete davvero ammirevole.»
Mi riservò un sorriso a cui uscirono due fossette. Se non ci fossero state tutte quelle persone, probabilmente avrei fatto ben altro che sorridergli a mia volta.
Visitammo altri due ospedali non pediatrici e un centro di assistenza per i poveri.
In tutti questi luoghi, Theodore si comportò come uno del popolo, senza sentirsi superiore in alcun modo. Dava assistenza a chi glielo chiedeva e non si scandalizzava se c'era da sporcarsi le mani.
A volte le guardie gli intimavano di rimanere ad una certa distanza da quelle persone tutte sporche, ma il principe ci rideva su dicendo: «Non credo che sia una loro scelta essere sporche. Il nostro compito è permettergli di avere abbastanza soldi per farsi una bella doccia, o sbaglio?»
«Ovviamente no, Altezza. Ma se vi attaccano qualche malattia?»
«Non preoccuparti. Ho le difese immunitarie molto forti.»
E con questo chiudeva il discorso.
Poi, prima di andare via dal centro di assistenza, donava a tutti alcune monete d'oro. Le persone si inginocchiavano a lui, ringraziandolo dal profondo del cuore dicendo che lui era la loro salvezza.
Be' Theodore era molto amato dal popolo, su questo non c'era niente da dire. E allora perché c'erano quei ribelli? Perché volevano uccidere una persona che si faceva in quattro per aiutare gli altri? Che cosa c'era sotto?
Uscimmo dal centro che il cielo si era fatto scuro e non per via del buio, ma per l'imminente pioggia. Non era mai piovuto per tutto il giorno. Che iniziasse proprio quando dovevamo andare ad Hardwall?
Erano le sei di sera e alle otto saremmo dovuti rientrare per la cena. Ce l'avremmo fatta a visitare il villaggio?
«Forse sarebbe meglio rimandare l'ultima visita in programma, Altezza.»
Lui mi fece segno di stare zitta, mi prese per un gomito e mi allontanò dalle guardie.
«Che cosa fate?» mi liberai dalla sua stretta.
«Non voglio che le guardie ti sentano. Potrebbero sempre andare a dire a mia madre che visito di nascosto quel villaggio.»
«Allora come pensate di liberarvene?»
«Lascia fare a me.»
Sia avvicinò al gruppo. «Signori... ormai si è fatto tardi. È meglio se ritornate al castello.»
«Voi non venite?» domandò una guardia.
«Mi intratterrò con Ethan il tempo necessario per una lunga passeggiata da queste parti.»
«Non mi sembra consono, Vostra Altezza. Sta per piovere e fra circa due ore dovete rientrare per la cena. Da qui manca un po' per arrivare al castello.»
«Non preoccuparti. Non mi farà male camminare un po' e poi il castello si trova a solo un'ora di distanza da qui. Ce la caveremo, vero Ethan?»
«Certamente, Vostra Altezza.»
«E se dovesse piovere?»
«Saremo al castello prima che inizi a piovere e in caso contrario abbiamo l'ombrello» ne tirò su uno per mostrarglielo.
La guardia sembrava indecisa. «Forse sarà il caso di lasciarvi due o tre guardie e una vettura delle tre che abbiamo usato oggi. Giusto per sicurezza.»
«Non sarà necessario. Ho con me il miglior combattente di tutta Solaris» mi dette una pacca sulla spalla.
«Non dubito che il signor Allen sia il migliore, ma la regina ha espressamente chiesto che non vi lasciassimo da solo per nessun motivo.»
«Mia madre si preoccupa troppo. Se a castello ve lo chiederà, ditele che sono stato io ad insistere. Me ne assumerò tutta la responsabilità.»
La guardia sembrava perplessa e si vedeva che non voleva cedere, ma alla fine non poté che acconsentire. «D'accordo, Altezza. Per ogni problema, potete sempre contattarci con il vostro cellulare.»
«Lo farò senz'altro.»
Aspettammo che se ne andassero tutti e poi finalmente potemmo cominciare a camminare verso Hardwall.
«Speriamo che non inizi a piovere...» borbottai.
«Vedrai che non comincerà. Dopotutto non ha piovuto per tutto il giorno.»
