𝐕𝐈𝐈𝐈. 𝐋'𝐮𝐥𝐭𝐢𝐦𝐚 𝐬𝐩𝐢𝐚𝐠𝐠𝐢𝐚
Vargos si fermò sulla soglia della stanza e osservò il giovane steso sul letto nella più totale immobilità attorniato da fili d'ogni genere che lo aiutavano a restare in vita, se vita poteva essere definita ciò che il governatore di Mythfield stava guardando. Pur sapendo cos'aveva fatto Dominic Tarren a un ragazzo innocente e forse non solo a lui, ma ad altri, lo stesso non poté che provare compassione. Non era mai bello quando una persona si riduceva in un simile stato.
Si volse e incrociò lo stanco sguardo di Cora, la madre di Dominic: aveva le occhiaie, si curava solo il minimo indispensabile e le sue guance erano scavate.
«Cora, secondo me ti restano due strade da percorrere» le disse, volendo parlarle con onestà. «La prima, a mio parere, sarebbe di lasciar andare Dominic e permettere a questa situazione di fare il suo corso. La seconda, beh... ti consiglierei, in tal caso, di rivolgerti a una strega o a uno strego. So che hanno metodi efficaci anche quando si tratta di situazioni come quella di tuo figlio. Magari...»
«No, Vargos» mormorò la donna. «Nessuno permetterebbe al membro di una Gilda qualsiasi di metter piede a Caverney Town. Ho già tentato di chiedere aiuto e tutti si sono tirati indietro non appena ho nominato questa dannata città.»
«Allora disponi tutto per trasferire te e tuo figlio a Mythfield. Non potete restare qui, specie ora che Olegov si è stabilito in città. Tu, soprattutto, stai rischiando grosso. Non ti permetterà di farla franca, non dopo quanto accaduto a Simon. Siete in grave pericolo, Cora, e non voglio che si verifichino altre tragedie.»
«Se faccio spostare Dominic, lui potrebbe morire.»
«Vale la pena rischiare.» Vargos le strinse una spalla delicatamente, poi accennò al coetaneo in coma. «Guardalo, Cora. La sua unica speranza è oltre i confini di questa città, è a Mythfield, dove sarete entrambi al sicuro e protetti da me e dai miei concittadini. Nessuno vi farà del male e Dominic riceverà la migliore assistenza possibile. Tutto questo, però, solo se sei sicura di voler tentare e sì, anche di voler correre un grosso rischio. Una speranza c'è, ma devi afferrarla.»
Cora si avvicinò al capezzale di Dominic. Per il momento era stabile, ma ogni tanto accadeva qualcosa che le faceva dubitare seriamente che suo figlio sarebbe sopravvissuto ancora per molto. A volte si sentiva una madre orribile per due ragioni che cozzavano l'una con l'altra: forse stava prolungando un'agonia che Nic, se fosse stato cosciente, mai avrebbe tollerato e accettato, ma allo stesso tempo sapeva di non poter arrendersi perché era sua madre e una madre non si arrendeva mai, doveva stringere i denti e lottare fino all'ultimo. Non importava quanto la battaglia fosse dolorosa o persa in partenza.
Gli accarezzò i capelli. Quanto avrebbe voluto vederlo riaprire gli occhi, sentirlo di nuovo parlare e, ancora e magari, osservarlo mentre si rifaceva una vita, tentava di fare ammenda a quel che aveva fatto a Casey e cercava di diventare un brav'uomo.
Vargos aveva detto che c'era ancora una speranza, ma quanto era solida e certa?
Elimar le si avvicinò e si rigirò tra le mani le chiavi dell'auto. «Rimarrò a Caverney Town fino a domani pomeriggio, poi dovrò abbandonare la città. Dicono che Olegov stia per tornare da qualunque posto abbia deciso di corrompere con la sua presenza e io devo andare via prima di incrociarlo. Gli romperei volentieri il naso, ma senza mio fratello e gli altri non riuscirei a sopraffarlo. Per fortuna Lidia e Milton Leroin hanno pensato bene di seguire subito Casey in Louisiana, altrimenti sarebbero stati i primi a subire gli effetti della collera di quel pazzo. Oggi parlerò con i genitori di Samuel, la guardia che ha dato una mano a Casey a fuggire di prigione, e spero che i suoi genitori decidano di seguire le orme dei Leroin e di abbandonare Caverney Town di corsa. Se vorranno, sarò io stesso a scortarli fino a quando non saremo abbastanza lontani da qui.» Fece un respiro profondo. «Idris Pothier ha accettato di darmi una mano e sarà qui in serata per condurre invece Samuel al sicuro. Magari lui conosce qualcuno che potrebbe aiutare Dominic.»
Cora scosse la testa, quasi incredula di fronte alla disponibilità del giovane Alfa. «Perché ti dai tanta pena per me e per me Dominic, dopo quello che mio marito e Olegov sono stati capaci di fare? Dopo ciò che Olegov ha fatto a tua madre?»
«Perché non sei come loro e Dominic è stato vittima dei pessimi insegnamenti di tuo marito, Cora. Perché è giusto così e perché ho promesso a Irene che avrei fatto il possibile per entrambi. Le voglio bene come se fosse mia sorella, Cora. Da piccoli giocavamo tutti e tre assieme prima che lui cominciasse a seguire le orme di Simon. È come se foste parte della mia famiglia, nel bene e nel male, capisci?»
Cora si asciugò le guance e sorrise, commossa. «Oh, se lo ricordo! Dominic non ti dava mai pace!»
«Però mi strappava sempre una risata» disse Vargos, perdendosi un po' in quelle tenere rimembranze di infanzia risalenti a un periodo in cui la situazione a Mythfield si era un po' placata e lui, con sua madre e Ragos, era stato solito recarsi a Caverney Town per trascorrere qualche settimana estiva in quella città dove le temperature erano più miti e accettabili. Sua madre, d'altronde, era nata lì e ci era cresciuta, poi aveva conosciuto l'uomo che in seguito aveva sposato, Farron Elimar, e si era trasferita a Mythfield con lui. Grazie a quelle estati l'allora Vargos bambino aveva conosciuto i gemelli Tarren e fatto amicizia con entrambi, affezionandosi forse un po' di più all'irrequieto Dominic sempre pronto a combinare pasticci d'ogni sorta e a far ridere come matti la sorella ed Elimar.
Era stato tutto bello finché era durato e Vargos rimpiangeva quegli anni in cui tutto gli era sembrato facile e spensierato. Una volta, ricordava, persino Caelan li aveva seguiti a Caverney Town perché, forse, cambiare aria e ambiente gli avrebbe giovato in fatto di salute.
Il giovane governatore di Mythfield deglutì. «Cora, devo... devo dirti una cosa.»
«Sono buone notizie?» chiese lei, nient'affatto pronta ad altre cattive nuove.
«Penso di sì.» Elimar sorrise debolmente. «Credo... credo di aver ritrovato il figlio di Emery e Dion.»
