𝐗𝐈𝐈𝐈. 𝐏𝐫𝐨𝐯𝐢𝐚𝐦𝐨𝐜𝐢
«Fra tutti i posti possibili che avresti potuto scegliere, hai deciso di venire proprio qui.» Ragos scosse la testa e fece uno sprezzante verso nasale. «Certo che sei proprio uno stronzo fatto e finito, Hawthorn.» Lanciò un'altra occhiata alla giovane coppia in lontananza impegnata nel trascorrere una serena mattinata al parco in compagnia della figlioletta. Era un miracolo che Elimar avesse gli occhiali da sole, se non altro celavano la sua chiara avversione per scene del genere.
Crystal gli ficcò in mano la tazza bollente di caffè che aveva preso per lui a un chiosco nei paraggi e tornò a sedersi al suo fianco sulla panchina. «Quindi non vai mai in giro per paura di dover affrontare la triste realtà che mentre noi ci crogioliamo nel nostro personale dolore, il mondo intanto va avanti e continua con la propria vita? Davvero pittoresco, Elimar.»
«Cerco di evitare luoghi del genere, se e quando posso» replicò a denti stretti Ragos, versandosi in gola un sorso della bevanda. «Ti devo un calcio nel culo, comunque, visto che tu me l'hai rifilato ai coglioni.»
Crys trattenne in tempo una delle risposte tipicamente nel proprio stile e respirò profondamente. «Scusa se te ne sei uscito con una chiara battuta sessista o come diavolo ti va di definire certe affermazioni. Stavo solo difendendo il mio onore, sai com'è.»
«La prossima volta difendilo senza prendertela con le mie palle, di grazia.»
Hawthorn soffocò una risata. Era stato soddisfacente, ma evitò di ammetterlo a voce alta con Ragos. Rigirò fra le labbra la sigaretta che si era acceso. «Almeno abbiamo appurato che non vuoi davvero morire, altrimenti non ti sarebbe importato niente dei gioielli di famiglia. No?»
«Perché hai fatto il terzo grado a Heather, si può sapere? Di colpo hai iniziato a ficcanasare negli affari della mia famiglia, fammi capire?»
«La tua famiglia è coinvolta da vicino con la faccenda di Olegov, come entrambi ormai sappiamo. In tempi come questi dicono che la privacy perda significato e sono d'accordo con questa massima. Non sono più affari solo tuoi o di Vargos. Sono affari di tutti quanti.»
Ragos esitò. «Non voglio la tua pietà. Se è per questo che hai scelto di scusarti o roba simile, allora torna pure a detestarmi. Lo preferisco.»
«Non provo pietà per te. Capisco solo come ti senti, chiaro? Da questo punto di vista possiamo comprenderci a vicenda senza correre il rischio di scornarci come cervi. E comunque... litigare non serve a niente con Olegov che si trova chissà dove a pianificare di farla pagare a tutti quanti.» Crystal si umettò le labbra. «Ho preso nella maniera sbagliata la storia di Emery e Dion. Avevi ragione tu, ma dal canto tuo avresti potuto porti in modo diverso. Se mi sento aggredito è normale che poi decida di reagire.»
«Non ti stavo aggredendo. Mi hai solo fatto incazzare con quelle crisi da adolescente mancato. Il punto, Crystal, è che ti stavi piangendo addosso, ti lamentavi della scelta compiuta da Emery e stavi sproloquiando. Qualcuno doveva farti sbattere il muso contro il muro che tu stesso avevi eretto e ho scelto di farlo personalmente.» Elimar sorseggiò dell'altro caffè. «In tutta franchezza... è come se per un attimo avessi rivisto in te il ragazzo sciocco e troppo avventato che ero anni fa. Io ho compiuto l'errore di sottovalutare Olegov, di voler essere io a dargli una lezione per impedirgli di far del male a mio fratello, e ho pagato per questo. Non volevo che tu facessi la mia stessa fine.»
Crys sospirò. «Mi dispiace per cos'è accaduto a quel ragazzo e a tuo figlio. Nessuno dovrebbe provare quel dolore né vivere come sei costretto a vivere ora tu. Nessuno dovrebbe perdere una persona cara e soffrire per questo il triplo di quanto accadrebbe in circostanze normali. Non lo sapevo e...»
«Non lo sapevi. C'è ben poco da aggiungere.»
«Lo stesso non avrei dovuto dire quelle fesserie. Sono cresciuto nel programma di affidamento, Ragos, non vengo da una famiglia piena di soldi che mi ha spedito a studiare in qualche collegio esclusivo inglese. So bene cosa significa soffrire per cose che vanno oltre il nostro controllo.»
Ragos si strinse nelle spalle. «La sofferenza ha reso me debole e ha invece indurito te. Le scuse non servono a niente. Non bisogna scusarsi per ciò che si è.»
Crystal annuì debolmente. «È per questo che Ariel ce l'ha a morte con te?»
«Sì» replicò Elimar, il tono di voce pesante. «E ha ragione, in effetti. Lì per lì mi arrabbio quando mi rinfaccia il passato, ma poi mi fermo a riflettere e mi dico che non posso biasimarlo. Rory non avrebbe dovuto seguirmi, sarebbe dovuto restare a casa, al sicuro. Avrei dovuto insistere e invece gli diedi corda, come al solito. Posso solo incolpare me stesso e nessun altro, e non ho il diritto di incazzarmi se poi Ariel, a modo suo, decide di sfogare il dolore che ancora prova per la morte di Rory aggredendo me. Era il fratello minore che non ha mai avuto e io... io, in un certo senso, gliel'ho strappato dalle braccia.» Scosse la testa. «Il punto è che mi sento uno schifo perché... perché tutti sanno che lui e mio fratello in realtà si fanno gli occhi dolci da anni, senza neppure rendersene conto, e Ariel non ha mai voluto dargli una possibilità perché pensa, come tanti altri, che la mia famiglia sia maledetta o qualcosa del genere. Non me la sento di dire che siano solo tutte stupidaggini, ma... vorrei tanto che Vargos, per una volta nella vita, avesse qualcuno vicino capace di dargli la forza che inizia palesemente a mancargli.»
«Io invece penso che siano eccome sciocchezze. La questione della maledizione e il resto, dico» replicò franco Crystal. «Le disgrazie accadono e basta. Io vengo da una famiglia disastrata, ma Gray neanche dopo averlo scoperto si è allontanato da me. Forse sono situazioni diverse, ma secondo me Ariel ha usato come scusa questa faccenda della maledizione famigliare per non affrontare l'argomento con Vargos. Da ciò che mi ha detto Casey, però, pare ci siano stati degli sviluppi.»
