XI
"È stato abbastanza maleducato da parte tua pensare che io fossi in combutta con loro".
"Lo so. Mi spiace".
"Dovrei diventare loro amica ora".
"Le orfane crescono prima delle bambine ricche e borghesi. Non penso ti troveresti molto bene con loro, a meno che tu non voglia parlare delle conquiste amorose del fratello di Mary Rose o dei futuri partiti di Emily".
"E questo chi lo dice?"
"Mia madre".
"Sai, non la conosco, ma inizio a pensare che sia una donna particolarmente saggia".
Seduta con le gambe penzoloni, Hazel sembrava più grande della sua età, nonostante fosse più bassa di lei. Aveva un certo cipiglio, un certo atteggiamento da donna adulta, sicura di sé, perfino capace di essere spiritosa. Ruth, con le gambe raccolte al petto, le ginocchia abbracciate contro il corpo, si sentiva piccola, una bambina che si era comportata male ma stava lentamente espiando la colpa.
Attorno a loro il bosco cantava la canzone dell'autunno e loro, sedute su di un ponticello di legno sopra una delle anse dell'Itchen, che formava una pozza dalle acque calme, coperte di foglie morte e ranuncoli d'acqua, si godevano gli ultimi raggi del sole del giorno. Le foglie dei pioppi neri e dei salici permettevano alla luce di disegnare striature di tigre sul terreno sottostante e sui volti delle due ragazzine. Le betulle più distanti avevano già perduto le foglie e il vento trascinava con sé gli ultimi semi, assieme alle samare ballerine degli aceri.
Ruth respirò a pieni polmoni quell'odore che tanto amava. C'era qualcosa nella sua testa, qualcosa di antico e che doveva appartenere alla sua prima vita, che le assicurava che aveva già conosciuto e amato l'autunno. Era un mistero quando fosse accaduto, ma lei sapeva che la stagione era come un vecchio amante, tornato da lei dopo molti anni.
Elysia, inoltre, profumava di quella ricca, gradevole fragranza.
"Lo è" confermò Ruth, anche se il cuore le saltò un battito. Ogni volta che pensava a lei, il pensiero correva in automatico alle comari del cimitero. E alla piccola pianta nella terra fresca della tomba. A quella maledetta piantina che sembrava essere tornata a nuova vita, quando le delicate dita di sua madre l'avevano sfiorata.
"La mia madre adottiva, purtroppo, non lo è stata".
Ruth spostò lo sguardo dalle pacifiche acque della pozza verso di lei. Hazel non la distolse dalla volta di foglie sopra di loro. Il suo viso era per metà coperto dalle striature di luce, come tatuaggi dorati e liquidi.
"Che intendi dire?"
"Sono orfana due volte. Ho perso anche la mia seconda madre".
"Mi spiace".
"Non devi. Era una donna crudele. Non so come un uomo come mio padre possa averla sposata. Immagino non avesse avuto scelta".
"Com'è morta?"
"La febbre di primavera se l'è portata via, l'anno scorso".
"Ti trattava male?"
Hazel abbassò lo sguardo su di lei. I suoi occhi avevano lo stesso colore della luce del bosco.
"Non le piacevano i figli adottati. Robert, Charles e Polly sono sempre stati i suoi preferiti, perché erano suoi. Noi eravamo delle... casualità nella sua vita".
Ruth rimase in silenzio per un po' dopo quel commento. Ascoltò il richiamo di un pettirosso e il lontano abbaiare di cani. Cercò il coraggio dentro di sé, e la sfacciataggine, prima di chiederle: "Perché tanti figli adottati, allora?"
"Mio padre. Lui ci ha voluti. È un uomo di fede e quando noi quattro abbiamo incrociato il suo cammino... semplicemente ci ha accolti con lui". Hazel fece una pausa, prima di iniziare a spiegare: "Robert e Charles sono gemelli. Quando erano molto piccoli, qualcuno abbandonò una bambina di tre anni fuori dalla chiesa di mio padre. Non parlava e non faceva altro che farsi la pipì addosso. La chiamarono Abigail e la tennero con loro, anche se la signora Anderson la trattò sempre come una serva.
