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𝐗𝐕𝐈. 𝐋'𝐨𝐛𝐥𝐢𝐨 𝐝𝐞𝐢 𝐩𝐨𝐬𝐭𝐞𝐫𝐢


Nell'attimo in cui Crystal adagiò sulla scrivania l'arma, lo fece con reverenziale serietà. I suoi occhi viola chiaro scandagliarono il resto dei presenti. «Questa arma era dello strego cacciatore Lance Barlow. Proviene dalla sua armeria e la usava quando era ancora solito lavorare sul campo» spiegò, notando le loro espressioni incuriosite e perplesse. «Mi disse che andava usata solo in caso di estrema necessità, quando il mostro da affrontare poteva rivelarsi più forte del consueto.» Passò per un attimo in rassegna l'affusolata lancia dotata su entrambe le estremità di lunghe lame dalla punta ricurva; su tutte e due erano presenti delle incisioni il cui scopo prettamente protettivo e rafforzativo. Servivano a fare da scudo a colui che brandiva l'arma e a renderlo più forte e abile nel maneggiarla. «Userò questa per affrontare qualunque cosa deciderà di palesarsi in futuro. Se Olegov non è un avversario comune, allora le armi comuni non servono a granché. Quelli come lui capiscono una cosa sola e farò in modo di dargliene in abbondanza.»

L'unica cosa che Olegov comprendeva era la violenza ed era quel che avrebbe ottenuto da lui.

Aveva trovato quell'arma appena prima di recarsi a casa dei Leroin per fare il punto della situazione e, soprattutto, scoprire se Idris avesse più o meno scoperto cosa stesse combinando Olegov o, almeno, dove fosse andato a cacciarsi.

«Gran bel tagliacarte, ragazzo» disse infine Milton, interrompendo per primo il silenzio calato nella stanza. «Mi chiedo, però, come diavolo farai a vedertela con la bestiaccia che Olegov, secondo voi, avrebbe deciso di portarsi dietro. Questo mostro, questo... uhm... Lich... hai detto che nulla può ucciderlo o fermarlo.»

Crystal lo guardò. «È corretto, signor Leroin.»

«Dunque come faremo?»

«È necessario individuare l'oggetto che custodisce l'anima di un Lich per rispedirlo nel baratro dal quale è venuto. Naturalmente è ovvio che il contenitore in questione sicuramente potrebbe trovarsi in mano a Olegov, perciò è assolutamente necessario abbattere quel mostro una volta per tutte. Una volta che lui sarà morto, provvederemo a dare la buonanotte anche a Demetrius. Potrebbe trattarsi di qualunque cosa, persino la più scontata.»

Ariel schiarì la voce. Era in piedi, proprio accanto a Vargos, e aveva l'aria di chi non avesse dormito granché negli ultimi giorni. «Si tratta comunque di Demetrius, non ci sono dubbi. Sono riuscito a mettermi in contatto con un professore di storia Alphaga che insegna a una facoltà di Londra e...»

«Come hai fatto ad arrivare a lui?» lo interruppe Casey, colpito. Iniziava davvero a credere che Ariel fosse sprecato come cameriere al diner e che forse Ellis avrebbe dovuto riconsiderare la possibilità di avere accanto il figlio anche nel lavoro. Ariel era un vero segugio, altro che storie.

Aguillard esitò e si scambiò un'occhiata con Vargos; quest'ultimo fece un cenno con la testa e l'Omega, dunque, estrasse qualcosa dalla borsa a tracolla che reggeva su di una spalla. Mostrò a tutti quel che aveva tutta l'aria d'essere una breve missiva. «Un paio di giorni fa Ragos mi ha telefonato e mi ha detto di aver trovato, nel solaio di casa sua, alcuni effetti personali che si sono rivelati essere di suo zio Caelan. All'inizio credeva si trattasse di semplici documenti privati, ma poi, esaminandoli, si è reso conto che in realtà Caelan, fino a poco prima di morire, stesse in realtà facendo delle ricerche ben mirate su qualcosa. Questa lettera è stata trovata proprio in mezzo alle scartoffie in questione ed era indirizzata a un certo Ilan Willow, ossia il professore universitario che siamo poi riusciti a rintracciare. Mi ha detto di aver incontrato, una volta, Caelan. Era stato proprio lui a invitarlo qui, a Mythfield, per un incontro faccia a faccia. Caelan voleva porgli delle domande, guarda caso, proprio sul principe Demetrius e sul suo passato, che si trattasse di leggende o verità appurate.»

«Aspetta un attimo» intervenne Noah. «Come mai era interessato a Demetrius? Insomma... era così incuriosito da quel tipo da voler parlarne con un professore di storia antica?»

«È quel che ci siamo chiesti io, Ariel e Vargos, non appena la chiamata con Willow è terminata» gli rispose Ragos. «Ovviamente abbiamo continuato a scavare senza interruzioni e a esaminare gli scritti di mio zio. Ci siamo domandati se Caelan non avesse scoperto, in qualche maniera, qualcosa che non avrebbe dovuto scoprire proprio perché era vicino a Olegov. Era il suo amante, ormai lo sapete.»

«Non starai forse dicendo che... voglio dire... che tuo zio sia stato messo a tacere, vero?» chiese Idris. «Avete detto che morì per via della gravidanza!»

«Questo è ciò che tutti hanno voluto che credessimo, ma se così non fosse stato? Pensateci: Olegov aveva già cominciato a iniettare veleno e paura nelle menti di tante persone. Gli ci sarebbe voluto poco, davvero poco, per far sì che Caelan smettesse di ficcare il naso nei suoi affari senza che lui venisse ricollegato direttamente alla sua morte. Tutti sapevano che Caelan era fragile e che fosse solito ammalarsi spesso, dopotutto, e se fosse morto per qualsivoglia motivo nessuno lo avrebbe considerato sospetto o inaspettato. Lui ne sarebbe uscito lindo e pinto come un cigno e nessuno dei suoi seguaci avrebbe dubitato della sua buona fede. Chi lo supporta, lo fa perché crede con cieca convinzione che predichi il giusto, che abbia ragione a dire che Alphaga e uomini non dovrebbero mescolarsi e che gli Omega dovrebbero tornare a pulire in casa e ad allevare pargoli. Sapete, no... le solite stronzate da bigotti» lo rimbeccò Ragos, roteando gli occhi con evidente disgusto per aver dovuto ripetere quella sequela di sciocchezze.

Rory e tanti altri Omega dimostravano che congetture del genere non fossero altro che immondizia. Avrebbe proprio voluto vedere uno come Olegov tollerare dodici volte in un solo anno quel che un Omega qualsiasi doveva sopportare nel periodo del calore. Ne sarebbe uscito piangendo e strisciando come un verme, parola di Ragos Elimar.

«Porca puttana» si lasciò sfuggire Samuel, ficcandosi le mani nelle tasche dei pantaloni. Si era recato lì in divisa e aveva spiegato allo sceriffo di volere una piccola pausa per una questione importante che Ellis Aguillard aveva inteso all'istante, lasciandolo andare.
Idris lo aveva aiutato ad aggiornarsi su ogni singola cosa e ora, di fronte alla prospettiva del possibile assassinio di un innocente che forse era stato tolto di mezzo solo perché aveva cercato di contrastare Olegov, era a dir poco sdegnato. «In effetti non fa una piega come spiegazione» concesse. «Però... voglio dire... Caelan portava in grembo suo figlio, no? Era stato forzato ad avere quella gravidanza proprio perché Olegov desiderava avere da lui un bambino e poi, per un semplice sospetto, ecco che lo fa ammazzare su due piedi? Non ha granché senso, scusate.»

Milton lo guardò. «Non avrà senso per te, forse, ma per lui invece sì. Quell'essere non guarda in faccia a niente e a nessuno quando si tratta di persone che minacciano i suoi piani, ragazzo» lo apostrofò cupo. «Torna tutto eccome, diamine. Forse Caelan si stava avvicinando troppo alla verità o forse... addirittura era risalito fino alla questione di Demetrius. Era troppo per Olegov. Troppo perché un bastardo del genere potesse lasciarlo vivere e poco importava che Caelan presto gli avrebbe dato il tanto sperato figlio. Doveva morire e così e stato. Magari... magari c'era ancora una flebile speranza per lui di guarire, di sopravvivere al parto, persino, e forse Olegov gliel'ha portata via senza farsi neppure uno scrupolo.»

«Ma non abbiamo prove» insisté Noah. «Non che io voglia difendere quell'assatanato, ma torno a ripetere che Caelan era di fragile costituzione e solito ammalarsi.»

Casey aveva taciuto fino ad allora, lasciando che fossero gli altri a parlare, ma alla frase del fidanzato si accigliò e guardò Vargos: «A proposito di malattie, chi era il medico che seguiva Caelan all'epoca? Insomma... poniamo che sia davvero stato ucciso, d'accordo? Dunque... trovo ridicolo e offensivo il solo dubitare dei vostri genitori, Vargos, ed è ancora più risibile che a dare la spinta finale a Caelan sia stata Heather che lo amava come un figlio o qualche altro domestico. Caelan era benvoluto da tutti, in quella casa, e ogni singola persona là dentro si era stretta attorno a lui per proteggerlo, sapendo che era il più fragile ed esposto a eventuali pericoli. Penso che la vostra famiglia, con lui, adottò il cosiddetto metodo del gregge, quindi... rimane solamente il medico, lo stesso che poi compilò il certificato di morte. Chi era? Magari possiamo parlarci e indurlo a collaborare con noi, a fare la cosa giusta, nel caso avesse davvero fatto qualcosa per spingere Caelan sul letto di morte.»