«Puttanate» replicò Ragos d'impulso, palesemente scettico. «Non ci crederei neppure se a dirmelo fosse il Presidente degli Stati Uniti d'America in persona.»
«Vedila come ti pare. A giudicare dal modo in cui Ariel ti guarda, però, al tuo posto inizierei a fare un bel pensierino su un possibile viaggio di sola andata per il Brasile. Insomma, nel caso lui e tuo fratello decidano di fare sul serio e metter su famiglia e Stronzilla finisse per diventare tuo cognato. Sarebbe una guerra quotidiana e finireste per strangolarvi a vicenda.»
Ragos soffocò una risata. «Stronzilla? Sul serio?»
«Beh, Godzilla è il re dei mostri e lui è il re degli stronzi.»
«Meglio che non lo chiami così quand'è presente.»
Crystal fece spallucce. «Il biondino non mi fa alcuna paura. È un nevrotico complessato che in fin dei conti ha poca fiducia in se stesso e nel prossimo, e maschera tutto quanto fingendosi un idiota superficiale. È davvero carino, però, questo bisogna riconoscerglielo. Se solo ormai non avessi deciso di fare sul serio con Gray, ci avrei provato eccome con lui.»
Elimar schiarì la voce. Sembrava a disagio.
«Sputa il rospo, Jackson Teller dei poveri.»
«Niente. Non ho mai visto un Indigo arraparsi davanti a un Omega, tutto qui.»
Crystal sogghignò. «Oppure nessuno di voi se ne è mai accorto. Voglio dire... tutti gli Omega stravedono solo e unicamente per gli Alfa?»
«Spesso» ammise Ragos. «È una questione biologica e chimica, credo. Una parte di noi, per quanto piccola, conserva l'istinto animale ed è quello a farci ragionare così: scegli il partner che ha più probabilità di essere un compagno pieno di risorse, decente e che sia capace di farti avere figli sani capaci di tramandare la linea di sangue. Negli ultimi decenni, tuttavia, ragioniamo più liberamente, in termini umani anziché da Alphaga. Scegliamo la persona di cui ci innamoriamo e l'istinto naturale è un aspetto secondario. Però... spesso si è notato che gli Indigo quasi mai abbiano un ascendente in quanto ad attrazione sessuale sugli Omega, men che meno i Beta. Non si sa come mai, ma tu dimostri che è solo una credenza infondata.»
«Beh, sia come sia, in circostanze differenti mi sarei fatto volentieri quattro capriole nel letto con Aguillard» concluse Crystal con una stretta di spalle. «Insomma, ha un fondoschiena che sembra esser stato scolpito da uno scultore provetto!»
Ragos tossicchiò nuovamente. «Puoi, per piacere, non parlare in questi termini della cotta adolescenziale di mio fratello?»
«Allora cerca di incoraggiarlo a darsi una svegliata, prima che qualcun altro si prenda il bel figlio dello sceriffo. Mi sembra piuttosto conteso, da quel che ho visto.»
Elimar emise uno sbuffo col naso fra il divertito e il sarcastico. «Sì, beh, diciamo che è famoso per collezionare spasimanti come fossero figurine, prima di scaricarli e passare a qualcun altro. Sarà conteso, ma non gode di un'ottima fama, ultimamente.»
«E perché mai?»
«Gira voce che abbia messo le mani nella marmellata di Riley, suo cugino. Insomma... si è fatto il suo fidanzato, dicono, e Riley l'ha presa talmente bene da aver smesso di parlargli e considerarlo.»
Crystal si incupì. «In sostanza alcuni lo vedono come una puttana? Wow, davvero all'avanguardia.»
«Mythfield sarà pure una città aperta e pacifica, ma alcuni suoi elementi... beh, sono tuttora ancorati al passato e a vecchie tradizioni in disuso. Ariel potrà pure starmi sulle palle, ma una cosa l'ho capita sin da subito sul suo conto: è un pesce grosso bloccato in uno stagno troppo piccolo per lui. Non è fatto per realtà come quella di Mythfield e... non lo so, penso che prima o poi deciderà di cambiare aria. Lavora come un mulo da un po' di tempo a questa parte e fa di tutto per non mancare mai al lavoro e ottenere più mance possibili, da quel che ho visto io stesso. È ovvio che stia provando a metter da parte più risparmi possibili per un fine ben preciso e non me la sento di dargli torto.»
Crystal sospirò. «Sì, so come ci si sente. Beh... magari troverà presto un motivo valido per restare.»
«Francamente vorrei tanto che qualcosa fra lui e mio fratello accadesse e che Vargos, alla fine, si facesse convincere da Ariel ad abbandonare la città. Sarebbe la cosa migliore per entrambi.»
«Non credo che Vargos se ne andrebbe mai da qui lasciandoti indietro» commentò scettico Crystal, accendendosi un'altra sigaretta. «Sembra molto di più uno di quelli capaci di dare la vita per coloro che amano, specialmente fratellini scassapalle come te.»
«Continua così, Hawthorn, e giuro su Dio che ti aiuterò a cambiare connotati per sfuggire a Olegov. Fidati, sarebbe un servizio gratuito e tu dovresti solamente restare fermo mentre ti prendo a sberle.»
«Quando vuoi, Elimar, io sono qui, pronto a rifilarti un paio di sculacciate» ghignò Crystal.
Si scambiarono un'occhiata e per la prima volta si sorrisero a vicenda per davvero, divertiti l'uno dalle sparate da spaccone dell'altro. Hawthorn, poi, schiarì la voce e tornò serio. «Non pretendo che tu smetta di provare dolore per Rory o Dio solo sa cos'altro, ma hai ancora tuo fratello, Ethel e altre persone che tengono a te. Persone che non meritano di vederti gettare la spugna. Fa' del tuo dolore un'arma, piuttosto. Uno scudo, anzi, e al tempo stesso uno strumento. Riversalo su Olegov, Ragos. Usalo per aiutarci a distruggerlo una buona volta, vendicare Rory e poi... non lo so, imitare Ariel e rifarti altrove una vita. Solo o accompagnato, non ha importanza, ma vivi, Ragos. Fallo per Vargos che si caverebbe il cuore per te, se solo glielo chiedessi. Ti vuole bene, glielo si legge negli occhi, e penso che dovreste ravvicinarvi e far tesoro del tempo che vi è stato concesso per collaborare insieme, per costruire un futuro più sicuro per la città che vi è stata affidata.»
