𝐕𝐈𝐈. 𝐈𝐧𝐭𝐫𝐞𝐜𝐜𝐢𝐨 𝐝𝐢 𝐬𝐚𝐧𝐠𝐮𝐞
Dato che Ragos non aveva dormito granché, Crystal si era a un certo punto offerto di guidare lui stesso sotto le sue direttive. Fino ad allora il viaggio era proseguito bene e ormai mancavano pochi chilometri all'arrivo a Mythfield.
L'aria che proveniva dal finestrino abbassato scompigliava i capelli biondi del giovane Indigo. Malgrado Elimar fosse davvero stanco, alla fine era stato Gray ad assopirsi, forse per via del caldo che iniziava purtroppo a diventare afa vera e propria dalle proprietà immancabilmente soporifere.
Crystal, notandolo attraverso lo specchio retrovisore, sorrise tra sé, poi tornò serio e guardò Ragos. «Se una volta mi venisse la malsana idea di conoscere almeno il nome di mia madre, cosa dovrò fare per scoprirlo? Voglio dire... possibile che nessuno ne sappia niente di niente? Non credo che papà fosse un Alphaga, altrimenti avrebbe avuto qualche requisito tipico come forza fisica superiore alla norma o... non lo so, capacità di trasformarsi in un animale e così via, e non ricordo di averlo mai visto compiere prodezze sovrumane e non aveva decisamente una forma fisica sviluppata come la tua o di tuo fratello. Era... beh, normale. Quindi... quindi sto trasferendo la mia attenzione sulla mamma, su chi potesse essere e il perché papà fosse ossessionato dallo scappare da qualcuno.»
Ragos si morse il labbro inferiore. «Io... io una teoria l'avrei, a essere onesto, ma non so quanto possa reggere. Ci sono arrivato dopo aver scartabellato qui e là e aver fatto le domande alle persone che ritenevo più giuste. Ethel mi ha aiutato un bel po' nell'indagare e scavare più a fondo, se devo esser sincero, e Vargos a sua volta ha dato il proprio contributo.»
«Spara» incalzò Crystal, tanto impulsivo da lasciare di sasso Elimar.
«E fortuna che non volevi saperne niente!» commentò Ragos arcuando le sopracciglia per la sorpresa. «Diamine, sei già entrato nella "modalità ficcanaso".»
«Non fare lo stronzo e dimmi cosa sai, Callaghan» tagliò corto l'Indigo, cambiando nel frattempo marcia.
Il minore dei fratelli Elimar si umettò le labbra. «Io so che nel 1997, ossia l'anno in cui sei nato tu, accadde qualcosa di orribile a Mythfield. All'epoca, purtroppo, era ancora dilaniata dalla guerra civile. Io nacqui esattamente un anno dopo e mio fratello, invece, aveva tre anni.»
Crystal inarcò un sopracciglio. «Un attimo, vorresti forse dirmi di avere un anno in meno di me? Quindi io sarei il più vecchio tra noi due?»
«Suppongo tu abbia imparato a sommare i numeri a scuola, Daenerys.»
«Io invece suppongo di avere a questo punto la piena autorità per prenderti a sculacciate, Thor.»
«Non ho paura di battermi con un Indigo, sai?»
«E io non temo di vedermela con un marmocchio che dalla propria parte non ha la magia e non ne conosce i tanti piacevoli trucchetti.»
«Touché, Malfoy.»
«Vuoi piantarla di darmi soprannomi?»
«Tu fai lo stesso.»
«Io posso, visto che sono più vecchio.»
Ragos soffocò una lieve risata. Iniziava a vedere quei battibecchi in una chiave espressamente comica, se doveva esser onesto. «E capirai! Un solo anno di differenza non fa certo di te un uomo di mondo!»
Crystal gli rifece il verso in silenzio. «D'accordo, continua a raccontare prima che iniziamo a farci la guerra a suon di nomignoli ridicoli.»
Elimar annuì. «Beh... c'era una famiglia che all'epoca era alquanto insolita, specie agli occhi di chi era della vecchia scuola e detestava le altre specie, come ad esempio gli streghi e le streghe. Pare che questa famiglia fosse composta da uno strego, appunto, e un giovane Omega, un certo... uhm...» Sbuffò. «Non ricordo il nome, scusami.»
«Lo strego come si chiamava?»
«Dion. Guarda caso, il suo cognome era proprio Hawthorn. È qui che ho fatto due più due.»
Malgrado la sorpresa e lo shock, Crystal decise di non interromperlo. Voleva sapere e ormai era consapevole di essersi andato a cacciare in una storia un bel po' torbida. Se proprio doveva finire in un nero pozzo di segreti e omissioni, preferiva buttarcisi in picchiata di sua spontanea volontà e affrontarne le conseguenze. Ciononostante sentiva lo stomaco già chiuderglisi e non era un bel segnale.
Ragos lo osservò per una manciata di secondi. Non negava di temere la reazione di Hawthorn, ma era giusto che sapesse la verità. «Dion e questo Omega si erano conosciuti, si erano sposati, eccetera eccetera, ma questa unione non era stata accolta con gioia da tutti a Mythfield. C'era chi li definiva ridicoli, chi ancora diceva che non sarebbero durati per molto e chi, di nuovo, addirittura li insultava e non li voleva, per esempio, alla Festa della Fondazione e roba simile. Una notte, però, quando stranamente sembrava esser tornata un po' di calma in città e le faide si erano placate, qualcuno irruppe nella casa della coppia e...» Si fermò. Non era sicuro se fosse una buona idea continuare il racconto. «Non si sa bene cosa avvenne, a dire la verità. Dion era uscito e il suo compagno rimase da solo. Il problema è che non era tale fino in fondo. Aspettava un figlio, pare fosse entrato da poco nell'ottavo mese, uno dei più cruciali per noi e tra i più delicati. Sembra che quella gravidanza li avesse colti di sorpresa, visto che era stato detto loro che non avrebbero mai avuto dei figli. È davvero difficile che un Alphaga riesca a concepire con qualcuno appartenente a una specie diversa, quasi sempre l'unione è sterile o porta con sé delle complicazioni, ma non nel loro caso. Loro ce la fecero e, da quel che ne so, non ricorsero alla magia né ad altre diavolerie. Accadde e basta e questo li rese felici.»