Vargos sospirò. «Non penso sia possibile, Casey. Quell'uomo, stranamente, morì circa l'anno seguente che aveva compilato il certificato di morte di mio zio. Ho potuto comunque parlare con la sua compagna e lei, dopo che ho insistito, mi ha confessato che suo marito, prima di venire a mancare fosse cambiato molto.» Estrasse dalla tasca interna della giacca scura gli occhiali da vista dalla montatura ampia color argento che gli dava un'aria da intellettuale. «Nerd» lo punzecchiò Ariel, strappandogli un piccolo sorriso mentre tirava fuori dalla borsa un taccuino e glielo consegnava. Era dove il governatore di Mythfield aveva annotato la conversazione fra lui e la moglie del medico defunto. Elimar inforcò le lenti, rilesse velocemente gli appunti e, schiaritosi la voce, spiegò agli altri: «Sembrava portarsi dietro un enorme peso, come se si sentisse in colpa per qualcosa che aveva fatto in passato. Suppongo che per un dottore sia il colmo morire per una dose troppo elevata e accidentale di potenti sonniferi. Secondo sua moglie si tolse la vita di proposito e lo fece senza lasciare per iscritto niente di niente. Onestamente ritengo plausibile la teoria di Ariel e Ragos. Come ha detto Milton, d'altronde, non c'è niente che Olegov non farebbe per averla vinta a tutti i costi. Ha avuto il pelo sullo stomaco di condurre quasi alla morte Casey, sangue del suo sangue, pur di tener fede ai propri obiettivi. Dubito abbia avuto dei rimorsi nell'aver stroncato la vita di un figlio che non era ancora nato. Probabilmente giustificò la cosa dicendosi che era stato Caelan a costringerlo ad arrivare a tanto. Il tipico malvagio che agisce convinto di essere nel giusto e che siano coloro che lo ostacolano a meritare un castigo, a essere i veri malvagi. Quel tipo è da manuale, se volete la mia onesta opinione.»

Ariel esitò. «Io... ho proposto a Vargos e a Ragos di far riesumare il corpo di Caelan perché fosse uno strego Guaritore a esaminarlo per scoprire se magari ci fossero ancora tracce di qualche sostanza strana o inconsueta. Con specifiche tecniche e soluzioni preparate ad hoc è possibile condurre esami del genere.» Sospirò. «Per ora stiamo aspettando eventuali riscontri, ma il punto è che il... i-insomma... i resti del suo bambino non erano presenti. Heather ha detto che vennero sepolti assieme, ma nella bara c'era solo quel che rimaneva di Caelan. Neppure la coperta in cui era stato avvolto suo figlio era nei paraggi. Come se non si fosse mai trovato là dentro. Qualcuno lo ha portato via e probabilmente lo ha fatto di notte, quando nessuno era nei paraggi, o comunque in un momento nel quale era certo che nessuno lo avrebbe disturbato.»

«Cristo santo» mormorò tra sé Casey. Iniziava ad avere quasi la nausea. «E come fate a supporlo?»

«La bara non era chiusa bene» snocciolò Aguillard. «Qualcuno sicuramente l'ha aperta dopo che era stata sigillata, ha preso quel che gli interessava e poi ha richiuso il coperchio senza troppe cerimonie. Le spoglie degli Alphaga si decompongono molto lentamente. Ho studiato per bene l'argomento e ci vuole molto tempo perché inizino a deperire considerevolmente, a scurirsi e così via, e da un'analisi superficiale del Guaritore che abbiamo consultato sappiamo che il cadavere di Caelan ha di sicuro affrontato un processo di putrefazione più veloce della norma proprio perché la bara, non essendo più sigillata, ha lasciato passare l'ossigeno e i microorganismi, gli insetti e tutto ciò che è soliti cibarsi dei cadaveri quando vengono esposti agli agenti esterni. C'era anche molta terra, là dentro, quindi è stato in ogni caso facile indovinare cosa fosse accaduto.»

Sam arricciò il naso. «D'accordo, ma cosa potrebbe farsene qualcuno di... voglio dire... di un feto morto?»

«Magia nera» fu la risposta ricolma di sdegno di Idris. Guardò gli altri. «Non capite? Caelan e suo figlio sono stati delle vittime sacrificali.» Prese a camminare per il soggiorno. «Riflettete: cosa imponeva il culto di Lykos? Caelan, proprio come Casey e Crystal, era un Indigo, era in dolce attesa ed era per giunta di nobile stirpe. Una preda particolarmente rara e ambita da presentare sull'altare del sacrificio per una divinità così esigente. Quel che millenni fa si verificava era qualcosa di ben diverso da un semplice rituale per ottenere prosperità. Era magia nera! Forse esistono altri rituali che richiedono l'uso di determinati soggetti tramite i quali assicurarsi il favore di un essere divino.»

«Proprio così» convenne Ariel. «Il professor Willow mi ha spiegato, in effetti, che Lykos non fosse l'unica divinità venerata dai nostri antenati. Era, però, senza dubbio fra quelle più esigenti, forti e spietate che esistessero. Pare che molte delle sue connotazioni fossero riconducibili ad altre divinità pagane conosciute dagli umani, ad esempio Ade, il dio greco dell'Oltretomba, o ancora ad Osiride. Secondo Willow, dunque, Lykos era non solo lo spirito-lupo, ma anche il dio dei morti e chi lo venerava, lo faceva con l'uso di rituali basati su antiche formule di magia nera. La vita di un Indigo e della sua prole in cambio della prosperità di molti. Nella magia nera il sangue e la vita di qualcuno sono la valuta di scambio, per così dire, più potente che esista. Senza contare che Lykos era il protettore degli sciamani e degli assassini. Willow mi ha inviato per e-mail alcuni reperti rinvenuti in siti archeologici di antiche città Alphaga ormai scomparse e su di una parete era ritratto Lykos che reggeva in mano, a simboleggiare il suo ruolo nel pantheon, un asfodelo. Gli asfodeli, secondo le popolazioni dell'antica Grecia, venivano associato agli inferi e la leggenda recita che fossero soliti crescere sulle tombe dei defunti. Quindi... a noi, purtroppo, è pervenuto solamente il lato meno oscuro di Lykos e quello peggiore, invece, in pochi sono ormai a conoscerlo. Abbiamo dimenticato quel che non volevamo più ricordare, in breve.»

Ragos si schiarì la voce e si fece consegnare da Ariel una busta gialla dalla quale trasse fuori tante fotografie che dispose in ordine sul tavolo, proprio accanto all'arma portata da Crystal. «Ho consultato tutti i distretti Alphaga che ho potuto, parlando quasi sempre con gli sceriffi o con dei poliziotti, assicurandomi che fossero quelli che si erano fatti carico di indagini ben precise. Ho chiesto loro se si fossero verificate strane morti o sparizioni, nella loro giurisdizione, e le persone che ora state guardando corrispondono al profilo: scomparse, in quattro casi, e negli altri... trovate assassinate. In totale sono diciassette e tre di loro, in particolare, erano di genere Indigo come Crystal e Casey, mentre gli altri Omega, maschi e femmine. L'unica cosa in comune che avevano era...» Si prese un momento, come se continuare gli costasse non poco. «Insomma, avevano dei... dei piccoli passeggeri a bordo, se capite cosa intendo. Tutti in avanzato stato di gravidanza. Uno di loro aveva solamente diciassette anni ed era scappato di casa. Lo hanno ritrovato mutilato e gettato in un fosso a pochi chilometri dalla casa dei genitori, nel fitto di un bosco. Del suo bambino non v'era traccia e lui era stato abbandonato lì come spazzatura. Sul referto del coroner, come se non bastasse, è stato sottolineato che tutto quel che il poveretto aveva subito, si era verificato mentre era ancora vivo e cosciente. Niente droghe o sostanze stordenti nel sangue, solo segni di lotta e di tante, tante percosse. Sui polsi e sulle caviglie v'erano invece chiare tracce di qualcosa che era stato usato per legarlo. Mi pare si trattasse di cordame, visto che ne trovarono delle fibre sulla sua pelle.»

Scosse la testa.

«Quell'animale continua a mietere vittime eccome, lo ha fatto per anni e forse lo sta facendo anche adesso. Lo dobbiamo fermare.»

Benché tutti, nessuno escluso, si sentissero a dir poco male di fronte a quel resoconto da incubo, il membro del gruppo messo peggio pareva essere Ariel che, di colpo, si era fatto cereo in viso. Il primo a notare il suo cambiamento fu Milton. «Che mi venga un colpo, Aguillard! Sei bianco come un cencio!»

Ariel lasciò cadere la borsa e senza dire niente corse come un fulmine verso il bagno dei Leroin. Fece in tempo a chiudere la porta e a fiondarsi verso il water prima di venire sopraffatto da violenti conati.

Casey scoccò un'occhiata torva a Crystal che, accanto a lui, si era acceso una sigaretta e stava praticamente fumando di fronte ad Ariel. Una volta terminata quella specie di riunione, Leroin, con la scusa di invitare gli altri due a prendere un caffè assieme, li aveva trascinati nel locale dove ora si trovavano e lo aveva fatto per ben altre ragioni. «Crys, penso che dovresti spegnerla» disse infine con durezza.