Ragos deglutì a vuoto. «Ho bisogno di tempo.»
«Lo so» replicò Crystal, per una volta conciliante e comprensivo come Grayson lo era stato sin da subito con lui. «Tuttavia non ne abbiamo molto e dobbiamo sapere se sarai dei nostri o no. Quindi... fa' una scelta, Ragos, e falla senza rimpianti. Falla sapendo qual è la posta in gioco e che potrebbe anche andare tutto in malora.»
Ariel si rigirò nel letto, ancora mezzo addormentato, e osservò il tipo che la notte prima aveva invitato a casa propria, mentre questi si rivestiva. Sbatté le palpebre e celò uno sbadiglio. «Te ne vai di già?» chiese rauco, anche se non gliene importava sul serio. Era uno dei suoi conoscenti con il quale ogni tanto si sentiva quando entrambi erano soli e non avevano di meglio da fare.
La notte precedente, dopo esser rientrato nell'appartamento, si era reso conto di non essere abbastanza stanco e quindi, appena aveva assunto il Soppressore, aveva scritto al tizio, un Alfa di più o meno una decina d'anni in più di lui. Bailey, questo il suo nome, si volse e finì di abbottonarsi la camicia. Lavorava come avvocato, era divorziato e aveva due figli che erano stati affidati al compagno e che gli era concesso di vedere solo nei week-end di ogni seconda settimana del mese.
Non doveva esser bello per un avvocato affrontare un divorzio, a pensarci bene. Ironico ritrovarsi di colpo dall'altra parte della barricata.
«Tra un'ora devo essere in ufficio e ho bisogno di farmi una doccia, di cambiarmi e tutto il resto.»
Aveva accettato di passare da Ariel perché viveva da solo, proprio come lui, e non lo entusiasmava tornare sempre a casa e stare in compagnia di se stesso ogni sera.
Il giovane Omega annuì e si passò una mano fra gli scarmigliati capelli biondi. «Allora alla prossima. Credo.»
Una cosa bisognava concederla a Bailey: era davvero un bell'uomo e sapeva farci tra le lenzuola. Lo avevano fatto almeno tre volte e Ariel un po' si sentiva indolenzito dopo esser stato spupazzato tutta la notte, ma era quel tipo di fastidio col quale si conviveva piacevolmente.
Forse era stato scorretto, vista che stava cercando di costruire un rapporto con Vargos, ma in fin dei conti non stavano insieme e forse non era neppure saggio dare una possibilità a un simile scenario.
Vargos, al contrario suo, era una persona buona e responsabile. Meritava di meglio di uno che aveva una fama tutt'altro che brillante a Mythfield. Certo, lui pianificava di prendere e andarsene da lì non appena avesse racimolato abbastanza risparmi da poter permettersi una vita altrove, ma attualmente era diviso fra il tirare dritto per realizzare i propri obiettivi e il metter in pausa quest'ultimi per qualcosa che valesse la pena di rimandare una vita anonima il più lontano possibile da quella città.
Un suono lo strappò ai pensieri. Si scambiò un'occhiata con Bailey che gli domandò se stesse aspettando la visita di qualcuno. Ariel ci pensò su e ricordò che in effetti Vargos aveva accennato a un suo amico cui serviva una mano. Si spalmò una mano sul viso.
Potrebbe anche evitare di piombare a casa mia alle sette di mattina, pensò scocciato, riferendosi ovviamente a Vargos.
Il campanello suonò una seconda volta e allora il ragazzo sbuffò, scostò le coperte e si infilò di corsa i pantaloni di una tuta e una maglietta larga, imprecando. Prima di uscire dalla camera si voltò a guardare Bailey. «Per essere chiari: esci e te ne vai. Non fermarti a parlare con nessuno. Va bene, dolcezza?»
«Uhm... okay» replicò l'Alfa, dubbioso. «Non voglio metterti nei casini.»
Ariel gli rivolse un'occhiata gelida. «Credimi, ce ne vuole per riuscirci.» Non si trattenne oltre e corse fuori dalla stanza, attraversò il corridoio e si fermò di fronte al portone. Si diede dell'idiota non appena si rese conto che si stava sistemando i capelli e i vestiti come in vista di un appuntamento galante. Falla finita, sei patetico, si disse, aprendo la porta. Vide oltre la soglia Vargos e un ragazzo che non aveva mai visto prima di allora: era mingherlino, dai tratti delicati e i capelli color caramello corti e dal taglio sbarazzino.
In lui Aguillard subito riconobbe la propria natura di Omega e tale dettaglio, un poco, lo mise in allerta. Nel modo meno sussiegoso di cui fu capace disse: «Lui dev'essere l'amico di cui mi hai parlato la sera scorsa». Sorrise brevemente allo sconosciuto e cercò di non far sembrare tale espressione sardonica e falsa. Davvero poco corretto da parte sua reagire in quel modo quando, proprio alle sue spalle, era appena giunto Bailey con i vestiti stropicciati e la tipica aria di chi si era trattenuto a dormire a casa di qualcun altro.
«Uhm, sì, lui è...» Vargos, scorgendo l'avvocato, si bloccò. «Abbiamo interrotto qualcosa?» chiese titubante, sperando in cuor proprio in una risposta negativa. Era chiaro, tuttavia, cos'era accaduto fra quei due la sera precedente. Credevo fosse stanco e volesse subito mettersi a dormire, pensò, confuso e in preda a qualcosa che non seppe come classificare. Ci era rimasto male, forse solo così avrebbe potuto descrivere quel che attualmente stava provando. Lo infastidiva, comunque, avvertire su Ariel l'essenza di qualcun altro, ovvero lo stesso tizio che chiaramente non sapeva come muoversi in quella situazione imbarazzante.
Aguillard maledisse dentro di sé l'avvocato. «Bailey stava per andarsene, non preoccuparti. Non avete interrotto nulla.» In circostanze diverse avrebbe riso di gusto vedendo Bailey sbrigarsi ad alzare i tacchi e superare come una scheggia Elimar e lo sconosciuto come avrebbe fatto un personaggio dei Looney Tunes che se la stava dando a gambe. Respirò profondamente e incrociò le braccia, trasferendo il peso del corpo su di una gamba. «Dunque... chi è il tuo nuovo compare?» chiese, cambiando velocemente argomento. Non doveva giustificarsi proprio di un bel niente, si ripeté. Era single e come tale poteva permettersi di andare a letto con gli chi pareva, fine della storia.
