CAPITOLO 18
Aprii dolcemente le palpebre perché la luce di una finestra mi investì.
Lì per lì non sapevo dove mi trovassi o quanto tempo fosse passato. La mia mente era sgombra da ogni cosa e per un momento mi sentii sollevata, ma poi tutti gli avvenimenti successi mi ritornarono alla memoria come l'ennesima pugnalata: il biglietto, l'incontro, la bomba, le pugnalate, il mio arrivo a casa di Kendrick.
Subito mi rizzai a sedere guardandomi intorno: ero su un letto soffice e la stanza di per sé era molto accogliente e non esageratamente grande.
Un'ondata di nausea mi fece crollare giù. Mi sfiorai il punto dove sapevo si trovasse il profondo taglio e rabbrividii per il dolore. Le bende erano macchiate di sangue, ma rispetto a prima sembravano nuove.
Chi mi aveva cambiato le bende?
Sperai con tutta me stessa che nessuno avesse scoperto il mio segreto, ma ormai non ero più certa di niente.
Respirai a fondo, vergognandomi della situazione: ero piombata, tutta insanguinata, a casa di un principe senza preoccuparmi di quello che sarebbe potuto succedere. Dov'era ora Kendrick?
Mi sforzai di alzarmi per sgranchirmi le gambe; tuttavia, quasi subito la porta della camera si spalancò e un ragazzo più o meno della mia età entrò dentro. Lo misi a fuoco, rendendomi conto che si trattava proprio di Kendrick. Imbarazzata dalla situazione feci un inchino maldestro e rimasi lì a testa bassa.
«Ethan... Alza lo sguardo.»
«Non posso, Altezza. Mi sento mortificato per quello che ho fatto.»
«E che cosa avresti fatto?»
«Non è opportuno per gente come me entrare senza invito dentro la residenza di Vostra Altezza.»
Lui si avvicinò e si sedette sul letto. «Non dire sciocchezze, Ethan. Sei sempre il benvenuto qui e te lo ripeto: voglio che mi chiami per nome.»
«Allora... Kendrick. Per quanto ho dormito?»
Non volevo sapere la risposta.
«Per circa tre giorni. È venuto il medico un paio di volte a controllarti e ti ha medicato le ferite, applicando dei punti.»
Tre giorni?!
«Oh, allora devo andare! Saranno in pensiero per me! Mia sorella, mia madre...»
Mi fermò. «Non preoccuparti per questo. Ho già fatto chiamare tua madre, ma inaspettatamente ha risposto un ragazzo che ha detto di essere tuo amico. È così?»
«Sì, sì...»
«Allora è tutto a posto.»
«Non so come ringraziarvi... Il lavoro, però...»
«Se non sbaglio eri in malattia.»
Accennai un sì.
«Quindi non ci sono problemi perché ho detto al tuo amico di chiamare e di dire che stavi ancora troppo male.»
Rimasi senza parole. «Kendrick... mi dispiace avervi recato tutto questo disturbo. Intendo andarmene il prima possibile.»
«Cosa dici? In queste condizioni dove vuoi andare? Il medico verrà questo pomeriggio a controllare le ferite e a vedere quando potrai lasciare il letto. Fino ad allora, è meglio se rimani dove sei.»
«Non posso causarvi altro disturbo. Non so cosa mi sia preso l'altro giorno... Era meglio se non venivo...»
«E invece hai fatto benissimo» mi interruppe «per fortuna che hai pensato subito a questa villa, altrimenti adesso dove saresti?»
Non risposi perché sapevo che aveva ragione. Dove sarei potuta andare se non da lui?
«E comunque... vorrei tanto sapere chi ti ha ridotto così.»
Mi immobilizzai. Cosa gli avrei raccontato ora?
«Oh... be'... nessuno. È... è complicato.»
Mi guardava attentamente e negli occhi vidi preoccupazione, paura e un pizzico di rabbia.
«Va bene. Quando sarai pronto per parlarmene, sai dove trovarmi. Dovresti riposarti ora. Tornerò a trovarti più tardi.»
«Kendrick!» lo chiamai.
Si girò. «Dimmi.»
«Grazie per tutto. Sono in debito con voi.»