«Perché?» chiese Hawthorn, stringendosi nelle spalle. «A nessuno di voi due dà fastidio!»

«A lui no, magari, ma a suo figlio nuoce eccome. Vero, Ariel?» Casey tornò a squadrare Aguillard.

Ariel contrasse la mascella e forzò palesemente un sorrisetto beffardo. «Non so come ti vengano in mente certe cose, Cas, ma...»

«Ariel, quando sono corso da te per sapere che diamine ti era preso, ti ho beccato che ti stavi sciacquando la bocca e so riconoscere bene la faccia di chi ha appena vomitato tutto, compreso il pranzo del Ringraziamento scorso. Eri uno straccio, perciò non prendermi per i fondelli. Ci sono passato per mesi, d'accordo?»

«Ma andiamo, Casey! Stai parlando praticamente dell'Immacolata Concezione del Ventunesimo secolo, visto che è palese che Vargos non abbia mai...», Crystal si chetò e fissò il figlio dello sceriffo. «Oppure sì?»

Ariel alzò gli occhi al cielo. «Va bene, va bene, lo ammetto! Abbiamo iniziato a fare sesso e la prima volta è successo più o meno il mese scorso, il giorno prima del mio compleanno!»

Casey lo fissò imbambolato. «Beh, caspita. Ci avete messo meno tempo del previsto per... uhm... ingranare.» Schiarì la voce e tornò serio. «Sia come sia, ce ne vuole per essere così sbadati. Specie nel tuo caso, Ariel.»

«Sbadati un cazzo, Leroin! La prima volta è successo mentre ero in calore e... insomma, sapete com'è e tra una cosa e l'altra siamo finiti a letto insieme! Non è che lui l'abbia fatto apposta, in fin dei conti!»

Leroin si accigliò, poi spalancò gli occhi dorati: «Non... non dirmi che...»

«Sì, okay? Il nodo! Non siamo riusciti a separarci per un quarto d'ora buono e solo all'ultimo mi sono reso conto che ci eravamo dimenticati il profilattico, fra una smanceria e l'altra. Il nodo ha fatto il resto!» Ariel si passò una mano sul viso. Lo imbarazzava ammettere quel che aveva appena detto, ma si sentiva in dovere di essere sincero, almeno con loro. Casey era suo amico e Crystal stava diventando tale a sua volta, poco a poco, quindi poteva fidarsi di loro. «È stata un'attesa sfibrante e ieri... beh, ho capito che era arrivato il momento di fare quel benedetto test di gravidanza. Vargos è rimasto lì con me mentre aspettavamo il risultato, si sentiva in colpa e avevamo già discusso quel fatidico giorno. Francamente non ho avuto il cuore di rigirare il dito nella piaga, quindi... ho mentito. Gli ho detto che era negativo e di non preoccuparsi. Per fortuna non conviviamo ancora nella stessa casa o si sarebbe accorto subito che qualcosa non tornava, visto che sono settimane che mi sveglio con una nausea tremenda e poi, mezz'ora dopo, ho voglia di svuotare il frigo intero! Mi sto ammazzando di jogging come un matto pur di non ingrassare, cazzo! Ieri, alle quattro di mattina, avevo voglia di strafogarmi di fragole, solo che siamo in inverno e quindi non ci sono le fottute fragole in giro! E allora mi sono fatto la cioccolata con la panna, solo per poi vomitare pure quella nel cesso! Un inferno, santiddio!»

Sbuffò e si tenne la fronte con le mani, stremato dopo lo sfogo del tutto inatteso, ma a lungo bramato. Ormai, appena si svegliava, non faceva che fermarsi davanti allo specchio e chiedersi quanto a lungo avrebbe potuto mitigare i sintomi più palesi di una gravidanza in corso. Presto i vestiti che aveva non gli sarebbero andati più e avrebbe dovuto attingere dai risparmi che aveva messo da parte. Poteva pure dire addio alla tanto agognata vacanza alle Hawaii.

Erano settimane che si portava dietro quel segreto e iniziava ad averne abbastanza, soprattutto, di raccontar frottole d'ogni tipo a Vargos per giustificare il lieve aumento di appetito, gli sbalzi umorali eccessivi persino per uno come lui e... il mancato calore della seconda settimana di quell'ultimo mese e la voglia ridotta a zero di fare sesso. Il calore avrebbe dovuto palesarsi giorni addietro, ma niente di niente.
Aveva detto a Vargos di aver semplicemente preso con costanza i Soppressori e di non accusare alcun malessere per tale motivo, ma non era la verità e si odiava per non sapere cosa fare. In cuor proprio la pensava ancora come la sera in cui aveva detto ad Elimar chiaro e tondo di non avere paura di Olegov né della prospettiva di affrontare una gravidanza fino alla fine, ma ogni volta che guardava Vargos, ogni volta che erano insieme e lui evitava con cura di commettere lo stesso strafalcione di un mese addietro, leggeva nei suoi occhi la paura e l'ombra del dubbio. Vargos non aveva esperienza e questo era ben lungi dal corrispondere alla stupidità. Iniziava a sospettare qualcosa e prima o poi la questione sarebbe saltata fuori. Se anche Ariel avesse voluto nascondergli tutto, fra pochi mesi Elimar avrebbe notato un paio di cosucce tutt'altro che di poco conto, dettagli che neppure la felpa più larga del creato avrebbe potuto celare.

Senza volerlo si sfiorò l'addome, ma quasi subito scostò le dita e le serrò sotto il tavolo.

Crystal deglutì. «Un gran bel casino, Stronzilla» commentò, usando il soprannome che anche Ragos adottava per appellarsi, a volte, ad Ariel. Aguillard non se l'era presa e, anzi, ci aveva riso sopra e aveva fatto i complimenti ad Hawthorn per aver scelto un calzante nomignolo. «Se vuoi un parere, glielo devi dire. Che tu voglia tenere il marmocchio o meno, penso che Vargos abbia il diritto di sapere la verità. Insomma, che vorresti fare, sennò? Tacere finché lui non inizierà a vedere che te ne vai in giro con un bel pancione di otto mesi? Non è mica uno scemo.» Quei due stavano insieme e simili pastrocchi li si facevano in coppia, quindi era giusto che Vargos fosse quantomeno al corrente della situazione. Il resto spettava solo ad Ariel.

«Sono d'accordo» intervenne Casey. «E magari... diglielo il prima possibile, eh?» Aspettare non avrebbe giovato alla situazione e nessuno meglio del giovane Aguillard, come ricordò amaramente Leroin, lo sapeva.

Ariel annuì e basta, mordendosi a sangue il labbro inferiore e puntando con ostinazione altrove lo sguardo lucido. Aver parlato a Casey e a Crystal di quella cosa aveva infranto la flebile convinzione alla quale si era aggrappato, ovvero che si sarebbe svegliato e avrebbe scoperto che si fosse trattato di un semplice sogno particolarmente bizzarro e paradossale. Invece era reale. Era tutto vero e ovviamente doveva sbrigarsi a decidere, nonché a dire a Vargos tutto quanto. C'erano due strade e non gli rimaneva che percorrerne una.

«S-Sapete... ripeto da anni che non mi importa niente di avere dei figli, ma... ora... non so più cosa voglio o meno. Quando ho visto il risultato del test sono scoppiato a piangere e non sapevo se fosse per la frustrazione o per qualcosa del tutto opposto. Ci ho messo un po' prima di uscire dal bagno e convincere lui che il test fosse risultato negativo. Sia come sia... è il momento più sbagliato per metter su famiglia, lo ha detto Vargos stesso. Mi sono arrabbiato con lui, quella volta, ma in fin dei conti ha paura per me e quando... quando ho visto di nuovo quelle fotografie, quei corpi smembrati, per un attimo ho pensato a cosa potrebbe farmi Olegov se io decidessi di tenere il bambino e tutti venissero a sapere della gravidanza, del fatto che Vargos diventerà padre. Olegov lo vuole morto, quindi cosa credete sarebbe capace di fare a chi porta in grembo suo figlio? Insomma... n-non voglio finire come quelle persone, va bene? E poi... non so neppure se Vargos voglia in ogni caso avere un figlio dal sottoscritto, visto che non abbiamo più sfiorato l'argomento! Magari non gli importa nulla di avere dei marmocchi e io rischio di rovinargli la vita o di distrarlo! E se Olegov gli facesse del male mentre ha la testa altrove? A quel punto sarebbe solo colpa mia e di nessun altro.»

Crystal si strofinò la fronte. «Non è che tu abbia tutti i torti.»

«Così non lo aiuti, Crys.»

«Andiamo, Casey! Siamo nel bel mezzo di un casino colossale! Se anche Ariel volesse proseguire la gravidanza, non siamo sicuri che quel poveretto nascerebbe in una città sicura! Rischiamo tutti l'osso del collo e ha senso che Ariel abbia paura di fronte alla possibilità che Olegov venga a sapere di lui, di Vargos e del bambino! Hai visto cosa ha fatto a quelle persone! È palese che ci sia lui dietro a quegli omicidi rituali, santo Dio!» La sua irritazione sfumò un poco quando vide Ariel ricacciare indietro, con un enorme sforzo, un singhiozzo. Sospirò. «Per come la vedo io... non è un buon momento né per te né per Vargos. La scelta spetta a voi, ma questo è il mio consiglio» concluse.