Cora sbarrò gli occhi e batté le palpebre, spiazzata, incredula e sì, felice. «Oh, Dio» esalò premendosi una mano sul petto. «Luise e Mitchell lo sanno? Glielo hai detto? Cielo, è... è una notizia meravigliosa, Vargos!» Non c'era da stupirsi della sua reazione. In fin dei conti, se Crystal era davvero il figlio di Emery e Dion, allora fra lui e Cora vi era una ben precisa parentela. Cora, infatti, era la sorella di Louise. Vargos non osava neppure immaginare a come potesse essersi sentita quando le avevano detto cos'era accaduto a Emery e di come Dion, poi, fosse sparito dalla circolazione e si fosse portato dietro il figlioletto. La cosa tremenda era che non avesse avuto modo di piangere il nipote debitamente, visto che Simon si era rifiutato di lasciarla partire per Mythfield per partecipare al funerale. L'ennesimo atto di crudeltà da parte del marito-padrone in cui Cora era purtroppo incappata.
Vargos scosse il capo. «No, non ancora. Volevo aspettare prima di metterli al corrente della faccenda. Voglio assicurarmi che sia davvero il loro nipote. Se per assurdo dovesse trattarsi di un malinteso, non oso pensare a come potrebbero poi sentirsi nel rendersi conto di aver nutrito speranze vane.»
Cora annuì, capendo eccome il suo punto di vista. «Com'è? Insomma... ha preso almeno un po' da Emery?» chiese poi, non reggendo alla curiosità.
Elimar si strinse nelle spalle. «Ci ho parlato poco, ma ha un bel caratterino, questo è sicuro, e non ha avuto una vita facile. Se ho capito che tipo era Emery, allora sì, ha ripreso da lui.»
«E cos'è successo a Dion, invece? Come sta? Hai parlato anche con lui?»
Vargos sentì lo stomaco contrarglisi. Trovava logorante l'ottimismo cieco e innocente di Cora, la sua speranza che almeno Dion fosse riuscito a cavarsela. Aveva sempre odiato essere ambasciatore di orrende notizie, ma non aveva senso mentire. Gli era già sufficiente aver mentito a suo fratello sulle circostanze della morte di Farron e si odiava ogni giorno per non avergli detto la verità. Non voleva altri pesi sulla coscienza. «Ucciso» rivelò con un filo di voce. «C-Credo che avesse incrociato Olegov o uno dei suoi e che, probabilmente, lo avessero già da prima rintracciato e osservato. Forse avevano percepito l'odore di Crystal, dato che è un Indigo, e non oso pensare alla reazione di Stefan di fronte a una novità del genere. Dion, probabilmente, si mise contro di loro e fece per questo una brutta fine. Ho raccolto in in giro tutte le informazioni che potevo in merito al caso, ma ho trovato pochissimi riscontri. Le indagini si chiusero, alla fine, perché nessuno riusciva a risalire al colpevole. Crystal venne messo in orfanotrofio e poi, mi sembra, dato in affidamento a qualcuno, ma qualcosa dovette andar storto.»
«Perché dici questo?» chiese con un filo di voce Cora, già abbastanza sconvolta dal resto della vicenda.
«Gliel'ho letto negli occhi» replicò semplicemente Vargos. «Ha sofferto, questo è certo. Tende a essere... come dire... molto sulla difensiva, si chiude subito a riccio e non si fida di nessuno, a parte di un ragazzo che ha conosciuto da poco e che mi è sembrato in gamba. Ha voluto persino convincerlo a seguirlo a Mythfield ed è già un passo avanti enorme per qualcuno che non ripone fiducia neppure nella propria ombra.»
«Quanto siete sicuri che sia lui il figlio degli Hawthorn?»
«Su cento, direi novanta. È sicuramente uno della nostra specie, questo sì. Riconosco un Indigo subito, quando ne vedo uno, e so anche che Olegov ha già provato a intrappolarlo nella propria rete. Crystal, però, è scaltro e sveglio, non ha abboccato e, anzi, è andato via subito da New York e si è rifugiato a Shreveport dove poi Ragos lo ha incontrato per caso.»
Cora annuì lentamente. «Tuo fratello come sta, piuttosto?»
Vargos si ravviò i lunghi capelli. «Scontroso, tediato dalla vita, sempre più distante e avverso alla vita. Il Ragos che ormai ho dovuto imparare ad accettare.»
«Stagli vicino, Vargos» gli disse la donna. «Ricordo com'era da piccolo e se un po' di quel bambino è rimasto dentro di lui, allora non è forte come spergiura di essere.»
«Pensa che io non abbia capito cosa c'era davvero fra lui e Rory» ammise amareggiato Elimar. «Mi crede cieco davanti all'amore e qualsiasi cosa comprenda le emozioni comuni, ma non sono miope fino in fondo. Ci sono cose che so leggere negli occhi altrui. Magari non provo né proverò mai cosa sente lui ogni giorno, ma vederlo in quello stato è peggio del ricevere una pugnalata al cuore.»
«È chiaro che sia come affermi. Hai detto che i primi tempi dopo la scomparsa di quel ragazzo, Ragos non volle toccare cibo né uscire più o fare quel che faceva di solito, senza contare... insomma, quello che ha cercato di fare l'anno scorso. Se erano compagni per la vita, allora devi tenerlo d'occhio. Solo un legame così forte riduce in quello stato uno della nostra specie.»
Il ragazzo serrò gli occhi per alcuni secondi. Aveva ancora i brividi al solo ripensare a quel che aveva visto una sera, quando era andato a trovare Ragos per stare un po' in famiglia e tenergli compagnia. «Senza Rory la sua vita è andata in pezzi. Non c'è scusa che tenga.»
«A volte capisco perché in tanti ti invidino, Vargos.»
«Ah, sì?»
«Da quel che si dice, non ti importa d'altro se non della sicurezza e del benessere della tua città e di tuo fratello. La tua è una lealtà che ormai sembra esser passata di moda.»
«Non è esatto» ammise Elimar, ora leggermente colorito sulle guance. «In realtà qualcuno ci sarebbe, ma... beh... c-come dire...»
«Abita lontano? Sta con un'altra persona? Oh, non dirmi che è sposato o sposata! Pessimo affare, credimi!»
«Uhm, no. Mi odia a morte.»
«E perché mai?»
«Non andavamo d'accordo neanche a scuola. Insomma... prima del liceo, quando ancora eravamo bambini, c'è stato un periodo in cui credevo fossimo diventati amici, ma poi siamo cresciuti e ci siamo persi di vista, pur conoscendoci sì e no sin dalla culla. La pensavamo diversamente su tutto quanto e ogni tanto discutevamo in modo serio. Lui non piaceva a me e io non piacevo a lui, solo che... n-non lo so, dopo la scuola mi sembra cambiato molto e... i-insomma, hai capito, no?»
«Lo hai rivalutato» riassunse Cora, sorridendogli. «Hai mai provato a parlargli, se non altro? Potrebbe non odiarti più! Vale la pena tentare.»
«Oh, no, Cora! Credimi, mi detesta! Appena mi vede arrivare, subito se ne va o si allontana, neanche mi rivolge un minimo di attenzione. Si comporta come se fossi un fantasma o non esistessi affatto.»
«Hai tentato, almeno, di fargli capire che ti piace?»
«Cielo! Certo che no!» esclamò scandalizzato l'Alfa. «Se solo ne avesse il sentore, mi rincorrerebbe con una mazza, fidati! E poi... n-non sono esperto di queste cose, lo ammetto. Non ho avuto dei veri fidanzati e sono un autentico imbranato in quel settore.»
Cora sospirò. «Siete una causa persa, temo» commentò, fra il serio e il faceto. «Secondo me dovresti tentare un approccio più diretto. Provaci, Vargos, non ti costa nulla.»