Fu il nuovo elemento in questione a precedere Vargos, avvicinarsi esitante ad Ariel e tendere una mano: «Sono... sono Jesse Gardner, p-piacere di conoscerti».
Ariel strinse brevemente la mano a Gardner. «Piacere mio» replicò senza sbilanciarsi. «Come mai ti trovi qui, Jesse?»
Jesse guardò Vargos, incerto se dovesse essere lui a spiegare la situazione o meno. Elimar, alla fine, si fece forza e disse ad Aguillard: «Jesse e Dominic avevano una relazione e... beh, per ragioni varie ha scelto di venire qui a Mythfield non appena ho convinto Cora Tarren a trasferire nell'ospedale locale suo figlio».
«Okay» incalzò perplesso Ariel. «E io cosa c'entro?»
«Mi chiedevo se potessi mettere una buona parola per lui con il tuo capo, lì al diner. Jesse ha bisogno di lavorare per mantenersi.»
Ariel avrebbe voluto chiedere ad Elimar se fosse giunto a casa sua alle sette del mattino solo per parlargli di una questione tutt'altro che complicata. Non ci voleva granché a convincere il suo capo a mettere al lavoro Jesse, specie quando si trattava di sbattere semplicemente le ciglia e comportarsi da civettuolo con un pizzico di ritrosia. Un gioco da ragazzi. Era così che aveva ottenuto un consistente aumento, dopotutto.
«Non sarà arduo» assicurò stringendosi nelle spalle. «Altro?»
Vide che Vargos stava esitando. C'era eccome dell'altro e prova ne fu che Elimar suggerì a Gardner di concedere loro un momento da soli. Jesse, capendo al volo, balbettò che sarebbe dovuto comunque tornare a casa visto che aveva dovuto chiedere a Cora di badare al figlioletto.
Non appena se ne fu andato, dopo aver salutato Ariel cortesemente, Aguillard incrociò le braccia e squadrò il coetaneo. «Non dirmelo: il sedicente figlioletto in questione ha sangue Tarren nelle vene. Dico bene?»
Vargos lo fissò interdetto. «Beh, ecco... sì. Insomma...»
«Fuori il rospo, forza.»
«Possiamo parlarne dentro il tuo appartamento? Non è il massimo farlo qua fuori.»
Ariel si fece da parte per farlo entrare. «Perdona il casino, ma... beh, come hai visto poco fa è stata una notte movimentata. Vuoi un caffè?»
Vargos si guardò in giro, poi, alla domanda dell'altro, si riscosse. «Sì, buona idea. Ho dormito poco e male, perciò un caffè sarebbe l'ideale.» Seguì Aguillard in cucina e il figlio dello sceriffo gli disse che poteva accomodarsi al piccolo tavolo di legno chiaro, se lo voleva. Vargos lo fece e da sotto le ciglia bionde osservò Ariel darsi da fare con precisione e scioltezza. «Hai... hai una bella casa» buttò lì per fare conversazione. «Uhm... tu e quel tipo, quindi...?»
Ariel si irrigidì e tenne lo sguardo fisso sulla brocca di vetro che pian piano si stava riempiendo di espresso. «Chi, Bailey?» fece infine, ironico. «Per favore! Non sono tipo da frequentare con costanza uno che ha già un matrimonio fallito alle spalle e dei figli. Nossignore. Troppo incasinato per i miei gusti e l'ultima cosa che voglio, quasi a venticinque anni, è di diventare il patrigno di due marmocchi intenti a fissarmi come se fosse tutta colpa mia se i loro genitori si sono detti addio.» Versò in due tazze la calda bevanda, poi si sedé a propria volta al tavolo e fece scivolare uno dei due caffè in direzione di Elimar. Quest'ultimo annuì appena. «Non una situazione ideale, lo posso capire» concesse nel tono più leggero possibile.
«Per niente.» Ariel ingollò un generoso sorso di caffeina. «Tornando agli affari, cosa devi chiedermi?»
«Beh... il punto è che Jesse deve ancora ambientarsi. Non conosce nessuno qui e... insomma, i suoi trascorsi non sono dei migliori. Il padre di Dominic lo ha tagliato fuori dalla vita del figlio e lui, nel frattempo, ha avuto un bambino da Nic e se n'è andato da Caverney Town per il terrore che Simon potesse far loro del male. È tornato solo quando ha saputo che Simon era morto, ma... non ha trovato Dominic come lo aveva lasciato. Il coma e il tutto resto. Da quel che ho capito la loro era una relazione abbastanza seria, finché non si è messo in mezzo quel farabutto di Simon. Ora Jesse si ritrova con un figlio a cui badare, senza lavoro e appeso alla tenue speranza che Dominic possa risvegliarsi e conoscere finalmente il piccolo Jamie. Quindi... vorrei che gli dessi una mano al lavoro che spero riuscirà a ottenere per mantenersi e... non lo so, che avessi un certo occhio di riguardo per lui. Con quello che sta succedendo ultimamente ho paura per uno come Jesse. È fragile, al momento, e sappiamo che là fuori di predatori ce ne sono a iosa.»
Ariel sospirò e si stropicciò gli occhi con due dita.
«So che non hai motivi per fare quel che ti sto chiedendo, ma...»
«D'accordo, ci proverò. Per il lavoro non preoccuparti. Sarà facile convincere il mio capo ad assumere Jesse.»
Vargos batté le palpebre, stupito. «Come? Davvero?»
«Sì, cazzo. Voglio dire...» Ariel si schiarì la voce. «Non è un compito arduo e comunque... potrei esserci stato io al suo posto, no? Bisogna aiutarsi a vicenda tra Omega, tutti lo sanno. Magari sto per farmi un nuovo amico.» Tornò a bere il caffè. «Comunque... davvero, non c'è niente fra me e quel tizio» si fece sfuggire poi. Aveva parlato senza riflettere, come se fosse importante puntualizzare una seconda volta con Vargos che non era impegnato sentimentalmente.
Vide Elimar deglutire appena. «C-Capisco, insomma... bene! No, cioè, volevo dire...»
«Bene, eh?» lo punzecchiò Aguillard, cogliendo la palla al balzo. «Elimar! Ci stai forse provando?»