Ariel distolse gli occhi dalla finestra. Fuori aveva iniziato a piovere e questo, da un certo punto di vista, lo faceva sentire meno solo e più vicino che mai alla natura, a quella silenziosa e arcana madre che forse temeva per la sorte di quella città e della loro specie sempre più vicina all'estinzione. Non disse niente, ma in cuor proprio aveva già preso una decisione.
Si alzò. «Grazie per la chiacchierata, ragazzi. Per ora ho solo voglia di andare a farmi un bagno caldo, ma più tardi chiederò a Vargos di vederci e gli dirò la verità.» Malgrado si trattasse di un sottile e piccolo riquadro di carta, il risultato della prima ecografia che si era recato a fare il giorno seguente al test di gravidanza sembrava pesare come in macigno dentro la tasca del suo soprabito.

Mentre montava in macchina e si accingeva a mettere in moto il motore, tuttavia, sentì il cellulare squillare; con una mano accostò il telefono all'orecchio e con l'altra condusse l'auto fuori dal parcheggio inserendosi nel traffico non troppo frenetico della strada. «E-Ehi» disse, augurandosi che Vargos non percepisse nella sua voce la leggera incertezza che la sfumava. «Senti, io...» si bloccò e lo lasciò parlare. «Oh, uhm... va bene, allora. Ti raggiungo lì.» Con aria meditabonda mise via il telefono e partì alla volta di casa di Vargos.

Sollevò il coperchio della piccola scatola di legno scuro e lucido, poi alzò gli occhi e li puntò nuovamente su Elimar, sbattendo le palpebre. «Cosa dovrei farci, esattamente?» Qualcosa gli suggeriva che il ciondolo presente là dentro non fosse affatto un regalo, bensì qualcosa con una funzione ben precisa e a lui ignota.

Vargos parve raccogliere tutta la forza d'animo di cui disponeva. «Vorrei che tu la indossassi, Ariel, e che lo facessi sempre, fino a quando non avrò visto di persona Olegov e il suo compare redivivo annientati per sempre.»

Aguillard si accigliò. «Chiedo scusa? Dico, l'hai visto? Sembra un cimelio che al massimo potrebbe essere il mio papà a portare, non di certo uno della mia età!» esclamò stizzito, riferendosi a River, il compagno di Ellis. «Mettitelo tu, per piacere!»

Vargos sospirò e alzò gli occhi al cielo. «Non devi indossarlo per vanità, ma per protezione.»

«Protezione di che? Da che cosa, anzi?»

«Lo sai bene da chi e da cosa. Per favore, mettitelo subito e poi ti spiegherò ogni cosa.»

«Uffa! E va bene, va bene! Ma giusto perché me lo hai chiesto con quei tuoi occhioni a calamita soliti!» borbottò inviperito Ariel, chiedendosi da quando Vargos avesse sviluppato un gusto così discutibile in fatto di ninnoli. Non che l'oggetto in sé per sé fosse pacchiano: una comune catenella d'argento cui era appeso un piccolo ciondolo ovale dentro il quale era incastonata una pietra lattiginosa dai riflessi cangianti. Poteva trattarsi, forse, di un opale, ma come Aguillard già aveva sentenziato, di sicuro sarebbe stato meglio addosso al suo papà.

A lui neppure piacevano i gioielli, a dirla tutta.

Sospirò e allargò le braccia teatralmente, lasciandole poi ricadere sulle ginocchia. «Fatto. Ora, per piacere, vuota il sacco.»

Vargos si fece coraggio e senza perdere la calma che lo contraddistingueva quasi sempre o quasi, domandò: «Perché non mi hai detto che il risultato del test era in realtà positivo?»

Ariel non fu in grado di comportarsi come aveva fatto con Casey, ovvero cercare di dissimulare, di negare. «C-Chi te l'ha detto?»

«Nessuno, Ariel. L'ho capito da solo.»

«E da cosa? Quando?»

«Hai presente quando siamo usciti, un paio di sere fa? Quando ti ho raggiunto in auto al ristorante, prima di scendere ti ho visto mentre osservavi una vetrina proprio dove erano esposti dei completi da neonato. Sai, tutine e tutto il resto. Poi... beh, ho notato che non bevi più il caffè né gli alcolici e che stai puntando molto sull'attività fisica e questo, mi sono detto, perché stai palesemente mangiando di più. Insomma, quella sera che abbiamo cenato fuori hai preteso il bis del dolce, tu che sei così attento alla linea. Ho semplicemente unito i punti, niente di più.» Notando che Ariel pareva sul punto di scoppiare a piangere come un ragazzino sorpreso a combinare una grave marachella mentre si torceva le mani, Elimar gli prese le dita fra le proprie. «Ascolta, va tutto bene, okay? Va tutto bene, Ariel. Lo so, quando... quando siamo stati insieme per la prima volta mi sono comportato male e ho reagito di impulso, ho dato retta alla paura, ma credimi... non è di un neonato che ho paura. Lo sai cosa mi spaventa e l'ultima cosa che desidero è vederti fare una brutta fine.» La stava tirando per le lunghe, ma per spiegare il motivo del suo insolito regalo doveva prima chiudere quella questione. «Io... ho sognato per anni di poter stringere le tue mani nelle mie come sto facendo in questo preciso momento. Per anni ho sperato che prima o poi tu decidessi di darmi una possibilità. So bene di non esser stato un granché nel cercare di guadagnarmi la tua attenzione e non averti corteggiato come avrei invece dovuto fare sin da quando ho capito che mi piacevi da morire, ma ora che il mio sogno più grande si è avverato non voglio che proprio Olegov lo distrugga. Non sarei capace di reggere a un colpo simile, lo dico con sincerità, quindi...»

Un respiro molto, molto profondo.

«Che tu voglia o meno tenere questo bambino, promettimi solo che porterai sempre al collo quel ciondolo e che non lo toglierai mai, neppure per farti una doccia o per andare a dormire. Mai, Ariel. Questo è l'unico modo in cui posso proteggerti, in cui posso proteggere entrambi voi anche quando sono lontano. Ti implorerei di andare altrove, di spostarti in un'altra città fino a quando le acque non si saranno calmate, ma so bene come la pensi e so che non accetteresti mai di scappare. Hai il diritto di restare qui per assicurarti che i tuoi genitori e i tuoi amici stiano bene, perciò l'unica soluzione possibile alla quale sono riuscito a pensare è quella che ora indossi.» Elimar accennò con il capo alla pietra. «Vedi quella? Sono stati Grayson e Idris a incantarla e solo dopo aver consultato Rebecca Dawson per assicurarsi che tutto andasse liscio. Ti renderà impossibile da rintracciare con la magia e ti farà da scudo da eventuali aggressioni, magiche o fisiche che siano. Sarai al sicuro ed è solo questo a contare per me.» Gli asciugò le guance. «Per me va bene se vuoi tenere il bambino, ma resta lontano dai guai.»

Ariel non fiatò e gli gettò le braccia al collo, singhiozzando sulla sua spalla mentre un sollievo senza precedenti lo invadeva poco a poco, spazzando via ogni paura, ogni certezza di quell'ultimo, sfiancante mese. Aver udito quell'uomo affermare di voler proteggere entrambi, sia lui che il bambino, era stato liberatorio. «Sì» mormorò fra le lacrime. «Sì, voglio tenerlo.»

Vargos annuì come a voler sentenziare che la discussione fosse ormai conclusa. Si scostò e lo guardò, sorridendo di sbieco. «Solo... quando sarà il momento... vedi di non insultarmi troppo, okay?»

Ariel roteò gli occhi. «Non faccio promesse che non posso mantenere, Elimar. Eviterò giusto di coinvolgere tutti i tuoi avi.»

«Beh, è già qualcosa.»

«Piuttosto... sai che pacchia, per i prossimi nove mesi! Non dovremo preoccuparci più di usare le precauzioni a letto!»

«Ariel!» si lamentò l'Alfa. «Non sai pensare ad altro?»

«Guardati allo specchio e ne capirai da solo il motivo, papà sexy.»

«Piantala» biascicò Vargos, arrossendo violentemente.  Squadrò il fidanzato e si accigliò. «Perché mi guardi in quel modo?» chiese, esitando. Rimase di stucco quando Ariel scivolò sopra di lui e gli si mise cavalcioni. «N-Non dovremmo parlare del perché...», l'indice di Aguillard lo zittì. «Parliamo del resto dopo. Ora, onestamente, voglio che il padre del mio futuro bambino mi riservi tutte le attenzioni che merito e di cui ho bisogno.»

Si privò del soprabito, poi del maglione nero e a collo alto, infine si slacciò i jeans e fece scivolare via da sé anche quelli. Ora che era seminudo, eccezion fatta per la biancheria in ogni caso aderente alle sue leggiadre e snelle forme, si riusciva eccome a intravedere un dolce e lieve incurvamento del basso ventre.
Vargos esitò, poi accostò una mano e la adagiò proprio sul grembo del compagno.