Sperai che avesse ragione.
Hardwall distava da lì almeno una mezz'ora e una volta arrivati erano più o meno le 18:30. Faceva veramente freddo e tirava un vento incredibile.
Non avevamo con noi niente che potessimo donare alla gente, ma comunque al nostro arrivo tutti salutarono affettuosamente Theodore.
Non c'era molta gente in giro e così la nostra missione stava andando a rotoli.
«Forse non è stata un'ottima idea venire qui a quest'ora tarda e con questo tempo.»
«Sciocchezze. Non so quando potrò ritornarci e poi non eri tu quello che voleva rivedere la famiglia di quel bambino?»
«Sì... ma adesso non so neanche se li troveremo. Non li ho nemmeno avvertiti.»
«Al massimo torneremo un'altra volta.»
Riprese a camminare con più vigore e a me toccò rincorrerlo, se non volevo perderlo di vista.
«Sai dove abitano?»
«No. Non me lo hanno mai detto.»
«Allora dovremmo chiederlo.»
Mi strinsi nelle spalle per creare un po' di calore, mentre Thed chiedeva a un passante: «Scusate, signore...»
«Oh... Altezza! Non vi avevo riconosciuto» si inchinò.
«Sapete per caso dove si trovi la casa di un bambino chiamato Noah?»
«No, mi dispiace. Non l'ho mai sentito.»
Per quanto in un villaggio tutti si conoscessero, questo era veramente troppo grande.
Era più facile trovare un ago in un pagliaio.
Cercammo ancora qualcuno che potesse darci l'indirizzo. L'aria si stava raffreddando sempre di più e le nuvole stavano diventando sempre più scure.
«Vostra Altezza... forse sarebbe meglio rientrare» dovetti quasi urlare per farmi sentire al di sopra del vento.
«Aspetta... sento che ci siamo.»
«Gentile signora... sapreste dirci se sapete l'indirizzo di una casa dove abita un bambino di nome Noah?»
«Chi siete voi per chiedere di mio figlio?»
Riconobbi la madre di Noah e così mi feci avanti. «Signora... forse non mi avete riconosciuto... sono il ragazzo che ha aiutato vostro figlio a ritrovarvi.»
Lei mi scrutò senza capire ma, alla fine, il volto le si illuminò esclamando: «Siete voi! Ethan, giusto?»
«Sì.»
«Che bello rivederti! Noah non fa che parlare di te! Non fa che domandarci quando tornerai» si avvolse un po' di più nel giacchetto ormai logoro e sciupato.
«Io e Su-»
«Theodore, signora.»
Lo guardai senza capire, ma lui mi fece l'occhiolino.
«Io e Theodore siamo venuti qui per incontrarvi. Ve lo avevo promesso che sarei tornato.»
«Oh, be' Noah sarà felicissimo. Vi prego venite... starete morendo di freddo qua fuori. Per fortuna casa nostra non si trova tanto lontana da qui. Appena qualche passo.»
Ci accodammo alla signora e in breve raggiungemmo casa sua. Da dentro provenivano alcune voci e le luci erano accese.
Entrammo dentro e subito fummo accolti da un tiepido calduccio che aiutò le mie ossa a rilassarsi. La casa non era molto grande, al massimo ci saranno state tre stanze.
«Scusate il disordine. Non ho avuto modo di pulire e non sapevo che avremmo avuto ospiti.»
«Non preoccupatevi. Va bene così.»
La casa non era molto in disordine, a parte uno o due vestiti appoggiati sulla sedia davanti all'ingresso. Era molto pulita ed era anche accogliente.
Notai una piccola mensola dove erano raccolti tre libri; procedendo avanti si trovava la cucina che fungeva anche da salotto, dove c'era un divano, un piano cottura e poche mensole. A destra intravidi due porte, una davanti l'altra. Presupposi che una fosse il bagno e l'altra la camera da letto.
Sul piano cottura c'era una pentola e il piccolo tavolo era già apparecchiato.
Non vedevo da nessuna parte Noah o suo padre.
Come se avesse potuto leggermi nella mente, la signora disse: «Noah, Tim! Sono tornata e vi ho portato due ospiti!»
