III - ??? contest | Fuoco nelle vene
Scritto per il contest di: gwen_night
Tema 2
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"Non ne sono sicura", disse piano Lucia, i piedi che affondavano nel terreno e nelle foglie autunnalli, le mani che si appoggiavano sugli alberi per tenersi in equilibrio, era sempre stata abbastanza imbaranta, sul campo del: non cadere.
"Dai Lucia", disse l'altra ragazza, che camminava a passo spedito per il bosco, decisamente più convinta dell'altra, Lucia continuava a girarsi indietro per guardare che non arrivasse qualcuno.
"Dici che non ci seguiranno?".
A questa domanda, Elvira serrò la mascella; certo che le avrebbero seguite, era così che facevano in quel periodo, appena una piccola effrazione, e te li trovavi con un mandato d'arresto a casa tua, o anche peggio.
L'idea di scappare era stata di Elvira, e non se ne sarebbe pentita, a meno che Lucia non si fosse fatta del male.
Lucia si strinse meglio nel suo cappotto, mentre l'altra si rimetteva a posto gli occhiali, un gesto che fece scappare un debole sorriso alla ragazza.
"Secondo me adesso ci uccideranno", disse Lucia con un sussurro.
"Allora parla piano", la rimproverò Elvira, che non ce la faceva più a tirarsi dietro la compagna, ma non poteva fare a meno di lei, non l'avrebbe lasciata indietro.
Girò il suo sguardo verso Lucia, sorridendole, poi le si avvicinò e la baciò lentamente, le loro labbra una contro l'altra, come era sempre stato "Andiamo", disse.
Lucia si sentiva decisamente meglio, le labbra della sua ragazza erano decisamente calde, come se il sangue all'interno di esse andasse a fuoco.
Eccola lì la loro effrazione: due donne non si potevano baciare.
Lucia era piuttosto dubbiosa su tutto ciò, non c'era niente di male nel loro rapporto, ma non capiva fino in fondo perché Elvira l'avesse dovuta baciare davanti a tutti, poco prima; la risposta in realtà era abbastanza ovvia, Elvira non era una di quelle che rimaneva a guardare in silenzio, lei era una di quelle che abbateva muri ingiusti, senza prendersi cura delle conseguenze.
"Basta che passiamo la frontiera", disse Elvira con un sorriso, scostandosi dal volto una lunga ciocca ribelle che le era caduta sul viso.
"Non manca così tanto, poi sei fuori di qui".
Quel piccolo ma non insignificante: sei, non venne notato da Lucia, che era appena inciampata su un tronco, cadendo rovinosamente a terra, si era rialzata guardando la compagna con un sorriso divertito, cercando di mascherare la sua tensione.
Adesso era Elvira quella che si girava in continuazione indietro, cercando di tenere in se le forze per fare scappare la sua compagna; che risucissero ad uscire tutte e due era quasi impossibile, ma quel quasi la faceva andare avanti con ancora più energia.
"Ce la faremo ad arrivare?", chiese Lucia con tono teso, lo sguardo che cercava freneticamente qualcosa davanti a loro, come a trovare già l'alta recinzione col suo filo spinato.
"Non manca troppo", disse Elvira, ma sapeva che dovevano cominciare a pensare a quando dormire, la luce rosea intorno a loro parlava per lei, fra poco non si sarebbe più visto un accidente, a meno che non fosse successo qualcosa, le conveniva riposare.
Alla fine trovarono un grande albero cavo, probabilmente frutto di una qualche malattia, la pianta era comunque gigantesca, quindi in qualche modo era sopravvissuta.
La luce era ormai calata intorno a loro, rendendo gli alberi del bosco scuri agli occhi delle due ragazze, che stavano rannichiate l'una contro l'altra, cercando di riscardalsi.
"Perché l'hai fatto?", gli chiese ad un certo punto Lucia, poggiando la sua testa nell'incavo del collo dell'altra, la pelle di Elvira era bollente.
Elvira abbassò lo sguardo sulla sua ragazza; non riusciva a vivere con quelle ingiustizie, le persone come loro che venivano mandate a 'curare', come se avessero un qualche problema, ed Elvira non era una di quelle che se ne stavano li a guardare, avrebbe fatto qualsiasi cosa per difendere i suoi diritti.