Suo figlio era là dentro, pensò, e lui sarebbe diventato padre. Lui che prima aveva vissuto nel terrore di rivelarsi pessimo nel crescere suo fratello e poi aveva finito per accantonare ogni sogno di costruirsi una famiglia per tante, troppe ragioni, avrebbe avuto presto altrettanti validi motivi per assicurarsi che quella città fosse un luogo sicuro nel quale far nascere il piccolo. Non voleva che suo figlio venisse al mondo mentre fuori dalle finestre dell'ospedale riecheggiava l'inferno in Terra, com'era purtroppo invece accaduto a lui e a suo fratello, così come ad Ariel. La storia non poteva ripetersi.

Se lo disse mentre baciava Ariel e lo ricopriva di attenzioni, mentre poi lo stringeva a sé e lui dondolava sopra le sue ginocchia, serrandolo in una calda e dolce morsa che ben presto, come al solito, indusse il suo cervello a svuotarsi d'ogni pensiero e a lasciarsi andare dal piacere che alla fine giunse, travolgendoli entrambi come una calda marea.

«Allora...» Ariel si accoccolò fra le sue braccia mentre giacevano sul divano stretti l'uno all'altro. «Di cosa volevi parlarmi?»

«In realtà... sì, ne so qualcosa» fu la risposta di Crystal quando Gray, dopo avergli riferito del favore che lui e Idris, con l'aiuto di Rebecca, avevano fatto a Vargos, gli domandò se fosse a conoscenza del motivo che aveva spinto Elimar ad adottare quel tipo di precauzioni per proteggere Ariel. «Che resti fra me e te, però, chiaro? Per il momento meno persone lo sanno e meglio è per tutti quanti.» Aveva visto l'espressione di Ariel, prima che questi se ne fosse andato dal locale, e non gli era sembrato uno intenzionato a interrompere una gravidanza. Tutt'altro, anzi. «Probabilmente Vargos sa già che Ariel è gravido, Gray, e per tale ragione ha voluto ricorrere al ciondolo protettivo che tu e Idris avete incantato per lui. Tuttavia... la domanda è perché sia così convinto che Olegov potrebbe far del male ad Ariel, se venisse a conoscenza del bambino.»

Grayson era sorpreso, eppure... non così tanto. «Ora capisco come mai Ariel è un po' strano, in questi giorni. Quando... insomma, quando sono andato in farmacia per prendere i Soppressori per te, l'ho incrociato e stava chiedendo al farmacista se vi fossero dei rimedi per la nausea mattutina. Ho pensato che fosse per via dei sintomi del calore, ma ora... beh! Tutto ha molto più senso.»

«Credo che terrà il marmocchio» fece Hawthorn.

«E tu disapprovi» osservò Gray, tra il serio e il faceto.

«È solo che penso che sia una mossa troppo azzardata e rischiosa. Ariel non è esattamente il tipo di persona che durante uno scontro se ne resterebbe in panchina a guardare gli altri farsi malmenare, non so se rendo l'idea. A fronte di ciò mi domando come diamine possa voler combattere mentre ha un passeggero a bordo!»

«Beh... se ti riferisci alle metamorfosi proprie degli Alphaga, in teoria anche chi è in dolce attesa può trasformarsi, solo che... non è molto consigliabile farlo in gravidanza, tutto qui.»

«E perché mai?»

«Ho studiato l'argomento e pare che sottoponga il feto a uno stress non indifferente. Poni che Ariel si trasformi fra... diciamo tre mesi o quattro, quando il feto è in piena fase di sviluppo. In sostanza, se lui assume la sua forma animale, allora lo farà anche il suo bambino perché condividono un rapporto simbiotico. Questo, naturalmente, non è esattamente un bene per una vita che non ha ancora cessato di svilupparsi. Se Ariel è un puma e suo figlio, tra anni a venire, dovesse rivelare di avere sembianze animali simili o addirittura uguali, allora il feto, ora, passerebbe da uno stato all'altro.»

«Mi stai dicendo che se Ariel si trasforma, si trasforma pure il feto correndo il rischio di subire danni durante lo sviluppo?»

«Esattamente. In passato ci sono stati molti casi di gravidanze incompiute, di aborti spontanei o malformazioni lievi o molto più gravi a danni del neonato: qualcuno veniva al mondo con la coda o persino con delle ali od orecchie da animale, altri invece... come dire... avevano problemi agli organi interni o erano proprio deformi.»

Crystal era decisamente scombussolato davanti a quel tremendo quadro. «Porca puttana. Ora capisco come mai Ariel non ha affrontato la metamorfosi, durante la luna piena.»

«Probabilmente nutriva già dei sospetti sulla gravidanza e ha preferito non correre rischi.» Gray sospirò. «Se Ariel dovesse comunque scegliere di lottare, penso che a modo suo riuscirebbe comunque a cavarsela. Se Olegov si farà vivo, non avverrà di certo fra sei mesi. Succederà decisamente prima.»

«Non lo puoi sapere.»

«Invece possiamo dirlo eccome, Crys. Pensaci: ha trovato Demetrius e forse lo ha liberato; ha dalla sua persone disposte a uccidere chiunque lo ostacoli. Di cos'altro potrebbe aver bisogno per attaccare Mythfield?»

«Non fa una piega.» Crystal si scompigliò la chioma. «Spero solo che Olegov non la tiri per le lunghe e che non si sparga in giro la voce della gravidanza di Ariel.» A fronte di quanto si era scoperto sulle malefatte di quel pazzo, riguardo a tutti quei delitti a scopo rituale, un dubbio lo tormentava. Non un dubbio, anzi, ma un'ipotesi. «Olegov sta facendo una macabra collezione di vittime innocenti. Insomma... uccide persone ben precise e se ne va portandosi dietro un orrendo trofeo, giusto?»

«Quindi?» incalzò Gray.

«Quindi, se colleghiamo tutto ciò all'ipotesi di Idris, ovvero alla magia nera che sfrutta il sangue delle creature più innocenti che esistano, creature che non sono ancora neppure state contaminate dal mondo e, secondo strambi dettami ancestrali, sono ancora in un certo senso connessi alla Natura, un tutt'uno con essa e con il mondo spirituale, immagino che per quel folle sarebbe un piacere aggiungere il figlio del suo principale oppositore alla schiera di vittime sacrificali. Se Idris ci ha visto giusto, si tratterebbe di un'offerta simbolica potente. Anime pure e incontaminate che di certo farebbero gola a Lykos, specialmente se parliamo di un Elimar, di un bambino di sangue nobile che discende da una stirpe molto antica e rispettata.» Esalò un sospiro tremante. «Scommetto che anche Emery faceva parte del disegno. Anche il suo fu un assassinio non solo punitivo perché si era unito a uno strego, ma anche a scopo sacrificale. Volevano morti entrambi, ma lui non l'ha data vinta ai suoi assassini e mi ha salvato, rompendo in un certo senso il cerchio perfetto che all'epoca stavano provando a creare. Ecco perché mio padre, poi, ha deciso di portarmi via, di tenermi nascosto. Se è vero cosa mi ha detto su di lui Rebecca, allora era abbastanza sveglio da aver magari intuito il reale scopo dell'aggressione subita da Emery. Olegov voleva me sin dall'inizio perché provenivo da una famiglia importante e anche se da un lato, ai suoi occhi, ero un abominio, dall'altro restavo pur sempre una creatura miracolosa. Un uccello raro. Dion ha provato a tenermi lontano da lui, da tutto quanto, ma alla fine deve aver fallito e Stefan mi ha rintracciato e poi... beh, ha scoperto in qualche maniera che ero un Indigo e il resto è storia. Dion doveva farsi da parte e smettere di ostacolarlo.»

Gray gli strinse una mano. La sua era una stretta intensa, certo, ma al tempo stesso gentile e delicata. Crystal la ricambiò e concluse: «Appena ha capito che ero in assoluto un Indigo ha deciso che avrei avuto una parte ancora più importante. Voleva che fossi uno di loro: Casey, Caelan e tutte le altre sue vittime. Solo io e Casey ce l'abbiamo fatta a sgusciare dalla sua presa mortale. Non so se questo ci renda due sopravvissuti o due poveri disgraziati condannati a una punizione tremenda per esserci ribellati.» Sospirò. «Sai... se proprio vuole ammazzarci... preferisco che prenda me perché vivere sapendo che tre bambini sono stati resi orfani da quel mostro, proprio come è accaduto a me, sarebbe insopportabile.»

Jennings, a tali parole, lo prese per le spalle e lo fece voltare per guardarlo dritto in faccia. «Crys, ripeti insieme a me: nessuno morirà. Mi senti? Nessuno

Hawthorn non ribatté e si limitò a volgere lo sguardo da un'altra parte prima di scostarsi e sfiorare un braccio a Gray a mo' di carezza. «Vargos ha decisamente ragione a temere che la voce della nascita di un nuovo membro della sua famiglia giunga fino alle orecchie di Stefan Olegov. Significa che Ariel, per altri nove lunghi mesi, se ne andrà in giro portandosi dentro un autentico bersaglio che Olegov non mancherà di centrare, se gli verrà data la possibilità di prendere la mira» aggiunse, tornando al discorso iniziale e chiudendo la parentesi su se stesso e su Casey per evitare di infierire sull'ottimismo incrollabile di Grayson che non sapeva riconoscere una tragedia annunciata neppure se questa avesse ballato davanti a lui nuda e con un cappello di sonagli in testa. «Gli Aguillard sono un'altra famiglia molto importante di Mythfield. Da quel che ho scoperto curiosando nella storia dei clan principali della città, ho capito che un tempo erano di alto lignaggio, ma poi, un po' come i Leíron che divennero in seguito i Leroin, caddero in rovina. Sembra che uno degli eredi contrasse un matrimonio con una persona che non era della medesima estrazione sociale e questo, agli occhi dell'opinione pubblica dell'epoca, risultò talmente scandaloso da condannare gli Aguillard a una specie di retrocessione, portandoli a divenire al massimo un clan borghese.» Mentre parlava recuperò le chiavi dell'auto e si accese una sigaretta, tornando a guardare Gray. «Quel che è veramente curioso, tuttavia, è il loro stemma araldico.»

