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18. Le due battaglie

La nebbia di sangue è dentro di me e si nutre dei miei ricordi.
So di trovarmi in bilico sull'orlo di un abisso senza fondo.

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Sono di nuovo davanti a lui, ancora una volta inginocchiato a baciare l'orlo della veste di tenebra.

Ogni volta tutto si prospetta sempre più difficile. Ma questa volta la difficoltà è massima: non solo sospetta di nuovo di me, ma sa anche che sono in grado di nascondergli i miei pensieri. Questa capacità fa di me l'unica persona capace di mentire in sua presenza.

Eppure oggi io non intendo mentirgli: non solo gli fornirò l'indirizzo Babbano del giovane Potter, che per altro lui già conosce, ma gli racconterò anche dell'incantesimo che protegge Potter in quel luogo. L'unico modo, forse, per impedirgli di andarlo a cercare in mezzo ai Babbani, la sola possibilità per evitare una strage fra loro. La mia ultima, ridotta opportunità, di convincerlo di una fedeltà che non esiste, che non è mai esistita.

Mi preparo allo scontro e alzo adagio il viso, ancora una volta sfidando le rosse scintille dei suoi occhi.

- Privet Drive, 4 – Little Whinging, Surrey.

La mia voce è fredda, calma e distaccata: proprio come dovrebbe essere.

Il viso piatto e bianco dell'Oscuro rimane senza espressione. Non sta neppure tentando di penetrarmi nella mente. È in tranquilla attesa.

Continuo a parlare con voce atona:

- Il ragazzo è inattaccabile in quella casa: il potente incantesimo che lo nasconde ai tuoi occhi è anche in grado di proteggerlo da ogni tuo attacco.

Una scintilla di una tonalità rossa appena più intensa brilla per un istante nelle sue iridi, poi si spegne nel sibilo tagliente delle parole:

- Un sortilegio di Silente?

- No, più potente e antico. Lo stesso che respinse la tua maledizione mortale quindici anni fa: il sangue di sua madre protegge il ragazzo finché continua a vivere nella casa di una persona che condivide con lui quello stesso sangue.

- Sangue Babbano!

Il sibilo sottile della voce raggela l'aria intorno a noi e lacera il silenzio. L'oscurità è calata pesante nei suoi occhi, ogni scintilla di vita è spenta.

Non lo ho mai visto così: ho paura.

Una risata terrificante riempie il vuoto, vibra potente nell'aria fino a far tremare i possenti muri della fortezza. Poi si dissolve nel nulla.

- Non sarà il sangue di una Babbana a fermarmi, Severus Piton!

Il fuoco dell'inferno imperversa di nuovo nei suoi occhi e gli fa leggere il tradimento nelle mie parole.

Quale beffarda, crudele ironia del destino: quante volte ha creduto al mendace suono delle mie parole e adesso, l'unica volta che sono sincero, vede in me l'inganno!

- E neppure tu mi fermerai, servo infedele. Nessuno può opporsi al potere dell'Oscuro Signore, nessuno può intralciare la sua strada! Nessuno mi può mentire impunemente!

La sua voce cresce minacciosa d'intensità fino a saturare le alte volte del salone e le tenebre si fanno più cupe e fredde intorno a lui: alza il braccio verso di me, la bacchetta salda in pugno.

Sapevo che questo momento sarebbe infine giunto e so anche che, se la profezia narra il vero, io non ho speranza alcuna di sconfiggerlo. Ma non intendo fuggire, non lascerò che la sua ultima maledizione mi colga inerme alle spalle.

Estraggo fulmineo la bacchetta ed esclamo, forte della mia verità:

- Non ti sto mentendo: non oggi, non ora!

Ho un'unica possibilità di sfuggire alla morte: attirarlo in un campo in cui, fino a questo momento, mi sono dimostrato alla sua altezza. Se la sua potenza di mago è ineguagliabile, la sua mente finora non è mai riuscita a dominare la mia.

