6. Pensieri
Il bruciore intenso che promana dall'odiato Marchio, simbolo
perverso della mia schiavitù e orrido emblema dei miei errori
La cena stasera è interminabile.
Da un'ora i miei occhi sono ostinatamente fissi sul piatto: non c'è anima viva che abbia l'ardire di rivolgermi la parola. Non ho toccato cibo.
La mia intera esistenza sembra compressa nel ricordo di quel bacio, durato pochi, interminabili e incantevoli secondi.
Stringo spasmodico i pugni sotto la tavola, fino a farmi male. Sei qui al mio fianco, silenziosa e imbarazzata. Ma eri abbandonata languida tra le mie braccia tremanti, poco fa. Ora le tue labbra sono accostate, ma si sono dischiuse soavi quando le ho castamente sfiorate, pieno di timore. Hai risposto al mio bacio con il mio stesso incontenibile desiderio, con la mia stessa irrefrenabile passione e ho sentito il tuo corpo vibrare con voluttà mentre cercavi un più intimo contatto con le mie membra eccitate.
Non posso aver frainteso, o travisato il tuo evidente comportamento. Eppure ami Lupin, anche su questo non ho dubbi. Tu devi amare Remus.
Io voglio che tu ami Remus!
La testa mi gira, la gola è riarsa e brucia. Allungo la mano verso la caraffa dell'acqua: stai facendo lo stesso movimento improvviso e non riesco a evitare il contatto.
Posso solo chiudere gli occhi per non annegare ancora una volta nel tuo sguardo.
Non riesco a controllare il mio cuore, i suoi battiti impazziti: mi manca l'aria, non respiro più.
Mi alzo di scatto da tavola: la sedia cade.
Fuggo via.
L'aria fredda del sotterraneo mi entra infine nei polmoni.
Mi fermo e mi appoggio al muro: ho la vista ancora annebbiata. Ma l'udito funziona alla perfezione e sento i tuoi passi avvicinarsi veloci. Apro la porta del mio appartamento e mi dispongo ad attenderti.
Sei spuntata dal fondo del corridoio con il tuo passo leggero, quasi di corsa.
L'ampia gonna dell'abito ondeggia impalpabile, avvolgendo le tue gambe quasi a volerle metterle in risalto alla mia vista. Che è tornata perfetta. La spallina dell'abito, quella strappata da Lucius, è scivolata giù: il mio incantesimo di Riparazione non è stato perfetto. L'espressione del tuo viso, seppur sorridente, non mi lascia comprendere quali pensieri si agitano nel tuo cuore.
Sei confusa dal mio assurdo comportamento.
Se io ho compreso il tuo desiderio, tu certo devi aver riconosciuto il mio: era così sconsideratamente evidente quando hai premuto il tuo corpo contro il mio!
Sei entrata ed io sigillo con lenta cura la porta, volgendoti le spalle, cercando di guadagnare tempo, pensando a cosa fare, a cosa dire.
Se ti permetto di avvicinarti ancora a me, so già che non avrò scampo e crollerò miseramente. Ti desidero troppo: il tuo profumo inebriante sconvolge ancora i miei sensi, il tuo intenso sapore è vivido sulle mie labbra e sento la tua pelle morbida sotto le dita.
Di nuovo mi manca l'aria.
No, devo mandarti via: nessuna illusione mi è permessa.
Calerò di nuovo la maschera sul volto: io sono solo il disgustoso, sgradevole, insensibile, detestabile professore di Pozioni, per te.
Devo esserlo, senza esitazione, affinché tu non corra rischi, perché tu non debba soffrire a causa mia.
Perdonami, amore mio.
Severus cominciò a parlare ancora prima di girarsi del tutto. La voce era un sibilo freddo e tagliente:
- Spero che la mia ignobile sceneggiata serva a tenere Malfoy lontano da te almeno per un pezzo!
La guardava con occhi vacui, un sopracciglio inarcato sprezzante e un accenno di sorriso beffardo sulle labbra.
Alhyssa si sentì morire.
Stava per gettarsi di nuovo tra le sue braccia, quando le parole taglienti l'avevano bloccata, come investita dalla gelida onda di un torrente in piena.
Come poteva essere stata un'ignobile sceneggiata?
C'era l'infinita dolcezza dell'amore nelle labbra appassionate che avevano sfiorato le sue, c'era il fuoco impetuoso della passione e del desiderio nel bacio ardente durato per l'eternità di brevi istanti.