Crystal, pur senza staccare gli occhi dalla strada, continuò ad ascoltare, ma mentre lo faceva dentro di lui un vortice di emozioni contrastanti, di incredulità, rabbia e dolore, stava man mano acquistando potenza. Lo sentiva girare, sconvolgere il suo animo, rimescolarlo in un turbine accecante e da togliere il fiato.
Ragos, ancora una volta, lo passò in rassegna con la coda dell'occhio. Benché Hawthorn apparisse calmo, quasi di una gelida compostezza, si avvertiva provenire da lui qualcosa di assai diverso e preoccupante.
«Quando Dion tornò a casa... a pochi metri dall'ingresso vide una scia di sangue. La seguì e trovò nel soggiorno il compagno riverso a terra. Era stato picchiato brutalmente, avevano abusato di lui e, non contenti, l'avevano pugnalato ancora e ancora, a morte, con un coltello preso in cucina. Il poveretto era in fin di vita e allora Dion, su sua stessa richiesta, si vide costretto a usare di nuovo quell'arma per estrarre dal corpo del giovane Omega il bambino che per miracolo era vivo e si era salvato. Il ragazzo, infatti, pur di proteggere il feto si era fatto accoltellare al petto e alla schiena, dovunque tranne che al ventre che aveva difeso strenuamente dalla mano dei suoi aggressori. Dopo quel cesareo d'emergenza e del tutto improvvisato, l'Omega morì nel giro di pochi minuti, come c'era da aspettarsi. Dion raccontò l'accaduto allo sceriffo Aguillard, all'epoca molto più giovane e fresco di nomina. In passato... insomma... avevo sentito di questo macabro fatto, ma non mi ero interessato più di tanto ad esso, almeno finché non ho capito che potesse forse c'entrare qualcosa con te. Ethel mi ha aiutato a rimettere insieme i pezzi del puzzle, comunque, perché rischiavo di non capirci più niente.»
Crystal scosse il capo, rifiutandosi di accettare quel che aveva sentito. Dopo aver ascoltato tutto aveva varcato immediatamente i territori della più testarda e ottusa negazione. «P-Potrebbe essere un omonimo. Non sono il primo né l'ultimo a chiamarmi così e mio padre era sposato, sì, ma...», si arrestò. Suo padre non aveva mai voluto parlargli della misteriosa moglie né dirgli semplicemente come si chiamava. Come faceva a dire che non potesse trattarsi proprio di quel Dion sposato con un Omega? E poi lui era un Alphaga, giusto? Ormai era quasi appurato e questo depennava la teoria di eventuali omonimi. E poi quante persone potevano dire di chiamarsi proprio Dion Hawthorn? Non era un'accoppiata comune, inutile negarlo, e a pensarci bene Lance Barlow aveva reagito in maniera strana non appena aveva saputo dell'identità di quell'uomo. Quasi lo avesse in passato conosciuto e, si sapeva, fra streghi ci si conosceva spesso gli uni con gli altri, si era sempre collegati in qualche modo perché si era una congrega, una Gilda.
La Gilda...
Adesso che ci rifletto, papà e Rebecca sono coetanei. E se anche lei avesse avuto modo di conoscere mio padre? Ma allora perché nascondermelo? Perché non fanno che mentirmi tutti sin dall'inizio?
«Non può essere...» concluse flebilmente, la vista sfocata e il cuore che aveva accelerato i battiti. Non era possibile, eppure sentiva che era così, che quella era la storia della sua famiglia. Sentiva che era lui il bambino dentro il grembo del ragazzo dall'identità ancora ignota che aveva scelto di proteggerlo a discapito della propria sopravvivenza. Non potevano esserci errori. Le coincidenze non esistevano, lo sapeva fin troppo bene.
«Come... cosa... i-insomma...»
Ragos lo guardò in silenzio, poi: «Dion, su consiglio di Aguillard, abbandonò per sempre la città e non disse neppure a lui, che era amico degli Hawthorn, dov'era diretto. Non si seppe più nulla di quell'uomo né del bambino che riuscì a salvare a discapito della persona che amava. Sembra, però, che in realtà fosse una femmina o ciò che pareva esser tale, il che... beh, ci riporta a te, Crystal».
Crystal fu costretto ad accostare e a fermarsi a bordo strada. Non era in grado di continuare a guidare nello stato di prostrazione mentale in cui si trovava. No, non prostrazione...
Si sentiva sull'orlo di un esaurimento nervoso, in preda a una smania senza nome disperata e logorante che lo dilaniava da dentro come una belva affamata della sua carne. «Hai... hai con te qualche documento? Qualsiasi cosa! Se è così, allora voglio sapere tutto quanto!»
Ragos si accigliò, poi ricordò di essersi in effetti portato dietro un bel po' di materiale. Scese dall'auto e recuperò una borsa dal portabagagli. Montò di nuovo sul posto del passeggero accanto all'Indigo e allungò a quest'ultimo un fascicolo in particolare.
