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Roses

Se ne stava sdraiata sul suo letto, al buio, a guardare il soffitto.

L'oscurità la circondava e stava prendendo possesso del suo corpo, lo sapeva ma non le importava.

Desiderava solo lasciarsi andare, lasciarsi andare al buio e al dolore che le riempivano l'anima e la mente. Si sentiva persa, smarrita e sapeva il perché.

Forse non si era mai odiata così tanto, così tanto da desiderare di scomparire nel nulla, come se lei non fosse mai esistita, come se i suoi occhi azzurri non avessero mai guardato quel viso e non si fossero mai persi in quella distesa di cioccolato.

Voleva essere libera dalle catene che la tenevano bloccata lì. Era incatenata a quegli occhi e si odiava perché lei possedeva la chiave, ma non voleva davvero liberarsi. Si odiava perché continuava ad aggrapparsi ad un amore che la stava uccidendo.

Destino. Lui aveva parlato di destino senza crederci davvero. Avrebbero lasciato tutto nelle mani del destino, avrebbero lasciato a lui tutto il potere, aspettando che un giorno li avrebbe riportati di nuovo faccia a faccia, occhi negli occhi, a dirsi tutto quello che si erano tenuti dentro per anni. In attesa, si sarebbero comportati come due conoscenti con solo degli amici in comune, niente di più.

Lui avrebbe continuato per la sua strada, avrebbe continuato a stare con una ragazza che forse non era quella giusta. Lei, d'altro canto, sarebbe andata avanti con la propria vita, strisciando, zoppicando, ma sarebbe andata avanti.

Forse si sarebbe innamorata di nuovo, forse qualcuno avrebbe risanato tutte quelle ferite che facevano ancora male. Ma lei sapeva che non avrebbe amato mai nessuno con la stessa intensità con cui amava lui. Quello era uno di quegli amori che si provano una sola volta nella vita.

Lo aveva amato con ogni particella del suo corpo. Lo sentiva ancora quell'amore, lo sentiva scorrere nelle vene e nelle arterie. Il suo sangue era pieno di lui, il suo cuore era pieno di lui, la sua mente era piena di lui. Tutto era pieno di lui e, ormai, si era arresa all'idea che non poteva liberarsene.

Era la sua droga. La sua droga e la sua medicina, contemporaneamente ed era una cosa pericolosa e sbagliata.

Aveva ripensato più volte a quello che li aveva portati fino a quel punto, fino al punto di perdersi ed era arrivata ad una conclusione: era tutta colpa sua. Si sentiva un'idiota per aver permesso che scivolasse via da lei, per averlo lasciato mentre lui le stringeva le mani e piangeva, giurandole che sarebbe ritornato per lei, solo per lei. Lo aveva ferito, lo aveva abbandonato e lo aveva reso l'essere più fragile al mondo. Lo aveva spinto via da lei, per un motivo che ancora non comprendeva, e lui era stato costretto a rifugiarsi nelle braccia di altre.

Doveva dimenticarla, doveva dimenticare la ragazza che gli aveva spezzato il cuore. Non l'avrebbe mai lasciata, non avrebbe mai sentito il bisogno di altre braccia, di altre labbra se solo lei non lo avesse lasciato. Glielo ripeteva ancora, l'accusava ancora di averlo lasciato scappare via e lei non poteva dargli torto.

Aveva ragione e lei lo aveva capito troppo tardi.

Me lei non si era arresa, aveva lottato con tutta la forza che aveva per riprendersi ciò che amava, per riprendersi quegli occhi marroni, ma ogni volta che sembrava aver raggiunto il suo obbiettivo, lui scivolava di nuovo via, lasciandola ogni volta più distrutta.

Era un circolo vizioso, il loro. Era un continuo prendersi e lasciarsi, per ritrovarsi ancora e poi allontanarsi di nuovo.

Non lo capiva. Lei lo conosceva meglio di quanto conoscesse sé stessa, eppure la mente di quel ragazzo era uno scrigno sigillato per lei. Non poteva capire come potesse guardarla in un modo così pregnante l'attimo prima, per poi dirle di non provare nulla, l'attimo dopo.

La confondeva. I suoi occhi marroni la confondevano. Il suo modo di guardarla come se fosse una fragile bambola di porcellana la confondeva. Quando la sfiorava, la confondeva. Il suo sorriso, la confondeva. Tutto di quel ragazzo riusciva a farle perdere la testa e non c'era una spiegazione logica a quello. Una spiegazione a tutta quella stupida situazione non esisteva.

Si era interrogata più volte sul motivo per cui lui l'avesse abbandonata l'ultima volta e la risposta le era arrivata solo dopo mesi di agonia. Glielo aveva detto una volta mentre si guardavano negli occhi, che lui non si sentiva all'altezza di stare con lei, che sapeva di non poterle dare quello di cui lei aveva bisogno, ma lei non aveva dato troppa importanza a quell'affermazione. Adesso sapeva che lui l'aveva lasciata un'ultima volta per darle l'opportunità di incontrare qualcuno migliore di lui, qualcuno che l'avrebbe resa più felice di quanto lui credeva di poter fare.

Lui si odiava. Si odiava così tanto e le aveva ripetuto di essere il nulla.

"Tu punti in alto" le aveva ripetuto. "e quando toccherai il celo, allora ti renderai conto che io ero solo la sabbia del fondo!" E lui credeva davvero quelle cose, lei lo sapeva e la cosa l'aveva distrutta ancora una volta.