«Già, a parte una ricostruzione del setto nasale e qualche vertebra polverizzata!»
Cora sghignazzò, rinfrancata da quella chiacchierata che l'aveva un po' distolta dalla questione di Dominic. La schermaglia si interruppe quando arrivò una domestica sulla quarantina con accanto un ragazzo che non doveva avere più anni di Dominic e Irene. La padrona di casa, dopo un attimo di smarrimento e sorpresa, parve riconoscerlo e raggiunse i due. Disse alla domestica che poteva andare, poi parlò al giovane. Vargos, intanto, aveva notato qualcosa far capolino da oltre le gambe snelle dell'esile Omega. Lo aveva riconosciuto dal sentore e sì, dall'aspetto in generale: era la testa di un bambino seguita dal resto del corpo di un Alphaga in miniatura che al massimo doveva avere tre anni.
«Jesse, non sapevo che avessi avuto un figlio!» esclamò Cora, accorgendosi a sua volta del bambino.
Il ragazzo prese per mano il piccolo e deglutì. «Ho... Ho saputo di Dominic, signora Tarren, e alla fine ho deciso di venire qui per sapere se stava bene.»
«Ti eri trasferito, vero?»
«Sì, signora. Q-Quasi un anno fa.»
Notando lo sguardo di Jesse, Cora lo rassicurò: «Lui è Vargos ed è un amico di famiglia, non preoccuparti. Parla pure liberamente».
Era chiaro che l'Omega intendeva parlare di qualcosa eccome, ma sembrava incapace di spiegarsi. «N-Non sarei mai tornato qui, se non avessi saputo anche della scomparsa di suo marito. Scusi la sincerità, ma... ma era stato lui a dirmi che non dovevo più avere contatti con Nic e non dirgli niente a proposito di...» Gli occhi del giovane corsero al piccolo. «Signora Tarren, Dominic è il padre di mio figlio e per questo, appena ho saputo, ho deciso di fare ritorno a Caverney Town. Speravo di trovarlo in condizioni di salute migliori, di poter parlargli e fargli conoscere il bambino, ma...»
Guardò verso il letto e il suo viso fu attraversato da un'espressione sofferente. Non osò continuare, sembrava incapace di farlo.
Cora e Vargos si scrutarono a vicenda, esterrefatti.
A quanto pareva, Dominic era diventato padre ancor prima di quanto accaduto con Casey Leroin.
La donna cercò di riprendersi. «E... mio figlio non ha mai saputo niente di tutto questo?»
«No, signora» mormorò Jesse. «Suo marito non mi permise di parlargli né di mettermi in contatto con lui. Mi disse che se avessi provato ad avvicinarmi a questa casa o a Dominic, avrebbe fatto del male a me e alla mia famiglia. Io... Io amavo Nic e avrei voluto fargli conoscere Jamie, ma avevo troppa paura di suo padre.»
Jamie, intanto, era sgusciato oltre la donna senza esser notato e si era fermato a poca distanza da Vargos, il quale abbozzò un lieve sorriso, lo sguardo velato di lacrime per via della situazione sì e no drammatica che aveva di fronte. «Ciao» pigolò il bambino, ancora un po' goffo nei movimenti come lo erano tutti i bambini alla sua età, compresi quelli Alphaga. Si avvicinò un altro po' e sollevò la testolina per guardare in faccia l'Alfa. «Sei grande grande!» esclamò, sollevando un braccio per dare un'infantile enfasi alle parole.
«Jamie, non infastidire il signore» lo riprese Jesse, calmo nella voce, ma severo nel tono. «Mi scusi» aggiunse, rivolgendosi a Vargos; questi, però, scosse il capo e sorrise. «Ma no! Non ha fatto niente di male! È adorabile, anzi!» Si inginocchiò e tese una mano al piccolo. «Ciao, Jamie. Io sono Vargos.»
Il bambino sorrise raggiante e con le minuscole dieci dita strinse le cinque adulte dell'Alfa. «La mamma ha detto che qui c'è il mio papà!» disse euforico. «Sei tu?»
Elimar deglutì e si sentì avvampare come una scolaretta. «Uhm, n-no! No, io... io sono...» balbettò. Jamie, però, parve capire ancor prima di ulteriori spiegazioni e superò Vargos con nonchalance. Si fermò al capezzale di Dominic e ruotò la testa, come in ascolto di qualcosa. Tuttavia le sue narici si muovevano, seppur in modo appena visibile. Per gli Alphaga era come per alcuni animali: si riconoscevano dal sentore, dall'essenza, e ciò valeva soprattutto per i ‟cuccioli" con i genitori e viceversa. Jamie doveva aver capito che era Dominic il padre che fino ad allora aveva atteso di incontrare. Si sporse e gli scosse piano un braccio, sicuro che in tal modo lo avrebbe fatto svegliare. Quando l'azione non ottenne alcun effetto, si volse e disse a Vargos: «Con la mamma funziona sempre».
Jesse lo raggiunse e lo fece allontanare delicatamente. «Jamie, tesoro, papà non sta molto bene e deve riposare.»
«Perché?» chiese il piccolo.
Fu allora che Cora prese una decisione, forse condizionata da quanto aveva visto fino ad allora. «Presto starà meglio, Jamie» disse, asciugandosi gli occhi con discrezione. «Si sveglierà e a quel punto potrai parlargli.» Guardò Elimar e fece un cenno con il capo. «Siamo nelle tue mani, Vargos. Ti prego, avverti gli Evans e fa' in modo che Samuel giunga sano e salvo a Mythfield. Gli devo la vita non solo dei miei nipotini, ma anche di Casey e Noah. Non vedo l'ora di rivederli, tra parentesi!» Si sforzò di sorridere, di pensare a qualcosa di positivo pur di non soffermarsi su quanti rischi comportasse la scelta che aveva appena fatto.
Vargos annuì in silenzio. Jesse, invece, chiese confuso: «C'è ancora speranza, quindi?»
Il governatore di Mythfield trasferì gli occhi grigi su di lui. «Ti spiegherò tutto, Jesse. Se vorrai, potrai venire con noi e stare accanto a Dominic.»
Era innegabile che l'entrata in scena del famoso Crystal Hawthorn si fosse svolta in maniera pittoresca. Verso circa le undici del mattino Casey aveva ricevuto una telefonata da parte dello sceriffo Aguillard che lo aveva esortato urgentemente a raggiungerlo alla centrale. Il motivo? Un certo Indigo che, appena palesatosi, era sì e no piombato nel suo ufficio senza neppure aspettare di essere ricevuto. Il problema vero e proprio era il modo in cui si era posto Crystal: troppo diretto, già ansioso di far baccano in città pur di trovare l'assassino di Dion Hawthorn e, testuali parole, scuoiarlo come un animale e appenderne la testa sopra il proprio futuro camino. Roba da scalmanati!
Casey, in quanto vice di Vargos, era stato chiamato in causa e subito aveva raggiunto Aguillard. Dopo una rocambolesca scena in cui le presentazioni erano state difficili da attuare, Leroin aveva deciso di prendere il toro per le corna e, dunque, aveva invitato Crystal a darsi una calmata e a seguirlo fuori dalla centrale per prendere un caffè assieme e fare il punto della situazione.
Ragos e Gray avevano preferito lasciarli da soli a sbrogliarsela, specie perché Hawthorn era parso davvero inviperito.
