11. Assassino
L'istinto dell'assassino è radicato troppo a fondo in te: sei un mio Mangiamorte
fino al midollo. Che tu lo voglia oppure no, lo sei e sempre lo sarai
La voce di Voldemort era gelido metallo che strideva stizzosa nella notte silenziosa:
- Ti stavo attendendo.
Piton s'inchinò rispettoso fino a baciare l'orlo della veste nera:
- Ti chiedo perdono, Oscuro Signore: la ferita si è rivelata più grave di quanto stimato. L'avete ripreso? – chiese guardandosi intorno, irrequieto.
- Non c'è traccia di Lupin. Sembra essersi volatilizzato. – rispose secco.
- Maledizione! Potevo estorcergli importanti informazioni! Sono certo che qualcuno, al Ministero, ha creduto alla versione di Silente e Potter sul tuo ritorno, mio Signore.
Voldemort lo fissò a lungo, con intensità, mentre il mago ne sosteneva lo sguardo con fredda determinazione. Infine disse, scandendo adagio le parole:
- Lucius afferma che è impossibile.
Piton inarcò un sopracciglio, guardandosi intorno alla ricerca di Malfoy:
- Forse... Lucius si sbaglia. – rispose altrettanto lento, cercando di controllare l'esitazione per un istante insinuatasi nella sua voce e continuando a fissare la vivida luce rossa degli occhi di Voldemort – Vuoi correre il rischio di sottovalutare questa informazione?
L'Oscuro continuò a scrutarlo, avvolto in un gelido silenzio.
Un acuminato sguardo di sangue che sapeva sbaragliare ogni difesa. Quasi. Ma nel volto pallido e teso di Piton gli occhi erano solo lucidi specchi neri che riflettevano la crudeltà dell'altro.
- C'è dell'altro, mio Signore. Lupin ha resistito al Veritaserum, ciò che farebbe supporre che al Ministero abbiano scoperto un antidoto.
Piton sollevò piano il mantello ed estrasse un'ampolla contenente un liquido trasparente:
- Questo è un siero della Verità, potente come e più di quello del Ministero. L'ho distillato io, tempo fa, e ora te ne faccio dono. – disse tendendo la mano – A questo siero, nessuno saprà trovare rimedio. – sussurrò, un perfido sorriso disteso sulle labbra.
Voldemort allungò una lunga mano sottile, diafana e rapace, ad afferrarla.
- Una goccia, una sola goccia, per quindici minuti di verità purissima. – spiegò orgoglioso.
L'Oscuro strinse la fiala tra le mani, poi inclinò un poco la testa di lato, ancora a osservare Piton. Infine avvicinò il volto finché i suoi occhi sanguigni non furono che a pochi centimetri:
- Bevila! – sibilò con voce appena intelligibile, gli occhi già a frugare nella mente del mago.
Piton impallidì e si ritrasse di scatto a lato, sottraendo le iridi all'incursione dello sguardo invasivo. Afferrò il siero e ne trangugiò una goccia. Dolori lancinanti allo stomaco lo fecero ripiegare per un istante su se stesso. Poi si rialzò, sempre più pallido, a fissare fiero gli occhi di rubino mentre gli rendeva la fiala.
- Cos'è successo tra te e Lupin, in passato?
Piton raccontò l'orribile scherzo architettato da Sirius Black quando erano ancora studenti. La spaventosa notte di luna piena in cui aveva scoperto la vera natura di Remus Lupin ritrovandosi davanti a un lupo mannaro del tutto trasformato. Raccontò il suo terrore di ragazzo, la selvaggia ferocia del lupo, il dolore lancinante delle profonde ferite subite e l'intervento provvidenziale di James Potter che, sotto forma di cervo, aveva tenuto occupato il Mannaro permettendogli di fuggire, gravemente menomato, salvandogli la vita.
Piton ansimava raccontando, lo sguardo perso nei ricordi del passato.
- Cos'è successo tra te e Lupin, ieri? – incalzò.
Il mago non ebbe alcuna esitazione e ripeté la stessa versione in precedenza fornita a Malfoy.