Sorrise. «Pensa a riposarti ora. Ne riparleremo più avanti.»
Annuii, dopodiché il principe richiuse la porta. Quando fui sicura che se ne fosse andato, presi il cellulare e vidi sullo schermo cinque chiamate perse da Ethan, sette da Aileen e trenta dal principe.
Mi affrettai a richiamare sia Ethan che Aileen per tranquillizzarli dicendo che stavo bene e che mi trovavo a casa di Kendrick.
Dopo aver fatto questo controllai i messaggi e quello che mi si presentò mi fece rabbrividire: Theodore mi aveva mandato più di duecento messaggi tutti dai quali traspariva preoccupazione, paura e anche rabbia.
Cosa voleva da me? Perché continuava a mandarmi messaggi?
Arrabbiata, lo bloccai e mi distesi nuovamente sul letto, addormentandomi all'istante.
...
«Dove stai andando?»
«Dove si trova lui?!»
Mi svegliai infastidita dalle urla che rimbombavano fuori dalla mia stanza.
Sentivo solo un groviglio di urla e passi che si avvicinavano sempre di più.
Incuriosita, provai a mettermi in piedi, ovviamente fallendo.
Mi chiesi che ore fossero e così controllai il cellulare: le due del pomeriggio.
«Che cosa stai facendo?! Lasciami!»
Chi urlava così? Cosa stava succedendo?
Mi costrinsi ad alzarmi in piedi e ad affacciarmi alla porta. Le gambe non mi reggevano ancora ma, sorreggendomi ad un paio di mobili, riuscii ad arrivare alla porta e a spalancarla.
Adesso le voci mi giungevano nitide.
«Vostra Altezza... non mi sembra il caso di sopraggiungere così ferocemente nella stanza del signore.»
Vostra Altezza? Per quale motivo Kendrick doveva irrompere nella stanza?
La voce che rispose mi fece tremare. «Non vedo perché non dovrei farlo.»
Non era mica...
«Thed! Perché non ti calmi un secondo e andiamo a discuterne da un'altra parte?» il suo tono era pacato.
Il Principe Ereditario era qui?!
«Non finché non vedo Ethan! Chi ti ha detto che potevi tenerlo qui?!»
«Non sono stato io ad invitarlo! Si è presentato da solo gravemente ferito! Cosa potevo fare altrimenti, eh? Lasciarlo fuori a morire di freddo?!» adesso urlava.
Perché Theodore era qui? Cosa voleva da me?
Le voci smisero di parlare per alcuni istanti e poi una voce gelida come il ghiaccio mormorò: «In quale stanza si trova?»
Kendrick svoltò il corridoio e indicò la mia porta. Per un pelo la richiusi prima di farmi vedere.
«In quella. Adesso sta dormendo. È meglio se si riposa, no? Noi andiamo a parlare di là.»
Theodore lo ignorò. «Il dottore è già venuto?»
«Deve ritornare questo pomeriggio.»
«Cosa è successo?»
«Non lo so... Non me lo ha voluto dire. Appena si sveglia, potrai domandarglielo tu stesso.»
Cercai di tendere l'orecchio per sentire qualcos'altro, ma si erano già allontanati dal corridoio.
Certo, sarei potuta benissimo andare da loro, ma qualcosa mi tratteneva.
Probabilmente non volevo vedere il Principe Ereditario, ma per quanto tempo sarei riuscita a sfuggirgli? Dopotutto lavoravo per lui.
Mi ridistesi nuovamente sul letto, ripensando al dialogo tra i due fratelli. Non potevo evitare di provare un briciolo di felicità al pensiero che il principe era venuto fino da suo fratello che odiava pur di vedermi.
Mi pentii subito dei miei pensieri, ricordando a me stessa del bacio tra lui lady Alexandra. Loro due erano destinati a sposarsi, mentre io sarei rimasta solo il suo bodyguard.
Presa da una fitta enorme alla pancia scacciai ogni riflessione che avevo fatto fino a quel punto e provai a riaddormentarmi, ma naturalmente invano.
Ad un certo punto sentii battere alla porta colpi leggeri, quasi impercettibili.
Dissi semplicemente: «Avanti».