Dunque eccoli là, i due Indigo, seduti l'uno di fronte all'altro in compagnia di una tazza di caffè fumante ciascuno e tanto di cui parlare. Non sarebbero potuti essere più diversi, però: Casey era calmo, era freddo e posato, ma Crystal invece era chiaramente sulla difensiva e guardava Leroin come se non nutrisse in lui chissà quanta fiducia.
«Si può sapere» chiese dopo un lungo silenzio Hawthorn, «perché diavolo ti sei presentato dallo sceriffo? Non c'entravi niente!»
Casey trattenne un lungo sospiro. Gli era toccato spiegare quella tiritera già a molta altra gente e ne aveva abbastanza di ripetere sempre le stesse cose. «Per ora sono io a comandare da queste parti, mettiamola così» rispose laconico. «Vargos Elimar, che di sicuro avrai conosciuto, mi ha incaricato di tenere in ordine la città fino al suo ritorno e così sto facendo. Tu, Crystal, con il tuo comportamento di poco fa, hai messo a soqquadro l'ufficio del povero sceriffo Aguillard in meno di mezz'ora. Teoricamente avrei dovuto farti sbattere in una cella, così da permetterti, magari, di rinfrescarti le idee.»
Crystal aguzzò lo sguardo, gli occhi violetti che scintillavano vigili. «Puoi farlo anche adesso, se vuoi.»
«No, e sai perché?»
«Illuminami.»
«Perché un po' mi rivedo in te e... beh, mi hanno detto che hai avuto dei trascorsi burrascosi di recente con un mostro che conosciamo entrambi. Il nome Stefan Olegov ti è familiare?»
«È per colpa sua che sono finito in questo casino» sputò fuori sprezzante il biondo, storcendo il naso.
«Io purtroppo ho la sfortuna di essere addirittura suo figlio.»
«Sì, lo so.»
«Sai anche il resto?»
«All'incirca.»
«Quindi puoi capire che io, come te, ho un conto in sospeso con Olegov. Intendo pareggiarlo e... beh, mi chiedevo se magari ti andrebbe di collaborare con me. Abbiamo un fine comune e credimi, Crystal, da soli non riusciremo a batterlo. Ci vuole astuzia contro di lui, non basta la semplice forza.»
«A me piace lavorare da solo.» Crystal bevve del caffè. «E questa storia, sicuramente, è collegata anche alla morte di mio padre. So che è stato quel bastardo di Olegov a farlo fuori, lo sento, e sarò io e io soltanto a strangolarlo fino a fargli schizzare via gli occhi dalle orbite. Spiacente, Casey, ma hai scelto una preda già puntata da qualcun altro e non amo condividere la carne con gli altri.»
Casey non perse le staffe e si rilassò contro lo schienale della seggiola. «Quasi un anno fa... un giorno ero in città, non qui, ma in quella dove sono nato e cresciuto. Stavo camminando, mi stavo facendo gli affari miei come tutti gli altri, poi... francamente non ricordo quasi nulla, la mia mente ha deciso di oscurare molti degli eventi di quel giorno. Ricordo, però, di essere stato trascinato a forza in un vicolo qualsiasi, di essere stato privato dei miei jeans, della biancheria, forzato al muro e violentato. In seguito sono stato costretto a vivere in casa del mio aggressore e lì sono stato picchiato, maltrattato e di nuovo abusato in ogni modo possibile da quell'uomo. Questo, Crystal, per quasi sette lunghi mesi e solo perché portavo in grembo i figli di quell'uomo. Alle soglie del quinto mese di prigionia, però, ho tentato ancora una volta la fuga e ho incontrato una persona buona che ha cercato di aiutarmi. Volevo abortire, ma non ho fatto in tempo e sono stato trovato di nuovo dal mio aguzzino e riportato in quella casa degli orrori. Con me c'era la persona che mi aveva aiutato. Grazie a lui, a Noah, per due mesi sono stato bene, la situazione era migliorata, poi lui è dovuto tornare a casa, dalla sua famiglia, e tutto è andato a rotoli. La famiglia che mi teneva prigioniero, tuttavia, si è ribellata a Simon Tarren, il più caro amico di Olegov. Entrambi avevano pianificato tutto. Ero vittima dei loro piani, ma i Tarren alla fine si sono ricreduti. Sono fuggito con loro da quella casa, ma prima ho ammazzato Simon riempiendolo di piombo. La fuga è andata di nuovo male: sono stato rintracciato da Olegov e messo in galera a Caverney Town, la città dove tutti mi conoscevano e dove tutti avevano paura di quel demonio. Per un mese ho patito l'inferno. Di nuovo segregato, di nuovo picchiato, insultato e violentato. Volevano i miei figli, volevano morti tutti e quattro per via di uno stupido rituale. Noah, uno strego coraggioso, una guardia che si è ricreduta e pentita, e Irene, la donna che con orgoglio è la zia dei miei tre figli, mi hanno aiutato a fuggire di prigione. Lui ha quasi rischiato di morire per me. E poi... beh, pochi giorno dopo esser giunto a Mythfield, sono entrato in travaglio e non sai quanta fatica ho fatto per dare alla luce i miei tre bambini e accettarli, per amarli e ricordare che non avevano colpe, che erano innocenti quanto me. Mi ero convinto a tenerli con me ed è stata enorme la paura di vederli non sopravvivere alla nascita, prematuri com'erano. Tutto ciò che avevo subito, purtroppo, ha presentato delle conseguenze fino all'ultimo secondo, ma loro erano forti e in salute, quindi ce l'hanno fatta grazie a qualche miracolo.»
Ripercorrere tutto gli faceva male, ma dato che Crystal sembrava non capire la sua, di posizione, tanto valeva essere chiari. «Dici di voler uccidere Olegov perché pensi abbia assassinato tuo padre, Crystal, e mi va benissimo, ma non pensare neanche per un secondo che io abbia avuto chissà quanta fortuna. Non credere che io non voglia vederlo morto quanto lo vuoi tu e non ti azzardare a rivendicare un esclusivo diritto sul bersaglio che era mio, prima che arrivassi tu ad aggiungerti alla festa.» Si sporse, gli occhi dorati seri e dardeggianti. «Come ti ho appena mostrato, da soli non si può pensare di avere la meglio su Stefan Olegov. Non importa se sei abituato a dare la caccia ai mostri. Qui parliamo di un essere astuto e spregiudicato, di qualcuno che sa ragionare e muovere i pedoni sulla scacchiera a piacimento. Lo conosco meglio di te, Crystal, e so che più siamo e meglio è per tutti. Da solo ti farai ammazzare e io, purtroppo, perderò un possibile e valido alleato.»
Crystal lo guardò frugare in tasca, poi lo vide posare qualcosa sul tavolo che lo lasciò per un attimo interdetto. Sogghignò. «Wow, una pistola. Bel regalo di benvenuto! Suppongo che i cestini con i muffin ai mirtilli siano passati di moda» commentò sarcastico.
Casey rimase serio. «Non esco più senza portarmi dietro uno di questi gioiellini. Una volta mi è bastata e avanzata.»
«Di solito è così che convinci le persone a collaborare con te, Casey?»
«Di solito non devo aver a che fare con degli stronzi dalla testa montata e dall'ego gigantesco.»
«Ma che bravo! Ti sei appena descritto da solo!»