Aveva pianto tanto quella notte, cercando di capire cosa spingesse il ragazzo a non vedere ciò che era in realtà. Lui non se ne rendeva conto, ma il suo gesto valeva più di qualsiasi ti amo, più di qualsiasi bacio rubato.

Stava cercando di salvarla dal mostro che credeva di essere, stava cercando di darle quella felicità che lui credeva di non poter raggiungere.

Eppure continuava a dirle che non l'amava, continuava a stare con un'altra persona, ma continuava a dimostrarle il contrario.

"Mi dai un orecchino?" le aveva chiesto il giorno del suo diciottesimo compleanno. Lei non aveva capito perché volesse un suo orecchino, ma glielo aveva dato lo stesso sperando che lo avesse conservato con gelosia.

"Cosa te ne fai di uno stupido orecchino?" gli aveva chiesto un giorno.

"Non è uno stupido orecchino." Le aveva detto arrabbiato. "Quando tu non ci sarai lui ti unirà a me, sapendo che l'altra metà tu la conserverai. Nonostante avrai un altro e sarai felice." Una risposta che le aveva scaldato il cuore. "E' importante perché lo hai indossato in un giorno speciale e a renderlo unico è il fatto che, adesso, ce l'ho solo io."

Nessuno le avrebbe chiesto un orecchino, nessuno. Ma lui non era nessuno. Lui era lui ed era proprio per questo che lo amava più di ogni altra cosa.

Lui era come lei. Amava le piccole cose, quelle che gli altri ignoravano e definivano insignificanti. Lui amava i dettagli, i punti e le virgole. Era per questo che la conosceva come nessun altro, era per quel motivo che sapeva leggerle nel pensiero, che sapeva sempre cosa lei stesse pensando e cosa stesse provando.

Quando i suoi occhi marroni la scrutavano, lei si sentiva nuda d'avanti a lui, spogliata da tutti i muri che aveva creato e da tutte le maschere. Era solo lei. Con lui, lei riusciva ad essere sé stessa. Lui riusciva ad andare in profondità, ad oltrepassare le barriere e a leggerle dentro. Leggeva la sua anima come se fosse stato il libro più bello che avesse mai letto, e lo faceva ogni volta. Continuava a leggerla, anche dopo quattro lunghi anni, anche dopo le tante litigate, anche se lui diceva di non amarla... lui continuava a leggerla.

Ripensò a quella notte sulla spiaggia di qualche anno prima. Erano stesi sui sassi, guardavano le stelle e parlavano. Avevano parlato tanto quella sera, di loro e di tutte le cose che erano successe fino a quel momento. Poi si erano guardati negli occhi, perdendosi un po' e poi ritrovandosi subito dopo. A quel punto si erano baciati, come non lo avevano mai fatto prima, come se quello fosse il loro primo ed ultimo bacio. Come se da quel contatto dipendesse la loro stessa vita, come se non ci fosse stato un domani. Il bacio più bello della sua vita, pensò quella sera e lo pensava ancora oggi.

Quanti addii urlati al vento, sbiaditi insieme al rancore, mentre i loro occhi si cercavano tra la folla.

Quanti ti odio sussurrati come se fossero stati dei ti amo. Quanti schiaffi e pizzichi dati al posto dei baci.

Troppi anni, troppe lacrime, troppe tempeste avevano superato assieme. Troppe cose ad unirli, pochissime cose a separarli.

"Ti sei mai chiesta perché siamo ancora qui?" le aveva chiesto guardandola dritta negli occhi. Lei aveva scosso la testa, lui l'aveva guardata serio. "Io credo che ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci separa!" aveva detto, come se fosse la cosa più logica del mondo.

Adesso erano tante le domande che affollavano la sua testa, ma nessuna risposta era arrivata. Non sapeva quando sarebbero arrivate, se un giorno avrebbe avuto la fortuna di avere delle risposte. Non sapeva niente in quel momento, sapeva solo che lo amava e che desiderava tanto che, nel profondo, lui l'amasse davvero.

Forse un giorno si sarebbero incontrati. Forse il destino aveva riservato per loro un futuro meraviglioso, fatto di sorrisi, baci e amore, ma quel momento non era ancora arrivato. Per ora dovevano solo mettersi seduti, guardarsi un'ultima volta negli occhi e sperare di incontrarsi ancora, sperare che il loro amore potesse avere ancora una possibilità. Bisognava sperare che il destino avesse dato ancora un'altra possibilità a quei due che non erano riusciti a tenersi, che si erano amati da lontano e che non avevano avuto il coraggio di restare.

***

So che non vi aspettavate che pubblicassi una cosa del genere, anzi forse vi aspettavate un nuovo aggiornamento di Oblivion ma per oggi credo di non potercela fare.

Non so nemmeno io perché abbia pubblicato qui una cosa così personale, forse perché volevo solo essere compresa e capita. Nessuno sembra farlo, nessuno sembra voler ascoltare tutto ciò che ho dentro e così oggi ho semplicemente scritto tutto quello che sento. Tutto quello che sento per lui.

Non mi aspetto nessun commento, nesssun voto. Niente di niente. Perché non è una semplice storia, ma è quello che sento ogni giorno e quello che sto vivendo da quattro anni. Non deve piacere, non per forza.

Ci risentiamo al prossimo aggiornamento di Oblivion :)

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