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19. Rinascita

La maledizione di morte riecheggiava nelle orecchie di Harry.

Un luminoso raggio bianco agganciò il flusso di mortale luce verde un istante prima che gli colpisse il petto e la loro fusione diede vita a un'immane fiammata che lo sbalzò a terra, facendolo rotolare per metri. Le fiamme arrivarono a lambire la sommità della cupola.

L'espressione sul viso di Voldemort, mentre fissava Silente, era indescrivibile: andava ben oltre l'odio che un essere umano poteva provare, negli occhi era raccolto tutto il malvagio fuoco dell'Inferno e sulle labbra vi era ogni male del mondo. Le mani dell'Oscuro Signore si alzarono a seguire le fiamme, ad aizzarle e intensificarle; a espanderle affinché attaccassero la cupola di protezione creata dal preside. Quando le vampe, sospinte dalle sottili ma potenti mani di Voldemort, si scontrarono con la cupola, migliaia di scintille si propagarono sulla superficie, rendendola rovente e rovesciandosi come pioggia infuocata sugli Auror e Mangiamorte che duellavano tra loro.

Silente arretrò ponendosi sulla traiettoria tra Voldemort e Harry che giaceva a terra, intontito, la mano premuta con forza sulla cicatrice che sembrava essere un tizzone ardente conficcato nel cervello.

Con un gesto violento Voldemort abbassò le mani davanti agli occhi infuocati, risucchiando verso di sé l'intera cupola incandescente. Infine la lanciò con forza verso Silente e Potter, quasi fosse un'enorme rete. Con un subitaneo gesto, Silente esplose un incantesimo in direzione di Harry, scagliandolo lontano, poi si girò per fronteggiare l'Oscuro Signore.

Ma fu troppo tardi: la cupola di protezione, splendente di mille scintille, lo avvolse in un istante, chiudendolo in un'ermetica prigione, una sfavillante sfera trasparente che si stringeva sempre più intorno a lui.

Malocchio era zoppicato veloce verso Harry e l'aveva afferrato, quasi gettandolo tra le braccia di Kingsley e della Tonks, mentre Lupin e Alhyssa contrastavano con gli incantesimi la pioggia di faville incandescenti, permettendo agli altri Auror di stringersi a difesa di Harry Potter. Anche i Mangiamorte combattevano con le fiamme che scendevano dal cielo.

Voldemort si avvicinò al rivale di sempre, un ghigno soddisfatto che si allungava sulle labbra sottili.

- Questa è la notte del mio trionfo, Silente: ho relegato all'Inferno il mio supremo traditore e ho imprigionato il mio più possente avversario!

All'interno del globo, Silente boccheggiava alla ricerca d'ossigeno: i palmi delle mani scivolarono verso il basso, cercando invano un appiglio nella superficie liscia della bolla. Lo sguardo attento aveva però notato che Harry era stato tratto in salvo e gli Auror stavano organizzando la fuga.

Voldemort era concentrato sulla propria schiacciante vittoria:

- Mi libererò per sempre di quel maledetto ragazzo e nulla più potrà opporsi al mio volere! – sibilò con furore. – Tutto il mondo conoscerà il mio immenso potere!

Una risata agghiacciante uscì dalle labbra sottili e l'Oscuro Signore la soffiò in alto con violenza, a spegnere le residue fiamme che ancora vorticavano incontrollate nell'aria rovente.

Infine si voltò un'ultima volta verso il vecchio mago:

- Non temere, Silente, una volta ucciso il giovane Potter avrò ancora il tempo di assistere alla tua lentissima e impietosa morte. – sibilò piano, leccandosi le labbra – Uno spettacolo grandioso, che pregustavo da tempo. Infine completerò il mio trionfo incarnando il peggior demone che Severus Piton potrà mai immaginare!

Un cupo sogghigno gli arricciò le labbra e la voce divenne un sibilo ancor più stridente:

- Avevi ragione, Albus, c'è qualcosa di peggiore della morte, ed io l'ho riservata proprio per chi ha osato tradirmi per tutti questi anni, creando l'Inferno Eterno dei suoi Ricordi. Ed ogni giorno sarà mia gradita cura rinfocolare le sue angoscianti fiamme!

Le iridi azzurre di Silente stavano perdendo la solita lucentezza, ma distinse Moody dirigere la lotta degli Auror, mentre un piccolo gruppetto di loro si allontanava inosservato dal parco. La sfera magica si stava restringendo adagio su se stessa, avviandosi verso una lenta implosione, e la quantità d'ossigeno diminuiva.