Esitò e soppesò con aria seria e cauta Hawthorn. «Sicuro di non voler aspettare almeno qualche minuto prima di vedere coi tuoi occhi il materiale? A parte le stronzate... è roba da stomaci pesanti.»
«Ma andiamo, Elimar! Ti sembro una ragazzina svenevole? Ammazzo ogni genere di schifezza da bestiario per campare!»
«Non sei in te, Crystal. Ti tremano le mani.»
«Devo sapere! Per favore!»
Se Vargos stavolta non mi ammazzerà dopo quel che sto per fare, allora non lo farà mai, si disse sconsolato Ragos, cedendo allo strego cacciatore i documenti. «Ho chiesto a mio fratello di indagare per conto mio sul caso degli Hawthorn di Mythfield e lui si è rivolto a Ellis Aguillard, lo sceriffo. Vargos ha detto che il poveretto è diventato cereo quando gli ha chiesto di avere una copia dei referti del coroner e via discorrendo. Ha fornito tutto, comprese... beh... queste.» Gli tese una busta di plastica sigillata che conteneva delle fotografie.
Crystal, ormai privo di controllo, spalancò il fascicolo e trovò ad accoglierlo una fotografia di medie dimensioni che ritraeva quella che gli parve inizialmente una ragazza dai capelli corti, biondi e ricci come quelli dei cherubini; aveva un viso molto grazioso, ossatura sottile, labbra ben disegnate e di dimensioni contenute, uno squisito naso alla francese e... grandi occhi violetti.
Come scoprì subito dopo l'Indigo, tuttavia, non era una femmina, ma un ragazzo di nome Emery Ariel Lilrose che, all'epoca dei fatti, era sposato con Dion Alister Hawthorn, ovvero l'uomo che aveva rinvenuto la vittima dell'assassinio.
Emery era un Omega, come affermava il documento, ed era morto a ventun anni in seguito a ciò che Ragos poco fa aveva descritto. Il colpo di grazia era stato il taglio cesareo maldestro eseguito dal suo sposo in fretta e furia, una corsa contro il tempo per salvare il bambino che Emery portava in grembo; era morto dissanguato prima dell'arrivo dell'ambulanza e dello sceriffo, nonché di Farron Elimar, il quale, come governatore di Mythfield, rappresentava un'autorità altrettanto importante che doveva intervenire anche e soprattutto in casi come quello.
Crystal, senza neppure accorgersi di avere le guance bagnate, proseguì con il referto autoptico in un impeto di puro masochismo: dodici coltellate in tutto, segni di violente percosse e di abuso sessuale reso soprattutto evidente da tracce di sperma e dal sangue rinvenuto nella zona interessata. Tumefazioni al viso e, per ultimo, un grosso e profondo taglio al ventre eseguito per estrarre il feto che era appena giunto all'ottavo mese.
Quando era stata eseguito l'esame, Emery era morto già da diverse ore.
Delle lacrime bagnarono i fogli e le fotografie scattate sulla scena del crimine che Crystal a malapena riusciva a guardare: c'era tanto sangue, un corpo riverso a terra appartenente a un ragazzo minuto con una salopette di jeans e una maglietta a stampa floreale, tutte e due insanguinate, la tuta squarciata proprio come il ventre privato del feto. Gli occhi violetti di Emery fissavano con espressione vuota il soffitto, dalle labbra socchiuse affioravano rivoli di sangue ormai rappreso.
Ragos afferrò a Crystal le mani per fermarlo, chiuse il fascicolo sopra le ginocchia di questi e gli asciugò le guance. C'era da ammettere che il ragazzo somigliava molto al defunto Emery. Sarebbero potuti passare per fratelli e, in effetti, erano strettamente imparentati. Era ovvio che fosse il figlio di Lilrose. Non poteva essere altrimenti. Avevano persino gli stessi occhi.
L'Indigo si scostò e si strofinò il viso con le mani tremanti. «Io... io so che fine fece Dion. Si trasferì a New York e lì... lì crebbe suo figlio al meglio delle magre possibilità che aveva pur di renderlo un bambino felice. Non... non avevano niente, ma avevano l'affetto che li legava. A suo figlio non importava se a ogni compleanno suo padre non riusciva quasi mai a fargli un regalo decente, non gliene fregava niente perché sapeva che sarebbero andati a mangiare waffles con il gelato e i mirtilli sempre nella solita tavola calda. Non gli importava se a Natale l'albero restava senza doni, s-se... se spesso quell'uomo a cui voleva bene doveva lavorare come uno schiavo e non poteva stare con lui. Non gli è importato finché non sono arrivati due tizi vestiti da ufficio a dirgli che quell'uomo era morto e che tutto sarebbe cambiato per sempre.» Quasi stritolò fra le dita il referto. «Papà era una brava persona, un padre eccezionale e non me la sono mai bevuta. Non ho mai creduto alla storia dell'incidente, perché non vollero dirmi com'era successo. Nascondevano qualcosa! L'ho sempre saputo e ora sono ancora più convinto che la sua morte sia stata voluta da qualcuno!» Il dolore e lo shock si stavano trasformando in una rabbia feroce e priva di freni, in una sete di sangue che urlava per essere placata. «Non è morto per un incidente, dico bene? Era solo l'ennesima bugia!»
«No...» confermò Ragos. «E non ti mostrerò il referto della sua autopsia, Crystal. Non posso farlo. Non sei nelle condizioni di sopportarlo. Non adesso, almeno.»