«C-Chi? Io?» biascicò Vargos, senza poter in alcun modo celare il rossore intenso sulle gote. «No, no! Io... io stavo solo... ecco...»
«Rilassati, scherzavo!» sghignazzò Ariel, pur sapendo di averlo in realtà messo alla prova. «Allora, hai saputo niente di...»
«Ti va se facciamo quell'uscita stasera?» snocciolò Vargos, interrompendolo.
Ariel sbatté le palpebre. «Uhm, sì. Va bene.»
«Bene. Allora vado, ciao! Ho... ho da fare con... insomma, devo andare!»
Aguillard fissò il coetaneo scattare come un pupazzo a molla e abbandonare la cucina. In un primo momento fu tentato di seguirlo, ma poi scelse di lasciarlo andare. Non voleva calcare la mano e aveva già ottenuto le risposte che in passato era sempre stato troppo orgoglioso e testardo per cercare. «Mi piaci anche tu, Pesce Rosso» mormorò, fissando la tazza di caffè senza realmente vederla. Col senno di poi si era reso conto di aver davvero rischiato grosso, la sera scorsa. Se solo Vargos non fosse stato fin troppo attento e rigoroso nel prendere sempre le medicine che gli impedivano di cedere a certi istinti primordiali, avrebbero guastato tutto prima ancora di iniziare a fare sul serio.
Sempre che lui riesca a rendersi conto di volerlo quanto lo voglio io, si disse pensieroso. Sapeva, tuttavia, che Vargos non sarebbe riuscito ad arrivare ad afferrare la verità da solo. Proprio come Casey era stato così gentile da fargli presente, doveva prendere l'iniziativa e forse, quella sera, lo avrebbe fatto.
La vita era troppo breve. Ecco qual era l'insegnamento che avrebbe dovuto trarre sin da subito dalla morte di Rory. Era troppo breve per sciocche superstizioni e dar retta all'orgoglio, il pessimo consigliere che partiva a cavallo e tornava sempre a piedi. Ci avrebbe provato, se non altro, e il resto era tutto da scoprire, nel bene e nel male.
Il Greenwood Grill era un locale frequentato sì e no da tutti gli abitanti di Mythfield, soprattutto i più giovani che avevano bisogno di un locale di ritrovo più divertente del diner e dove, soprattutto, era possibile gustare il miglior bourbon della zona.
Era lì che Ariel, alla fine, aveva scelto di ospitare l'uscita con Vargos. Si erano seduti e Aguillard aveva ordinato per entrambi degli shot di whiskey solo per poi realizzare, coi propri occhi, che Vargos non avesse mai toccato una goccia di alcool in vita propria. Gli risultò palese vedendolo far di tutto per celare delle smorfie non appena aveva tentato di buttar giù un primo sorso.
Avevano parlato di ulteriori sviluppi circa la faccenda di Crystal prima che Elimar stesso, fattosi coraggio, avesse decretato di voler pensare ad altro, solo per una sera.
Era stato così, dunque, che avevano trascorso quindici minuti buoni in silenzio prima di trovare un decente argomento di conversazione.
«Quindi è questo che imparavi ai corsi extra a scuola?» Ariel arcuò le sopracciglia dopo aver appena udito che Vargos sapeva comprendere fluentemente ben due lingue morte senza alcun problema. «E io che mi confondo anche solo a dover metter insieme due parole in spagnolo!» Ingollò il proprio sconcerto assieme a un altro sorso di bourbon.
«Non si sa mai, no? Voglio dire... poteva sempre capitare che avessi bisogno di consultare qualche strambo documento in latino o greco, quindi ho seguito il corso. Era solo un altro punto a favore e avrebbe fatto salire la media dei miei voti in generale, in fin dei conti.»
«Sì, ma... insomma, sono comunque lingue morte, no? Nessuno le parla più!»
«Soles occidere et redire possunt; nobis cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda» recitò fluentemente e in tutta tranquillità Elimar, facendo stralunare lo sguardo ad Aguillard. Sorrise di sbieco. «Il giorno può morire e poi risorgere, ma quando muore il nostro breve giorno, una notte infinita dormiremo» tradusse subito dopo. «Catullo era fra i miei preferiti, se devo esser sincero.»
«Non molto allegro, però» commentò schietto Ariel.
«Non tutti i suoi carmi sono così, non farti ingannare» lo rimbeccò divertito Vargos. «Tuttavia... penso che siano proprio versi come questi a spingere le persone a riflettere sulla vita in generale.»
«Posso farti una domanda? Rispondi solo se ti va, non mi offenderò.»
«Uhm... okay, spara.» Vargos, per trovarsi qualcosa da fare mentre attendeva la fantomatica domanda, si portò alle labbra il bicchiere di bevanda analcolica che alla fine aveva scelto di ordinare per sé. Ci aveva provato con il whiskey, ma niente da fare. Gli alcolici proprio non gli piacevano.
Aguillard, sotto il tavolo, accavallò le gambe. «Quando... quando ci trovavamo da Crystal e lui... insomma, ha fatto una sceneggiata e ha urlato che si sarebbe ammazzato, tu... hai avuto una reazione strana. Insomma, sei diventato bianco come un lenzuolo, parevi sul punto di sentirti male o di piangere a dirotto. Sei un tipo sensibile, lo sanno pure i sassi, ma non posso non pensare che ci sia sotto qualcosa di più del semplice cameratismo.»
«I-In che senso?» incalzò Elimar, cercando di celare il nervosismo.
Ariel sospirò. «Vargos, cos'è successo davvero a tuo padre?» domandò diretto, pur con una certa delicatezza. «Insomma, il giorno prima era vivo e quello dopo ecco che papà viene a dirmi che se n'è andato per motivi mai chiariti. L'ho trovato strano e ancora lo trovo bizzarro, sinceramente, e penso... non lo so, che ci sia dietro qualcosa di più.» Vedendo il coetaneo sudare freddo quasi palesemente, mosse una mano. «Okay... scusa. Non sono affari miei» concluse, non volendo affatto metterlo a disagio o causare una reazione simile a quella del giorno prima. «Sul serio... non devi parlarne, se non vuoi. Lascia stare.»
Vargos, tuttavia, con un filo di voce, senza alzare lo sguardo dal tavolo, mormorò qualcosa che l'Omega non comprese. «Come?» fece il figlio dello sceriffo, perplesso.