E' lì che intendo combattere la mia ultima battaglia.

Vedo scintillare i suoi occhi e so che il nero specchio dei miei ne riflette la luce sanguigna: è pronto a sferrare il suo formidabile attacco. È disposto a tutto pur di riuscire nell'intento e soggiogare per sempre la mia mente. Se non riuscirà a domarla, oggi cercherà di annientarla!

La prima sensazione che mi colpisce è l'ira: percepisco con forza la collera ardente e sono travolto dalla sua immane furia.

Poi esplode improvviso il dolore. Un violento dolore, un immenso dolore, un insopportabile dolore.

Un urlo inumano sfugge dalle mie labbra e mi piego su me stesso, in preda a tremende convulsioni. Ondate d'insopportabile sofferenza si abbattono su di me: tentano di disgregare e smembrare il mio corpo, separandolo dalla mente e dai pensieri.

Ma ormai ho imparato come affrontare e sopportare il dolore che la sua mente sa infliggermi. E anche lui lo sa. Recupero con faticosa caparbietà il controllo del mio corpo e mi concentro su Alhyssa, lasciandomi pervadere dall'amore per lei.

Controllo e respingo il tormento.

Un silenzio profondo incombe intorno a me, più denso delle tenebre.

Assordante, improvvisa e lacerante, la paura mi assale: un brivido potente percorre rapido la mia spina dorsale, ondate di panico totale e assoluto si abbattono prepotenti su di me, travolgendomi.

Nuoto tra onde di angoscia, al limite della mia resistenza, sul punto di affogare. Vado alla deriva e una sensazione crescente di terrore devasta la mia mente, in modo dolorosamente incontrollabile.

Percepisco che la potente magia oscura di Voldemort è riuscita a stanare la paura dal fondo del mio animo e sta annientando il mio coraggio, facendo crollare ogni residua difesa razionale.

Sto perdendo la capacità di ragionare in modo cosciente, trasportato da emozioni troppo primarie per dominarle. La mia mente si ripiega su se stessa, fragile e indifesa, costretta nell'insostenibile morsa di terrore. Sento il sangue pulsare violento nelle tempie, come se le vene, sottoposte a un'intollerabile pressione, fossero sul punto di esplodere.

Sto tradendo me stesso, non riesco più a lottare: ho la spaventosa consapevolezza di non averci neppure provato.

Nel silenzio gelido delle tenebre, la cupa disperazione mi avvolge in dolci braccia materne, sussurra il mio nome con voce soave, m'induce ad abbandonarmi al gentile abbraccio fatale.

Scivolo piano a terra mentre la disperazione mi sommerge come un imponente fiume ghiacciato, mi trascina via, lontano, ed io annaspo, mi sento affogare. Un tremito violento percorre il mio corpo, trascinato dall'impetuosa marea di ghiaccio.

Rinuncio a lottare. Non esiste nulla per cui valga la pena di lottare in questo mare infinito di lugubre disperazione. Non esiste un domani, si è spenta la speranza, non ha senso la vita, la vita non esiste...

Chiudo gli occhi e attendo: anelo alla morte, la fine d'ogni mia sofferenza. Da sedici anni attendo di morire, mia piccola Beryll, di tornare da te, amore mio.

Amore?

Amore, amore, amore!

L'amore esiste, la mia vita ha ancora un senso: devo mantenere una promessa, devo tornare da Alhyssa.

Mi aggrappo al tuo ricordo, mio dolce e unico vero amore, come a una corda gettata da mano pietosa in mezzo al mare della mia infinita angoscia, e la stringo, la stringo forsennato, finché le nocche diventano bianche, finché le unghie penetrano nella carne.

Infine reagisco e comincio a combattere per dominare la paura, respingere il panico, arginare il terrore, sfuggire alla disperazione.