Vide Voldemort allontanarsi e buttarsi nella mischia esplodendo micidiali incantesimi, mentre gli Auror resistevano stoici.

All'improvviso, Minerva McGranitt gli si materializzò di fianco: in un istante il terrore era dipinto sul suo volto. Silente la vide armeggiare cercando di infrangere la bolla, senza successo. Infine riuscì a ottenerne l'attenzione: mentre lui poteva cogliere tutti i rumori esterni, chi era fuori non riusciva a udire le sue grida. Sillabando piano con le labbra le fece capire che si trattava di una potente magia Oscura, che solo Piton, forse, avrebbe potuto infrangere.

Minerva si guardò intorno alla ricerca del mago. Fu Alhyssa a notarla: si avvicinò correndo a testa bassa per evitare gli zampilli colorati degli incantesimi sparati un po' dappertutto.

- Dov'è Severus? – urlò Minerva per sovrastare il rumore. – Albus dice che solo lui conosce la magia Oscura per spezzare il sortilegio del globo!

- Non lo so, ma non è qui! – rispose Alhyssa. – Sono molto preoccupata: era andato da Voldemort per cercare di impedirgli di venire qua ad attaccare Potter. Voldemort però è arrivato, ma di Severus non c'è traccia!

Silente gesticolava cercando di richiamare l'attenzione delle due maghe.

Alhyssa si chinò sulla sfera magica e lesse sulle labbra di Albus la conferma del suo peggior incubo: Severus era prigioniero di Voldemort.

- Vado alla fortezza dell'Oscuro! – esclamò decisa.

- Non essere sciocca, ragazza! – gridò Minerva. – Non puoi farcela da sola.

Alhyssa scrollò le spalle:

- I Mangiamorte sono qui ed io non lascerò Severus da solo nei guai, per nulla al mondo!

Silente si era accoccolato sul fondo del globo e sorrideva, tranquillo. La McGranitt lo squadrò severa ma non fece tempo ad aprir bocca che una voce determinata, alle loro spalle, gridò:

- Vengo con te, Alhyssa.

Lupin era al suo fianco, pallido e appena zoppicante, l'abito bruciacchiato in più punti e un sottile rivolo di sangue gli scendeva dall'orecchio:

- So anch'io dov'è la fortezza: è là che Severus mi salvò la vita. – sussurrò.

Minerva lo fissava attonita e preoccupata.

– Lui è il mio miglior amico... ora! - le spiegò sorridendo - Non preoccuparti. - aggiunse rivolto ad Alhyssa mentre le tendeva la mano - Lo tireremo fuori dai guai!

Alhyssa afferrò la mano e sorrise:

- Torneremo presto... con Severus. – esclamò rivolta a Silente.

*

La fortezza sembrava deserta, più cupa e fredda del solito. Si aggirarono guardinghi, attenti a non farsi scoprire se qualcuno fosse rimasto di guardia, nell'accorta ricerca di qualsiasi indizio che potesse rivelare il luogo in cui Severus era prigioniero. Lupin la condusse verso le segrete, verso la cella in cui Piton aveva finto di torturarlo, tenendola per mano e rassicurandola sul fatto che, da quanto detto da Silente, Severus era ancora vivo. Alhyssa rimaneva muta e Remus poteva leggerle sul viso teso tutta la preoccupazione e la paura. E il grande amore per Severus. Il mago sospirò:

- Ti prego, Alhyssa, non perdere la speranza.

La maga aveva le lacrime agli occhi.

- E' qui, lo so: lo troveremo presto. – sussurrò avvicinandosi e stringendola confortante tra le braccia.

- Remus io... io non posso perderlo... non ora! - mormorò Alhyssa tra le lacrime - Non ora che ho appena trovato il suo immenso amore. – concluse abbandonandosi fra le sue braccia, mentre singhiozzi disperati le scuotevano il corpo.

Remus la strinse forte a sé: la donna che amava, la donna del suo migliore amico. Perché la vita continuava a essere così amara e difficile per lui? Perché?

- Non piangere, lui non vorrebbe. – disse scrollandola piano per le spalle. – Severus ama il tuo sorriso, non vuole le tue lacrime. – le sussurrò asciugandogliele delicato.