Poi arrivai io. Non mi ricordo come, ero una neonata e basta... Victor dice che mia madre era povera e morì di colera. Sua moglie mi disse che mia madre era una puttana e morì di sifilide. Non so chi dei due abbia ragione, ma non penso sia così importante.
Quando io avevo sette anni, nacque Polly. La signora Anderson aveva voluto una bambina dopo ben due bastarde e finalmente il Signore Onnipotente gliela inviò. Fu contenta per un po' e lasciò noi due in pace, fino a quando il ragazzo delle stalle non scoprì un bambino denutrito nascosto nella paglia, Darius. Lo adottarono. Sheila arrivò poco dopo, la figlia bastarda di una qualche ragazzetta alto borghese della città, che non avrebbe potuto tenerla nemmeno volendo. Effettivamente, Sheila è l'unica di noi tutti ad avere un visetto grazioso".
Hazel le sorrise, come se le avesse raccontato una storiella molto divertente. Ruth, che fino a quel momento l'aveva fissata con gli occhi ben spalancati, non seppe immediatamente cosa dire. Prima di tutto, mai si sarebbe aspettata che la figlia di un reverendo potesse usare parole come puttana... ma non era solo quello, ovviamente, ad averla colpita. Pensò alla sua famiglia adottiva e cercò di metterla a comparazione con anche solo una parte di quello che Hazel aveva detto. Impossibile farlo.
"Io... non so che dire".
"Non c'è niente da dire. Così è la vita di un orfano, anche se mi sembra che a te sia andata meglio".
Per una volta, Ruth non dubitò. "I miei dicono di avermi scelta. Ero malata e mi hanno scelta per questo... non ho ancora capito il perché".
"Non te l'hanno detto?"
Ruth ponderò se dirglielo o meno. Hazel aveva passato la prova, no? Si poteva fidare di lei. E le aveva raccontato ciò che c'era dietro la famiglia Anderson.
"No. Non ancora".
"Perché dici non ancora?"
"La signora Eglantine... mia madre... pensa che io non sia ancora pronta".
Hazel corrugò la fronte. "Però tu mi hai detto che non ti ricordi..."
"Io non ricordo niente" tagliò corto Ruth. Fece male quanto strapparsi una benda da una ferita ancora fresca, ma all'improvviso si sentì meglio per aver condiviso quel peso con qualcuno. Non l'aveva mai fatto. Per un secondo, le parve di respirare più liberamente.
"Non ricordi niente? E come?"
"Mio padre dice che soffro di amnesia. Per la malattia che ho avuto".
"E com'è che sai il tuo nome?"
Ruth si sentì arrossire. "Me l'hanno detto".
"Quando?"
"Quando mi sono svegliata. Mi sono svegliata nel letto della mia nuova stanza... e la signora Eglantine era lì ad aspettarmi. Mi ha detto 'Ben svegliata, piccola Ruth' e poi mi ha fatto bere un pochino. Io mi sentivo tutta rotta, con la testa distante e un sapore schifoso in bocca... però poi è passato. Quasi non mi ricordavo come si parlasse o camminasse. Per la malattia".
"E che malattia era?"
"Non lo so".
"Però tuo padre è medico. Non gliel'hai chiesto?"
Ruth non lo aveva fatto perché fino a quel momento aveva avuto paura delle loro reazioni. Aveva fatto domande, aveva implorato risposte alla sua maniera, ma non aveva mai insistito. Si limitò a scuotere la testa.
"Storia strana tanto quanto la mia" ridacchiò Hazel. "Sai cosa? Forse tua madre ha ragione, le orfane crescono prima delle signorine viziate".
"Io..." iniziò Ruth, per poi decidere di abbandonare quello che stava per dire. Forse non voleva i suoi ricordi indietro, anche se a volte pensava che era davvero l'unica cosa importante. Ciò che desiderava erano risposte. Risposte, spiegazioni, la verità. Ma aveva paura, perché amava quello che aveva e non avrebbe mai voluto rinunciarci.
"Forse possiamo diventare amiche" mormorò Hazel.
"Credi?"
"Perché no?"
Ruth sorrise, anche se il suo cuore aveva immediatamente iniziato a battere all'impazzata. "Forse".
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