Entrò dentro Kendrick con un enorme sorriso in volto. Mi chiesi se fosse felice perché finalmente era riuscito a far andare via il Principe Ereditario.
«Posso entrare?»
Annuii leggermente.
«Come stai?» mi domandò sedendosi su una sedia.
«Meglio, forse. Ancora mi fa male un po' ovunque, ma tutto sommato sono stato peggio.»
«Mi fa piacere. Vuoi mangiare qualcosa prima che ti visiti il dottore? Arriverà fra una mezz'oretta.»
In effetti, ora che ci pensavo, mi faceva molta fame. Probabilmente non mangiavo da giorni.
«Sì, grazie.»
«Allora ti faccio portare immediatamente qualcosa dalla cucina. Preferisci in particolare qualcosa?»
«No, no. Andrà tutto benissimo. Vi sto recando anche troppo disturbo.»
«Nessun disturbo. Te lo avevo detto che potevi venire a trovarmi quando volevi e che saresti sempre stato il benvenuto.»
Rimanemmo in silenzio per alcuni istanti e poi proseguii: «Qualche ora fa ho sentito alcune urla provenire dal corridoio. È successo qualcosa di grave?»
Evitai di menzionargli Theodore per vedere che cosa mi avrebbe detto. Come mi aspettavo non lo nominò.
«Sì... be'» pareva terribilmente in imbarazzo «erano alcuni domestici che litigavano per... per... Non è importante. Una cosa da nulla. Me ne sono scordato anch'io.»
Si mise una mano fra i capelli visibilmente a disagio. Abbassò il capo mormorando: «Mi dispiace se ti hanno disturbato».
«No, no! Non preoccupatevi. Chiedevo solo per curiosità.»
Perché non voleva parlarmi della visita del fratello? Anche Kendrick lo detestava?
«È meglio se vado adesso.»
Mi salutò velocemente e se ne andò quasi correndo.
Rimasi per l'ennesima volta sola con i miei pensieri, ma non durò molto; infatti, dopo neanche dieci minuti, una cameriera entrò nella mia stanza con in mano un piatto fumante di zuppa.
«Signore... volete che vi aiuti a mangiare?»
«No, non è necessario. Va bene così. Potete andare» le sorrisi.
Lei fece un piccolo inchino e mi lasciò da sola.
Presi un cucchiaio, lo infilai nella zuppa e, senza preoccuparmi che fosse troppo caldo, ne mangiai una bella cucchiaiata.
Il sapore delle spezie mi inondò la bocca e il caldo che mi invase lo stomaco dopo essere stata per ore fuori al freddo mi sollecitò a prenderne un altro po'.
Spazzolai via tutto in meno di dieci minuti e feci proprio a tempo perché all'improvviso sentii bussare alla porta.
Mi pulii velocemente la bocca. «Sì?»
«Signor Allen, sono il medico che è venuto a vedere come state.»
Mentre parlava, mi ricordai che in effetti Kendrick mi aveva detto che il dottore sarebbe venuto per un controllo.
Lì per lì non ci avevo pensato più del necessario, ma ora un brivido mi salì lungo la schiena. Il travestimento.
Come avrei fatto adesso? Che cosa mi sarei inventata? Non potevo di certo cacciarlo via.
Sconfitta, gli risposi di entrare e un uomo sulla quarantina fece il suo ingresso. Portava il camice bianco abbottonato davanti, in mano teneva stretta la sua valigetta; i capelli castani erano tagliati ai lati in modo da farlo sembrare più giovane, ma comunque i capelli grigi si notavano molto.
Mi guardava con occhi gentili e mi sorrideva. Mi chiesi cosa sapesse di me e se avesse scoperto che in realtà ero una donna. Se così fosse stato mi sarei ritrovata con un grosso problema.
Tirai fuori il sorriso più smagliante che potevo inventarmi e lo salutai educatamente. Lui, senza tanti preamboli, si sedette sul letto scrutandomi attentamente.
«Come state? I punti vi fanno male?»
Stavo letteralmente sudando sotto la maglietta. Il suo volto era imperscrutabile.
«Meglio rispetto a prima. Mi fanno ancora un po' male, però.»
«È normale che sia così. Vi prescrivo alcuni antidolorifici e mi raccomando di stare il più possibile a letto per non peggiorare la situazione.»