L'altro strego si accigliò. «Perché? Che cos'ha?»

«Magari lo sapessi! Non era presente nei registri che ho consultato. Forse venne cancellato quando la famiglia cadde in disgrazia, forse invece c'è dell'altro sotto, quindi voglio vederci chiaro. Mi accompagni dallo sceriffo e consorte? Oggi ha la giornata libera, perciò potrò scambiarci quattro chiacchiere senza troppe rotture di scatole.»

Gray sospirò e lo seguì fuori. «Non ti pare un po' brutto disturbarlo proprio quando magari vorrebbe riposare e trascorrere del tempo con... non lo so, con la famiglia o guardarsi in santa pace una bella partita di basket alla televisione?» si permise di chiedere, incerto se fosse buona educazione o meno rompere l'anima al signor Aguillard proprio quel giorno.

Crystal lo squadrò. «Qui non si tratta di lui, Grayson. Si tratta di non tralasciare neppure mezzo dettaglio di una faccenda che puzza di bruciato da qui fino all'Arkansas. L'araldica ha un ruolo fondamentale nel quadro di Olegov, proprio come la genealogia di tutti coloro che sono coinvolti nella questione. Se c'è qualcosa di particolare nell'antico stemma degli Aguillard, allora dobbiamo saperlo. C'è in ballo la sicurezza di Ariel.»

Quando finalmente qualcuno venne ad aprire loro la porta, per un attimo entrambi si convinsero di star guardando Ariel e che egli, magari, fosse andato a trovare i genitori, ma poi si resero conto che non poteva essere lui: per quanto spaventosamente simile al ragazzo, pareva comunque una sua versione meno giovane e, tra l'altro, non aveva gli occhi verdazzurri, bensì di un particolare e caldo color nocciola chiaro. I capelli biondi e striati, qui e là, di una gradevole tonalità d'un pallido argento, erano assai più corti di quelli di Ariel, con la scriminatura sistemata su di un lato; pettinati all'indietro a quel modo, il viso avvenente e raffinato era protagonista indiscusso dello splendido quadro. In poche parole, pareva quasi che Ariel fosse stato messo al mondo tramite partenogenesi o clonazione, tanta era la spiazzante somiglianza fra di loro. Forse Ariel, tuttavia, aveva un che di maggiormente severo nel viso e gli occhi coloro acquamarina dal taglio felino di certo li aveva ereditati dallo sceriffo.

Davanti a loro, ad ogni buon conto, v'era lo sposo di Ellis, River, come scoprirono subito dopo esser stati accolti in casa ed essersi presentati a loro volta. «Ariel parla spesso di voi e, in generale, dei suoi amici» disse poi il signor Aguillard, osservando Crystal come se vederlo avesse suscitato in lui delle forti emozioni. «Perdonami, Crystal, ma... somigli davvero tanto a Emery» ammise. «Ed è un po' strano vederti dopo tanti anni e ormai adulto.»

Ancora una volta Crystal avvertì un vuoto allo stomaco. Era logorante sapere di aver conosciuto tante di quelle persone, ma di non poter ricordarle perché, all'epoca, era solamente un neonato appena rimasto orfano di un genitore e affidato a un padre ancora in stato di shock. Era la prima volta, poi, che qualcuno apertamente sottolineava la sua somiglianza con Emery ed era strano sentirselo dire. Non nel senso brutto del termine, solo... strano. Era strano sapere di somigliare a qualcuno che non aveva potuto conoscere; qualcuno che, a sua volta, non aveva potuto reggerlo fra le braccia neanche per guardarlo una prima volta, per accoglierlo nel mondo dopo che era stato tanto desiderato e atteso, dopo che era andato quasi perduto prima ancor di venire alla luce.
Per un secondo, soltanto uno, riuscì quasi a figurarsi la dolorosa e angosciante scena: Dion che cercava di far meno danni possibili mentre lo estraeva dal corpo di un Emery agonizzante che di certo aveva sofferto come un cane per tutti i restanti attimi della sua breve esistenza. Gli parve di vedere gli occhi morenti e color lillà di Emery cercare disperatamente di cogliere, perlomeno, un piccolo e ultimo scorcio di lui, Crystal.
Fino ad allora aveva volutamente evitato di spaziare con la mente sulla figura nebulosa e impossibile da raggiungere di Emery, ma negli ultimi giorni, invece, si era ritrovato a pensare spesso a quel ragazzo e a vergognarsi per essersela presa, inizialmente, con lui. Gli aveva dato dello stupido per essersi sacrificato, per averlo consegnato, proprio come poi aveva fatto Dion, alle grinfie di un mondo spietato, ma la verità era una e una soltanto: aver scoperto di come fosse venuto a mancare Emery gli aveva fatto male. Talmente male che aveva preferito odiarlo, anziché affezionarsi ai meri ricordi di altre persone.

La sua espressione non doveva essere delle migliori, comunque, e River gli rivolse un palesemente mortificato sguardo di scuse. «Perdonami, non era mia intenzione rattristarti.»

«N-No, signor Aguillard, non è questo. È solo che...»

«Lo capisco, tranquillo.»

«Anche lei era in squadra con Emery ed Ellis?» si riprese allora Crystal, non volendo perdere l'occasione adatta per sapere qualcosa in più sull'altro genitore.

River soffocò una risata e scosse la testa. «Oh, decisamente no! Ero nella sua cerchia di amici, vero, ma lo sport non faceva proprio per me, soprattutto il calcio. Troppi capitomboli a terra e per giunta avevo il terrore che mi si sarebbero storte le gambe a furia di giocare! Preferivo dedicarmi ad altro.»

«A cosa?» intervenne Gray, incuriosito.

«Beh... contavo di approfondire le mie conoscenze nel campo musicale. Suonavo il violoncello e molti mi dissero che avrei potuto fare carriera, tuttavia... a maggio del Novantadue feci ritorno a Mythfield per prendermi una pausa e passare soprattutto del tempo con Ellis. Eravamo fidanzati dal liceo e ci eravamo sposati da poco. Lui mi spronò a seguire le mie ambizioni, ma... beh, il diciassette marzo dell'anno seguente mi trovavo di nuovo qui e alle sei del mattino diedi alla luce Ariel. Scelsi di mettere da parte il sogno di una carriera da musicista e rimasi qui per prendermi cura di mio figlio e assicurarmi che mio marito uscisse sano e salvo dalla guerra che si era scatenata nel frattempo. Ellis voleva che me ne andassi con Ariel, ma non volli farlo.» Notando lo sguardo dei due, River si strinse nelle spalle.
«So cosa può sembrare, ma fu una scelta mia e del tutto indolore. Non ho mai avuto rimpianti.»

A parte uno, pensò addolorato il compagno dello sceriffo. A volte accadevano cose che davvero spingevano a riflettere su quanto una semplice parola, una scelta di per sé banale e scontata, potessero determinare il destino di qualcuno. «Io fui l'ultimo a vederlo vivo» disse a Crystal. «Emery, intendo. Ricordo che quel pomeriggio mi telefonò e mi chiese di raggiungerlo perché, non potendo compiere troppi sforzi, doveva rimanere a riposo, ma aveva bisogno di svagarsi e di parlare con qualcuno. Dion aveva dovuto lasciare la città per degli impegni legati alla sua occupazione e non sarebbe tornato prima di tarda sera. Rimasi con lui, parlammo, scherzammo. All'epoca era convinto di aspettare una bambina. Errore comprensibile, immagino, ma lui già da allora mi disse che ti avrebbe chiamato Crystal. Sai... uno dei suoi film d'infanzia preferiti era Dark Crystal e il nome in questione gli era rimasto talmente impresso da voler darlo ad almeno uno dei suoi figli. Ariel era con me e si rivolgeva ad Emery chiamandolo "zio", anche se non eravamo davvero imparentati con lui.»

Crystal quasi fu sul punto di sorridere lievemente udendo quel curioso aneddoto dietro alla scelta del nome che gli era stato dato. Non si sarebbe mai immaginato una motivazione così banale e tenera al tempo stesso, ma in fin dei conti si stava pur sempre parlando di un giovane padre, di un ragazzo di ventun anni che, seppur sposato, di sicuro doveva aver avuto molti interessi e svaghi, uscite con gli amici e via discorrendo. Ancora una volta provò vergogna verso la propria superficialità nell'aver relegato Emery alla semplice figura della persona che gli aveva dato la vita. Senza volerlo si era quasi ridotto allo stesso livello di Olegov e limitato a pensare al giovane Lilrose come a un'incubatrice vivente, non una persona a tutto tondo, e se ne doleva profondamente. Emery era stato molto di più: era stato un compagno, un amico, un figlio, un cugino e tanto altro ancora. Aveva vissuto, non era stato semplicemente qualcuno di passaggio, una figura ai margini del campo visivo, e lui si era talmente concentrato sui propri sentimenti circa la storia tragica dietro agli eventi di ventidue anni addietro da essersi completamente scordato del dolore provato da tante altre persone, in primo luogo dai suoi nonni, quelli che aveva detto a Vargos di non sentirsela ancora di incontrare.
Si domandava, anche, che fine avessero fatto i parenti di Dion Hawthorn. Doveva per forza averne avuti, ma se erano ancora vivi, allora non dovevano esser stati in buoni rapporti con lui, dato che nessuno li aveva mai citati nemmeno per sbaglio.