«Questa è la mia città, Crystal, e questa è la mia offerta.»
«Altrimenti cosa? Mi spari in testa e buonanotte al secchio?»
«Mi limiterò a usare la pistola come mazza improvvisata. Non voglio averti sulla coscienza.»
«Non sono così facile da colpire e da cogliere alla sprovvista. Non riusciresti neppure a sfiorarmi, Casey.»
«Posso comunque provarci, Crystal.»
Si guardarono a lungo negli occhi, una silenziosa battaglia di sguardi. Era chiaro che Casey non fosse intenzionato a demordere. Crystal guardò la pistola, poi di nuovo l'altro Indigo. E pensare che se l'era immaginato come una femminuccia sdolcinata. Aveva fatto male i conti, a quanto pareva.
Leroin tamburellò le dita sul tavolo, poi: «Va bene, senti, facciamo così: ti do tempo per decidere fino a dopodomani, quando Vargos dovrebbe finalmente tornare a Mythfield. A quel punto, Crystal, dovrai decidere da che parte stare e se accettare l'aiuto che ti stiamo offrendo oppure andare per la tua strada e affrontare le conseguenze della tua indole da lupo solitario». Odiava passare per il cattivo di turno, ma non aveva alcuna intenzione di avere una sorta di rivalità con Crystal. Doveva assicurarsi di avere anche il suo appoggio, che lui non si rivelasse una spina nel fianco, da cane sciolto qual era stato definito. Rappresentava una variabile troppo imprevedibile nei suoi calcoli e non poteva permettersi degli errori.
Rimise a posto la pistola nella fondina nascosta sotto la camicetta leggera e a quadretti appesa attorno al braccio, poi si alzò. «Fino ad allora: benvenuto a Mythfield. Se deciderai di accettare, il mio indirizzo è questo: 22Δ Sycamore Street. Il ‟delta" è scritto come nell'alfabeto greco, per la precisione.» Fece un cenno di saluto ad Ariel che stava intanto parlando al telefono con un probabile cliente, poi andò all'uscita e si allontanò dal locale.
Crystal contrasse la mascella. «Che gran testa di cazzo» mormorò tra sé. Notò che Casey aveva lasciato una banconota sul tavolo e si sentì ancora più infastidito. Odiava farsi offrire anche solo un caffè, era una delle sue tante fisse. Per distrarsi guardò in direzione del giovane barista e si sentì in colpa non appena si ritrovò prima a pensare che fosse davvero carino, poi a ricordare di avere al momento una specie di relazione nascente con Grayson.
La vaga e lieve attrazione per quel tipo che Casey aveva chiamato Ariel, però, scemò in fretta non appena il ragazzo ricambiò il suo sguardo e lo fece con un gelo che lo scoraggiò a priori. Era una sua impressione o sembrava avercela quasi con lui?
Come al solito sei bravissimo a farti nuovi amici, si disse.
Si morse il labbro inferiore, poi si alzò e si avvicinò al bancone. Ariel aveva un'aria familiare e così pure l'avevano i suoi occhi. «Come va?» esordì, sentendosi subito dopo uno stupido. Tanto valeva provare a stringere qualche conoscenza, anche se Ariel sembrava sul serio non averlo preso molto in simpatia.
Aguillard sbatté le palpebre. «Bene, grazie» replicò altero. «Tu sei il famoso Crystal Hawthorn.»
«Famoso mi sembra una parola grossa» replicò Crystal. «Sono... uhm... solo uno stronzo che si è ritrovato per caso invischiato in una storia folle. Credo.»
«Beh, Vargos e Ragos avranno le loro ottime ragioni per tenerti così tanto al sicuro» sentenziò gelido Ariel.
L'Indigo, quasi percependo qualcosa, si accigliò: «Conosco quei due da pochissimo, giusto per esser chiari. Non voglio rompere le palle a nessuno, credimi». Non gli era ben chiaro quali dinamiche ci fossero fra quei tre, ma non sarebbe stato di certo lui a scombinarle e a intromettersi.
Ariel capì di essere stato troppo impulsivo e sì, troppo pilotato dalla gelosia. Deglutì. «Scusami. Non volevo insinuare niente.»
«Ci sono abituato.»
«Senti, Crystal...» Aguillard si pettinò una ciocca di lunghi capelli biondi dietro l'orecchio. Crystal, ancora una volta, si scoprì a fissarlo con aria un po' imbambolata. Non poteva non pensare che Ariel, più che carino, fosse davvero bello. «Io e Casey ormai ci conosciamo da un po' e posso dirti che è un ragazzo a posto. Dico sul serio. Forse è troppo diretto, certe volte, ma se vuole darti una mano, vuole farlo perché sicuramente sa che ne hai bisogno. Olegov è davvero un osso duro e può renderti la vita un inferno. Mythfield è un luogo sicuro, ma potrebbe non esserlo più in futuro. Capisci cosa voglio dire?»
«Sì, credo di sì.»
«Accetta la mano che Casey ti sta tendendo. Sa il fatto suo e sa essere un amico come pochi ce ne sono. Nessuno può farcela sempre da solo.»
Crystal si umettò le labbra. «Io sono qui solo per vendicare mio padre, onestamente. Voglio solo questo, poi... poi penso che sloggerò e vi lascerò in pace. Non sono un tipo socievole e non mi sono mai trovato bene da nessuna parte. Non so cosa voglia dire far parte di una comunità.»
«Beh, potresti impararlo» rispose Ariel con molto giudizio, condendo l'incoraggiamento con un lieve sorriso cordiale che, tuttavia, ebbe vita breve e venne rimpiazzato da un'espressione glaciale. Crys si voltò e vide entrare Ragos. L'Alfa per alcuni istanti ricambiò l'occhiata dell'Omega, ma distolse subito gli occhi e li trasferì su Hawthorn. «Volevo sapere com'è andata la chiacchierata.»
Crystal lo squadrò con fare altrettanto gelido. «Devo pensarci su.» Rivolse un saluto al barista e uscì.
Ragos sospirò e si ravviò i capelli, snervato. «Mi fa vedere i sorci verdi, quello là.»
«Forse è ciò che ti meriti, non credi?» lo rimbeccò Ariel, aguzzando lo sguardo. «Se ti tiene a distanza, fa solo bene. Sei famoso per distruggere tutto quello che tocchi, Ragos Elimar. È quello che hai fatto con Rory, dopotutto.»
Ricordava a menadito le svariate volte in cui aveva detto e ripetuto a Rory di non seguire Ragos nelle sue scorribande e di trovarsi un fidanzato decente che non lo mettesse sempre in pericolo, ma quello stupido non aveva voluto ascoltarlo e alla fine, purtroppo, ci aveva davvero rimesso le penne. Considerava quell'individuo responsabile della morte del suo più caro amico tanto quanto lo era Olegov stesso.
Ragos deglutì, poi, però, colto dalla rabbia, si avvicinò e disse, abbassando la voce: «Almeno io e Rory abbiamo avuto il coraggio di amarci. Tu, invece, sei così orgoglioso da non voler abbassarti a dire a mio fratello che sei innamorato cotto di lui. Come la mettiamo, Ariel? Vuoi davvero scoperchiare il vaso di Pandora, di' un po'?»