Elimar, torturandosi le mani, ripeté: «Papà si è suicidato».
La sigaretta che Aguillard si era appena infilato tra le labbra cadde sul ripiano di legno sotto di loro. «Okay... okay, amico.» Ariel si alzò, fece fare lo stesso a Vargos e lo condusse all'esterno del Greenwood Grill. Dovevano parlare e non era saggio farlo là dentro. Non appena furono fuori, lo tenne per le spalle e invano cercò di far incrociare i loro sguardi. Vargos non voleva guardarlo e non c'era verso di convincerlo a fare il contrario. Sembrava vergognarsi o voler rifugiarsi in se stesso. «Dimmi tutto, avanti.»
Elimar scosse la testa.
«Vargos, dannazione, hai bisogno di parlarne e si vede. Io sono qui per ascoltarti, perciò parlane.»
Diamine, il trauma subito dal giovane governatore era palese, in quel momento. Come aveva fatto, lui, a non rendersene mai conto? Era così palese da farlo sentire uno scemo.
Il giovane cameriere si lasciò cadere seduto sul basso muretto alle loro spalle e Vargos, come se non ce la facesse a reggersi in piedi, lo imitò subito dopo. «Fui... fui io a trovarlo» confessò flebilmente. «Si era chiuso in camera da letto quasi per tutto il giorno e... a-alla fine ho deciso di andare di persona da lui per convincerlo a uscire da lì. Volevo... volevo solo parlare con lui. Mio fratello sarebbe stato via qualche altro giorno e a parte i domestici, avevo solo la sua compagnia. Lo vedevo che non stava bene, che non era quello di prima, e io disperatamente ho cercato di tenerlo ancorato alla sua vita, alla sua famiglia. Soffriva e ho cercato invano di aiutarlo. Soffriva, ecco perché alla fine... insomma...»
L'immagine di Farron Elimar che penzolava da una corda come un inerme burattino appeso ai propri fili tornò con prepotenza a occupare la sua mente, a farla vacillare.
«Era troppo tardi. Ho aiutato tuo padre e il medico legale a farlo scendere da lì e ho pregato i-il dottore di fare qualcosa. Non volevo accettare che se ne fosse andato. Credevo ci fosse ancora speranza, ma poi ho visto lo sguardo di tuo padre e... alla fine ho capito come stavano le cose.»
Si riscosse da quei tremendi ricordi solo nel momento in cui udì un suono che fu capace di riportarlo al presente: sollevando finalmente lo sguardo vide con dispiacere e con dolore che Ariel stava piangendo come un bambino e senza freni, strofinandosi invano le guance col dorso delle mani mentre le lacrime affioravano, ancora e ancora, dai suoi occhi sconvolti.
Ecco perché non volevo dirlo a te, fra tanti altri.
Sapendo quanto Ariel fosse stato affezionato a Farron, a suo padre, sapeva che dire almeno a lui la verità gli avrebbe solo causato dolore. Era stata una scelta presa in comune, sua e di Ellis Aguillard stesso, di non riferire a nessuno del suicidio di Farron, ma ora Ariel sapeva e, come ci si era aspettati, la verità lo aveva travolto.
«Mi dispiace, Ariel» disse Elimar, dopo un po' di denso e dolente silenzio. «Non so neanche perché abbia deciso di dirtelo. Io... mi ero ripromesso di non farne mai parola con nessuno e tuo padre ha scelto di rispettare la mia volontà. Vorrei... vorrei solo che tutto fosse stato un semplice incubo e che mio padre fosse ancora vivo. Lui... lui, magari, avrebbe saputo cosa fare adesso o comunque... non lo so, agire meglio di quanto abbia fatto io fino ad ora.» Erano tante le volte in cui lo assaliva l'atroce dubbio di non essere la persona giusta per Mythfield, per proteggere la città e condurla verso tempi migliori e meno bui. L'unica cosa di cui era consapevole, era di aver ancora molto da imparare, ma di non averne forse il tempo.
La sua presenza, al momento, tratteneva Olegov dal piombare a Mythfield come un falco per riprendersi quanto era convinto fosse di sua proprietà e questo significava che presto o tardi avrebbe cercato di darsi da fare per rimuovere il solo ostacolo che lo separava dai propri scopi. Quanto tempo aveva, dunque? Ne aveva, anzi?
Ormai viveva con l'angoscia ogni singolo giorno. Non per se stesso, per la paura di morire in sé per sé, ma per cosa ne sarebbe stato delle persone a lui più care, specialmente Ragos. Quello era uno dei motivi principali per cui cercava di indirizzarlo verso delle possibili e salde amicizie, di indurlo ad aprirsi nuovamente al mondo. Per quel che ne sapeva, lui sarebbe potuto svanire dalla sua vita per sempre da un momento all'altro e tutto ciò che gli importava era che a quel punto Ragos avrebbe avuto ancora qualcuno cui appoggiarsi e sul quale contare. Gli importava solo che suo fratello non venisse abbandonato a se stesso.
«Ariel... so che... so che ti sto chiedendo di fare uno sforzo enorme, forse... forse il più grande che tu potresti mai fare nella tua vita, ma... ti scongiuro, cerca di non odiare più mio fratello. Non ti chiedo di perdonarlo, di fare come se Rory non fosse mai morto e tu non avessi mai sofferto per questo, ma solo... di smettere di odiarlo, di guardarlo come se fosse stata solamente colpa sua. Non se lo merita, credimi, e soffre tremendamente ogni singolo giorno, proprio come mio padre prima di andarsene. Lui aveva perso mia madre e Ragos ha perso l'amore della sua vita, quindi ti supplico di non aggiungere altro dolore a questa tragedia. Ti imploro solo di alleviare un po' le sue sofferenze, nient'altro.»
Ariel si terse ancora una volta le guance arrossate dal tanto sfregare e sollevò lo sguardo per incrociare quello di Elimar. Sembrava davvero implorarlo in ginocchio di provare a non odiare più Ragos. «Io... ci proverò» concesse infine Aguillard, la voce ancora distorta dal pianto recente. Era stato logorante vedere tante delle sue congetture trasformarsi in certezze, in verità appurate, ma lo era stato ancora di più udire Vargos sminuirsi come governatore e protettore di Mythfield, pregarlo di non detestare più l'unico fratello che egli avesse. La sola famiglia che gli fosse rimasta. «Te la cavi bene» aggiunse. «Insomma... fino ad ora nessuno si è mai lamentato di quello che fai e del modo in cui lo fai, perciò... te la cavi bene, Vargos. Piuttosto è Mythfield a non meritare una persona come te pronta a tutto pur di proteggerla. Siamo noi a non meritarti.»
Saltò giù dal muretto e fece qualche passo verso il coetaneo che sedeva ancora sui vecchi mattoni grigi, poi si sporse e lo avvolse in un saldo abbraccio senza osare fermare a riflettersi, a indugiare in stupidi ragionamenti da liceale mai del tutto cresciuto e maturato e, piuttosto, a comportarsi da adulto che aveva a che fare con un altro adulto che aveva bisogno di quello: di un abbraccio, di parole gentili, di essere compreso.
Fu bello, dannazione. Fu dannatamente bello abbracciarlo e farlo senza badare alle sciocchezze che si era ripetuto per anni. Fu liberatorio, anzi, e lo fu ancora di più non appena Vargos ricambiò la stretta come un marinaio si sarebbe aggrappato a uno scoglio dopo un terribile naufragio.
Trascorsero minuti che parvero scorrere a rilento prima che Ariel si ritraesse quanto bastava per guardare Elimar e regalargli un debole, ma sincero, sorriso. Uno di quelli che Aguillard non mostrava spesso al prossimo. «L'altra sera mi hai chiesto se mi andava di farti salire da me per prepararmi qualcosa di caldo da bere. Ora che ci penso... magari potremmo berci insieme qualcosa di caldo, che ne dici? E parlare, Vargos. Di tutto quello che ti pare. Oppure... non lo so, restare in silenzio e farci una scorpacciata di film fino all'alba!» Ciò che stava cercando di dirgli, era che il mondo non sarebbe crollato se per una sola volta si fosse preso una pausa da tutto quanto e avesse trascorso del tempo in modo normale, come tutti quelli della sua età.
Vargos ci pensò su, indeciso, poi annuì. A convincerlo, lo ammetteva, fu quel calore speciale e al contempo familiare che vedeva negli occhi di Ariel in quel preciso momento. «Va bene. Mi sembra un bel modo per trascorrere il resto della serata.»
Avevano appena terminato di guardare la versione estesa del primo film de Il Signore degli Anelli quando si resero conto che si erano fatte le tre e mezza del mattino. «Domani, per fortuna, ho la giornata libera» commentò beffardo Ariel. «Ne approfitterò per dormire fino a tardi e restare tutto il giorno con addosso il pigiama.» Si stiracchiò, visto che aveva i muscoli intorpiditi. «Tu cosa farai, invece?»
Vargos si strinse nelle spalle. «Quello che faccio sempre, immagino. Credo, però, che mi prenderò del tempo per stare con Ragos e... cercare di ricostruire con lui un minimo di rapporto, suppongo.»
«Ottima idea.»
«Non ti ho chiesto come stai. Voglio dire... ieri notte eri in quello stato.»
Ariel sorrise di sbieco. «Beh, hai visto tu stesso come stavo, stamattina» replicò allusivo, riferendosi al fortuito incontro con Bailey. «Non fare quella faccia. Ho preso tutte le dovute precauzioni e non ho intenzione di darla vinta ai miei genitori che vorrebbero vedermi alle prese con pannolini e biberon.» Aveva la vaga impressione che l'altro volesse chiedergli qualcosa, ma che se ne vergognasse. «Spara, su!» lo punzecchiò.
Vargos, con evidente imbarazzo, biascicò: «Come... come ci si sente? Voglio dire... cosa si prova a...?»
Aguillard si accigliò, confuso. «A fare che?»
L'Alfa, rosso in viso come una fragola, cercò di spiegarsi meglio: «Ad andare a letto con qualcuno, intendo. Cosa... cosa si prova?»
Non ci posso credere, pensò Ariel, realmente stupito. «Frena un attimo... vuoi dirmi che non l'hai mai fatto? Mi prendi in giro, vero?» Lo squadrò da cima a fondo. «Hai la minima idea di cosa avrei fatto io con l'aspetto che hai tu, Elimar? Diamine, sei sì e no il sogno proibito di mezza città! Che mi venga un colpo!» Ammetteva di aver visto di rado Vargos in compagnia di qualcuno, ma non pensava che si fosse talmente estraniato dalla sua stessa vita privata da rimanere vergine fino a venticinque anni. «Ma andiamo! Dovrai pur avere un minimo di esperienza!»
Vargos, con enorme e palese vergogna, mosse il capo in segno di diniego. «Ho... ho baciato qualcuno, ma quando stava per succedere... n-non lo so, mi bloccavo sempre. Come se non fosse la volta giusta o avessi paura.»
Ariel lo fissava con tanto d'occhi. «Come cavolo fai a resistere? Insomma, io non reggo per più di due settimane! Diventerei scemo a restare a secco per anni!»
L'altro si strinse nelle spalle. «Non è così difficile» ribatté candidamente. «E poi gli Inibitori, si sa, riducono al minimo il... come dire...»
«Desiderio sessuale?» suggerì Ariel. «Beh, buon per voi Alfa. I Soppressori non hanno lo stesso effetto su quelli come me. Ci impediscono solo di star male come cani e di ridurci in uno stato pietoso non appena avvertiamo la presenza di un Alfa nelle vicinanze.»
Vargos sbuffò una risata. «Non credere che per un Alfa sia una faccenda migliore. Mi è capitato una sola volta di rimanere senza Inibitori e... accidenti, fui molto vicino a perdere il controllo. Da allora faccio sempre scorta degli Initori e li prendo costantemente per evitare brutte sorprese.»
Aguillard respirò profondamente. Nessuno dei due dava segno di essere stanco o di voler andare a dormire, quindi tanto valeva parlare di cose serie. «Ascolta... stamattina ho fatto lo scemo, non lo nego, ma...» Sbuffò tra sé, odiandosi per il non sapere bene come dire quel che intendeva comunicare. «Se... se dicessi che... insomma... che in realtà esserti amico non mi sembra una prospettiva così allettante, tu cosa risponderesti?»
Vide Vargos, ancora una volta, travisare le sue parole. «Vuoi dire che non ti sei trovato bene con me, oggi?»
Ariel si trattenne dallo spalmarsi una mano sulla faccia. Era mai possibile che quell'uomo fosse così ottuso? Roba da matti!