All'improvviso da una delle due stanze sbucò fuori un uomo alto e robusto, vestito troppo leggero per la stagione e un bambino con i capelli scuri più alto di alcuni centimetri dall'ultima volta che lo avevo visto.
«Mamma! Sei tornata!» si fermò vicino a lei, guardandoci spaesato. Per poco non era sparito dietro la schiena della madre!
«Noah! Saluta i nostri due ospiti.»
«Buonasera, signori.»
Mi accovacciai vicino a lui con un sorriso. «Ciao, Noah. Ti ricordi di me?»
Magari si era scordato di me oppure non mi riconosceva. Dopotutto erano passati mesi.
I miei dubbi si sgretolarono una volta che il suo viso si illuminò e mi saltò addosso. «Ethan! Sei tu!»
«Esatto, piccoletto. Sono proprio io.»
Mi abbracciò forte e quando mi rialzai, lo presi in braccio.
«Benvenuti, signori» ci salutò il padre che intanto si era avvicinato alla pentola «accomodatevi e fate come se foste a casa vostra.»
Il suo sorriso era cordiale e le maniere gentili.
Ci sedemmo e misi giù Noah che si accomodò su una sedia vicino alla mia. Come se si fosse accorto in quel momento della presenza di Theodore, si rivolse a lui: «E tu chi sei? Perché sei con Ethan?»
«Noah!» lo rimproverò la madre «non rivolgerti al signore in questo modo!»
«Non preoccupatevi. Mi chiamo Theodore. Piacere di conoscerti, Noah.»
«Forte! Ho dato il tuo stesso nome al mio orsacchiotto di peluche! Ma siccome è troppo lungo lo abbrevio con Teddy.»
Soffocai una risata e il principe nascose l'imbarazzo. Al pensiero di Theodore come un orso, mi veniva da ridere un sacco. Se lo avessi fatto, ero sicura che mi avrebbe uccisa.
«Anche tu ti fai chiamare Teddy?»
A quel punto stavo scoppiando. Cercai di ricompormi non appena "Teddy" mi fulminò con lo sguardo.
«Preferisco non essere chiamato in quel modo. Thed andrà benissimo.»
«Peccato... assomigli davvero tanto al mio orso. Se vuoi te lo faccio vedere.»
«Basta ora!» si intromise il padre «non è educato rivolgersi al signore dicendo che assomiglia ad un animale.»
«Scusatelo. A volte non riesce a tenere a freno la lingua» aggiunse la madre controllando la pentola.
«Non importa... Non è il primo che mi chiama così.»
Per citarne una: lady Alexandra.
«Volete una tazza di tè?»
«Volentieri.»
Rimanemmo in silenzio mentre Noah mi diceva che aveva raccontato di me a tutti i suoi amici.
«Gli ho detto che sei il mio eroe!» disse con un'enfasi tale che mi commossi.
«Oh, non ho fatto niente di così eroico. Sono sicuro che altri si potrebbero definire eroi.»
«Ma gli altri non sono i miei eroi. Ho detto che sei accorso non appena mi hai visto in difficoltà e che sei rimasto con me fino a quando non ho visto i miei genitori che mi cercavano. Hai fatto proprio come nei film!»
Gli altri ridacchiavano. Mi sentivo un po' in imbarazzo, ma apprezzavo davvero tanto quel bambino.
«Lascialo respirare, Noah. Hanno fatto un sacco di strada per venire fino a qui. Lasciali riposare.»
«Ma non ho detto niente!»
I genitori si sedettero sulle uniche sedie rimaste davanti a noi e la signora ci passò il tè.
Non appena lo mandai giù, un caldo tepore mi invase lo stomaco, regalandomi una sensazione di assoluto piacere.
«È davvero buono. Che cosa c'è dentro?» domandò il principe.
«È una ricetta segreta che viene tramandata di generazione in generazione nella mia famiglia. Sapete... sono originaria dell'isola di Tharivell, ma purtroppo a causa della povertà tutta la mia famiglia, me compresa, si è dovuta trasferire qui a Solaris. Saranno passati ormai vent'anni. Anche se di fatto siamo passati da una povertà all'altra» disse con una certa amarezza che mi spezzò il cuore.
