Incontrollabile
Non riuscii a udire o distinguere altro. Sentii soltanto quelle poche parole pronunciate da Jackson e poi la visione svanì, come se si fosse dissolta nel nulla.
Provai una sensazione difficile da descrivere. Come quando ci si risveglia da un sogno e le immagini nella nostra testa sono ancora abbastanza chiare, e noi sappiamo che presto scompariranno.
Era così che mi sentivo.
Mi guardai intorno, ancora scossa, mentre l'agente che ci aveva accompagnate a casa si avvicinava alla mia portiera e la apriva, per farmi scendere.
Cercai con gli occhi lo Sconosciuto, sicura che anche adesso che avevo avuto questa nuova visione fosse vicino a me, ma non lo vidi.
C'era soltanto pioggia che continuava a cadere e poi vento. Un vento forte, violento.
Udii mia mamma che salutava e ringraziava l'agente, ed io feci lo stesso.
Ci dirigemmo verso casa di corsa, perché non avevamo un ombrello. Aprimmo il grande cancello, percorremmo il viale e quindi raggiungemmo il portone principale. Una volta dentro, restammo per qualche istante in silenzio e ci guardammo negli occhi, poi lei mi abbracciò, stringendomi forte. E anche io la abbracciai, felice che fossimo a casa e che fossimo insieme.
<<Che cosa è successo, Rose?>>
<<Io... non lo so, mamma. Davvero. Le due ragazze... sono crollate a terra, all'improvviso. Senza una ragione. Ciò che ha detto Desmond.. quel ragazzo non le ha toccate.>> <<Ma non c'era nessun altro al di fuori di voi. Non riesco a trovare altre spiegazioni plausibili, Rose. L'avevi mai visto prima?>>
Provai un brivido a quelle parole. Non so per quale ragione lo feci, ma non le dissi che il ragazzo di cui Desmond aveva parlato allo sceriffo O'Hara era lo stesso che si era presentato a casa nostra quella mattina.
<<No, mamma. Non l'avevo mai visto.>>
Mia madre sospirò profondamente, poi mi
guardò negli occhi. <<Mi sono resa conto soltanto nelle ultime ore di ciò che sta succedendo qui. Non abbiamo fatto in tempo neanche a disfare le valigie. E forse c'è una ragione. Questa sera, alla locanda, ti ho detto che avresti potuto decidere tu che cosa fare. Se restare qui o andartene. E tu hai diciotto anni, io.. non voglio forzarti a fare qualcosa che non vuoi. A prendere una decisione piuttosto che un'altra. Ma ciò che sta succedendo... ciò che è appena capitato a quelle due ragazze... Non voglio che tu continui a restare qui. Non per il momento, almeno.>>
Abbassai lo sguardo, feci qualche passo indietro. Sapevo che mia madre aveva ragione, non potevo darle torto. Se avessi avuto una figlia e ci fossimo trovate all'improvviso in quelle circostanze, mi sarei comportata nello stesso modo.
<<Vuoi che me ne vada?>> le chiesi.
La voce mi tremava, perché dentro di me c'era il caos. Sensazioni e sentimenti contrastanti, che non sapevo gestire né controllare.
<<Sì, Rose. Almeno per un po'. Fino a che non avrò capito se le cose qui potranno funzionare come vorrei.>>
Pensai a mio padre. Sarei stata felice di rivederlo, e sapevo che mia madre non se ne sarebbe andata da Saint Claire perché a settembre avrebbe incominciato a lavorare alla Saint Claire's High School come insegnante di lettere moderne. Ma l'idea di tornare alla mia vecchia vita mi dava la nausea.
<<Non ti sto dicendo che sei obbligata a partire, tesoro. Però ti sto chiedendo di pensarci seriamente.>>
<<Io... lo farò, mamma. Lo sceriffo mi ha detto che forse per qualche giorno avrà ancora bisogno di pormi qualche domanda. Non appena mi avrà chiesto tutto ciò che mi deve chiedere, prenderò la mia decisione.>>
Lei mi accarezzò una guancia, poi mi diede un bacio sulla fronte.
<<Grazie. Mi dispiace per non averti creduto.>>
Annuii e le dissi di non preoccuparsi, quindi mi diressi al piano di sopra, nella mia stanza.
Ero stanca. Volevo dormire, restare da sola, non pensare a nulla e non parlare con nessuno.
Ma non appena aprii la porta della mia camera, lo vidi. Immobile davanti alla finestra, di spalle.
Sembrava che stesse guardando la pioggia.
<<Ti stavo aspettando, Rose>> mi disse, senza voltarsi.
Avrei dovuto aver paura forse, ma non ne avevo.
Lo Sconosciuto si girò verso di me e mi guardò negli occhi. La sua espressione era triste, cupa. Come se stesse pensando incessantemente a qualcosa di terribile.
<<Stai bene?>> gli chiesi, stupendomi di me stessa. Che domanda era? Non mi era mai sembrato lui quello in pericolo, eppure fu la prima cosa che mi venne voglia di chiedergli.