«VAFFANCULO! VOGLIO SAPERE! NE HO IL DIRITTO, CAZZO! DOPO TUTTO QUELLO CHE HO PASSATO HO IL DIRITTO DI SAPERE TUTTO!» esplose Crystal, furioso. «Stiamo parlando di mio padre! Mio padre! Dammi quel fascicolo, forza! Dammelo o passerai guai a non finire!»
«No, Crystal. Se vuoi, poi potrai vederlo, ma adesso devi calmarti» insisté Ragos, irremovibile. Capiva la sua rabbia, capiva il suo dolore, ma incazzarsi serviva a poco.
«Dimmi com'è successo, allora! Dimmelo!»
«Non se non la smetti di berciare e non ti dai una calmata!» perse le staffe Elimar, stufo di quei capricci. «Controllati, altrimenti le risposte che cerchi puoi anche scordartele!»
«Ma che succede?» chiese mezzo intontito Gray, svegliatosi dopo le urla di Hawthorn. «Crys? Cosa...»
Crystal, tuttavia, guardava con ferocia Ragos e a tradimento gli mollò un pugno in faccia e si appropriò della borsa. Scese dall'auto sbattendosi alle spalle la portiera e frugò all'interno della refurtiva. Appena trovò un fascicolo sospetto, lasciò andare il resto e sfogliò il documento con foga, rischiando di strapparlo.
Non si fermò a leggere i particolari. Si trattava proprio di Dion Hawthorn, il marito di Emery, ed era morto assassinato. Qualcuno lo aveva accoltellato a morte in un vicolo e aveva lasciato come ricordo una sola cosa. Nessuna impronta digitale, nessun'arma era stata ritrovata sulla scena del crimine, tranne che una rosa dai petali violetti come confetti e sporca del sangue di Dion, abbandonata proprio sopra il suo torace martoriato. C'erano altre informazioni, ma a Crystal erano state sufficienti quelle appena esaminate.
Strinse nelle mani il referto, poi, colto da un'altra ondata di collera, lo lanciò a terra e diede un calcio alla ruota dell'auto. «CAZZO!» Voleva spaccare la faccia a qualcuno, prendere a pugni e a calci tutto quello che lo circondava, urlare fino a lacerarsi le corde vocali e... uccidere chiunque si fosse preso la vita di suo padre.
Senza offesa, ma di Emery gli importava fino a un certo punto. Non l'aveva mai conosciuto, non poteva provare più di tanto dolore per una persona che non era stata parte integrante della sua esistenza, ma Dion, suo padre...
Quella era decisamente un'altra questione e anche se si era pentito di voler sapere la verità, se non altro almeno era sicuro di aver sempre avuto ragione: gli avevano mentito e fatto credere che si fosse trattato di una tragica fatalità, quando invece c'era qualcuno cui Emery e Dion non erano mai andati a genio. Qualcuno che aveva fatto di tutto per rovinare la vita di quella famiglia, della loro famiglia. La sua.
Per un attimo pensò a Olegov, ma perché mai avrebbe dovuto fare tutto questo? Non aveva senso. Non era ancora a conoscenza del sesso del nascituro degli Hawthorn, quindi perché mai avrebbe dovuto interessarsi a quella coppia?
O forse c'era di più sotto?
Recuperata un po' di calma, il ragazzo raccolse la borsa e il referto stropicciato, poi rimontò in auto e non osò guardare né Ragos né Gray. «Aguillard lavora ancora come sceriffo a Mythfield?» chiese gelido.
Ragos, benché rancoroso per via del pugno ricevuto, rispose: «Non sa più di quanto non abbia raccontato a me e a Vargos. Non tormentarlo con ricordi che ancora oggi gli fa male dissotterrare. Conosceva gli Hawthorn, specialmente Emery, e fu atroce anche per lui trovarsi davanti a quel macello».
«Potrebbe c'entrare Olegov?»
«Se anche fosse, non te lo direi. Che cosa faresti, dimmi? Andresti dritto da lui? E poi cosa, sentiamo? Ti fai ammazzare proprio come i tuoi genitori? Bel modo di ripagare i loro sacrifici! Specialmente quello di Emery che è morto per permettere a te di vivere! E meno male che definiscono il sottoscritto un ingrato!»
Gray li guardò a turno in ansia. «Ragos, non c'è bisogno di dire queste cose.» Elimar, mentre Hawthorn era fuori dall'auto, gli aveva spiegato a grandi linee il problema e lo addolorava sapere che Crystal avesse una storia del genere alle spalle. Prima un genitore e poi l'altro, finché non era stato lasciato da solo a fronteggiare un mondo sempre più inospitale e crudele. Non era il caso di rigirare il coltello nella piaga. «Crys?» tentò cauto.
L'Indigo non rispose e rimase a fissare il volante senza vederlo sul serio. In lui si era acceso un odio profondo e radicato per chi aveva trasformato la sua vita un inferno di solitudine e di abusi, di guai dai quali aveva dovuto tirarsi fuori da solo.
Non disse niente e riaccese il motore, partendo alla volta di Mythfield dove aveva intenzione di incontrare lo sceriffo Aguillard. Non gliene fregava niente se così avrebbe riaperto una vecchia ferita. Aveva il diritto di pretendere giustizia, di far riposare finalmente in pace i suoi genitori, soprattutto suo padre, un uomo buono e che non aveva mai fatto del male a nessuno e che, nonostante questo, aveva ricevuto una ricompensa orribile a soli trentotto anni.
Nessuno aveva fatto niente, nessuno si era preso la briga di scoprire chi era stato ad assassinarlo, perciò toccava a lui agire. Doveva ristabilire l'equilibrio e farla pagare a chiunque avesse assassinato Dion.