Ariel pose entrambe le mani sul bancone con un tonfo secco e adirato. «La mettiamo così: vedere Rory morire mi ha fatto capire che devo stare lontano da te e da tuo fratello il più possibile. Siete solo una calamita per i guai, non procurate altro che quelli a chiunque sia così pazzo da gravitarvi attorno! Preferisco morire in altre maniere, piuttosto! Vaso di Pandora un cazzo, Elimar!»
L'Alfa emise un ringhio che lo fece sembrare in tutto e per tutto una belva. «Morire, eh? È quello che ti succederà, prima o poi, a furia di ostentare certi atteggiamenti con le persone sbagliate. Sei sempre andato in cerca di guai e un giorno li troverai, Aguillard, segnati le mie parole!»
«Mi stai minacciando?» sibilò l'Omega, feroce quanto lui. Esattamente come Ragos, anche dalle profondità delle sue corde vocali stava provenendo un basso e gorgogliante ringhio; un avvertimento che ricordava quello lanciato da un felino di grossa stazza prima di attaccare. Non era mai stato uno di quelli che temevano gli Alfa e la loro forza fisica superiore, non quando a sua volta era nato per lottare, anziché subire.
«Può darsi!»
«Allora agisci subito, forza! Dammi un motivo valido per farti a brandelli!»
Furono interrotti dalla porta del locale che di nuovo si aprì e richiuse. «Che sta succedendo qui?» Si trattava di Casey che, per un motivo o l'altro, era tornato indietro. Li scrutò a turno, le mani sui fianchi e lo sguardo ridotto a fessura. Si concentrò su Ragos. «E tu chi saresti? Hai un'aria familiare, piantagrane.» Gli sembrava di averlo visto proprio fuori dall'ufficio dello sceriffo, in effetti, ma con tutti i pensieri che aveva per la testa gli riusciva difficile ricordare sempre tutte le facce nelle quali si imbatteva.
L'Alfa si incupì. «Potrei farti la stessa domanda, Peter Pan.»
«Sono Casey Leroin, stronzo, e sono a tanto così dal prenderti a calci nel culo, se non ti decidi a toglierti dal grugno quell'espressione da strafottente. Chiaro?»
Elimar ammutolì, poi imprecò tra sé. «Ragos» mugugnò. «Ragos Elimar.»
«Ah.» L'Indigo lo passò in severa rassegna e poi si rivolse ad Ariel. «Tutto bene? Prima di entrare, ho visto che stavate sì e non per darvele di santa ragione.» Finalmente aveva conosciuto per bene Ragos e quella era una cosa positiva, ma fino a prova contraria quella città era al momento sotto la sua giurisdizione e di grane ne voleva ben poche. C'era già fin troppo cui pensare e quell'uomo pareva un amante delle risse, passato difficile o meno.
«Niente di che. Vecchie dispute» replicò stringato Aguillard, occhieggiando Ragos come a voler ucciderlo tramite il semplice sguardo. «Non so se sei già al corrente di questa storia, ma questo piccolo bastardo è il diretto responsabile della morte di un mio caro amico. Quell'idiota si prese una pallottola per lui, ecco cosa accadde!» aggiunse a denti stretti, le pupille che di colpo si erano ristrette fino a diventare sottili mezzelune. Non era mai un bel segnale e Casey, ovviamente, lo colse immediatamente. «Comunque stiano le cose» disse lentamente, «la dietrologia non ha mai portato alcun profitto né vantaggio a nessuno. È inutile ancorarsi al passato, credetemi».
Ragos serrò i pugni. «Fanculo a tutto quanto. Io mi chiamo fuori» disse, la voce nuovamente simile al gorgoglio di una bestia pronta a balzare. Non aggiunse altro e abbandonò il locale come una furia.
Casey, dunque, lentamente si voltò a guardare Ariel. Era ovvio che ce l'avesse anche con lui. «Non so su cosa vertesse nei minimi dettagli la disputa sui brutti tempi andati, ma questo è il momento più sbagliato per rivangare vecchi rancori.» Osservò l'Omega aggirare il bancone e dirigersi verso uno dei tavoli lì vicino per lasciarsi cadere sulla seggiola. Leroin, dunque, lo imitò e si accomodò di fronte a lui. «Ariel, vuoi dirmi che cavolo hai?»
Aguillard sorrise forzatamente. Aveva lo sguardo lucido, gli occhi parevano biglie. «Vuoi la verità nuda e cruda, Rosso? Vorrei solo andarmene da qui.»
«Il proprietario ha fatto qualcosa? Voglio dire... una volta l'ho visto mentre ti fissava il sedere. Non avrà mica allungato le mani, vero?»
«Non intendo il locale o quel coglione del mio capo. Parlo della città. Vorrei solo... andare lontano, lasciarmela alle spalle per sempre, sistemarmi in un posto dove nessuno mi conosce e non sono costretto a rivedere tutti i luoghi che io e quel mio amico eravamo soliti frequentare, o ancora sopportare le pressioni da parte della mia famiglia o fare a pugni con l'orgoglio.»
Casey si scompigliò i capelli fulvi. «Di cosa te la senti di parlare?»
«Di niente, in realtà.» Ariel agitò una mano come a dirgli di lasciar stare. «Tu come mai sei tornato?»
L'Indigo accennò al tavolo dove prima si era seduto per parlare con Crystal. «Ho dimenticato le chiavi dell'appartamento.» In effetti le incriminate erano lì sopra. «Vuoi che resti qui?»
Osservò il biondo recuperare dai jeans attillati e chiari un pacchetto di sigarette, sfilarne una e accendersela con uno zippo nero e lucido, infine espirare il fumo e scuotere il capo. «No, tranquillo. Sto bene.»
«Scusa se sono insistente, ma non hai la faccia di uno che sta bene, Ariel. Credimi, a furia di non parlare mai dei propri problemi, prima o poi si finisce per fare il botto. Non se ne andranno magicamente solo perché li ignori.»
«Posso dire una cosa senza sembrare perfido?»
«Spara.»
Ariel fece un secondo tiro. «Sarebbe dovuto essere lui a morire, quella volta. Non Rory. Lui.» Il suo viso assunse un'aria dura e rancorosa. «Ragos è sempre stato così: non sta bene, se non va in cerca di guai a ogni piè sospinto. Rory lo seguiva sempre, stavano insieme e quello stupido si sarebbe strappato il cuore per Ragos. Una volta, qualche anno fa, a quei due venne in mente la brillante idea di braccare Stefan Olegov. Puoi immaginare come finì, no? Un casino. Finirono nei pasticci e durante lo scontro Rory deviò col proprio corpo un colpo di pistola diretto a Ragos. Morì poco dopo, non c'era niente da fare e io... io sapevo che non era nelle condizioni di partire. Sapevo della sua gravidanza, lo aveva detto per primo a me perché voleva un consiglio o almeno un po' di supporto. Mi odio ancora oggi per essere stato troppo duro con lui. Gli dissi di liberarsene al più presto, era troppo giovane e a mio parere era un errore sacrificare i suoi anni migliori per cambiare il pannolino a un marmocchio. Lo ammetto: non vedevo di buon occhio quello che c'era fra lui e Ragos. Si amavano, ma quell'irresponsabile lo trascinava sempre nei casini e in situazioni rischiose.» L'Omega si passò le nocche della mano libera sotto gli occhi. «N-Non gli dissi quelle cose con cattiveria, te lo giuro» singhiozzò. «E-Ero solo preoccupato per lui, eravamo come fratelli e poi è arrivato Ragos a rovinare tutto quanto. Non riuscivo a sopportarlo! Era il mio migliore amico e volevo vederlo realizzarsi e farlo soprattutto lontano dai pasticci che Ragos gli procurava! Quella volta litigammo e lui alla fine se ne andò tutto arrabbiato. Fu l'ultima volta che lo vidi, almeno da vivo. Poi... poi un giorno Ragos tornò con il suo cadavere fra le braccia. Diedi di matto. Gli diedi addosso, lo presi a pugni, un casino del cazzo. L'unica volta in cui provai il desiderio di uccidere qualcuno con le mie mani. Ci vollero mio padre e Vargos per allontanarmi dal piccolo di casa Elimar e frenarmi dal ridurlo a brandelli.»
Casey non lo giudicò. Non era nessuno per farlo. «Mi dispiace, Ariel. Non immaginavo una storia del genere. Però... non è stata davvero colpa di Ragos. Lo sai questo, vero? Voglio dire... il responsabile di tutto quanto è Olegov, solo lui. Rory si è messo contro la persona sbagliata.»
Ariel sorrise ironico. «Questo non cambia le cose e non cancella l'odio che provo per Ragos. Lui ha tirato fuori la storia di suo fratello. Ha detto che non ho le palle di dire a Vargos che... che un po' mi piace. Io ho risposto che più mi tengo lontano da loro due e meglio sto. Non ci tengo a fare la fine di Rory.»
Leroin lo squadrò con un cipiglio severo. «Hai calcato un po' la mano, scusa se te lo dico.»
«Lo so, ma ormai fra me e Ragos è odio allo stato puro da due anni. Non mi andava a genio neppure prima che Rory morisse, ma quel giorno terribile è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso.»
«Questi sono tuttavia tempi oscuri e difficili. Dobbiamo cercare di andare tutti d'accordo, Ariel, altrimenti non ci sarà alcun bisogno dell'intervento di Olegov per causare un enorme casino. Queste vecchie dispute devono finire, okay? Se proprio non volete saperne di seppellire l'ascia di guerra, allora vi prego di mettere in pausa la rivalità in vista di problemi più seri e urgenti. Perdonami la brutalità, ma al momento è per i vivi che dobbiamo preoccuparci. I morti hanno avuto la loro occasione e purtroppo non ce l'hanno fatta, perciò tocca a noi rimboccarci le maniche.»
Ariel annuì, seppur reticente. «Bel tipetto quel Crystal, comunque» disse, cambiando discorso. «Poco fa, quando te ne sei andato, lui è rimasto fino all'arrivo di Ragos e ho avuto la vaga sensazione che stesse cercando goffamente di flirtare col sottoscritto. Credo di essergli simpatico.»
Casey sorrise debolmente. «Già, al contrario mio. Ammetto di essere stato un po' troppo diretto, forse aggressivo, ma in mia difesa dico che non ha un carattere facile da smussare.»
«Nemmeno tu sei chissà quanto un simpaticone, certe volte» si permise di osservare Ariel, spegnendo quel che restava della sigaretta nel posacenere sul tavolo. «Ti ci è voluto un po' per lasciarti andare, quando sei arrivato qui.»
«Anche questo è vero. Suppongo che Crystal abbia bisogno di un po' di tempo. Fino a qualche giorno fa non era al corrente della sua vera natura né di tutto il resto, della storia della sua famiglia, e ha scoperto tutto quanto dopo esser sopravvissuto per miracolo a un incidente. Direi che abbia fatto decisamente il pieno. Forse... forse è meglio lasciarlo in pace. Magari Vargos riuscirà di nuovo a instaurare con lui una conversazione civile e a mostrargli i vantaggi di una collaborazione con noi. Personalmente parlando, mi sono fidato di lui appena l'ho visto, ha un dono naturale.»
Ariel fece una smorfia. «Già. Era così anche al liceo. Non c'era persona a cui non piacesse o che non si fidasse di lui a primo acchito. Mi dava sui nervi ogni dannata volta.»
«Si può sapere perché lo detesti? Senza contare che in realtà ti piace e credimi, Ariel, è una cosa che si nota un bel po'. Vargos è praticamente il solo a non averlo ancora capito. Quando Noah gli ha fatto notare che lo stavi guardando, prima della sua partenza, ci ha quasi riso su e ha detto che non era possibile. Perché glielo lasci credere? E non ricominciare con la storia di Rory e di Ragos. Qui si tratta solo di te e di Vargos, non di suo fratello. Qual è il vero motivo per cui...»
«Perché» replicò Ariel innervosito, interrompendolo, «non voglio finire come tanti altri Omega! Non voglio legarmi, non voglio una maledetta catena al collo che stia sempre lì a limitare ogni mia singola azione! Non voglio dover essere costretto a non fare più scelte che appartengano esclusivamente a me!»
Casey sospirò. «Stare insieme a una persona non significa niente di tutto questo.»
«A volte significa anche prendersi una pallottola al posto dell'idiota con cui hai deciso di accasarti.»
«Ariel, piantala. Sto dicendo sul serio e parli con uno che fino a quasi un anno fa se ne infischiava di volere o meno un compagno. Non me ne importava un fico secco e l'amore mi sembrava una favoletta. Noah mi ha dimostrato che mi sbagliavo e che esistono ancora persone capaci di amare con il cuore, di amare sul serio. Vargos è un brav'uomo e tiene veramente alle persone che ha accanto. Forse non lo conoscerò bene come lo conosci tu, ma dubito che abbia potuto fare qualcosa di grave in passato, specialmente a te.»
Ariel si morse il labbro inferiore e strinse le spalle. «Non lo odio, in realtà. Mi sembra solo assurdo che uno come lui possa essere una moderna versione al maschile di Biancaneve, se sai cosa intendo. A volte è talmente ingenuo da spingermi a chiedermi se in realtà non ci stia prendendo tutti in giro. Da persona civettuola e capricciosa quale sono ancora, all'epoca del liceo mi dava sui nervi che fosse tra i pochi a non pendere dalle mie labbra e a dar retta alle mie moine. Hai presente quei film degli anni Novanta in cui c'è la solita ragazza desiderata da tutti e sempre alla moda, viziata e presuntuosa? Io ero così, ma non parliamo di un film. Alla fine mi sono convinto da solo che dovevo probabilmente stargli sulle palle e dato che sono speculare negli atteggiamenti, mi sono detto che avrei ricambiato la cortesia.»
Casey alzò gli occhi al cielo e si spalmò una mano sul viso. «Non hai mai pensato, neppure per un momento, che forse Vargos, sotto sotto, potrebbe essere fra le persone più timide e riservate di questo mondo? Sul serio, Aguillard? Insomma, la prossima volta che lo vedi guardalo e poi vieni a dirmi se non è una mammola a tutto tondo!»
«Ammetto di non essermici mai soffermato.»