Riesco a muovermi per affrontare e superare la barriera d'ossessione che mi schiaccia e l'incubo di disperazione che mi circonda. Ogni fibra del mio essere combatte la strenua battaglia, è troppo importante il premio in palio: ridare vita alla speranza di rivederti, di averti di nuovo tra le braccia, di continuare ad amarti.

All'improvviso il muro di paura si frantuma davanti ai miei occhi.

Mi rialzo a fatica da terra, barcollante, nella silenziosa oscurità della grande sala: sono tornato vivo dal Regno della Disperazione, e ho perfino la forza di sorridere al sogno del mio amore.

Nelle tenebre brillano solitarie due scintille rosse, che si fanno sempre più intense:

- Neppure la speranza, ora, potrà salvarti. Non c'è speranza nel tuo Passato, Severus Piton. Ed io ti relegherò nel tuo personale Inferno, per tutto il tuo Futuro: nell'Inferno bruciante del tuo tradimento!

L'eco agghiacciante delle parole risuona per un tempo infinito nel silenzio immobile.

Poi le tenebre si mutano in ombra.

Una tenue bruma rossa pervade ogni cosa, come se un manto di sangue oscurasse il cielo e ogni stella fosse una ferita infetta che inonda di sangue la terra. Sono immerso in quest'ombra scarlatta che avvolge sempre più stretta il mio corpo, come un sudario insanguinato.

Poi qualcosa d'immane e sconosciuto mi colpisce e il velo cremisi che mi circonda invade la mia mente. La nebbia di sangue è dentro di me e si nutre dei miei ricordi.

So di trovarmi in bilico sull'orlo di un abisso senza fondo.

All'improvviso il velo rosso si squarcia e le immagini della mia vita scorrono veloci a ritroso davanti agli occhi: provo un impeto d'orrore mentre precipito impotente nel mio Passato.

La mia ultima percezione razionale mi rivela che Voldemort sta lasciando la fortezza mentre io intraprendo il mio viaggio all'Inferno.

Bastano i miei spregevoli demoni a imprigionarmi: non è necessaria la presenza dell'orrendo carceriere.

Ho miseramente fallito: non sono riuscito a trattenere Voldemort e la mia mente sta correndo incontro alla perdizione!

Sono avviluppato in una cortina purpurea: mi opprime sempre più e mi risucchia in sé, mentre tutta la realtà, intorno, si dissolve. Una strana corrente mi trascina ed io sono impotente, in balia delle onde, incapace di opporre resistenza.

Adagio e inesorabilmente penetro nei recessi più intimi del mio essere: l'ombra del sangue si fa nera e la gelida oscurità cala intorno a me.

Le tenebre strisciano subdole nella mia mente, penetrano come veleno tra le mie labbra, s'insinuano nell'aria che respiro intossicandomi, finché solo un sangue nero di tenebra mi scorre nelle vene.

Di colpo, lampi accecanti squarciano l'oscurità profonda e un impetuoso vortice di vento strazia il silenzio immobile. Sento esplodere in me un turbine di immagini, emozioni e percezioni sensoriali, fino a esserne sopraffatto e travolto.

L'istante successivo tutto si smorza in una quiete totale.

Solo il nulla, il tempo si è fermato ed io fluttuo nel vuoto.

Un vuoto senza fondo, vasto, immenso, sconfinato.

Vuoto.

Non ci sono neppure più le tenebre, non c'è luce, non c'è buio, non ci sono ombre.

Non sento alcun suono, ma non odo neppure il silenzio.

Mi rendo conto di non aver più percezioni fisiche. Non c'è nulla da vedere in questo pozzo senza pareti e senza fondo: sono inutili i miei occhi. Cerco di gridare, ma la voce non esce: non c'è nulla da ascoltare, le orecchie sono superflue. Le mie mani stringono spasmodiche la mia carne: ma non ho più mani, non ho più corpo!

Solo il vuoto più totale: la completa, assoluta, suprema mancanza di tutto ciò che potrebbe esistere... e che non è più.