Mentre guidava, si sfilò il cellulare dalla tasca dei jeans scuri e strappati e lanciando rapide occhiate allo schermo digitò un breve messaggio: ‟Il nome Dion Hawthorn ti dice niente?". Lo inviò a Rebecca e rimise a posto l'apparecchio.
Rebecca sapeva qualcosa in più, se lo sentiva, e in fin dei conti si parlava di uno strego e le Gilde erano sempre in contatto l'una con l'altra. Coincidenze a parte, magari Dion era appartenuto a una di esse. Era lui ad avergli fatto ereditare i poteri magici, inutile girarci attorno, ed Emery, invece, era l'Alphaga che lo aveva portato in grembo finché gli era stato concesso di farlo; era la persona alla quale, senza offesa, Crystal doveva tutto il casino in cui ora si ritrovava immerso fino al collo.
Forse... forse avrebbe fatto molto meglio a salvare se stesso e a evitarmi tutto questo dolore. Forse avrebbe dovuto scegliere la propria incolumità, invece di pensare a me.
Serrò le dita sul volante.
Stavi morendo e la prima cosa alla quale hai pensato è stata salvare a ogni costo il marmocchio dentro di te. Razza di idiota! Avresti dovuto salvare te stesso!
Sapeva di essere ingiusto, un ingrato, ma non concepiva quella scelta estrema.
«Avresti dovuto lasciarmi andare e basta. Guarda cosa è successo per colpa del tuo stupido sacrificio!»
Non si accorse di aver parlato a voce alta finché Ragos, colto dallo sdegno, gli disse: «Si vede proprio che non hai figli e che sai pensare prima di tutto solamente a te stesso» sputò fuori. «Ha scelto di farti vivere perché è ciò che sceglierebbe qualsiasi genitore in una situazione disperata e priva di altre soluzioni, stupido che non sei altro! Vale la pena sacrificarsi per un figlio o per la persona amata! Grazie per aver definito degli imbecilli, a questo punto, anche a mia madre e mio padre! Chiunque abbia dato la propria vita per il prossimo, specie quando si trattava di un figlio!»
Secondo la logica di Crystal, anche Rory era stato un idiota. Anche lui aveva dato la vita per niente.
Crystal, che non era disposto a sopportare in silenzio, ringhiò: «Vesti i miei panni per un mese e poi dimmi se la penseresti ancora così. Vorrei proprio vederti! Riderei a crepapelle e rimarrei lì a guardarti mentre ti strappi i capelli dalla disperazione!»
Elimar lo squadrò sprezzante. «Tu non sai com'è stata la mia vita. Chiaro? Non credere di essere stato l'unico a passare anni di inferno» lo apostrofò glaciale. «Se non altro, io ho imparato qualcosa. Tu, invece?»
«Ho imparato quanto dovevo, non temere» tagliò corto Crystal. Per tutto il resto del viaggio, quella fu la sua ultima parola e il silenzio regnò imperturbato dentro quella macchina che sfrecciava sull'asfalto immersa nell'afosa temperatura di un'estate in anticipo.
L'ufficio dello sceriffo, per fortuna, era dotato di aria condizionata e quindi per Casey fu un vero sollievo poter finalmente entrare, chiudersi la porta alle spalle, andare fino alla scrivania e sedersi di fronte ad essa. In realtà ci si afflosciò sopra come un soufflé ripieno di sonno arretrato, di ansie varie e di uno snervante e pressante fastidio al torace.
Era partito da casa così in fretta da non aver avuto neppure il tempo materiale di usare il tiralatte in modo da preparare ai figli il solo cibo che fossero in grado di tollerare. Persino la leggera canottiera di lino bianco che indossava, a contatto con le mammelle, gli procurava non poca noia.
«Perché mi ha fatto venire fin qui, sceriffo Aguillard?» chiese stremato. Fra una cosa e l'altra a malapena aveva il tempo di pensare ai bambini e Noah purtroppo doveva lavorare, perciò spesso toccava a lui farsi in quattro tra gli impegni di genitore e di governatore provvisorio. Quando Vargos gli aveva telefonato e detto che avrebbe tardato un po' a tornare, avrebbe voluto scagliargli attraverso la cornetta qualche orrenda maledizione da comare d'altri tempi.
Sperava solo che quell'impellente affare da sbrigare valesse il suo imminente crollo nervoso.
Si chiedeva, comunque, perché diamine Noah si fosse intestardito nel non voler reclamare ancora l'eredità dei Rivera e fare quella vita scandita da turni pesanti al diner e levatacce nel cuore della notte per via dei gemelli che avevano costantemente fame. McKay si difendeva sempre sostenendo di voler riflettere meglio sul da farsi, ma a parere di Casey il motivo di tanta esitazione trovava radici nella fissazione di Noah verso l'agire da bravo cittadino. Secondo il suo onesto parere, Noah non voleva passare per quello che, dopo tanti anni di silenzio, saltava fuori nuovamente pretendendo i soldi dei defunti parenti come se nulla fosse. Si curava troppo dell'opinione altrui e troppo poco del futuro della loro famiglia che avrebbe richiesto prezzi sempre più alti: vestiti, libri di scuola e tanto altro ancora non si sarebbero pagati da soli e tanto valeva spendere quel denaro anziché lasciarlo a marcire in una banca di San Diego gestita da Alphaga.
Lui, comunque, non poteva farci granché, se non incoraggiare Noah a prendere finalmente una decisione definitiva. Si sentiva meno solo, comunque, sapendo che anche suo nonno, Milton, fosse della sua stessa idea. Sua madre, però, lo esortava da giorni a dare un po' di respiro a Noah e piuttosto a concentrarsi sui gemelli e il ruolo di governatore cittadino. Facile a dirsi, certo, ma più complicato da mettere in pratica.
Lo sceriffo Aguillard gli sorrise appena. Era un uomo attraente dotato di un'aura di rispettabilità bonaria e, bisognava ammetterlo, di fascino. Capelli castani qui e là striati d'argento e occhi tali e quali a quelli del figlio, Ariel, Ellis Aguillard era stato nominato sceriffo diversi anni prima e da allora si era sempre impegnato al massimo per far rigare tutti dritto, compreso il figlio che tuttavia, a detta di tutti, era cresciuto viziato e coccolato dallo sceriffo e il suo sposo. «Perdonami, Casey» disse, sinceramente dispiaciuto. «È solo che Ariel mi ha accennato al tuo interesse per il ragazzo che tra non molto arriverà qui a Mythfield. Quello che Vargos e Ragos hanno rintracciato, hai presente?»
Casey sbatté le palpebre e si mise composto, lo sguardo concentrato. «Vuole dirmi che lei ne sa qualcosa?»
«Uhm... potrei sapere qualcosa, in effetti, sì. Mi ha un po' fatto riflettere che Vargos e suo fratello mi abbiano fatto diverse domande e poi convinto a ceder loro dei documenti, tra i quali persino un referto del coroner datato il 1997, quando... beh, quando ancora c'erano le faide in città, anzi la guerra civile, e...» Lo sceriffo sospirò. «E anche tanto, tanto razzismo e tante idee spregevoli circa una visionaria superiorità della nostra specie a quelle altrui. Anche noi Alphaga abbiamo un lato oscuro della storia e quello di Mythfield è il quadro che ti ho appena descritto.»
Leroin si fece pensieroso. «Cosa accadde, però, nel 1997? Perché è importante?»
Aguillard si alzò e andò al basso armadietto che conteneva un bel po' di scartoffie. Trasse da esso un fascicolo, ovvero il referto originale. Tornò a sedersi e lo posò sulla scrivania, fra lui e il ragazzo. «Devo avvertirti, Casey, che alcune immagini sono realmente forti. Ci vuole stomaco, credimi, specie per...»
«Cosa?»
«Beh, hai... hai avuto ben tre figli da poco. Potresti avere un lieve shock, tutto qui, e sconvolgerti è l'ultimo dei miei propositi.»
A Casey quella storia piaceva sempre meno e l'espressione funerea dello sceriffo non aiutava. «Mi mostri ciò che deve, la prego. Sono abbastanza forte per qualsiasi cosa.»
«Va bene.» L'uomo aprì il fascicolo che conteneva l'esame autoptico effettuato sul corpo dell'Omega morto ventidue anni prima in una calda notte d'aprile. «Non molto tempo fa c'è stato l'anniversario di questa orribile storia, se così si può definire il ricordare ogni tanto le troppe stragi, le vittime che insensati scontri hanno mietuto. È importante ricordare e fare in modo che nulla del genere si verifichi ancora, almeno secondo me.»
Casey osservò la fotografia posta in cima ai fogli contenuti dalla cartella. Era simile a quella esaminata da Crystal e consisteva in un primo piano che ritraeva un giovane di nome Emery Lilrose. Si accigliò. «Credo di aver visto questo viso proprio su di una lapide. È successo quando ho deciso di esplorare ogni singolo luogo di Mythfield, compreso quello più triste e silenzioso: il cimitero. È lui, ne sono sicuro.»
Intravide un luccichio malinconico negli occhi color acquamarina dello sceriffo. «Sì, è la sua tomba» confermò l'uomo. «Aveva quattro anni in meno di me. Eravamo andati a scuola insieme, anche se lui era più piccolo, ma giocavamo nella stessa squadra di calcio scolastico. Era bravo, quello stronzetto! Avresti dovuto vedere i goal spettacolari che rifilava alle squadre avversarie di altre scuole come la nostra!» Scosse il capo e sorrise tristemente. «Emery ha contribuito a far cadere ogni pregiudizio sugli Omega in questa città. Non andava sottovalutato solo perché era un metro e sessantanove e pesava di gran lunga meno dei nostri compagni di squadra. Finché è rimasto a scuola, è sempre stato il nostro team a vincere il campionato di fine anno. Ricordo che giocammo un'ultima volta prima di diplomarci e in quell'occasione facemmo reggere a lui la coppa. Era stata una stagione spettacolare, quella, ed Emery aveva contribuito enormemente a portarci alla vittoria. Dovrei ancora avere da qualche parte alcune fotografie.»
Casey si sentì stringere il cuore nel vedere lo sceriffo Aguillard così fragile ed esposto. Doveva aver voluto davvero bene a Emery Lilrose.
Lo sceriffo si passò velocemente una mano sotto gli occhi. «S-Scusa ma... per me era come un fratello minore. Ho... Ho persino deciso di chiamare mio figlio con il suo secondo nome. Ricordo che ne fu felice, come lo fu di fargli da padrino al battesimo.»
«Mi dispiace» disse sincero Casey. «Non riesco a immaginare come debba essere stato.»
«Orribile» snocciolò lo Aguillard. «Non avevo mai visto una scena del genere. Certo, c'era sempre qualche stronzo Alfa che infastidiva un Omega o... o addirittura ne abusava, ma un atto di odio come questo mai era accaduto qui a Mythfield. Le guerre intestine erano un conto, ma atti di scellerata crudeltà su inermi civili era una faccenda ben diversa e nulla poteva giustificare quel che vidi dentro la casa degli Hawthorn: ovunque regnava il caos, i mobili erano rovesciati o distrutti, le stanze a soqquadro. La camera destinata al bambino, poi, aveva subito un autentico accanimento. Quello fu un atto di odio allo stato puro e Dion si salvò solo perché era andato fuori città e tornò quando ormai quei delinquenti avevano finito di distruggere quel che aveva di più prezioso.»