Annuii abbastanza convinta.
«Adesso tiratevi su la maglietta, che controllo.»
Inghiottii più volte il nodo che mi si era formato in gola e cercai di apparire il più naturale possibile. Non volevo togliermi la maglietta, ma cosa avrei potuto fare altrimenti?
«Devo proprio?»
Il sudore mi scendeva dalle tempie e le mani mi tremavano talmente tanto che dovetti nasconderle sotto la coperta.
Lui sembrò non accorgersi di nulla. «Direi di sì se volete che vi controlli» fece una risatina che mi apparve nervosa.
Inspirai profondamente, maledicendomi per essere venuta a casa di Kendrick. Non potevo cercare qualcos'altro?
Mi sollevai la maglietta pianissimo il tanto che bastava per non mostrare le fasce che portavo al petto.
«Così può bastare, dottore?» domandai in preda al panico.
«Certo, va bene. Adesso state fermo che devo vedere se i punti che ho applicato non si sono sciupati.»
Mentre verificava continuava a parlare. «Una gran bella ferita, signore... Sembra il lavoro di un'arma da taglio. Come ve la siete procurata?»
«Mentre mi allenavo con armi vere il mio avversario mi ha ferito per sbaglio.»
Mi ero preparata la risposta per ogni evenienza.
«Accidenti! Dev'essere stato orribile.»
«Sì, infatti lo è stato.»
Rimanemmo in silenzio e quando mi riabbassai la maglietta, sospirai sollevata.
Per fortuna non nominò la ferita che avevo nella coscia e io non la menzionai. Bruciava un po', ma sicuramente mi sarebbe passata.
«Bene. Qui ho finito. Se ci sono dei problemi, basta che mi facciate chiamare.»
«Grazie, dottore.»
«Ricordate di prendere gli antidolorifici che vi ho prescritto. Se tutto va bene tra qualche settimana sarete del tutto guarito.»
«Grazie ancora, dottore. È stato gentilissimo.»
Si avvicinò alla porta e poi si girò di scatto. «Oh, un'altra cosa... Il vostro datore di lavoro è davvero una persona che vi ha a cuore. Tenetevelo stretto, non ce ne sono molti così.»
Prima che potessi domandargli che cosa volesse dire, si richiuse la porta alle spalle e io rimasi sul letto a pensare alle parole che aveva appena pronunciato mentre sentivo i suoi passi allontanarsi.
...
Nei giorni seguenti iniziai di nuovo a camminare per la stanza (anche se il dottore aveva detto che era meglio aspettare un altro po').
Avevo ancora dolore ovunque, ma soprattutto certe volte il taglio nella pancia e alla gamba mi toglievano il fiato. Tuttavia, cinque giorni dopo mi decisi a uscire da quella stanza che stava diventando davvero troppo piccola e mi avventurai per i corridoi dell'immensa villa.
Alle pareti c'erano grossi quadri raffiguranti delle persone oppure paesaggi; le opere d'arte, come statue e porcellane, erano protette da una vetrinetta. Proprio come in un museo. Alcune stanze erano aperte e da fuori intravidi alcuni oggetti come strumenti musicali, tele per dipingere...
Pensai tra me e me che Kendrick dovesse proprio amare la creatività.
Salii al piano superiore dove erano stipate tutte le stanze da letto (mi chiesi perché la mia era al piano di sotto). Provai ad aprirne una, ma era chiusa a chiave.
I camerieri mi superavano di fretta come se io non esistessi e uno quasi non mi piombò sopra la schiena.
«State attento!» mi urlò.
Mi girai incavolata nera, ma colui che mi si presentò davanti mi fece perdere un battito al cuore.
«Ethan!»
Mi inchinai impacciatamente. Perché tra tutti i presenti mi dovevo ritrovare addosso proprio lui?!
«Vostra Altezza» parlai con il tono freddo e neutro che usavo all'inizio.
«Che cosa ci fai qui?»
Avrei potuto rivolgere la stessa domanda a lui.
«Stavo... stavo... Cercando Kendrick.»
Utilizzai apposta il nome di suo fratello senza usare il titolo per vedere la sua reazione, non che mi interessasse naturalmente.