«Vivete tutti qui nel villaggio di Hardwall?»
«Oh, no magari... quando ho incontrato Tim ho deciso di rimanere a Solaris, mentre il resto della mia famiglia se ne è andata a Keasiria. Questo più di dieci anni fa. Non so dove siano adesso.»
«Non vi siete mai scritti?»
«Alcune volte l'ho fatto ma, non ricevendo mai risposta, alla fine ho smesso. Probabilmente le lettere che inviavo saranno andate perse oppure avranno cambiato indirizzo senza dirmelo...»
«In ogni caso questo tè è veramente ottimo. Non avevo mai bevuto niente di meglio» riprese il principe per alleggerire l'atmosfera.
Lei abbozzò un sorriso e quasi contemporaneamente Noah mi saltò in braccio, sedendosi sulle mie gambe.
«Noah! Scendi subito!»
«Perché? Ethan non ha detto che non potevo.»
«Piccolo insolente!» esclamò il padre.
«Va bene, signore. Noah ha ragione. Non mi dà fastidio.»
«Senti, piccoletto... dove vai a scuola?»
«Alla scuola del villaggio. Sto imparando le tabelline!» disse con una certa fierezza.
«Sei davvero bravo. Che cosa vuoi fare da grande?»
«Voglio fare lo stesso lavoro di mio padre perché è bellissimo!»
«Oh, non dire sciocchezze... il mio lavoro non è per niente bello.»
«Che lavoro fa, signore?»
«Costruisco alcune case popolari al di là di questa strada per permettere ad altre persone di viverci. Vi assicuro che non è per niente divertente e spero vivamente che Noah farà un lavoro decisamente più appagante e redditizio. Praticamente ci pagano una miseria per dodici ore di lavoro! Come dovremmo fare a cavarcela? E in più mia moglie ha dovuto smettere di lavorare quando è rimasta incinta. Il suo datore di lavoro l'ha licenziata.»
Strinsi i pugni per l'indignazione, ma non ne rimasi sorpresa: queste erano cose che capitavano anche troppo frequentemente in alcune zone di Solaris, anche dove abitavo io. Ma di certo non eravamo messi male come loro!
«Avete sempre abitato qui, signore?»
«Sì. Nato e cresciuto in questo villaggio. Non ho mai visitato altri posti, se non qualche volta la capitale.»
«Sono sicuro che il Principe Ereditario, quando diventerà re, rivoluzionerà Solaris e aggiusterà le cose» disse Thed.
«Lo speriamo, ma intanto loro vivono nella ricchezza mentre noi non possiamo neanche permetterci dei vestiti migliori di questi.»
Il principe si irrigidì e pensai che si sarebbe offeso e adirato. Invece, aggiunse con un tono velato di tristezza: «Mi dispiace veramente tanto della vostra situazione. Ad ogni modo sono sicuro che Sua Altezza Reale si rimboccherà le maniche e, non appena diventerà re, eliminerà la povertà e aiuterà tutti i villaggi e le città in difficoltà.»
Gli vidi negli occhi una scintilla di determinazione e coraggio. Quello che diceva non erano frasi di circostanza. Ci credeva davvero. Sperai solo che avrebbe mantenuto la promessa.
La signora, come se si fosse seduta su dei carboni ardenti, si alzò in piedi e andò a togliere la pentola dal fornello.
«Non sapevo che avremmo avuto ospiti altrimenti avrei messo una pentola in più e avrei preparato anche il secondo. Purtroppo, adesso ho solamente la pasta precisa per tre persone. Posso sempre metterne su un'altra, però.»
Io e Theodore ci alzammo di scatto e io appoggiai Noah per terra.
«Non preoccupatevi. Si è già fatto tardi e non saremmo potuti comunque rimanere a cena da voi. Ci aspettano a casa e non vorrei fare tardi» annunciò il principe.
«Ma come? Vai già via?» disse Noah triste.
«Non preoccuparti, piccoletto. Tornerò certamente a trovarti.»
«Promesso?»
«Promesso.»
«Non volete almeno aspettare un altro po'? Credo che fuori abbia iniziato a piovere.»
Ovviamente.
«Non preoccupatevi. Abbiamo l'ombrello e poi un pochino d'acqua non ha mai fatto male a nessuno» dissi.
«Se insisti tanto allora va bene... dimmi almeno dove lavori, in modo da ricontattarci.»
Valutai se fosse stato intelligente dire o meno dove lavoravo.
Alla fine, decisi di dire tutto. «Lavoro come guardia del corpo del Principe Ereditario. Basta che uno di voi venga al castello e faccia il mio nome. Vi raggiungerò subito.»
I signori si guardarono fra di loro abbastanza sconcertati. Pensai che mi chiedessero di Theodore e invece mi rivolsero un grande sorriso affettuoso. «Dev'essere bellissimo lavorare a palazzo. Uno dei miei desideri era stare lì come cameriera, ma purtroppo non ho potuto farlo... Comunque faremo sicuramente così. Ti ringrazio, Ethan.»
«Semmai io dovrei ringraziare voi per la stupenda ospitalità.»
«Ethan ha ragione. Grazie mille, ma ora dobbiamo proprio andare altrimenti faremo tardi e ho paura che ci lascino senza cibo.»
Stentavo a credere che la principale preoccupazione del principe fosse andare a letto senza cena.
«Ciao, Ethan!» mi salutò per l'ultima volta Noah.
Sulla soglia della porta, Thed aprì l'unico ombrello che avevamo e, stringendoci vicini, ci inoltrammo nella bufera di pioggia di quella sera.
Controllai l'orologio che segnava le 19:30. Per quanto potessimo correre, saremo sempre arrivati con almeno una mezz'oretta di ritardo. Sperai solo che la regina non ci facesse caso. Ne dubitavo, però.
Continuammo a camminare a rilento per alcuni passi. Il vento era così forte e la pioggia così potente che l'ombrello svolazzava da tutte le parti, riparandoci a fatica. Nel giro di cinque minuti eravamo tutti e due zuppi e accecati dall'acqua.
Il principe con una mano teneva l'ombrello mentre con l'altra le mie spalle e ad ogni passo, mi avvicinava sempre di più al suo corpo come se in questo modo potesse ripararmi dalla pioggia.
D'altro canto, io mi accingevo a tenermi la parrucca in testa per paura che mi volasse via.
Rimpiansi di non aver ascoltato i consigli dei genitori di Noah: a quest'ora potevamo essere all'asciutto e invece ci ritrovavamo tutti bagnati e con la possibilità molto certa di beccarci una polmonite.
"Ci mancava solo questa" pensai.
«Ethan! Vieni un po' più vicino. L'ombrello non può ripararci se te ne stai così lontano» urlò.
Come se non fossimo stati attaccati!
In ogni caso, feci come mi aveva detto e mi accostai ancora di più a lui. Ero così vicina che potevo sentire tutti i muscoli tesi del suo corpo e la stanchezza che li appesantivano.
Camminavamo a rilento. Mi sembrava che fosse passata un'eternità dall'ultima volta che avevo sentito caldo. Feci uno sforzo e guardai l'ora. Le 20:00 precise.
Era ufficiale: eravamo in ritardo e probabilmente la regina mi avrebbe sbattuta in prigione una volta al castello.
«Non possiamo continuare così. Non si vede niente al buio e in più siamo tutti bagnati fradici» gridò.
«Che cosa proponete di fare allora?»
«Accampiamoci qui per la notte. Poi domattina ripartiremo con calma.»
Mi mordicchiai un labbro pensierosa. Non mi allettava di certo il pensiero di stare ad Hardwall per la notte; tuttavia, non mi dispiaceva rimanere a stretto contatto con il principe... Nella mente mi si insinuarono pensieri del tutto sconvenienti. Li scacciai velocemente e ritornai alla conversazione: «Al castello non si preoccuperanno?»
«Domattina, una volta a casa, dirò che abbiamo ritardato a causa della pioggia.»
«E dove pensate di accamparvi?»
«Ho visto che più avanti si trova un'abitazione abbandonata. Possiamo stare lì.»
Ero contrariata alla sua idea e avrei preferito tornare al castello, ma la mia risposta se la portò via il vento.
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