Cas, intanto, si era fatto coraggio e aveva letto il referto, pur saltando alcune parti perché incapace di tollerare descrizioni così dettagliate e sterili di una autentica carneficina a danno di un ventunenne che avrebbe solo voluto crescere il proprio bambino in compagnia del marito, essere felice come tutti gli altri. Quando giunse alle fotografie della scena del crimine, gliene bastò una per richiudere il fascicolo immediatamente e spingerlo verso lo sceriffo. Aveva il battito accelerato, gli occhi gli bruciavano e pizzicavano. In gola, solo per un momento, si convinse di avere qualcosa che ne ostruiva il passaggio dell'aria. Aveva detto di avere lo stomaco forte, di essere abituato a molte cose, non di esser capace di rimanere indifferente di fronte a un operato bieco e atroce come quello che aveva visto ritratto nelle fotografie scattate dalle forze dell'ordine.
«C-Cosa ha a che fare questo con... con Crystal?» chiese con un filo di voce.
«Vargos e suo fratello sospettano che sia lui il bambino che quella notte si salvò per miracolo» spiegò Aguillard. «Dicono che gli somiglia molto, anche. Insomma, non è che occhi come quelli di Emery si vedano spesso, dopotutto, e... beh, se il ragazzo è davvero il ritratto di chi lo ha generato, allora uno più uno fa due, a casa mia.»
Casey deglutì. «Cosa si sa della famiglia di Emery?»
«I suoi genitori sono ancora vivi, ma hanno lasciato la città poco dopo la sua morte e la partenza del loro genero e del nipote. Ogni tanto li sento per telefono. Non si sono mai dati pace e a oggi non c'è ancora nessun colpevole.»
«Non potrebbe essere stato il marito, quel Dion? Voglio dire, siamo sicuri che fosse realmente innocente?»
«Ci abbiamo pensato, lo ammetto, ma non c'era un movente che potesse tenere in piedi una simile ipotesi. Insomma, erano una coppia felice e in attesa del primo figlio che ormai avevano smesso di sperare d'avere. Non c'era ragione per cui Dion avrebbe dovuto picchiare a sangue Emery, violentarlo, eccetera. Lo guardava come si guardava qualcosa di immensamente caro e prezioso. Era la luce dei suoi occhi, credimi. Andavano d'accordo, almeno per quel che ne so io, e nulla mi ha mai fatto credere che qualcosa fra di loro si fosse incrinato fino al punto da giustificare un omicidio talmente cruento.»
«Che mi dice di Olegov, invece? Ormai il suo nome non fa che saltar fuori di continuo.»
Ellis scosse la testa mentre metteva da parte il fascicolo. «No, no. Olegov all'epoca non si trovava qui. Arrivò alcuni anni dopo e in quello stesso anno a lasciarci fu il povero Caelan, il fratello di Farron Elimar.»
Casey deglutì. «Sì, Vargos mi ha raccontato di suo zio, anche se non ho ben capito la causa della sua morte. Era piuttosto giovane, no?»
«Sì, ma come sicuramente Vargos ti avrà spiegato, Caelan era di salute molto cagionevole. Da ragazzino, tra l'altro, era stato preso di mira da molti suoi coetanei, e già da allora era una persona fragile, facile da abbattere. Un minimo accenno di vento e crollava come un castello di carte. Certo, crescendo poi venne considerato sotto una luce diversa: era l'ultimo Indigo a esser nato qui a Mythfield e per giunta albino, proprio come uno dei tuoi figli, e avere un Indigo in città era un gran vanto per la maggior parte della popolazione. Secondo le antiche tradizioni era un segno di benevolenza da parte degli dèi, soprattutto la divinità che gli Alphaga veneravano.»
«Sì, conosco le antiche leggende. Senta, uhm... ha detto che Caelan Elimar morì lo stesso anno in cui Olegov si fermò a Mythfield, giusto?»
Lo sceriffo capì dove voleva andare a parare il ragazzo. «Devo dirtelo, Casey: non conoscevo molto bene Caelan. Era un tipo molto riservato, avevamo la stessa età e ricordo che a scuola, almeno finché continuò a frequentarla prima che suo padre scegliesse di assumere un precettore, se ne stava sempre da solo. Non poteva rimanere alla luce del sole per troppo tempo e aveva spesso problemi di salute. Una volta stavamo parlando e lui... lui mi chiese se poteva confessarmi una cosa. Gli risposi che poteva farlo, naturalmente, e lui... mi disse che sentiva che sarebbe morto giovane. Parve quasi profetizzarlo e mi fece scorrere un brivido lungo la schiena. Era davvero strano, credimi, ma quando mi dissero che era morto dopo essersi ammalato tempo prima, le parole che aveva pronunciato quando era ancora un ragazzo mi tornarono in mente e fecero rabbrividire. Ci aveva visto giusto. Non so che specie di malattia contrasse, so solo che lo portò via nel giro di sei mesi o giù di lì. Ammetto di averci fatto un pensierino sul coinvolgimento di Olegov in quella faccenda, ma non c'era nulla con cui collegare gli eventi, se non una serie di coincidenze.»
Casey sospirò. «Stefan è ossessionato dagli Indigo. Caelan, guarda caso, era a sua volta tale e ormai sappiamo cosa fa Olegov a quelli come me, più o meno. Mi sembra davvero strano che Caelan, particolare com'era, non gli avesse fatto gola. Era una preda troppo succulenta per non affondarvi gli artigli, sceriffo, lo deve ammettere.»