Magari, invece, non ne aveva avuti, proprio come lui. Magari Dion era cresciuto a sua volta senza una famiglia, ma questo stonava con quanto narrato da Rebecca. Le accademie per streghi erano prestigiose e costose, non solo rinomate e una tappa obbligatoria per tutti coloro che volevano poi condurre una vita decente e soprattutto evitare di incendiare qualche palazzo senza volerlo.

Li aveva cercati, quei parenti, ma fino ad allora non aveva mai scoperto nulla sul resto della famiglia Hawthorn e forse sarebbe sempre stato così. Forse non avrebbe mai conosciuto tutto ciò che i suoi genitori erano stati da vivi e i soli che avrebbero potuto rispondere alle sue domande, purtroppo, tacevano oramai da più di vent'anni sotto delle gelide lapidi e nel grembo della nuda terra.

Un paio di volte si era recato a far visita alla tomba di Dion, ma poi aveva smesso di andarci quando si era reso conto che quella silenziosa e piccola fotografia mai avrebbe potuto dargli il conforto di cui aveva bisogno. Aveva cessato di immaginare una vita parallela in cui suo padre era ancora vivo e al suo fianco quando, cercando di parlare a quella lapide come se Dion potesse ancora sentirlo, non aveva mai ricevuto una sola parola in cambio. Quando, il giorno in cui si era recato al cimitero per l'ultima volta, aveva salutato suo padre, si era ritrovato a restare dove si trovava, ad attendere, per puro riflesso, un ‟ciao" o un ‟ti voglio bene, figliolo" che puntualmente non erano arrivati. Era stato allora, solamente allora, che aveva capito di essere davvero solo, di essere un orfano e che lo sarebbe rimasto a vita. Solo in quel preciso momento aveva sentito il cuore spezzarglisi nel petto e la definitiva consapevolezza della realtà travolgerlo come un treno. Aver visto quella tomba e aver scioccamente sperato in un ultimo incontro con suo padre gli si era ritorto contro. Anziché farlo sentire in pace, aiutarlo ad accettare come stavano le cose, lo aveva solamente riempito di rabbia fino all'osso.

Memore di tutto ciò, aveva impedito categoricamente a se stesso di recarsi al cimitero di Mythfield per vedere, se non altro, dove fosse stato tumulato il corpo martoriato di Emery. Né lui né Dion c'erano più e di certo non li avrebbe ritrovati ai piedi di una lapide o chiudendosi nel mondo dei sogni e gettando via la chiave della porta oltre la quale si celava la vita reale. Loro non erano là sotto, non erano dentro delle scatole di legno e il loro spirito di sicuro non aleggiava tra le cavità dei loro scheletri.

Forse aveva ragione Gray a dire che avrebbe potuto trovarli solamente guardandosi allo specchio e guardando, soprattutto, dentro di sé. L'unica prova tangibile della loro esistenza era rappresentata da lui e lui soltanto. Indugiare nei sogni, nei ricordi e nel costante recriminare non serviva a niente né gli avrebbe restituito i suoi genitori.

«Quindi... lei era lì con lui» commentò. «Non si verificò nulla di strano, dunque, prima... insomma, prima di quella notte?»

«No, fu un pomeriggio tutto sommato tranquillo, per quanto potesse esserlo all'epoca con quella dannata guerra e... i sempre più frequenti atti di intolleranza verso chi, come Emery, aveva compiuto delle scelte non consuete» replicò River. «Emery mi raccontò che lui e suo marito avevano trovato, una mattina, la porta di casa imbrattata di sangue. La macabra scoperta era sembrata loro tutt'altro che uno scherzo di pessimo gusto e so che Dion, in un primo momento, non era stato così sicuro di lasciare da solo Emery, ma lui lo tranquillizzò dicendo che se avesse avuto bisogno di aiuto, non avrebbe esitato a chiamare qualcuno. Col senno di poi credo che quello fosse stato per entrambi una specie di avvertimento e quando fu il momento di tornare a casa, dopo aver udito di quell'inquietante storia, insistei per rimanere lì con lui. Non era la prima volta che accadeva e di serate assieme ne avevamo passate tante, essendo amici, ma rispose che non dovevo preoccuparmi e che non aveva in ogni caso paura di quella gente bigotta. Qualche ora dopo, tuttavia, venni a sapere che era morto e non mi sono mai perdonato per non aver insistito a restare a casa sua. Mi sono domandato se avrei potuto aiutarlo o se quei delinquenti, vedendo che non era da solo, avrebbero scelto di desistere dai loro propositi. Come sempre quando accadono simili tragedie... tanti "se" e troppi rimpianti.»

Crystal deglutì a fatica. «Non deve sentirsi in colpa, signor Aguillard» disse con voce flebile. «Probabilmente Emery, senza saperlo, quella sera le salvò la vita. A lei e a suo figlio. Non c'è nulla di cui incolparsi. Due vite sono state risparmiate. Mi creda, non si sarebbero fermati comunque e a quest'ora lei e Ariel sareste morti come Emery.» Riusciva a immaginare di quale tenore fossero stati i pensieri di River in seguito alla tragedia ed era normale che si fosse sentito in qualche modo responsabile di essa, come se non avesse fatto niente per impedirla, ma non era così. Nessuno avrebbe potuto salvare Emery, quella era la verità. Per Olegov la sua sentenza da tempo era stata decisa e quel mostro avrebbe fatto lo stesso in modo di assicurarsi che venisse eseguita, così come di spazzare via chiunque avesse provato a mettersi in mezzo.

River trattenne un lungo sospiro e forzò un debole sorriso. «Sante parole, ma a volte vorrei aver fatto una scelta diversa. Sarebbe stato meglio del dover convivere con questo terribile dubbio.» Mosse una mano come a voler scacciare la questione e scosse il capo. Era chiaro che per lui ricordare fosse doloroso e per Crystal, il non poter farlo, fosse addirittura più crudele. Entrambi, a modo loro, furono grati a Grayson che intervenne e parlò con gentilezza: «Signor Aguillard, suo marito è in casa? Dovremmo fargli alcune domande».

Aguillard osservò i due e con fare ansioso chiese a propria volta: «È successo qualcosa, ragazzi?»

«Nulla, stia tranquillo, ma si tratta in ogni caso di una questione importante e anche abbastanza urgente» spiegò Crystal.

River li guardò dispiaciuto. «Purtroppo Ellis non è in casa, al momento. Sapete... stasera Ariel verrà a cena e lo farà in compagnia di Vargos. Ovviamente sappiamo che si stanno frequentando, ma questa è la prima volta che Ariel di sua spontanea volontà decide di organizzare una serata di questo tipo, quindi voglio che sia tutto perfetto e ho chiesto a mio marito di andare a comprare un po' di cose per preparare una cena speciale. Non so cosa volevate chiedergli, ma se posso aiutarvi... beh, sarò ben lieto di farlo.»

I due streghi non poterono non sudare un po' freddo. Era chiaro il motivo dietro a quell'insolito comportamento da parte di Ariel: di sicuro voleva parlare ai genitori della gravidanza e farlo con l'aiuto di Vargos, visto che quest'ultimo era pur sempre il padre del bambino e il suo attuale fidanzato. Crystal si augurava solo che i signori Aguillard non fossero persone all'antica e che lo sceriffo non avrebbe deciso di usare il povero Elimar per far pratica con la mira del fucile.

«Oh...» fece, provando a mantenere un comportamento del tutto innocente. «Beh, allora... dev'esserci qualcosa di serio fra quei due, se stasera verranno a cena da lei e da suo marito!»

River sorrise. «Non nascondo che sarei la persona più felice del mondo nel sapere che stanno costruendo un rapporto serio. Conosco Vargos da quando è nato e so che è un ragazzo con la testa sulle spalle. È ciò di cui Ariel potrebbe avere bisogno, quindi... spero che questa serata si riveli piena di sorprese!»

«Sicuramente sarà così» disse Grayson, guadagnandosi una stritolante stretta al braccio da parte di Crystal che camuffò il gesto come meglio poté. Solo a quel punto Gray capì di aver quasi tradito la copertura di Ariel e di Vargos, benché avesse parlato senza riflettere e senza capire che in tal modo, a posteriori, la sua risposta sarebbe apparsa decisamente sospetta e sibillina.

Per fortuna River non parve subodorare nulla e se anche non fosse stato così, non lo diede comunque a vedere. Crystal si sbrigò a fare un tentativo e a chiedere informazioni sulla famiglia di Ellis: «Signor Aguillard, lei... lei per caso sa qualcosa sullo stemma araldico della famiglia di suo marito? Insomma... non ho potuto non notare, nei vecchi registri cittadini che parlano dei principali e antichi clan di Mythfield, che il simbolo degli Aguillard non sia presente da nessuna parte. Come se fosse stato rimosso».