Anch'io non esisto: sono solo un essere incorporeo. E' rimasta solo l'anima e l'intima essenza del mio essere, il mio io più recondito. Sopravvive solo la mia coscienza, con pensieri e ricordi.

Ecco, ora che sono qui, so di essere alfine giunto nel mio Inferno.

Sono solo con me stesso, a fronteggiare il Passato, con le sue terribili verità, nude e scevre da ogni illusione: verità brucianti, taglienti. Vedo la realtà della mia vita, e inorridisco. Rivedo ogni scelta fatta, le azioni compiute, le colpa commesse. L'orrore mi attanaglia e non riesco più a trovare giustificazioni o attenuanti. Nessuna difesa, nulla!

Assisto impotente agli errori compiuti, percepisco di nuovo l'odio che mi ha pervaso l'animo, rivivo la mia crudele e spietata determinazione. Rivedo le mie azioni, infinitamente rallentate, affinché non ne vada perso nessun singolo, piccolo, insignificante particolare, e la mia sofferenza possa essere totale.

Vedo sfilare adagio, davanti agli occhi della mente, le mie vittime. Emergono dal vuoto, fantasmi terrorizzati, e si avvicinano finché riesco ad avvertire chiara la loro impotenza, la loro paura, fino a quando sento nella mia carne il loro estremo dolore. Finché il loro terrore diviene il mio e la disperazione mi entra nella mente, mentre il giovane Severus del Passato torna inesorabile a replicare la loro orribile morte, ancora e ancora e ancora, all'infinito. I poveri esseri contorti e striscianti si avvinghiano a me, supplicano pietà; non posso fare nulla, solo assistere impotente alla reiterazione infinita della loro morte.

La consapevolezza delle mie colpe è incisa a fuoco nella mia mente e la mia anima ne è dilaniata.

Sono qui, nell'Inferno del mio Passato, solo con il mio orrore: l'orrore di me stesso.

Ho paura: terrore di me.

Ma questa volta non posso fuggire.

La mia mente è distrutta, l'anima è perduta, ed io non posso neppure urlare il mio sconfinato orrore.

*

Una cappa di afa stagnava quella notte su Privet Drive. Harry era affacciato alla finestra della camera e osservava le stelle brillare, un po' appannate, nel cielo scuro. Sapeva che intorno alla casa molti Auror montavano la guardia: Lupin lo aveva avvertito che Voldemort poteva attaccare da un momento all'altro e lo aveva diffidato dall'uscire di casa, per qualsivoglia ragione. Avevano anche escogitato un piano per allontanare da casa i Dursley, almeno per alcuni giorni, nel tentativo estremo di salvare loro la vita.

Così era lì, nell'attesa spasmodica dell'ultima sfida cui la profezia l'aveva destinato. Ancora una volta si chiese cosa avrebbe fatto quando il momento sarebbe arrivato. Sarebbe stato capace di uccidere Voldemort? Avrebbe avuto il coraggio di togliere la vita a un essere umano? Ma Voldemort era ancora un essere umano? E se all'ultimo istante la sua mano avesse tremato e il raggio mortale mancato l'obiettivo? Se fosse stato Voldemort a ucciderlo, invece? Cosa ne sarebbe stato del suo mondo, se le cose fossero finite così?

Si vide a terra, immobile, morto, mentre Voldemort rideva, la sua terribile risata penetrante, acuta. Scrosci di risate che si rovesciavano seppellendo il suo corpo nello scherno. Una risata macabra, crudele, infinita, che cercava di coprire le urla disperate di sua madre.

All'improvviso Harry capì chi aveva indotto la risata e le urla nella sua testa.

Alzò gli occhi al cielo, nera distesa ghiacciata senza stelle. Poi li vide arrivare, a decine, accerchiare gli Auror di guardia, recando il gelo della morte. Gli Auror indietreggiavano adagio, scagliando a raffica i Patronus. Nuovi Dissennatori comparivano in continuazione, sostituendo quelli che i Patronus riuscivano a scacciare, costringendo gli Auror ad arretrare e allontanarsi dal numero 4 di Privet Drive in direzione del parco giochi, dietro a Magnolia Road.