Non era stata una finzione la sua, e neppure Severus poteva aver recitato, non in quel modo, con quella passione, con l'evidente bramosia!
Perché ti amo, Severus?
Uomo odioso che prima mi regali una dolcezza infinita e un travolgente ardore, e poi mi uccidi col gelo delle tue parole!
Lo squadrò negli occhi, in profondità, cercando di scorgervi la verità, di capire. Ma vi trovò solo il gelo e il nulla infinito delle tenebre.
Si morse le labbra e scosse indomita la testa all'indietro, facendo ondeggiare i lunghi capelli:
- Sceneggiata. - rimarcò stridula - Non avrei potuto trovare un termine più appropriato per descrivere l'accaduto!
Sceneggiata, sceneggiata: la parola rimbombava nella mente, la rintronava, la faceva barcollare.
Lei voleva solo Severus, il suo amore, i suoi baci!
- Bene. Allora non c'è nulla da aggiungere. Vai a dormire. – ordinò il mago.
Alhyssa corse rapida verso la scala, per nascondere le lacrime che non riusciva più a trattenere:
- Sì, nient'altro da aggiungere...
*
Alhyssa si svegliò all'improvviso: qualcuno stava bussando con insistenza alla porta. Eppure sembrava ancora piena notte: solo il lieve chiarore della luna, che brillava alta nel cielo stellato, illuminava la stanza.
- Severus, sei tu? – chiese titubante.
- Sì.
Il cuore di Alhyssa prese a battere all'impazzata:
- Entra. – sussurrò, cercando di controllare il tremito della voce.
Severus aprì adagio la porta ed entrò. Indossava solo un paio di pantaloni neri e la camicia, sempre nera, aperta sul petto liscio.
Ad Alhyssa sembrò una visione incantata, dapprima sfocata, i cui contorni si disegnavano sempre più nitidi a mano a mano che si avvicinava al letto. Il viso pallido, incorniciato dai lunghi capelli neri, sembrava possedere una sua luminosità interiore. E in quel volto gli occhi neri scintillavano con straordinaria intensità.
Senza dire una sola parola, Severus si sedette sul bordo del letto e rimase a fissarla, a lungo. Non si udivano rumori, solo il loro respiro, più ansimante a ogni istante.
E il battito martellante dei loro cuori innamorati.
Poi Severus si chinò su di lei, un lieve sorriso sulle labbra appena dischiuse:
- Ti amo. – sussurrò piano, mentre le labbra si posavano lievi a sfiorare le sue.
Alhyssa chiuse gli occhi...
Un rumore secco interruppe l'attimo incantato.
Alhyssa riaprì gli occhi di scatto, annaspando per un istante nel buio totale.
Non c'era la luna, non c'erano le stelle: non c'era neppure Severus!
Era stato solo un sogno.
Dal piano di sotto provenivano dei rumori: il mago era sveglio e si muoveva per la stanza.
Alhyssa si lasciò ricadere mesta sul cuscino mentre immagini e sensazioni della lunga giornata le passavano veloci nella mente.
Poi i ricordi si persero indietro nel tempo, volarono a sei mesi prima, all'ultima sera in cui avevano lavorato insieme.
Udì di nuovo le parole che Severus, con voce rotta dal dolore, aveva pronunciato raccontandole del suo passato. Un uomo che aveva saputo amare con tale profondità da essere in grado di uccidere la donna amata pur di risparmiarle una fine peggiore.
Un uomo che sapeva amare ancora, con intensità. Un povero cuore straziato da un enorme dolore, che ancora soffriva in modo atroce, ma era colmo d'amore e bisognoso d'amare.
Avvertiva l'amore e il dolore che sconvolgevano Severus: non poteva restare lì a guardare.
Amava Severus, immensamente, da sempre. Doveva andare da lui, subito, e costringerlo ad accettare se stesso e l'amore che provava per lei. Doveva convincerlo ad accogliere l'infinito amore che provava per lui.
Si alzò, in camicia da notte, e scese veloce dalle scale.
Severus era vestito e stava uscendo. Indossava il mantello dei Mangiamorte, il cappuccio già calato sul volto.
- Cosa succede? Dove vai? – chiese spaventata.
- Il Marchio brucia. L'Oscuro Signore mi sta chiamando. – rispose composto.
- Aspetta! Devo parlarti. - mormorò avvicinandosi.
- Non ora. – rispose risoluto.
- Ti prego... è importante. – implorò.
Severus esitò un istante, facendo scivolare il cappuccio sulle spalle, poi soggiunse:
- Non adesso. Appena tornerò.
- Tornerai? – chiese con voce flebile.
Ancora Severus ebbe una lieve esitazione.
- Sono sempre tornato. - mormorò roco, lasciandosi sfuggire un sospiro.
Il volto del mago appariva esausto e il portamento non era eretto come il solito.
Era stanco, molto stanco. Snervato dal rischio e dalla continua incertezza nella quale viveva da anni. Stufo di odiare e di essere odiato. Stremato dal desiderio impossibile di poter ancora amare.
- Sei stanco, non andare! - lo implorò.
- Devo andare. – sussurrò appena.
- Ti aspetterò. – mormorò.
- No, riposati. Dovrai avvertire Silente, domattina. E tenere lezione al posto mio. Dimostrami che sai degnamente sostituirmi. – la spronò con un'ombra di sorriso sul volto pallido e affaticato.
- Lo farò. – mormorò sospirando.
Lo seguì con lo sguardo preoccupato mentre usciva dalla porta, il cappuccio calato sul viso e il mantello avvolto stretto al corpo.
C'era ancora l'ombra di un sorriso sulle sue labbra sottili.
Alhyssa rimase a lungo addossata alla porta, sconsolata, pensando ai rischi cui andava incontro l'uomo amato. E lei ancora non gli aveva detto quanto profondamente lo amava.
- Torna, ti prego. – sussurrò accorata. – Voglio darti tutto il mio amore!
Sono di nuovo solo, in questa Foresta che è, al tempo stesso, unica amica affezionata e pericolosa nemica mortale.
Non mi sono ancora abituato al bruciore intenso che promana dall'odiato Marchio, simbolo perverso della mia schiavitù e orrido emblema dei miei errori.
Non mi abituerò mai, non posso e non voglio farlo.
Così come non posso rassegnarmi a sentirlo bruciare e dilaniare la mia carne ma, soprattutto, la mia povera anima, o ciò che ne rimane. Per oltre dieci anni avevo sperato di essermene liberato, pur sapendo che non poteva essere così facile, che sarebbe stato ben altro il prezzo da pagare per le terribili colpe commesse nei giorni infausti della mia giovinezza.
Mi ero illuso che la morte di Beryll fosse sufficiente: avevo seppellito la mia anima in un gelido sotterraneo, fingendo di continuare a vivere.
Ma ogni notte, da quindici interminabili anni, gli incubi del mio passato escono puntuali dalle tenebre per tormentarmi e il viso di Beryll, sullo sfondo, mi sorride con distaccata mestizia.
Da quando l'Oscuro Signore è tornato, gli incubi si sono fatti più vividi ed è sempre più rosso e reale il sangue che mi scorre tra le dita, notte dopo notte. Il mio presente è tornato a riempirsi di morte e le mie mani si sono di nuovo lordate di sangue. Non è più il sangue innocente che un tempo versavo ai piedi dell'Oscuro come macabro tributo della mia follia, ma sono sempre assordanti le urla delle vittime che mi rimbombano nelle orecchie, nel silenzio buio della notte. E' nei miei occhi che si riflette il cupo terrore che li attanaglia nel momento in cui la morte li sorprende. E' il mio cuore che sprofonda ogni volta di più nel baratro infinito della sofferenza. E' la mia anima che si perde nelle tenebre della disperazione.
Un giorno sei comparsa tu, Alhyssa, col tuo meraviglioso sorriso, unico raggio di luce che risplende nell'oscurità del mio cuore.
Un cuore che ti ama immensamente.
Ma tu sei la luce ed io l'oscurità, tu sei l'amore ed io l'odio, tu sei il sorriso ed io il pianto: non potremo mai incontrarci. Rischierei solo di distruggere la tua anima se non addirittura la tua vita. Ti amo, Alhyssa, senza alcuna speranza.
Ma non riesco a fare a meno di amarti. Non riesco a impedirmi di amarti, perché io, con tutto me stesso, non desidero null'altro che amarti.
Ho bisogno di amarti, perché tu sei la luce e il calore, e il tuo sorriso è la mia unica speranza, la mia vita.
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