<<Stai chiedendo a me se sto bene?>> mi rispose, sconvolto.
<< Io... non lo so, è stata una giornata tremenda.>>
Lui mi si avvicinò e mi guardò ancora negli occhi, in profondità. Il suo sguardo era tanto intenso che pensai che stesse cercando di entrare nella mia testa, nei miei pensieri, per poterli leggere, decifrare.
<<Non sono stato io ad uccidere quelle due ragazze, Rose. Tu mi credi, vero?>>
Lo guardai e senza esitare annuii.
Ne ero certa.
C'era qualcosa, da qualche parte dentro di me, che nonostante tutto continuava a non farmi andare in nessun modo contro di lui.
Gli presi una mano e la strinsi. Lui mi guardò stupito, confuso. Come se non se lo aspettasse. E non me lo aspettavo neanche io, ad essere sincera, perché non ero mai stata così intraprendente.
Intrecciai le mie dita nelle sue, e mi avvicinai ancora un po' a lui. Continuava a non staccare gli occhi dai miei, e io continuavo ad inseguire le sensazioni che frenetiche si rincorrevano nel mio cervello. Emozioni nuove e contrastanti con tutto. Contrastanti anche con la tristezza di quella notte.
Sentii il suo respiro lento e caldo su di me, sul mio collo. Presi anche l'altra sua mano nella mia e ancora una volta le nostre dita si intrecciarono.
All'improvviso non mi importava più sapere chi fosse, o che cosa potesse essere.
Non mi interessava sapere che cosa nascondesse o per quale ragione conoscesse tanti dettagli su di me e sulla mia famiglia.
E non mi interessava nemmeno conoscere il suo nome.
Andava bene così.
Era l'istinto che pulsava dentro di me, sotto la mia pelle, nel mio corpo, sulle mie labbra.
Era la voglia di sentirlo accanto, addosso.
Era il tempo che avevo sprecato e la tutta la vita che fino a quel momento non avevo mai vissuto per davvero.
Le mie labbra adesso erano ad un centimetro dalle sue, e potevo respirare il suo calore, il suo profumo. Sentire i battiti del suo cuore.
<<Allora dopotutto non sei così diverso da me>> gli dissi, avvicinandomi al suo petto, in un sussurro.
Lui sembrò, per la prima volta da quando l'avevo conosciuto, sorridere.
<<No, dopotutto>> rispose, avvicinandosi per quanto possibile ancora a me, al mio viso.
Riuscivo a percepire tutti i battiti del mio cuore accelerare, impazziti.
Chiusi gli occhi, smisi di pensare a qualsiasi cosa.
E poi, di colpo, la sentii.
La necessità improvvisa di raggiungere il lago.
Era come se fosse l'unica cosa di cui avessi bisogno in quel momento.
Il lago.
Un desiderio incontrollabile, irrazionale e violento. Sentii le mani diventare fredde, come il resto del mio corpo.
Come se non fossi più in me, cercai di allontanarmi da lui. Volevo uscire di casa e correre verso il lago in quel preciso istante.
Riaprii gli occhi e lui mi guardò. Vidi che sul suo volto era tornata l'espressione cupa di qualche minuto prima, ma non mi importava.
Il bisogno di raggiungere il lago era troppo intenso per permettermi di pensare a qualunque altra cosa in quel momento.
Cercai con tutta me stessa di liberare le mie mani dalle sue, di staccarmi da lui e di uscire da quella stanza, ma non vi riuscii. La sua stretta era diventata di colpo più forte, più intensa, come se stesse cercando di trattenermi lì con lui.
<<Lasciami>> gli dissi <<lasciami subito andare. Lasciami! Io devo andare, lo capisci?>> gli dissi, senza riuscire a distinguere neanche il mio stesso tono di voce.
<<No, Rose. Non devi andare al lago.>>
Lo guardai confusa, come se le sue parole stessero combattendo contro i miei pensieri.
Sapeva ciò che stavo desiderando, ciò che stava succedendo dentro di me.
<<Lasciami!>> gli urlai, e con tutte le forze che avevo in corpo cercai di liberarmi da lui, perché intanto il bisogno di raggiungere il lago era diventato completamente incontrollabile.
Ingestibile.
Mi dimenai con tutta me stessa e, alla fine, mi liberai.
Corsi verso la porta, la raggiunsi, la aprii. Ma lui mi superò, la richiuse e si mise di fronte a me, sbarrandomi la strada.
Provai un'altra sensazione nuova e irrefrenabile, qualcosa di simile alla voglia di esplodere e distruggere tutto ciò che in quel momento mi circondava e mi separava dal lago.
Stupita della forza che ancora sentivo di avere in corpo, lo spinsi contro la porta. Cercai di colpirlo, come se bloccandomi in quella stanza mi stesse rubando l'aria dai polmoni. Ma lui mi afferrò per i polsi, mi fece girare su me stessa e mi spinse contro la porta, invertendo le posizioni in cui ci trovavamo.
Poi all'improvviso, senza dire nulla, mi baciò.
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