Lo vidi irrigidirsi e i suoi occhi diventare come due fiamme ardenti, ma probabilmente me lo stavo solo sognando perché la risposta che mi dette non mi sembrò di uno che fosse geloso o arrabbiato.
«Allora va bene... Come stai, Ethan?»
«Bene.»
«Che cosa ti è successo quel giorno?»
«Mi stavo solamente allenando e per sbaglio il mio compagno mi ha conficcato la spada nella pancia.»
Davanti al principe, la bugia mi sembrò patetica e non plausibile.
Alzò un sopracciglio ma cambiò argomento. «E perché sei venuto fino a qui? Non potevi venire al castello?»
«Io e questo mio amico... Sì, ecco ci allenavamo nei dintorni ed è per questo che sono venuto qui. Era più vicino.»
Abbassai gli occhi per evitare di incrociare i suoi scettici.
«Capisco... E come si chiama questo tuo amico?»
Sbiancai. Un brivido gelido mi scendeva dalla schiena e le mani mi sudavano così tanto che non potei fare a meno di pulirle sui jeans.
Dovevo inventarmi un nome al più presto. Ma quale?
Alla fine, optai di restare sul vago.
«Uhm... be'... È un mio amico. Vi basti sapere questo. E comunque non sono affari vostri.»
Lo vidi ribollire di rabbia. D'istinto feci un passo indietro.
«E invece credo proprio che siano affari miei! Sei la mia guardia del corpo, Ethan... Oppure te lo sei dimenticato?»
«Certo che no, Altezza.»
«E allora dovevi dirmi che eri stato ferito! Perché non mi hai richiamato? Sai quanto sono stato in pensiero? Stavo quasi mobilitando l'esercito pur di trovarti!»
Per un momento rimasi senza parole, ma poi una frase mi riecheggiò nella mente prima piano e man mano sempre più forte: "Sono solo belle parole. Non lasciarti incantare da lui. Dopotutto ti ha mentito per tutto questo tempo. La sua vera natura da traditore te lo ha mostrata quando ha baciato Lady Alexandra".
Ripensando a questo, la mia maschera fatta di ghiaccio si ricompose sul mio volto e a denti stretti replicai: «Mi dispiace. Non dovete preoccuparvi per me. Sto bene. Non dovete preoccuparvi dei miei spostamenti o di cosa faccio della mia vita quando non sono in servizio. La prossima volta non vi scomodate a mobilitare l'esercito e preoccupatevi di cose più serie».
Una vocina dentro di me continuava a dirmi di rivelargli quello che avevo scoperto nel capanno, ma la ignorai, ricacciandola nel fondo del cervello.
Senza guardarlo lo superai ma lui mi prese il polso. «Che cosa succede?»
«Niente. Sto bene.»
Mi liberai dalla sua presa e me ne andai a passo spedito senza pensare alla faccia disperata e confusa del principe.
«Ethan!» Connor e Oliver mi raggiunsero nel salotto della villa.
Entrambi lavoravano per Kendrick come guardie del corpo personali.
«Connor, Oliver! Che cosa ci fate qui?»
In effetti, era strano che si trovassero così presto alla villa perché erano stati mandati da Kendrick, alcuni giorni prima, in perlustrazione in un luogo che non ricordavo.
Ero contenta di vederli e di sapere le ultime novità.
«Che cosa ci fate qui?» ripetei più calma una volta che me li ritrovai davanti.
«Dovremmo chiederlo a te!»
«Oh, be' è una lunga storia.»
«Siamo tornati adesso e abbiamo un sacco di tempo. Dicci tutto.»
Stranamente mi fidavo di loro e sapevo che non sarebbero mai andati a dirlo a nessuno e in fin dei conti non riuscivo più a tenermi questa cosa per me. Avevo bisogno di rivelarla a qualcuno.
«Prima, però, dovete promettermi che non ne farete mai parola con nessuno, a meno che non ve lo dica io.»
«Assolutamente sì!» esclamò Oliver.
«Saremo muti come una tomba» aggiunse Connor.
Entrambi si misero una mano sul cuore.