"Voglio vivere come voglio io", disse in risposta, stringendo con forza Lucia e scoccandole un leggero bacio sulle labbra, sorridendo quando Lucia ricambiò.
"Sei così calda", le disse ridendo Lucia, cercando di assorbire tutto il calore che le poteva dare la compagna, "Sicura che le tue vene non vadano a fuoco?", le disse divertita, la mano che scorreva sul suo braccio, come a trovare quelle vene incendiate.
"Sicuramente", disse Elvira, pensando ad una raccapricciante immagine di lei che vagava con le vene a fuoco, "Comunque-".
Un forte scricchiolio la fece paralizzare sul posto, poi balzò in piedi, prendendo la mano di Lucia e facendola alzare lentamente, si premette una mano sulle labbra, facendole segno di stare in silenzio, Lucia annuì velocemente.
Uscirono dall'albero, stando attente a non far scricchiolare le foglie intorno a loro, poi si rimisero a camminare verso il confine, sperando che fosse stato un animale a fare quel rumore, e non qualcuno; rimanere fermi era già un'idea abbandonata, avevano troppa paura di essere trovate.
Camminarono per una decina di minuti, le mani tese in avanti, che cercavano di non sbattere contro i rami, i piedi pronti a non cadere, qualsiasi cosa fosse successa; ormai intorno a loro non si distingueva quasi più niente.
Lucia si lasciava guidare da Elvira, tendendo lo sguardo e stando attenta a non sbattere contro l'altra ragazza, la mano della compagna era di fuoco in mezzo alla sua, non ricordava che la ragazza avesse un simile calore corporeo.
"Elvira-", disse piano, era abbastanza sicura che non ci fosse più nessuno, o avrebbero sentito dei rumori intorno a loro.
Proprio in quel momento un forte sparo risuonò vicino a loro, facendo svegliare gli uccelli e scappare degli scoiattoli, le due ragazze si bloccarono sul posto, immobili come due statue, per fortuna il buio le nascondeva a qualsiasi vista.
"Ne ho presa una!", una voce maschile irruppe nel loro silenzio, non doveva essere a più di una decina di metri di distanza, un'altra voce, questa volta femminile, gli rispose "Razza di idiota, hai colpito una volpe!".
Le due ragazze si immobilizzarono al suono di quella voce, la conoscevano, e non per delle buone cose, lei veniva chiamata quando c'era da giustiziare della gente; il loro destino sembrava essere già scritto, ma era strano che fosse lì fuori solo per due persone.
"E-", Elvira poggiò una mano guantata sulla bocca dell'altra ragazza, che aveva cominciato a tremare, ma non potevano permettersi di essere scoperte, qualsiasi cosa doveva dirle, poteva aspettare.
Stettero ferme in quella posizione per una decina di minuti, fino a quando udirono un altro sparo ed un urlo, molto più lontano da loro, quindi i due poliziotti si erano allontanati.
Lucia si mosse nuovamente, "Dici che abbiano ucciso qualcuno?", chiese scrutando nel fitto buio davanti loro, gli occhi spalancati nell'oscurità.
Fece un passo in avanti, facendo scricchiolare tutte le foglie secche sotto di lei, Elvira la chiamò sottovoce, così si sarebbero fatte scoprire.
"Andiamo avanti", le disse mentre la riprendeva per mano e ricominciava a camminare, tenendosi stretta la ragazza, che ormai era stremata.
"Secondo te quanto manca?", chiese ad un certo punto Elvira, la sua ragazza era sempre stata molto brava ad orientarsi, e aveva studiato il percorso per arrivare fino al confine.
Lucia di fermò un attimo in mezzo al bosco, cercando di capire da quanto tempo stessero camminando e quanto mancasse all'arrivo.
"Massimo due ore", disse poi, guardando sopra di loro, uno scorcio di luna che faceva capolino tra le fronde degli alberi.
Elvira abbassò il volto, quasi facendo cadere gli occhiali a terra, "Ce la fai?", chiese alla ragazza, ricominciando a camminare con passo silenzioso ma spedito, due ore, forse era troppo tempo.
"Certo", disse Lucia, e se ci fosse stata un po' più di luce, si sarebbero potuti vedere i suoi occhi brillare di qualcosa che poteva essere speranza; se fossero riuscite a scappare, la loro vita avrebbe finalmente potuto prendere una svolta positiva, avrebbero potuto baciarsi senza essere additate dalla legge come criminali.
Non passarono neanche dieci minuti, che un forte urlo le raggiunse, questa volta, vicino, e sicuramente umano; Elvira si acquattò accanto ad un albero, seguita a ruota dall'altra, la ragazza si aggiustò gli occhiali al volto e le fece segno di stare in silenzio, aspettando.
Un altro forte urlo le raggiunse, questa volta ancora più vicino, troppo vicino; un corpo inciampò addosso a Lucia, facendo cadere tutti e tre sul terreno.
"Aiuto!", urlò la stessa voce di prima, un secondo dopo Elvira gli stava premendo con forza una mano sulla bocca, aveva riconosciuto quella voce, e non le avrebbe tradite, ma se continuava ad urlare avrebbe segnalato la loro posizione.
"Giovanni", sussurrò piano, mentre lentamente toglieva la mano dalla bocca dell'amico, che aveva a sua volta riconosciuto la ragazza, "Fai silenzio", disse con tono deciso, lo avevano sicuramente sentito, dovevano muoversi velocemente da lì.
"Che ci fai qui?", chiese Lucia, il corpo che tremava per il freddo e per la paura, continuava a guardarsi indietro, temendo un qualche attacco, cosa molto probabilmente in realtà.
Giovanni si tirò su lentamente, per poi alzarsi e guardarsi intorno con terrore, "Mi stavano seguendo".
"Chi?", Elvira scattò in piedi, trattenendosi dal non urlargli addosso, se il ragazzo aveva appena messo a repentaglio la vita di entrambe, voleva semplicemente conficcargli un coltello nel cranio, peccato non ne avesse uno.
"Loro", disse, e tutti e tre sapevano di chi stava parlando: il braccio della giustizia, un braccio della giustizia un po' ingiusto in realtà, ma la legge non la pensava così, "Si è scatenata una rivolta in città", disse lui, "Appena dopo che siete scappate, non siete più le uniche che tentano di arrivare al confine", le guardò come a chiedere scusa, le pupille dilatate al buio.
Elvira prese in grosso respiro, "Allora andiamo" disse prendendo per mano Lucia e facendo segno a Giovanni di prendere la mano della ragazza, non dovevano dividersi.
"Andiamo veloci", aggiunse.
Giovanni guardava - per quel che riusciva a vedere - Elvira con ammirazione, quella ragazza aveva sempre sprizzato energia da tutte le parti, opponendosi più volte a quel regime che non sopportava, una delle persone più forti che conosceva, e molta gente avrebbe potuto concordare con lui.
Aveva fatto tante di quelle cose: aiutare la gente, anche colpire qualche guardia all'occasione, che non ricordava una sola volta in cui la ragazza si fosse ritirata indietro, abbassando lo sguardo e arrendendosia ciò che non gli andava.
Camminarono per una trentina di minuti, e nell'aria si sentivano sempre più spari, a volte urla di chi moriva, o di chi agonizzava; una madre ed un figlio passarono correndo accanto a loro, i tre si allontanarono in velocità, i due facevano troppo rumore; infatti dopo qualche minuto uno sparò arrivò da quel punto, seguito subito da una altro; a quanto pare era vero, non erano più gli unici a scappare.
"Li stanno-", Lucia soffocò un singhiozzo, mentre Giovanni si tratteneva dal vomitare, Elvira fece segno ad entrambi di stare zitti, continuando a camminare nel silenzio.
"Non manca molto", disse dopo un po' Lucia, il cuore che batteva all'impazzata per l'ansia di essere trovati ed uccisi, ma gli occhi che finalmente avevano ritrovato una loro forza, sperò che almeno qualcun'altro si fosse salvato.
Elvira annuì, facendo un passo avanti, e poggiò il piede su qualcosa di morbido, vivo, ed umano; trattenne il disgusto alzando la scarpa sporca di sangue, per fortuna col buio non riusciva a vederlo.
Lucia sbarrò gli occhi, vedendo la sagoma di una donna stesa a terra, gli occhi vitrei spalancati in aria.
"È morta?", chiese in un sussurro.
Poi la donna a terra cominciò ad urlare, "Aiuto! Aiuto!", urlò ai giovani, che, presi dal terrore, cominciarono a correre nel bosco, incuranti del rumore che provocavano, ormai li avevano sicuramente visti, o perlomeno sentiti.
Un proiettile passò sfrecciando accanto alla faccia di Elvira, andando a perdersi in mezzo al terreno e alle foglie secche.
Lucia urlò sentendo lo sparo, ma continuò a correre, stretta a Elvira, mentre con l'altra mano teneva Giovanni, che avanzava arrancando sul terreno sconnesso.
Un'altro sparo risuonò a vuoto in aria, poi un terzo, che questa volta colpì qualcuno; Giovanni urlò accasciandosi a terra, mentre si teneva la pancia, da dove il sangue stava cominciando ad uscire, bagnado canottiera, maglia, e poi arrivando alla giacca, cadde in avanti, tirandosi dietro Lucia.
"Muoviti!", urlò piano Elvira, afferando la ragazza per un braccio e cominciando a trascinarla per il bosco, incurante delle urla di lei e del suo amico che agonizzava.
"Torniamo indietro!", urlò Lucia, mentre cercava di spingere via la compagna, che le stringeva con forza il braccio, "Giovanni!", urlò, e poi si fermò.
Le urla dell'amico - che erano continuate imperterrite - si erano appena fermate, subito dopo uno sparo. Giovanni era andato, e non potevano fare niente.
"Avanti", disse Elvira, allentando un po' la stretta e addolcendo il tono della sua voce, mentre soffocava un urlo, odiava lasciare le persone indietro, ma sapeva che Giovanni era già andato,e non avrebbero potuto fare niente dall'inizio.
Lucia stette in silenzio, e l'unica cosa che si sentiva era il debole suono delle cicale, quindi stava arrivando l'alba, mancava poco, e poi sarebbero state salve, o almeno, una delle due lo sarebbe stata sicuramente.
Una recinzione alta circa due metri si innalzava davanti a loro, e per poco non ci andarono a sbattere contro, sopra di essa c'era un alto strato di filo spinato: il confine.
"Avanti!", urlò Elvira, aiutando Lucia ad arrampicarsi per la rete metallica, quando la ragazza arrivò un cima, si tolse la giacca, tremando, per poi distenderla sopra il filo spinato che contornava il confine.
"Sali", disse ad Elvira, però lei guardava qualcos'altro, che stava arrivando correndo verso di loro, qualcosa che non avrebbe portato niente di buono.
"Vai", disse a Lucia, girandosi verso di lei, un'unica lacrima che le bagnava il volto, uno sparo passò sopra alla testa di Lucia, facendola gridare, e quasi cadere di nuovo dentro.
"Elvira!", disse lei, mentre un'altro sparo risuanava, decisamente troppo vicino, Lucia era a cavalcioni sul filo spinato, pronta a saltare dall'altra parte, ma non avrebbe abbandonato anche Elvira.
Fece per ridiscendere dalla parte della ragazza, ma Elvira fu più veloce, si arrampicò con velocità sulla rete, diede un rapido bacio alla compagna, e la spinse dall'altra parte, poi senti delle mani aggrapparsi alla sua giacca e farla cadere sul terreno, sbattendo la testa con forza.
Lucia era dall'altra parte, nascosta nell'erba alta; sentiva un forte ronzio nella sua testa, forse dovuto alla caduta, fece per rialzarsi, ma ricadde carponi sul terreno, doveva tornare da Elvira, doveva tornare, non poteva abbandonarla.
L'altra ragazza era stesa sul terreno, gli occhiali persi da qualche parte accanto a lei, i capelli che le ricadevano sul volto, scompigliati per l'impatto.
Sentì una scarpa colpirla in pieno viso, spaccandole il naso e facendole uscire un gemito dalla bocca.
Una voce la chiamò, "Sei tu, vero?", disse un uomo, la voce tesa dalla rabbia, "Quella bastarda della rivolta".
Elvira annuì, il sangue bollente che le scorreva sul volto mentre sorrideva. Lucia era al sicuro, poteva amare liberamente, magari l'avrebbe anche dimenticata, se fosse andato tutto bene, ma almeno lei era al sicuro.
Le vene di Elvira avevano preso fuoco, proprio come aveva detto Lucia, avevano preso fuoco e l'avevano portata in salvo.
Chiuse gli occhi, il sorriso dipinto sul volto.
Uno sparo echeggiò sul confine.
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