«È impossibile, Casey, fidati. Farron era molto protettivo con suo fratello. Caelan era ben protetto e Olegov mai sarebbe riuscito a mettergli le mani addosso. Quel ragazzo non era uno stupido né tantomeno era imprudente o avvezzo a cercare guai.»
«Non possiamo esserne sicuri. Insomma, sceriffo Aguillard, riassumendo: Caelan Elimar morì di una malattia misteriosa e della quale nessuno conosceva la causa o il nome preciso; se ne andò dopo circa sei mesi e in totale sordina. Olegov quando abbandonò Mythfield, più o meno?»
Ellis si ravviò i capelli. «Uhm... mi sembra, in effetti, qualche settimana dopo che in città si sparse la voce che Caelan si era ammalato. Mythfield non è New York, le chiacchiere fanno presto a circolare.»
«Bene. Qualche settimana» gli fece eco Leroin. «E questo avvenne...?»
«Nel 2004.»
«Sette anni dopo la morte di Emery, giusto?»
«Sì, esatto, ma non credo che le cose siano collegate. Non penso che Olegov fosse colpevole di quanto successo a Emery. Non si trovava a Mythfield.»
«Emery e Dion si erano per caso inimicati qualcuno, allora? Magari c'era stato qualche grave screzio con dei vicini o simili.»
«Erano in tanti a non vederli di buon occhio, specie perché Dion era uno strego e non apparteneva alla nostra specie. Come ti ho detto poco fa: c'era una terribile dose di razzismo qui a Mythfield.»
«Olegov è tra quelli che conservano tutt'ora certe idee, signor Aguillard. Mi creda, nessuno più di lui detesta le coppie miste. Le ho detto cosa ha fatto alla famiglia Rivera, no? Ha definito Noah un abominio!»
«Casey, stai adattando i fatti alla teoria ed è il metodo sbagliato con cui guardare l'insieme di tutto quanto.»
«Chi dice che Olegov non avesse già da allora dei collaboratori e dei seguaci? Sappiamo che non opera da solo.»
Lo sceriffo Aguillard deglutì. «Una cosa va detta» disse cauto. «Simon Tarren, lui... lui prima abitava qui, prima di trasferirsi a Caverney Town. È qui che conobbe, tra parentesi, sua moglie, Cora.»
Casey, udendo quel nome, ebbe un leggero fremito e si sentì assalire da un brutto presentimento. «Quando se ne andò?»
«Non lo so di preciso. So solo che all'epoca non aveva ancora dei figli. Era già sposato con Cora, però, e so che... so che abitava ancora a Mythfield quando Emery venne aggredito. Simon, però, era ben visto qui, faceva parte della crema della società, era rispettato. È vero, lui e Olegov erano amici, ma all'epoca spergiurava di non aver avuto più contatti con lui da tempo. Era pulito, almeno è quel che risultò a noi della polizia quando indagammo sul suo conto.»
«Invece non ha mai abbandonato la vecchia via» disse duramente Casey. «Era un mostro, lo è sempre stato. Guardi cosa ha fatto a me! E poi, casualmente, ecco che sette anni dopo Olegov arriva qui a Mythfield e Caelan Elimar, nello stesso anno, nello stesso periodo di permanenza di quel farabutto, contrae una misteriosa malattia che lo uccide nell'arco di sei mesi! Sceriffo Aguillard, qui le cose non tornano e tutto puzza di bruciato!» Sbatté un pugno sulla scrivania, non riuscendo a credere che nessuno si fosse preso la briga di collegare i vari eventi. «Non capisce? Potrebbe non esser stata affatto una serie di sfortunate coincidenze! Anzi, sono sicuro che quei bastardi avessero sin da allora qualcosa in mente!»
«N-Non possiamo esserne sicuri» biascicò l'uomo, costernato, un po' assalito dai sensi di colpa per non aver indagato più a fondo, ma il punto era che quando ci aveva provato, alla fine aveva ricevuto delle minacce anonime dirette sia a lui che alla sua famiglia, specialmente ad Ariel. Poi... poi per poco non era rimasto ucciso. Qualcuno lo aveva aggredito a pochi passi dalla sua auto, mentre si apprestava a tornare a casa per cenare con sua moglie e suo figlio. Non era mai riuscito a scoprire chi fosse stato ad aggredirlo, ma aveva capito di dover mettere da parte tutto quanto e smetterla di fare domande che, a quanto pareva, erano decisamente scomode.
Casey restrinse lo sguardo. «Va bene. Perfetto. Mi darò da fare per trovare le prove e finalmente far avere anche a Olegov quel che si merita. Ho ucciso Simon Tarren, non mi farò problemi a riempire di pallottole anche quel figlio di puttana.»
Aguillard scosse la testa. «Olegov non è per niente facile da trovare né da abbattere. Non sei il primo né l'ultimo che cerca di toglierlo di mezzo.»
«Ciò non significa che sia invincibile. Chiunque può essere fermato e io ho un conto in sospeso con lui. Che le piaccia o meno, sceriffo, io andrò fino in fondo. Se ho ben capito, Crystal Hawthorn è un professionista nell'uccidere i mostri e Stefan Olegov è un mostro, uno di quelli veri. Se sarà d'accordo, uniremo le forze e la faremo pagare a quella bestia per tutte le grane che ci ha fatto passare.» Leroin rivolse un ultimo sguardo severo all'uomo, poi si voltò e lasciò di gran carriera l'ufficio dello sceriffo.
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