Un lampo vermiglio scaturì per un istante dagli occhi di Voldemort, poi un sorriso crudele distese le labbra sottili, portando una parvenza di vita sul viso cadaverico:
- Non ho ancora punito i due Mangiamorte per l'errore commesso. – sibilò piano – Vuoi che ti chieda ora, che sei sotto l'effetto del siero, quale sarebbe per te la punizione adeguata? O preferisci rispondere più tardi?
Piton ridusse gli occhi a una fessura, fissandolo con intensità:
- E' molto sottile la tua domanda, Oscuro Signore. Davvero degna di te. – sussurrò piano, scandendo ogni parola – Chiedere a un uomo, che non può mentire, se è sua intenzione mentire quando potrà di nuovo farlo.
Sul volto pallido e teso di Piton vi era un impercettibile sorriso di sfida:
- Domandalo ora, oppure più tardi. Come tu vuoi. – disse con lenta freddezza - La mia risposta sarà sempre la stessa.
Il gelido sorriso, sul volto di Voldemort, ne esprimeva l'intima soddisfazione:
- Sei un mago intelligente, Severus. Sempre lucido e controllato. – asserì con un sibilo tagliente – Imperscrutabile.
- Devo intendere queste tue parole come complimento, mio Signore, o come minaccia? – chiese piano, inarcando appena un sopracciglio.
Voldemort ignorò la domanda e annunciò:
- Non li ho ancora puniti perché volevo lasciare a te il verdetto.
Gli occhi dell'Oscuro lo scrutavano con attenzione, ostinati rubini scintillanti nella notte, alla ricerca del punto debole, del varco che poteva permettergli di insinuarsi nella sua mente.
- C'è solo un verdetto possibile. - affermò Piton.
Alzò ancora una volta gli occhi ad affrontare lo sguardo penetrante di Voldemort, sapendo di essere in grado di sostenerlo. Lo sentiva spaziare nella sua mente, la spietata luce purpurea delle iridi lo abbacinava, percepiva il loro potere infiltrarsi tra i pensieri e le emozioni per decifrarli. Ma tutto era sotto controllo e avrebbe letto solo ciò che gli avrebbe permesso.
Ancora una volta, come sempre.
- La morte è l'unica punizione. – statuì lento, con voce distaccata.
L'Oscuro interruppe il contatto oculare e un gelido sorriso increspò le labbra esangui:
- Bene, Severus! Allora divertirti e chiama gli altri. Puoi dare inizio alla Cerimonia.
- No! Nessun'altra Cerimonia di tortura e di morte per me. Te lo dissi già molto tempo fa. – esclamò Piton con secca decisione.
- Severus! – lo richiamò con ira.
- No. – ripeté il mago senza esitare.
- Tu hai emesso il verdetto e tu lo eseguirai!
- Il mio era un verdetto di morte, e quello eseguirò. – sibilò, sollevando alta la fronte, gli occhi fiammeggianti – Ma non li torturerò! Non lo farò mai più, te lo ho già detto!
Ancora una volta gli occhi di Voldemort furono furiosamente dentro di lui, come a volergli strappare l'anima per leggerla alla luce rosseggiante del grande fuoco che ardeva alto vicino a loro.
- Dal tuo ardire, noto che l'effetto del siero è ancora attivo. - sibilò piano, senza smettere di premere rabbioso su anima e mente.
- Sì, ma ti rimangono solo pochi istanti. Rivolgimi ora la domanda che ti brucia sulle labbra, Oscuro Signore. – esclamò il mago levando fiero il volto pallido, i lunghi capelli corvini a ondeggiare al movimento scattante - La domanda che da troppo tempo, ormai, intuisco nei tuoi occhi e che mi offende!
Piton si chiese se fosse davvero in grado di affrontarla.
- No! Non te lo chiederò. Ho altri modi per avere la risposta ai miei dubbi. – spiegò in un sibilo acuto - Fa di quei due ciò che vuoi. Anche se avrei preferito che permettessi ai tuoi compagni di divertirsi un po'. – mormorò stizzito, volgendogli le spalle – Un divertimento così raro, ultimamente!
- Sono sotto l'effetto di un siero della Verità, non sotto il tuo Imperius. – esclamò Piton altrettanto stizzito – Che, tra l'altro, sai bene non aver mai avuto effetto alcuno su di me!
Voldemort si voltò per incenerirlo con la brace rovente dei suoi occhi:
- Ti ho detto di fare ciò che vuoi!
- Farò ciò che devo! – sibilò di rimando a denti stretti.
Piton si diresse con passo deciso verso i due giovani Mangiamorte, incatenati nell'angolo in fondo al grande salone, che avevano ascoltato tutta la conversazione.
Si accorse subito che tremavano: sapevano cosa stava per accadere. Leggeva chiaro nei loro occhi il terrore muto e disperato, l'orrore delirante e paralizzante di chi sa che il destino è segnato, immutabile, e nulla potrà salvarlo.
Di chi conosce l'inutilità di implorare una pietà che non può esistere.
Era stato lui a segnare il destino dei due ragazzi, solo lui a decretare la loro inutile morte. Per salvare Lupin, per salvare se stesso, per salvare il suo mondo.
La salvezza del mondo in cambio della vita di due ragazzi di diciassette anni: giovani e ingenui Mangiamorte, forse guidati da ideali impossibili, colpevoli solo di una scelta sbagliata dalla quale non potevano più tornare indietro.
Per un istante rivide se stesso, il giovane e insicuro Severus Piton di vent'anni prima, traboccante di voglia di vivere.
Quando il suo sguardo era ancora carico di sogni, ideali e fiducia.
Una terribile domanda si formò nella mente e si chiese chi fosse più fortunato. Lui, ancora vivo dopo vent'anni, o loro che stavano per morire? Loro, tremanti di paura nell'ultimo istante della breve vita, o lui, freddo e inumano esecutore dello spietato verdetto di morte?
Strinse i pugni sotto il mantello e si ritrovò a invidiarne il destino.
Se Voldemort avesse potuto scrutare in lui, in quell'istante, avrebbe potuto capire ogni cosa, avrebbe risolto ogni residuo dubbio.
Serrò le labbra e alzò la bacchetta su uno dei ragazzi, gli occhi sgranati dal terrore, i riccioli castani appiccicati al viso sudato, la bocca spalancata in un agghiacciante urlo senza voce.
Due ragazzi innocenti della colpa per la quale morivano, probabilmente ancora innocenti d'ogni altra colpa, se non quella di portare il marchio infernale di Voldemort. Erano troppo giovani per avere già ucciso, erano solo i nuovi Mangiamorte arrivati a lui dopo il suo ritorno, forse figli d'altri Mangiamorte.
Erano solo ragazzi innocenti, come tanti altri che aveva ucciso in passato, per cambiare il mondo seguendo l'oscuro ideale di Voldemort.
Come quelli che avrebbe ancora ucciso in futuro, per salvare il mondo dal ritorno dell'Oscuro Signore!
E se si fosse girato di scatto? Se avesse diretto la potente maledizione mortale su Voldemort? Poteva morire per mano sua, anche se la dannata profezia lo negava? Quale era il vero valore di quella profezia?
Erano rapidi e terribili i suoi pensieri, turbinavano nella mente tormentandolo con il rimorso angoscioso di un nuovo e imperdonabile crimine ancora non commesso.
Eppure la sua mano era salda, mentre puntava la bacchetta.
La sua voce, gelida, dura e inumana pronunciò senza emozione né esitazione le due fatali parole:
- Avada Kedavra!
Il giovane dai riccioli castani crollò silenzioso a terra, l'altro gemette sottovoce, stringendo convulso le mani tremanti sul mantello.
Solo una frazione di secondo e un altro lampo verde scaturì dalla sua bacchetta d'implacabile assassino, seguendo l'ordine impartito dalla voce, sempre più glaciale, più tagliente, più disperatamente disumana.
Chiuse gli occhi per un fugace istante, mentre abbassava il legno magico.
Come aveva potuto anche solo osare pensare di poter amare di nuovo, ed essere amato?
Lui, lui che sapeva solo uccidere senza pietà dei ragazzi, due suoi giovani allievi!
Il suo cuore era straziato, l'anima ormai distrutta, ma il suo passo era sempre veloce e deciso mentre tornava da Voldemort e ascoltava la propria gelida voce indifferente pronunciare:
- Il verdetto è stato eseguito.
L'Oscuro scrutò con attenzione il volto pallido e senza espressione, la mano che riponeva con cura la bacchetta all'interno del mantello, gli occhi privi di luce, le labbra sottili serrate strette.
- Vedi, Severus, avevo ragione io. Era una domanda inutile. Non ha importanza sapere se mi hai tradito. – sussurrò piano, avvicinandosi – L'istinto dell'assassino è radicato troppo a fondo in te: sei un mio Mangiamorte fino al midollo. Che tu lo voglia oppure no, lo sei e sempre lo sarai. Non potrai mai sottrarti a te stesso, mai. E non potrai neppure mai sottrarti a me!
Voldemort aveva accostato le lunghe e sottili mani al suo viso facendole scorrere leggere sulle guance, quasi a volere provare con quel gesto la potestà sull'altro:
- Ho visto scagliare quella maledizione migliaia di volte, Severus. Chi tremava, chi sudava, chi doveva forzare se stesso; chi temeva, chi piangeva, chi all'ultimo istante rinunciava. Chi godeva, chi fremeva, chi rideva, chi si eccitava, chi la pregustava leccandosi le labbra, chi derideva, chi insultava la vittima.
Il volto diafano dell'Oscuro Signore era impassibile e la voce acuta e metallica non tradiva emozioni. Le braccia pendevano immobili lungo i fianchi.
- Ma non ho mai visto nessuno come te. Nessuno è mai stato così freddo, distaccato, insensibile e inumano. Così indifferente e impassibile. Solo io, Severus. Solo io. E tu sei proprio come me, anche se cerchi di negarlo a te stesso.
Severus Piton guardò l'Oscuro dritto negli occhi.
Un lungo, interminabile e profondo sguardo.
Senza paura, senza sollievo, senza emozioni.
Solo una terribile determinazione sul viso, mentre affrontava se stesso e i propri pensieri.
Gli occhi brillavano come neri diamanti e riflettevano la malvagia luce sanguigna delle iridi di Voldemort, senza lasciare varchi scoperti che conducessero alla sua mente, al suo cuore o alla sua anima.
Un gelo buio e silenzioso avvolgeva la sfida tra i potenti maghi, separandoli da ogni altro essere vivente.
Sono un assassino. Un assassino.
Lo sono sempre stato.
Lo sarò per sempre?
Non c'è dunque salvezza alcuna per me? Proprio nessuna speranza?
Eppure non sono come te, non lo sono mai stato.
Io sono un essere umano, io ho un cuore che sa soffrire e amare, io ho un'anima che distingue ciò che giusto da ciò che è sbagliato.
Io so quali atroci colpe ho commesso, so con quanta sofferenza ho cercato di espiarle.
Sostieni che faccio ciò che anche tu fai, nel tuo stesso modo.
In apparenza.
Ciò basta per ingannarti?
O serve solo a continuare a ingannare me stesso?
Alhyssa, Alhyssa, amore mio! Tu vedi, invisibile, tutto. Perderò anche il tuo amore dopo ciò a cui hai assistito? Anche tu hai visto solo l'apparenza? Solo la mia terribile finzione? O tu hai capito quanto mi è costato fare ciò che ho dovuto fare?
Tu che hai saputo leggere nella mia anima, che hai superato ogni mia barriera di protezione, tu comprendi il mio angoscioso tormento? Tu capisci il mio atterrito sgomento?
Io non sono come Voldemort, io non voglio essere come lui!
Sento che sto per perdere il controllo: le mie emozioni stanno per sommergermi, ma non posso lasciare che tornino a vagare libere in me. Sarei perduto, e tu con me, amore mio.
- Io non sono come te, Oscuro Signore: nessuno può esserlo. Ed io non ho certo l'ardire di volermi considerare tuo pari! – proferì gelido Piton, piegandosi fino a terra in un sottomesso inchino che lo salvava dall'incursione degli occhi di Voldemort che, alla fine, stava trovando il modo di superare le sue difese e penetrargli nella mente proprio quando le sue umane emozioni di nuovo dilagavano incontrollate.
Prima ancora di essersi rialzato si era già smaterializzato.
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