Alhyssa lo guardava con i suoi profondi occhi verdi, e lui avrebbe tanto voluto baciarla e stringerla forte al cuore. Invece disse solo:

- Usciamo e torniamo all'aperto. Solo entrando abbiamo avvertito la scia della magia. Severus deve essere là fuori, da qualche parte!

L'afferrò per la mano e se la trascinò dietro, quasi correndo, verso il cortile interno dell'imponente fortezza.

La notte era fredda e buia, ma limpida: il cielo era trapunto di migliaia di stelle che brillavano lontane.

Alhyssa alzò il viso alla volta celeste, come alla ricerca di un impossibile aiuto e gridò, disperata, il nome dell'uomo amato:

- Severus!

Ma il grido le morì in gola. Là, nell'infinito cielo stellato, c'era una voragine nera, vuota, senza stelle. Alzò la mano tremante per indicare a Remus il settore del cielo e mormorò:

- L'abbiamo trovato...

Si accasciò a terra: ora che aveva scoperto la prigione di Severus, si rendeva conto di non poter fare nulla. Solo la potente magia Oscura di Voldemort poteva aver creato quell'impossibile segreta persa tra cielo e terra, un luogo che non esisteva ma che aveva annientato anche le stelle. I suoi poteri magici, pur sommati a quelli di Remus, non potevano neppure lontanamente scalfirla: non aveva alcuna possibilità di aiutare Severus.

La terribile consapevolezza si abbatté di colpo schiacciandola a terra e cancellando in un sol colpo il sorriso a fatica ottenuto da Remus.

In quel momento afferrò a fondo il significato delle parole sillabate da Silente nel globo: l'Inferno dei Ricordi. Le lacrime cominciarono a scendere irrefrenabili dagli occhi, mentre con le mani si copriva il volto: aveva compreso che il suo adorato amore era di nuovo solo, con i terribili ricordi del suo passato, con i rimorsi e le paure. Terribilmente solo!

Non poteva correre da lui o stringerlo a sé, non poteva incoraggiarlo o sorridergli: non poteva fare nulla! Poteva solo amarlo, disperata, e sperare... sperare... sperare. Sarebbe rimasta lì per tutto il resto della vita, se fosse stato necessario, ad aspettare con fiducia il suo ritorno.

Perché lui sarebbe tornato, ne era certa. Severus non l'avrebbe mai lasciata sola: le aveva promesso di tornare. Lui l'amava: avrebbe affrontato il suo passato per lei, avrebbe combattuto con se stesso, e avrebbe vinto.

Non poteva essere altrimenti, non poteva: lei amava Severus e non avrebbe potuto vivere senza di lui, non voleva vivere senza di lui!

*

Da quanto tempo sono immerso in quest'orrore? Quante volte ho rivisto gli atroci particolari dei crimini commessi? Ho perso la cognizione del tempo: potrebbero essere minuti, anche se sembrano giorni interminabili.

Sono avviluppato nelle mie colpe, una rete che si stringe asfissiante, inesorabilmente sprofondato dentro le oscure tenebre della mia vita.

Sono in trappola, come tutte le mie vittime.

Ecco, la loro lenta processione ricomincia: compio ancora una volta i miei crimini, ancora un'altra, tremenda volta.

Non riesco più a reggere queste immagini e le loro urla strazianti, ma non posso neppure chiudere gli occhi né turarmi le orecchie: non li ho più.

No, non ci può essere perdono per me, non ho neppure il diritto di implorarlo.

Ora che la magia di Voldemort ha eliminato ogni illusoria apparenza e ha distrutto le mie maschere, ora posso vedere il mio vero io.

La visione mi paralizza e mi sta portando alla follia.

Devo lottare, riuscire a respingere l'insostenibile visione, devo proteggere me stesso dall'angosciante rivelazione del mio essere interiore, messo crudelmente a nudo davanti a me, della totale fragilità di quella cosa in cui sono costretto, mio malgrado, a riconoscermi.

Sono qui, davanti alla parte più oscura della mia anima, di fronte al mio io più spietato e disumano, al cospetto del mio spirito spogliato da ogni convinzione e speranza, e non mi rimane altro che accettare fino in fondo ciò che vedo, chi realmente sono.

Il potente sortilegio di Voldemort cerca di distruggermi dal mio interno, mette alla prova la mia resistenza in modi che non ritenevo possibili, ma non potrà annientarmi se riuscirò a riconoscere me stesso. Questa è la mia unica via di salvezza, se ancora voglio vivere.