«No» replicò con tutta la calma che riuscì a racimolare dentro di sé. «Quello che intendo dire, Vargos... è che... tu mi piacevi, a scuola. In realtà mi piaci tutt'ora e adesso, mentre parlo, mi sento un imbecille per aver aspettato così a lungo prima di dirtelo. Sai... per anni mi sono fatto scudo prima con la questione della sedicente maledizione che aleggiava su voi Elimar, poi con la storia di Rory, ma credo che in fin dei conti la mia unica, reale paura, sia sempre stata di affezionarmi a qualcuno fino al punto da rendermi vulnerabile in sua presenza. Quello che è accaduto con l'ex di Riley mi ha solamente incoraggiato di più a tenere quella porta chiusa a tripla mandata, anziché spalancarla e affrontare il mondo che racchiudeva. Vedere tuo fratello soffrire a quella maniera, diventare sì e no l'ombra di chi era una volta, e tutto per amore, per aver perso la sola persona al mondo che avesse amato in modo viscerale, tanto da aver reso Rory il suo compagno in tutto e per tutto, ha peggiorato la mia diffidenza nei riguardi dell'amore. Guardo Ragos e non faccio che pensare se sia questo ciò che attende tutti quelli che osano innamorarsi: solitudine, vuoto e miseria.» Fece un respiro profondo. «Però... più vado avanti e più capisco che debba esserci di più. Guardo Casey e Noah e... sembrano così felici da sembrare i personaggi di una fiaba moderna terminata nel migliore dei modi. Due facce della stessa medaglia che mi hanno gettato nella confusione più totale.» Sollevò lo sguardo appannato su Vargos e vide che aveva la sua totale attenzione. Incatenò i propri occhi a quelli grigi e limpidi di Elimar e non vi vide nulla di negativo, bensì la più genuina sorpresa. Ecco perché Vargos gli era sempre piaciuto: era una persona trasparente e positiva, con lui non v'era mai il rischio di restare feriti per una parola sbagliata o cattiva né per un gesto troppo grave per esser perdonato. Luce, ecco cosa vedeva in lui, e magari era sempre per tale motivo che aveva continuato a soffocare in silenzio i propri sentimenti. Lo aveva fatto perché non si sentiva degno di quella luce né capace di sostenerne la vista. Aveva sempre visto se stesso come una persona tutt'altro che nobile e genuina, men che meno capace di grandi gesti di cameratismo, e dunque aveva taciuto.
Cos'era cambiato quella sera?
Nulla, tranne che per la prima volta si era permesso di essere un po' più se stesso, di aprirsi con qualcuno che in fin dei conti conosceva sin dall'infanzia. Avevano parlato davvero, ecco cosa era successo.
«Non sei costretto a rispondermi o a ricambiare i miei sentimenti» concluse, trattenendo un sospiro e dirigendo altrove lo sguardo. «Hai visto coi tuoi occhi che razza di persona sono, dopotutto. Magari Riley non sbaglia quando mi definisce un poco di buono irresponsabile e sinceramente credo che tu meriti di meglio, Vargos. Meriti il meglio perché sei una persona buona e le persone buone devono stare coi loro simili, altrimenti finiranno per spegnersi.» Si morse il labbro inferiore e si strinse nelle spalle. «E questo... questo era tutto ciò che avevo da dire. Quel che valeva la pena di dire, almeno.»
Vargos era ancora mezzo stordito dopo quelle rivelazioni, dopo aver udito un discorso che raramente capitava a una persona di udire in tutta la sua esistenza. Parole che gli erano entrate dentro e avevano irrorato le radici di sentimenti che lui per primo mai aveva compreso fino in fondo e si era limitato a portare dentro di sé passivamente come se fossero stati silenti passeggeri. Lo aveva fatto finché, non appena era stato abbastanza grande da comprendere come andavano certe cose, non era riuscito a dare un nome a quei sentimenti.
Proprio quando quelle radici avevano preso, da un po' di tempo a quella parte, a inaridire, ecco che era arrivata la pioggia del secolo a rivitalizzarle, a dar loro rinnovata speranza e un nome, soprattutto. Non aveva molta esperienza in fatto di relazioni e le poche che aveva avuto erano state fallimentari e tutt'altro che emozionanti, ma con Ariel era stato come trovarsi di continuo su una montagna russa. Anche quando Aguillard lo aveva ignorato ed evitato, c'era sempre stato quella flebile speranza di esser finalmente capito, magari ricambiato. Di avere una possibilità.
Deglutì a fatica. Sentiva le guance ardere come se fosse rimasto per ore sotto il sole cocente di mezzogiorno e il cuore scalpitare con prepotenza, come se si fosse messo in testa di vincere una qualche maratona. «Mi piaci anche tu» biascicò, stentando a credere di averlo detto a voce alta, di aver finalmente pronunciato ciò che si era limitato per anni a pensare e a covare dentro di sé. «Forse... più di quanto riesca io stesso a immaginare.» Ed era la verità. Ariel gli piaceva sì e no dai tempi del liceo e lo aveva sempre addolorato vedere quell'iniziale amicizia di infanzia naufragare negli anni per via di fattori esterni al di là della portata di tutti e due. «E penso che anche tu meriti tutto il bene del mondo. Sei una persona migliore di quanto tu voglia dar a vedere a tutti, Ariel, e prima o poi lo capirai.»
Si fece coraggio, si sporse e prese la mano affusolata e morbida di Ariel nella sua che invece era callosa e ruvida, silenziosa narratrice di fin troppo tempo trascorso a maneggiare armi, motori e affari di Distretto dei quali aveva giurato di occuparsi sin dalla morte di suo padre.
Aguillard trattenne il fiato e osservò le loro mani stretta l'una nell'altra solo per accorgersi, in qualche modo, che sembrassero quasi esser state create per unirsi in quel delicato e gentile contatto che valeva più di mille parole, mille baci e torride effusioni. Era proprio vero: v'era più intimità in due mani abbracciate che in due corpi intrecciati e impegnati nell'amplesso. Il cuore che pareva esser era appena risalito con prepotenza fin nella sua gola ne era la prova concreta. Forse, però, ciò era da imputare a chi gli stava stringendo la mano.
Guardò Vargos negli occhi e gli parve di sciogliersi come un ghiacciolo al sole nel vederlo sorridergli appena, ma con una dolcezza innata e propria dell'uomo che Elimar era, sempre era stato. «Proviamoci» gli disse Aguillard, quasi in un sussurro.
Vargos annuì piano. «Proviamoci.»
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