«Beh, se solo ti degnassi di parlargli ogni tanto, te ne accorgeresti. Quando si tratta di fare quattro chiacchiere su cose che non hanno a che fare con la gestione della città o della caccia a Olegov, è impacciato da morire. Probabilmente la tua spigliatezza, la tua aria decisa lo destabilizzano e fanno sentire in inferiorità, lo scoraggiano ad agire e forse gli hanno persino messo in testa di non essere alla tua altezza. Sono tante le cose che può pensare uno con l'autostima piuttosto carente e lui non ne ha una chissà quanto elevata. Se non sarai tu a fare il primo passo, scordati che sarà lui a farlo. Non lo farà mai, Ariel, e tu ti stai solo auto-flagellando negando a te stesso l'evidenza e la possibilità di conoscere quell'uomo come si deve e, magari, persino di affezionarti a lui. Una cosa che tanti dimenticano, al giorno d'oggi, è che prima ancora di amarsi, bisogna volersi bene, perché un giorno la passione quasi sicuramente terminerà o si affievolirà e allora rimarranno l'amore, l'affetto e il rispetto che proviamo per la persona che ci è rimasta accanto per tanti anni, nel bene e nel male.»
Ariel sospirò e mugolò tra sé, passandosi le mani sul volto. «Cristo santo, Casey» si lamentò. «Mi sembra di sentire i miei genitori. Una volta mi hanno sciorinato una tirata esattamente come questa.»
«E hanno ragione. Io voglio bene a Noah. Non si tratta solo di amore o di sesso, o ancora del fatto che in poco tempo ne abbiamo passate tante. Gli voglio bene e lo rispetto come persona, prima ancora che come compagno. È un uomo come pochi ce ne sono, è buono e mi ha aiutato quando il resto del mondo, probabilmente, mi avrebbe chiuso la porta in faccia. Lui c'era quando nessun altro c'era. Non si è arreso fino alla fine, mi ha salvato dalle grinfie di Olegov. Non c'entra niente l'aver scoperto poi che eravamo destinati l'uno all'altro.»
«Ormai è tardi. Sono anni che va avanti questa storia.»
«Stupidaggini. Non è mai troppo tardi per un sorriso, per una parola gentile o un semplice ‟Ehi, Vargos! Come stai, oggi?". A volte la gentilezza fa miracoli, Ariel. Ci sono già troppi stronzi menefreghisti in giro e francamente penso che Vargos abbia proprio bisogno di qualcuno che gli chieda se va tutto bene e rimanga lì finché non sputa il rospo. Uno che si ammazza di impegni come lui non sta affatto bene, Ariel, e per quel che ne sappiamo un tuo sorriso potrebbe rischiarargli la giornata. Provaci, almeno. Non ti costa nulla, se non due minuti scarsi della tua vita.»
«Da un giorno all'altro dovrei quindi diventare solare e pimpante in sua presenza? Cambiare di colpo?»
«Le persone possono cambiare, infatti, e nessuno ti dice che tu debba farlo in uno schiocco di dita. Sii te stesso, punto e basta, e ricorda che non c'è niente di male nell'essere fragili, teneri o dolci. Non togliamo alla vita quel po' di colore che possiede e solo per uniformarci a questo mondo grigio e spietato. Sai... all'inizio, quando per qualche giorno ho abitato con Noah nel suo appartamento, una sera gli ho chiesto perché era stato gentile con me, perché mi aveva aiutato su due piedi. Mi ha risposto che non sappiamo mai chi abbiamo di fronte, che non possiamo sapere se la persona che ci sta davanti è felice o meno, buona o cattiva, ma una cosa è sicura: la gentilezza, certe volte, è capace di salvare la vita a una persona, anche in senso letterale. Potrebbe convincere un suicida a non commettere un atto estremo, a tornare sui suoi passi con la consapevolezza che non è solo e che c'è qualcuno a lottare al suo fianco. Vale la pena essere comprensivi con gli altri, anche a costo di farsi del male.»
Solo in seguito aveva compreso appieno il senso di quel discorso che lo aveva lasciato un po' a bocca aperta: Noah aveva perso sua moglie dopo che lei era entrata in un periodo di forte depressione e tristezza; Noah si era sentito in colpa per molto tempo, si era sentito responsabile dell'atto disperato e solitario della sua compagna. Aveva capito troppo tardi di non esserle stato accanto abbastanza, di essersi rinchiuso nel proprio dolore dimenticando che, nonostante tutto, lui e quella donna erano ancora una famiglia e come tale avrebbero dovuto combattere insieme il problema.
Forse, in minima parte, aveva aiutato lui come forma di espiazione, per tornare a essere in pace con se stesso.
L'Indigo strinse la mano all'Omega e gli sorrise. «Provaci. Il resto, se deve accadere, verrà da sé. Vargos non è uno che nega una possibilità al prossimo, no? Ne può dare una anche a te, ma tu devi mostrargli, fargli capire, che la desideri. Io... Io so di cosa hai paura, Ariel, ma come ci sono Alfa simili a Dominic, a Simon e a Olegov, così ci sono Alfa della stessa risma di Vargos. Io non credo che lui ti tarperebbe in alcun modo le ali né ti costringerebbe a rinunciare al tuo angolo di privacy. È giusto averne uno, specialmente quando si è sposati. È sano e corretto perché anche da innamorati e con una fede al dito rimaniamo singoli individui con una volontà tutta nostra.»
Ariel ricambiò la stretta per puro istinto, perché aveva bisogno di quel contatto in quel preciso momento. «Grazie, Cas. Mi ha fatto bene parlare con te.»
Casey sorrise. «E già che ci sei... cerca di perdonare, almeno in minima parte, Ragos. Prima mi è sembrato aggressivo e furioso, ma spesso la rabbia cela altro, nasconde tanto dolore. Non penso che lui per primo sia mai stato capace di perdonarsi per la storia di Rory e Vargos ha ammesso che suo fratello non sta bene come dice di stare. Qui si tratta di fare del bene a una persona che in fin dei conti non ha avuto alcuna colpa nella morte di quel ragazzo, Ariel. Ha perso la persona che amava e il frutto di quell'amore in una sola volta, in pochi minuti. È sufficiente a distruggere qualsiasi uomo e se erano così uniti, allora Ragos sta soffrendo più di quanto dia a vedere. Non rigirare il dito nella piaga. Fai del male a te stesso e a lui e... penso che Rory non avrebbe voluto vedere le persone che gli erano più care litigare e accusarsi di questo o quest'altro errore. Penso, anzi, che avrebbe voluto vedere il suo migliore amico stare accanto alla persona che lui amava, per la quale ha persino dato la vita. Ragos è ancora vivo, Ariel, e lui può essere salvato.»
Ariel sospirò e si alzò. Esalò un sospiro tremante. «Poteva impedirgli di seguirlo. Avrebbe potuto farlo, Casey. Sapeva che era una pazzia, che Olegov era pericoloso e subdolo. So che la scelta fu anche di Rory e che lui era libero di fare quel che voleva, ma non riesco a non pensare che in qualche modo Ragos avrebbe potuto evitare eccome la tragedia. Posso lasciarlo in pace, se è quel che mi chiedi di fare, ma non perdonarlo o scaricare altrove le sue evidenti responsabilità. È un uomo adulto e come tale deve affrontare le conseguenze dei propri sbagli.» Scosse la testa. «Vado a cambiarmi. Il mio turno è quasi terminato.»
Casey capì che quello fosse stato più un no che un sì. Sapeva di non aver parlato a un muro invalicabile, ma Ariel era uno di quelli che avevano bisogno di rimuginare un po' su certe questioni prima di accettare che non fosse tutto bianco o nero. I compromessi facevano parte della vita, ma le persone orgogliose come Ariel Aguillard necessitavano di tempo per accettarli.
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