Harry decise che era giunto il momento di trasgredire gli ordini di Lupin: restare chiuso in casa non gli avrebbe evitato per sempre lo scontro con Voldemort, ma avrebbe avuto sulla coscienza gli Auror che lo proteggevano. Inoltre era stanco di aspettare: ora che conosceva il suo destino, preferiva affrontarlo una volta per tutte.

Afferrò la bacchetta e si gettò giù per le scale, saltando i gradini a quattro a quattro, rischiando di rompersi l'osso del collo. Attraversò come una furia il vestibolo pulito e ordinato della casa, rovesciando l'attaccapanni e accartocciando la passatoia. Spalancò con impeto la porta, che si richiuse alle sue spalle con uno schianto di vetri infranti, e si precipitò in giardino, nel gelo oscuro della notte estiva. Continuò a correre a perdifiato per raggiungere il gruppo degli Auror, urlando l'invocazione del proprio Patronus.

Il grande cervo argenteo si librò veloce dalla punta della bacchetta e galoppò nel cielo, unendosi ai Patronus degli altri, quasi guidandoli in un attacco congiunto ai Dissennatori, premendo loro contro e sospingendoli indietro, dentro le tenebre della loro notte glaciale.

Mentre si schierava tra gli Auror, nel parco, Harry udì numerosi crac e ombre scure materializzarsi di là del vicolo buio. L'aria fu lacerata dai lampi degli incantesimi e i Mangiamorte si gettarono compatti contro di loro. La Tonks fu rapida al suo fianco e lo strattonò cercando di portarlo dietro le fila degli Auror, mentre Kingsley prendeva il suo posto e i ranghi tornarono a chiudersi davanti a lui.

Vide la battaglia accendersi, furiosa e spietata, mentre gli incantesimi di morte illuminavano per brevi istanti il buio della notte. Tonks continuava a trascinarlo lontano, urlandogli nelle orecchie:

- Remus ti aveva ordinato di non uscire da casa per nessun motivo!

Harry cercava di liberarsi dalla ferrea stretta della metamorfomaga che, nella fretta dell'attacco dei Dissennatori, aveva solo in parte cancellato il travestimento, cosicché diversi ciuffi di ispidi capelli bianchi spuntavano ancora tra i riccioli rosa, mentre il viso, giovane e fresco, conservava una guancia grinzosa e cadente e un naso bitorzoluto che stridevano col resto, conferendo all'insieme un aspetto così assurdamente bizzarro che il ragazzo non riuscì a trattenere una risata nervosa. La giovane sorrise, comprese, e completò l'opera.

Altri crac risuonarono forti nella notte e nuovi Auror arrivarono. Harry non fece tempo ad alzare gli occhi che Lupin era al suo fianco e lo squadrava severo:

- Maledizione, Harry, ma non riesci proprio a stare lontano dai guai?

- Sono i guai che non stanno lontani da me! – urlò per sovrastare scoppi e crepitii della lotta che infuriava a pochi passi.

- Comincio a credere che il giudizio di Severus su di te sia corretto, - esclamò Alhyssa materializzatasi con Lupin e Moody - dovevi restare in camera tua, Harry!

Raggi colorati illuminavano a raffica la notte: esplosioni e schianti saturarono l'aria, coprendo le urla di chi era colpito e si accasciava a terra, morto o gravemente ferito.

Tutti si gettarono nella mischia, davanti agli occhi impotenti di Harry, trattenuto con decisone da Lupin.

Nuovi crac si confusero al rumore di sortilegi e malefici che fendevano l'aria e nuovi mantelli neri ondeggiarono nella notte, ingrossando le fila dei Mangiamorte.

Harry si portò la mano alla cicatrice, dove il dolore era esploso: si guardò incerto intorno quindi indicò a Lupin un punto preciso.

Un'ombra alta e immobile emergeva tra le altre, più scura della notte, spettralmente avvolta nel lungo mantello, il cappuccio calato sul volto. Solo due luminose scintille rosse ardevano nella tenebra oscura.

Per un attimo il silenzio calò nel parco giochi, e, agli ultimi bagliori delle esplosioni degli incantesimi, Harry notò le altalene divelte, il cratere scavato nel recinto della sabbia e i residui fumanti dei cavalli a dondolo.

Poi la lotta esplose di nuovo, sempre più feroce, più mortale, tra le grida di chi lanciava l'incantesimo e le urla di chi era colpito. Di nuovo fatali getti di luce illuminarono la notte.

All'improvviso Harry vide le stelle farsi tremule e lontane e la notte disgiungersi dalla battaglia. Ebbe la sorprendente impressione di ritrovarsi, con gli altri, all'interno di un'enorme sfera di sottile cristallo che li separava dal mondo normale, dalla realtà dei Babbani. Alzò gli occhi, stupito, mentre sentiva la stretta di Lupin farsi leggera sul braccio, e incontrò il profondo sguardo azzurro di Silente, il sorriso rassicurante e la voce tranquilla che sussurrava:

- Qualcuno doveva pensare a proteggere i Babbani, Harry. Le scie degli incantesimi possono arrivare fino alle loro case. Ma la mia cupola assorbirà tutto.

Harry sorrise: adesso che Silente era giunto era molto più tranquillo. Non che la cosa avesse molto senso: sapeva che era solo sua la responsabilità di affrontare e sconfiggere Voldemort, ma la vicinanza di Silente gli infondeva il coraggio mancante. Si frizionò la cicatrice con la mano: il dolore era intenso e gli faceva lacrimare gli occhi, annebbiandogli la vista.

Lupin lo salutò con un breve cenno del capo, affidandolo al preside, e si tuffò nella lotta a fianco di Alhyssa.

Harry notò molti corpi giacere a terra: qualcuno si contorceva, ma per la maggior parte erano immobili. Cercò conforto nel sorriso di Silente, ma dietro agli occhiali a mezzaluna gli occhi azzurri scintillavano come ghiaccio e scandagliavano il parco alla ricerca di Voldemort.

Forse lo vide con un attimo di ritardo, o forse la presenza di Harry in mezzo a loro lo fece esitare un istante di troppo. Voldemort sollevò la bacchetta contro di lui, facendone eruttare un torrente di fuoco, e Silente riuscì solo a erigere una barriera di protezione per Harry, non avvedendosi che, nel suo percorso, la palla di fuoco abbatteva diversi Auror. Per un lungo attimo lo scompiglio regnò nelle file dell'Ordine della Fenice, finché la bacchetta di Silente non inondò pietosa di fresca acqua alcuni Auror, mentre quella di Moody innescò un turbinio di vento che spense le residue fiamme.

Voldemort era a pochi passi da Harry che, accecato dal dolore alla cicatrice, non riusciva a ragionare e stringeva spasmodico la bacchetta fra le mani puntandola, tremante, sul potente mago.

- Addio, Potter!

La sua voce era solo un gelido e acuto sibilo che fendeva l'aria, la bacchetta diretta con fermezza sul ragazzo:

- Siamo infine giunti al nostro ultimo incontro!

Harry sollevò il viso fino a incrociare l'orrida faccia da rettile, bianca e scarna, le labbra sottili stirate in uno spietato sorriso e gli occhi scarlatti che brillavano intensi nell'oscurità.

Harry mormorò qualcosa, che neppure lui stesso riuscì a decifrare, mentre le labbra di Voldemort pronunciavano minacciose:

- Avada Kedavra!

Un lampo verde esplose con inaudita violenza dalla bacchetta dell'Oscuro Signore, diretto al suo petto.

Harry chiuse gli occhi chiedendosi cosa significava morire.




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