Ed io lo voglio.

Devo rassegnarmi alla verità, ammettere ogni colpa e scelta sbagliata, accettarmi fino in fondo come il piccolo, fragile, imperfetto essere umano che sono e amarmi anche per quello che sono stato e potrò ancora essere.

Con questa nuova consapevolezza, sconosciuta e immane forza che scopro in me, mi accingo ad affrontare il mio Passato e gli efferati crimini commessi e, infine, comprendo davvero me stesso e riesco ad accettare tutta la verità su questo piccolo, debole e gracile uomo.

Solo un misero essere umano, con tutta la meschinità, la vigliaccheria, la paura, l'angoscia, l'incertezza, la crudeltà e l'odio connessi alla sua intrinseca natura.

Solo un uomo, disperatamente aggrappato alla vita, che vuole ancora percepire il calore di un raggio di sole sulla pelle, respirare l'aria pura e tersa dei luoghi in cui è nato, che desidera sorridere alla donna amata e stringerla forte a sé per il resto della vita.

Solo un uomo, con tutti i difetti e le virtù, i suoi peccati e le sue speranze.

Solo io, nient'altro che io. Un uomo che ha sbagliato ma che rivendica ancora il diritto di vivere. Che vuole ancora amare ed essere amato. Che desidera sorridere, ancora.

Il Vuoto, intorno a me, si sta riempiendo di un'umidità densa di ombre: ma dove c'è l'ombra ci deve essere anche la luce.

In un angolo lontano della mia mente, annebbiata e sconvolta, risuona lieve una voce familiare che chiama dolce il mio nome. Poi, dopo tante tenebre sconfinate, un primo, tenue barlume di luce balena davanti ai miei occhi.

Una sensazione calda e pulsante si diffonde nel mio corpo: la consapevolezza di essere amato, nonostante tutto.

Il sorriso compare sul mio volto teso e deciso: io posso ancora amare, io posso ancora vivere.

*

Imprevisto e inaspettato, un lampo di luce squarciò la notte per un istante, accecandola.

Alhyssa riaprì gli occhi e alzò lo sguardo: le stelle erano tornate a brillare in tutta l'immensa volta celeste. Nello stesso istante, Severus era apparso davanti a lei, soffuso di luce. Poi era crollato a terra di schianto.

Si precipitò in ginocchio accanto al corpo inanimato, sollevandogli il capo da terra e stringendolo forte al petto. Severus, il suo adorato Severus era tornato, era tornato da lei.

Ma era freddo: il corpo era gelido e immobile, come se... come se fosse... No, non poteva neanche affrontarlo nella sua mente, quel pensiero. Non poteva essere... non doveva!

Lo strinse ancora più forte a sé mormorando disperata il suo nome:

- Severus! Severus... mio dolce, immenso amore, Severus!

Gli accarezzò delicata il viso mortalmente pallido, sfiorò dolce le sue fredde labbra mentre le lacrime bagnavano le guance scavate dell'unico uomo che avesse mai amato.

- Severus, ti prego... non abbandonarmi... ti prego, Severus!

Un dolore sordo e lancinante le stava invadendo inarrestabile la mente, mentre una travolgente angoscia le sommergeva il cuore.

Ancora si chinò a sfiorargli le labbra, in un bacio delicato, cercando di ridargli calore, di riportarlo alla vita.

Un soffio leggero, quasi tiepido. Un lieve tremore, quasi invisibile. Un suono tenue, quasi incomprensibile.

Ma la maga comprese.

Era il suo nome.

Severus era ancora vivo e la chiamava.

- Alhyssa!

Stava riaprendo gli occhi, con grande sforzo. Gli splendidi diamanti, rifulgenti di luce nera, le sorridevano:

- Il tuo amore mi ha salvato...

Alhyssa socchiuse le palpebre, immensamente felice, travolta da indescrivibili e potenti emozioni, ritrovandosi infine a ridere tra le lacrime, mentre lo stringeva forsennata a sé:

- Amore, amore mio! Severus... sei vivo!

Il mago le sorrideva, a fatica, ma le sorrideva:

- Ti avevo promesso che sarei tornato... - sussurrò piano.

Anche Lupin si era inginocchiato vicino a loro, mormorando, rivolto ad Alhyssa:

- Silente...

*

Il parco giochi dietro Magnolia Road era immerso nel buio.

Tra i giochi dei bambini, divelti dalla furia della battaglia, i cadaveri giacevano scomposti a terra. Un silenzio irreale regnava dove fino a poco prima erano echeggiate crudeli urla di morte.

Una tenue luce illuminava un angolo appartato: la punta della bacchetta che Minerva McGranitt teneva ancora, disperata ma salda ritta davanti a sé, illuminava una scena surreale.

Silente era ormai strettamente avvolto dal malefico globo di Voldemort, che lo comprimeva sempre più: gli occhi azzurri, così limpidi un tempo, erano enormi e dilatati, opachi e spenti. La bocca, spalancata alla ricerca dell'ultimo soffio d'ossigeno respirabile, era una cavità scura aderente al materiale di cui il globo era composto. Il colorito del volto era ormai bluastro.

Piton si precipitò verso di lui e poggiò le mani su ciò che rimaneva della bolla, chiudendo le palpebre alla ricerca della massima concentrazione.

Gli altri maghi trattenevano il fiato per non interferire. Solo pochi, fugaci istanti, separavano Silente dalla morte e Piton era l'unico che poteva porvi rimedio, anche se era stremato dalla tremenda esperienza appena vissuta. La sua fronte era aggrottata in un'espressione d'intensa preoccupazione. All'improvviso riaprì gli occhi dove un'intensa luce brillava:

- Prepara della pozione Corroborante: ne avremo un estremo bisogno quando avrò finito! ordinò secco ad Alhyssa.

Affrontò ciò che rimaneva del globo che stava mortalmente comprimendo il corpo di Silente e vi appoggiò con decisione il palmo delle mani, guardando fisso negli occhi il vecchio mago prigioniero.

Cominciò a recitare arcane parole, sconosciute agli altri. Un lieve scintillio di comprensione brillò per un istante negli occhi del preside. Piton estrasse la bacchetta e cominciò a disegnare strani simboli nell'aria che, adagio, assunsero vita propria e cominciarono a vorticare attorno alla sfera, cercando di penetrarla.

Con rabbiosa decisione Piton allungò le mani verso le oscure forme e cominciò a dirigere il loro attacco alla bolla che, ormai, stava irrimediabilmente soffocando Silente. I simboli runici tratteggiati nell'aria da Piton cominciarono a aderire al materiale elastico del globo, fondendosi con esso, rendendolo sempre più rigido, ma fragile.

Piton appoggiò di nuovo le mani sulla sfera, in esatta corrispondenza con i palmi di Silente, e si concentrò a fondo, riprendendo a mormorare a fior di labbra incomprensibili e dimenticati incantesimi. Le sue mani presero a vibrare e i simboli runici ne furono attratti di colpo, cominciando a vorticare con violenza e tentando di inserirsi tra i palmi strettamente congiunti dei due potenti maghi.

Il volto di Piton era sofferente, ma le sue mani rimanevano salde, aderendo sempre più a quelle del vecchio mago. Stava attirando verso di sé la vaga luminosità sprigionata dagli arcani simboli tracciati nell'oscurità silenziosa della notte.

Il tremito che aveva colpito le sue mani si propagò veloce a tutto il corpo e il mago cadde in ginocchio, trascinando con sé anche Silente. Di nuovo serrò strette le palpebre e premette con forza le mani contro quelle del preside, comprimendo tra i loro palmi le turbinanti forme luminose, gocce di sudore a imperlargli la fronte.

Piton strinse i denti, quindi affondò le mani con decisione nel globo mandandolo a frantumarsi in infinite schegge che esplosero con forza verso l'alto.

Senza più il sostegno della sua prigione, Silente crollò a terra, trattenuto solo dalle braccia di Piton che, con estremo sforzo, lo sostenne finché Lupin lo sostituì. Quindi Severus si lasciò cadere a terra, adagio, il corpo scosso da un intenso tremore e l'aura magica che perdeva di consistenza.

Alhyssa, che si era subito chinata su Silenteper fargli trangugiare una generosa pozione del siero Corroborante, rivolse losguardo verso Severus, incerta sul da farsi. Il mago le sorrise fiacco, indicandoa fatica l'anziano mago. Ma il suo corpo, logorato dalla potenza dell'incantesimoeseguito, lo abbandonò: l'orizzonte s'inclinò ed egli precipitò, senza neppurecercare di lottare, nella tranquilla oscurità dell'incoscienza.


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