River batté le palpebre, sinceramente colpito e preso alla sprovvista. «Perdonami, ma è una domanda piuttosto... uhm... bizzarra.»

«Lo so, ma... visto e considerato che sto indagando sulla questione di Olegov e del perché ce l'abbia tanto con questa città e con le sue principali famiglie fondatrici, mi piacerebbe avere un quadro abbastanza completo della situazione. Può aiutarmi?»

Il signor Aguillard esitò. «Non ne so molto» ammise. «Insomma... si tratta della famiglia di Ellis, dopotutto, e si sa: chi non discende direttamente da quei nuclei famigliari non ha accesso a tutte le informazioni su di esse, neppure se si tratta di un consorte.»

Gray si accigliò. «La sua famiglia non appartiene a quella categoria?» chiese.

River sbuffò una risata. «Oh, no, affatto! Tutt'altro, anzi! La mia era una famiglia... beh, normale o quasi. Non era molto abbiente, per la verità, e i miei genitori hanno compiuto davvero molti sacrifici per permettermi di studiare. Volevano che fossi emancipato e non reagirono molto bene quando dissi loro che avrei abbandonato gli studi per dedicarmi alla cura di un figlio e a tenere in ordine la casa. Quelli di Ellis furono scontenti sin da subito del matrimonio fra lui e me. Erano... come dire? Davvero all'antica e avrebbero voluto qualcuno che fosse, secondo loro, all'altezza di Ellis. Lui non volle saperne di lasciarmi e al giorno d'oggi noi e loro non ci rivolgiamo la parola quasi per niente. A malapena conoscono Ariel e visto che su di lui circolano voci non sempre lusinghiere, non si sono sforzati più di tanto di voler conoscerlo meglio. Una delle poche volte in cui lo videro dissero che sarebbe stato dozzinale almeno quanto me, da grande, ma lasciai perdere. Sono fiero di lui, anche se a volte commette degli sbagli ed è impulsivo proprio come suo padre.» L'Omega fece un respiro profondo. Non aveva visto molte volte suo figlio, di recente, e lo angosciava un po' sapere che stava indagando a fondo nella questione di Olegov e che fosse fra quelli più agguerriti nei riguardi di quell'orrido individuo. «So solo questo sugli Aguillard: ormai è molto, molto tempo che non rientrano più canonicamente tra le famiglie di alto lignaggio di Mythfield. Più o meno... beh... da un secolo o mezzo. Quanto alla mia, di famiglia, mi fu raccontato, una volta, che almeno due miei antenati, secoli fa, prestarono servizio come domestici proprio presso gli Elimar dell'epoca. Non so cosa penserebbero gli antenati di Vargos, oggi, se sapessero che un loro discendente frequenta una persona che in parte deriva da una famiglia di sguatteri che un tempo furono loro servi.»

Quello sì, pensò Crystal, che era davvero ironico. «Ariel tiene molto a Vargos, signor Aguillard» disse, quasi di impulso. «Una volta stavamo parlando, io e lui, proprio della questione e... gli ho letto negli occhi che era così. È questo a contare. I tempi sono cambiati e ormai sono tutti uguali, no?»

River sorrise appena e con un velo di gratitudine nello sguardo, come se le parole di Crystal gli avessero realmente infuso speranza. Amava davvero il figlio, lo si vedeva chiaramente, e Ariel doveva aver dato a lui e ad Ellis non pochi grattacapi e mal di testa nel corso degli anni, tanto da farli preoccupare. «Grazie per le tue parole, Crystal. È bello sapere che tu e Ariel stiate legando. Voglio dire... ti ha conosciuto solo per modo di dire, visto che non eri ancora nato e che lui era talmente piccolo da non ricordare, oggi, neanche Emery e Dion, ma è commovente che alla fine le cose, in un modo o nell'altro, si stiano sistemando.» Fece una pausa. «Ad ogni modo... Ellis mi ha raramente parlato della sua famiglia e di come fosse stata nel suo periodo d'oro, ma so questo: in parte furono guardati con un velo di riserbo sin dal principio proprio per via dello stemma che loro, comunque, fieramente mostravano.»

Gray sentì il cuore accelerare, convinto che ormai la verità fosse vicina. «E sa dirci di cosa si trattava? Quale fiore era rappresentato nello stemma?»

River ci pensò su, poi scosse il capo. «No, Ellis non volle dirmelo. Si giustificò, quella volta, dicendo che a parer suo avesse soltanto portato sfortuna e guai a non finire alla sua famiglia. Un fiore che nessun altro clan si sarebbe mai sognato di ostentare proprio in un contesto dove la prima impressione contava più di qualunque altro dettaglio. Portava male, questo mi disse, e non volle aggiungere altro, se non di essere paradossalmente contento che gli Aguillard fossero decaduti, visto che la ricompensa era stata la cancellazione del loro stemma dall'Albo Araldico dei Fondatori di Mythfield. In quanto al resto, alla famiglia di mio marito, l'unico evento bizzarro che si è verificato ormai un bel po' di tempo fa è stata la fuga del fratello maggiore di Ellis dalla città. Ariel ne sa meno di me sull'antico stemma di famiglia e forse... è meglio così. Si tratta di un passato ormai dimenticato e inutile da rivangare, e già parecchia gente continua a sparlare abbastanza per via di suo zio.»

I due streghi drizzarono le antenne alle ultime parole dell'uomo. «Che intende dire, signor Aguillard? Ariel ha un altro zio?» Non risultava loro che il ragazzo avesse altri parenti, a parte quelli di cui aveva già parlato, ed era ovvio che River stesse parlando di qualcun altro, di un Aguillard rimasto nell'ombra.

River si strinse nelle spalle. «Beh, Ellis non è figlio unico. Credevo lo sapeste» ribatté, realmente sorpreso nel constatare che fossero all'oscuro di qualcosa di cui in verità si continuava ancora a spettegolare. «Si chiamava Aster e aveva ben dieci anni in più di lui. Onestamente lo ricordo davvero poco, ma ricordo che rimasero tutti di sale nel venire a sapere che era fuggito di casa, per giunta senza dire niente a nessuno, neppure ai propri amici, e lasciando Ellis con dei genitori tutt'altro che amorevoli e presenti. Solitamente non parlo male del prossimo e sono convinto che vi sia del buono in tutti quanti, ma quei due...! Sono i miei suoceri e fidatevi quando vi dico che la miglior cosa che abbia mai fatto mio marito sia stata di chiuderli fuori dalla vita sua, mia e di nostro figlio. Non mi sorprende che Aster, forse non facendocela proprio più, in un attimo di cedimento e di debolezza abbia deciso di andarsene e di tagliare i ponti con loro per sempre. Mi dispiace solo per Ellis, visto che si volevano davvero bene ed erano uniti, come fratelli, ma suppongo che a volte sia inevitabile dover compiere delle scelte da egoisti, pur di esser liberi.»

Non ne sapevano assolutamente niente, pensò Crystal, scosso. «E... questo Aster non si è mai più fatto vivo neanche con suo marito? Se davvero gli voleva bene, allora avrebbe potuto almeno mantenere i contatti con lui» si permise di osservare. «Non ha molto senso, signor Aguillard.»

In tutta sincerità trovava quella sparizione bizzarra e anomala, così come quel lungo silenzio da parte di un fratello in teoria affettuoso, un ragazzo che a dire di River avrebbe avuto tanti amici ai quali poter rivolgersi prima di pensare a una fuga estrema per far perdere di sé ogni traccia. Se era giunto a tanto, allora doveva esser accaduto qualcosa di davvero spiacevole fra le mura domestiche degli Aguillard. Qualcosa che aveva indotto Aster a non voler più saperne niente.

Si chiedeva se ci fosse un modo per cercare di rintracciarlo, seppur a distanza di così tanti anni. Magari avrebbe potuto fargli qualche domanda sul resto della famiglia e i retroscena legati ad essa. River, però, sembrò leggergli quasi nel pensiero e gli disse, con aria rattristata: «Ellis ha già tentato di rimettersi in contatto con lui, di trovarlo. Non ha mai ottenuto risultati decenti, purtroppo, e a oggi tutto ciò che ha di Aster è solo il suo lungo silenzio durato tanti, troppi anni. Ha dovuto arrendersi e andare avanti. Non so quanto potrebbe servire concentrarsi su Aster e non penso lui sia coinvolto nella questione di Olegov, francamente. Aster aveva sedici anni, quando se n'è andato di casa, e all'epoca, precisamente quarant'anni fa, Stefan Olegov non si trovava nei paraggi né era così conosciuto e famigerato qui in città. E comunque... per Ellis sarebbe doloroso rievocare tutto quanto.»

Crystal e Gray si scambiarono un'occhiata inquieta. In qualunque modo stesse la verità, non erano granché certi che il signor Aguillard avesse ragione: qualcosa in cui scavare c'era eccome e presagiva d'essere piuttosto torbido, dato che si era addirittura guadagnato l'oblio dei posteri. La storia di Aster Aguillard, poi, era davvero troppo strana e piena di contraddizioni, di punti di domanda rimasti privi di risposte. Una persona non poteva semplicemente svanire nel nulla così e se anche Aster vi fosse riuscito, doveva averlo fatto per ragioni sacrosante. Ragioni che tutti e due sentitamente speravano non fossero collegate al loro nemico numero uno.

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