Rincuorata dalle loro promesse finii per rivelargli ogni parte della storia, non tralasciando neanche il più piccolo dettaglio. Gli dissi dell'incontro in ospedale tra Robinson e un tizio misterioso, del biglietto che avevo trovato nel suo appartamento, la bomba che aveva costruito il truffatore, la lotta tra me e quei due e infine la convalescenza.
Appena conclusi di parlare Oliver si massaggiò la testa. «Accipicchia, Ethan! Pensavamo di aver fatto delle scoperte sensazionali, ma le tue le superano alla grande!»
«Perché? Che cosa avete scoperto?»
«Ti ricordi che eravamo andati nella città di Oakford per trovare informazioni?» iniziò Oliver.
No, sinceramente. «Certo.»
«E proprio lì abbiamo rinvenuto la base segreta degli attentatori!»
«Cosa?! Davvero?»
«Oh, sì... Ma solo la vecchia base. Sembra che si siano trasferiti in fretta e furia perché una volta lì tutti i fogli e gli oggetti erano alla rinfusa. Qualcuno deve avergli detto che eravamo sulle loro tracce.»
Questo era veramente interessante.
«E sapete già di chi si possa trattare?»
«Non ancora» si affrettò a dire Connor.
Notai che Connor non la smetteva di agitarsi sulla sedia e di muovere le mani come se fosse nervoso; si guardava intorno continuamente e non prestava molta attenzione alla nostra conversazione.
«Che hai, Connor?».
Voltò la testa di scatto fino ad avere il mio sguardo addosso.
«Cosa intendi?»
«Non la smetti di agitarti! Mi devo preoccupare?»
Adesso anche Oliver si interessò alla nostra conversazione. «In effetti, Con non la smetti di muoverti.»
«Oh, be' allora mi dispiace... Sono solo preoccupato per quello che faranno adesso gli attentatori.»
«Hai paura che potrebbero organizzare un attacco?» ripresi.
«Sì. Adesso che sanno che siamo sulle loro tracce ho il timore che presto succederà qualcosa.»
«È per questo che ti guardi continuamente intorno? Hai paura che qualcuno ci possa seguire e uccidere nel sonno?» lo schermì Oliver.
«Lo so che sembra un'idiozia, ma io non rimarrei così tranquillo quando hai degli attentatori che ti cercano.»
«Stai calmo, amico! Nessuno ti cerca. Ti stai solo condizionando. Non è vero, Ethan?»
Non li ascoltavo perché la mia mente era in subbuglio. Come potevamo scoprire la talpa nel castello? Come potevamo proteggerci da un altro attacco? Quanto tempo ci rimaneva? E se davvero qualcuno ci stava spiando proprio in quel momento?
D'istinto mi voltai verso la finestra in cerca di un'ombra, di una figura che ci guardava. Fissai così a lungo il vetro che ad un certo punto gli occhi iniziarono a farmi male.
No, non poteva esserci nessuno. E poi come sarebbero potuti entrare dentro la villa? Be' erano riusciti ad appiccare l'incendio dentro il castello e sicuramente non si sarebbero trattenuti con una villa, ora che anche il Principe Ereditario era qui.
Tutti questi pensieri mi fecero scendere un brivido di freddo dalla tempia e così non mi accorsi che Oliver mi aveva già chiamata tre volte.
«Ethan!»
Mi riscossi dai miei pensieri. «Oh, sì scusami. Mi ero perso nei miei pensieri e non mi ero accorto che stavi parlando. Cosa dicevi?»
«Stavo dicendo che nessun traditore vuole penetrare nella villa e ucciderci nel sonno come invece pensa Connor.»
Non ne ero così sicura, ma non mi andava di preoccuparli inutilmente e così assecondai Oliver. «Non devi preoccuparti, Connor. Nessuno vuole farci del male e sicuramente troveremo la spia e metteremo la parola fine a tutti gli attentati.»
Sorrisi e lo presi per mano stringendola forte. Anche lui mi guardò ricambiando la stretta.
«Hai ragione, Ethan. Sicuramente andrà tutto bene.»
La cosa che mi paralizzò più dei miei pensieri estremamente negativi furono gli enormi occhi celesti di Connor che, mentre sorrideva, rimanevano freddi come il ghiaccio.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro