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"Adesso ci arriviamo, scendiamo che vi racconto..." fece la più signora delle tre che poi era l'unica forse a non esserlo veramente, aprì lo sportello e scese dall'auto, lo stesso fecero anche le altre.

Dopo poco...

Erano giunte agli inizi di una piazza pavimentata di grigio e rosa, tanta era la gente che vi passeggiava.

"Questo è il museo più antico della città, credo... risale al periodo di passaggio tra l'età medievale e quella dopo... centro di cultura artistico-letteraria di vario genere ma in particolare qui si segue lo stile preraffaelita... tutta la storia è nata tra queste stanze immense in realtà, io che ho sempre amato l'arte... seguitemi..." la donna schioccò un occhiolino, il colore grigio dei suoi occhi brillava sempre più.
"Nonna, che bello sentirti parlare d'amore... non l'hai mai fatto, suona strano..." scherzava la pronipote addentrandosi in quel luogo.
"Eh, figliola..." sospirò.
"Qui, al giorno d'oggi potete anche mangiare se volete... vedete che c'è scritto..." "area ristoro" insegne simili erano ovunque.

Dopo poco...

"La parte più bella? La cupola! esclamò la giovane uscendo da quel luogo tanto sublime, la nonna Emma annuì.
"Ecco, ora vi racconterò..." quell'occhiolino era pronto puntualmente a uscire, sempre e impeccabilmente.
"Nonna se vuoi ci sediamo a quelle panchine lì, magari sei stanca..." ancora la ragazza.
"No, tranquilla..." minimizzò.
"Ah, mi e venuta voglia di granita o di gazzosa!" propose la figlia.
"Oh, si! Come quelle che compravamo quando eravamo giù, vi ricordate?" dimandò la giovane, le nonne acconsentirono.

Dopo poco...

"Eccoci finalmente arrivate..." sospirava la centenaria.
"Si ma nonna, ancora non ci hai raccontato la storia..." insisteva la ragazza accarezzandole la mano.
"Camminiamo un po'!" suggeriva, le altre annuivano.

Abbandonarono uno dei tanti locali della zona, era da qualche isolato che si erano lasciate il centro d'arte alle spalle.
Qualche altro passo e giunsero a Gas Street Basin, l'area più antica in assoluto e quindi più "in" della città.
Palazzi in Stile Georgiano si ergevano solenni su loro, sopra le loro teste. Risalivano a mistici tempi remoti ed erano orogogliosamente tutti in piedi, dopo immisurabili secoli di popoli e storia, difumi e intemperie erano ancora lì. L'unica parte del centro che era forse riuscita a resistere anche davanti ai più impensati nefasti di una guerra senza inizio e senza fine per un Paese tale come quello che vi gravitava attorno.
Ancora regnavano giganti sopra i ponti che abbracciavano il gran canale e le copiose barche che lo percorrevano, ll facevano prima di arrivare a destinazione se mai ve ne era una.
Botteghe e locali si susseguivano di tutta forza. Mia, che mai aveva assistito a simile sfarzo, sembrava rimanere a bocca aperta a mano a mano che affrettava il passo. Pareva un'altra realtà. Sembrava essere approdata improvvisamente in un'altra epoca, ignota e per così dire 'nuova' o almeno al suo occhio che poco di quella realtà conosceva.
Quei cornicioni di meringhe e amarene le erano apparsi solo tra i libri letti e forse un triliardesimo di volte, il passato le stava a parlare eppure ancora taceva.

"Ma qui è stupendo... allora, nonna... dicevi? Stiamo ancora aspettando..." chiese la ragazza.
"L'hai mai fatto un giro in barca?" la donna chiese a sua volta e la ragazza negò, era l'unico mezzo che probabilmente non aveva preso prima d'allora "Questo, è il Birmingham Canal Old Line... Benvenuta nelle Westmidlands, nipotina! Ecco, da lì parte la navetta e quella è la biglietteria... andiamo!" indicava l'acqua, poi ordinò.
"Perchè tu l'hai fatto?" chiese la giovane, l'altra annuì.
"Come sarei potuta emigrare qui altrimenti, allepoca non c'era altro modo che via mare... non è che hai mal di mare... diamine, scusate!" mezza spaesata rise come per correggersi, la pronipote scrollò la testa.
"Che succede, mamma?" chiese l'altra.
"No, niente... figliola..." salirono sul mezzo.
"Ma qui è bellissimo!" intonò la giovane "Allora, nonna?" fece dopo, la donna fulminò.
"Vedi quell'anziana di colore dietro di me? È Elizabeth, la cugina di Charlie! Più non li voglio vedere e più li incontro..." bisbigliò sbuffando, la ragazza annuì.
"Allora, nonna! Quando me la racconti? Questa storia..." sbuffò anche lei a sua volta, gli occhi dolci quasi fosse tornata bambina e l'anziana sospirò.

"Siediamoci qui e ti racconto, permesso..." si fece spazio tra la poca gente che riempiva il mezzo.
"Uffa, ma lo dici sempre... nonna!" lo stesso tono.
"Allora, venite qui... care!" fu l'ultima parola che uscì dalle sue labbra segnate dal tempo.

Il motore del battello rimbombava nel silenzio sovrumano, tutti erano intenti ad ascoltarlo sperdendosi nel fumo e nell'acqua che sciabordava all'avanzare del mezzo. Si creava un certo attrito che la faceva sciabordare, era una culla e quella musica era la migliore ninnananna di sempre.
I capelli d'argento venivano scossi dal vento, una leggera brezza marina le scompigliava la crocchia e quei pochi ciuffi che erano fuggiti dalla presa.
Non ci stavano più dentro come il suo animo ruggente, non volevano farlo per nessuna ragione. Erano liberi e ribelli, danzavano su quelle note qua e là, osavano sfidare ogni cosa.

~Flashback~

Era il 21 dicembre, un nuovo solstizio era nell'aria.
Paesaggi scarsamente imbiancati, del tutto insolito per una città ai confini dell'Europa.
L'ago del termometro segnava due gradi sopra lo zero, dal manto stradale il ghiaccio era quasi svanito. Malgrado tutto, l'acquaneve continuava a riversare ancora, non ricopriva tutto lo spazio attorno a sè.
L'amianto dei tetti vittoriani era ormai tutto color latte, sembrava che la luna avesse abbracciato la metropoli occidentale una volta ancora e quest'ultima ne aveva proprio bisogno, costantemente.
L'atmosfera era comunque gelida, non come gli altri anni ma lo era e questo la tranquillizzava.
Era giunta la sera, il vento era calato lasciando dietro di sè la sua abbondante frizzantezza, qualcosa faceva capriole sulla pelle rischiarita e il Natale era ormai alle porte, la gente si riversava in strada per gli ultimi acquisti.
Le donne sfoggiavano pellicce e colbacchi pregiati, i manicotti ingioiellati di perle erano figli dell'ultima moda qual era l'Art Deco.
Un nuovo anno era in attesa, aspettava di nascere prima o poi. Attendeva come faceva Beckett con Godot, un'attesa del tutto inutile poi.
Si contavano le ore per qualcosa di completamente invariato ma per un problema non più solo locale e questo succedeva tutto per colpa di quei totalirismi di massa che da più di vent'anni avevano preso il sopravvento e messo da parte quelli che erano i regimi precedenti, repubbliche e monarchie costituzionali che fossero non esistevano più.
Adesso vi erano le dittature e a loro spettava tutto, quei decidevano della vita e della morte di ogni singolo cittadino, un teatrino reciproco gestito puramente dalla legge dell'attrazione. Qualcosa senza senso e senza biglietto, senz'alcuna via d'uscita.
Prima fra tutte era stata l'Italia, in Germania erano già passati due anni da quel fatidico momento di svolta. Quelle due nazioni rappresentavano l'apice, la massima espressione o almeno in divenire.
Anche in Gran Bretagna erano sentiti e altrettanto in Francia, in Russia e oltre l'Europa, in tutto il pianeta.
L'URSS a esempio non era da meno, Vladimir Lenin parlava di parità tra classi quando poi vera uguaglianza non fu.
In Gran Bretagna era Oswald Moseley a dettare leggi simili e negli USA Jack Nelson, entrambi andavano assolutamente fermati.
L'orologio da taschino dorato del nuovo titolare segnava le otto e trenta, il sole era ormai calato e quel tale fissava ancora quello spicchio di cielo dalla finestra nella sua stanza di Powis Street, forse voleva conquistare anche quello, sicuramente.
Il night club più rinomato della città riapriva felicemente quel giorno, lo faceva dopo un lungo periodo di chiusura. Precedentemente era stato pignorato e finito all'asta dopo il seguente fallimento della società scozzese Gale, la crisi americana del 1929 fu una brutta bestia per molti ma c'era anche chi pensava non si trattasse assolutamente di scarsa vendita ed elevata produzione nè tanto meno di rivolte proletarie.
Si parlava di bancorotta, truffa ed era tutto perfettamente pianificato, c'erano dei sospettati, si sapevano anche i nomi ma la più assoluta certezza non fu raggiunta mai. Guarda caso adesso il nuovo impresario era proprio lui: Thomas Michael Shelby.
Era l'ennesimo di una svariata serie di magazzini divenuto di sua proprietà, dopo un lungo corteggiamento il suo bocconcino era finalmente tra le sue mani e il bello era che la tattica scelta era sempre la stessa: lui il dominatore e quello la preda.
Sospirò tornando a sè, la serata lo attendeva e non aveva alcun altro tempo da perdere.
Scese le scale e incontrò la sorella, era in preda al ricamo e lui sollevò il sopracciglio, non l'aveva mai vista prima di quel momento avere particolari scrupoli per cose simili. Lei in casa ci stava solo per fare sfoggio di abiti all'ultima moda e discorsi di politica come il marito Freddie Thorne ad apprezzare le aveva insegnato.

"Ada, riscalda l'acqua e presto... dobbiamo sbrigarci..." ordinò.
"Senti, ho capito che sei il Signor Shelby ma..." lo interruppe.
"Sorellina, c'è l'inaugurazione del mio nuovo locale... è un night club e anche tu sei invitata perciò fai presto o addio puntualità o taglio del nastro..." fece lui a sua volta.
"Oh, sorellina! Finalmente ci ricordiamo di avere una sorella e un cuore... beh, sissignore della Marna... pure che fosse, mi cavi gli occhi? Ah, si... se non vengo, ahi... che paura... Ma vaffanculo tu e la festa, re di questa città del cazzo! Sorellina, solo perché sei cinque anni più grande di me, si... ha parlato nostro padre, dimmi... d'altronde, sei proprio degno di lui... è questo che ti fa sentire tanto importante e superiore a tutti o no? Beh, comunque ti ricordo che non sei tu il primo dei fratelli Shelby ma il secondo, Arthur è più grande di te e anche migliore! Allora sai che c'è di nuovo? Che sono, una delle tue numerosissime schiavette che te lo succhiano tutte le fottutissime volte che vuoi? No, ti sbagli di grosso e piantala che ora mi sono proprio rotta... se vuoi, la pentola è lì anzi non c'è nemmeno bisogno di dirtelo e te la cerchi tu... chi cerca trova e ciao... uff, se vuoi... fai tutto da solo, ti riscaldi l'acqua altrimenti ti ci puoi lavare con quella fredda o con quella fognosa dei canali di Birmingham..." si alzò dalla sedia tutta furiosa, poi schioccò la lingua sul palato e lo spinse, uscì di scena e lui rimase lì come un palo spento nel pieno del vespro oscuro.
"Si, lo so che Arthur è meglio di me... l'ho sempre saputo... e Marna comunque!" abbassò lo sguardo e sbuffato questo anche lui si dileguò.

Dall'altra parte della città...

"Secondo me con questi staresti meglio e comunque presto o faremo tardi..." replicava Margaret Stone rivolta alla troupe di ballo, Ella annuì afferrando le piume dorate portale dall'amica.
"Vi ricordate tutto o no? Della coreografia intendo, tutti i passi? Catherine Logan, mi raccomando... non sbagliare la spaccata..." fece lei e l'altra scrollò il capo, l'ansia la divorava.
"Si, dai... su, non stare sempre a tergiversare altrimenti non diventeremo mai come loro... vogliamo insegnare? E quindi, forza o non lo faremo mai... questa è l'unica ottima occasione per spaccare!" ancora Margaret, il sorriso perlato e le labbra carnose e vellutate cremisi.
"Si è poi chissà quanti ragazzi ci saranno lì a guardare e a godersi tutto lo show..." ammaccata l'altra all'ombra di un ripetuto occhiolino.
"Lasciamola sola o non finirà..." l'altra la interruppe e uscirono di scena, Ella si guardò un'altra volta nello specchio per vedere se era tutto in ordine e lo fece ancora, ripetutamente per un numero indecifrato di volte.

Era l'ennesima volta che metteva piede a casa Stone, una dimora a metà strada tra il suo numero civico e il nuovo locale. L'italiana non stava più nella pelle, non riusciva minimamente a immaginarsi come sarebbero andate le cose. Non aveva la più pallida idea e questa la portava alla nausea, lo stomaco si stringeva come continuava a passare il mascara nero sulle sue ciglia folte e scure.

Dall'altra parte della città...

Un rumore di porta infranse i suoi pensieri e ritornò così alla realtà, seguì una voce che lo fece voltare indietro e quell'ombra si era già impossessata del tavolo a sei sedie che presenziava solenne davanti a quel piccolo ambiente scarsamente scarno, non c'era più posto alcuno su cui mettere piede: l'infinita polvere e le varie cianfrusaglie se l'erano divorato tutto.

"Finn!" schioccò la lingua sul palato e lo guardò con fare distorto "Mi hai fatto prendere un colpo!" aggiunse.
"E chi pensavi fosse? Il fantasma di Billy Kimber?" sdrammarizzò, l'altro lo guardò più storto di prima "pensavi venissi di punto in bianco e tutto armato, vedi che lo sono... solo perché, non dire mai niente sai... ho saputo tutto, da Arthur... mi ha riferito che stasera è la grande sera, io inizialmente non capivo e poi ha sorriso... c'è l'inaugurazione del tuo locale..." il suo tono era una continua nenia.
"Ma sei invitato!" un leggero sorriso si fece strada sul suo volto, le labbra carnose e chiare finalmente si dispiegavano.
"Si, ma va... coglione, non ci credo..." minimizzava ma d'altronde chi credeva a lui?
"Diglielo a tua moglie, l'invito è rivolto anche a lei..." scrollò il capo in avanti come era puntualmente solito fare.
"Colpito e affondato... lo dici per faccia, perchè sei rimasto di merda... nascondi tutto ma non sai che prima o poi si viene a sapere ogni cosa..." rideva, lo interruppe.
"Scusami tanto, è stato un piacere ma adesso si è fatto tardi e io devo andare..." lasciò la stanza.
"Che razza di fratello sei!" furono le ultime parole del più giovane, pareva insonorizzate poichè l'altro era già andato.

Dopo poco...

Il riflesso nello specchio disegnava il suo profilo a metà, posò le mani sulla bacinella in ceramica bianca dopo una rapida rinfrescata. Il collo ancora umido e anche le sue guance, erano fradicie ma non di certo di lacrime mai cadute da quegli occhi così tanto chiari e altrettanto vuoti che il suo viso recava. Era da tanto che non piangeva, lui era assente. Era solamente il suo corpo quello e vegetava.
Il respiro pesante lo accompagnava ormai da anni, era la peggiore delle sue cicatrici.
Le lancette dell'orologio si rincorrevano senza tregua, lo fecero tornare in se stesso.
Indietreggiò nella camera e indossò una camicia bianca estratta dal baule ai piedi del letto, era tutta stropicciata ma non come la sua vita e al momento che ci ripensò dello stato di quella stoffa poco gli importava.
Aprì il cassetto del comodino, l'unico. Era l'esatto posto in cui custodiva miliardi di cravatte e quel papillon nero in seta che presto afferrò, solo di rado lo indossava. La sua divisa era messa di solito in risalto da una camicia inamidata azzurra o a righe bianche e blu, poi era sempre di fretta e non c'era assolutamente alcun tempo da perdere in quella sua vita tanto caotica e affannosa qual era, un nodo anche se non fosse tanto impossibile da realizzare avrebbe recato in lui comunque un limite: una certa difficoltà.
Il suo viso senza espressione apparve ancora una volta sul vetro, era tornato a guardarsi.
Annodò il farfallino con puntuale scioltezza, lui poteva tutto e persino quello.
Infilò lo smoking, la giacca e poi guanti, solo in un secondo tempo gli anfibi: il profumo di colonia già lo mandava in completa estasi.
Lasciò l'ambiente rifugiandosi nel suo studio, là aveva lasciato la parte più preziosa del corredo che recava sempre con sè.
Agguantò l'orologio griffato e lo agganciò al bottone della camicia.
Un pacco di sigarette e un revolver nero spiccavano a tutto spiano sulla superficie di quella scrivania, le catturò.

Dopo poco...

Il nastro rosso cadde per terra una volta reciso, l'apertura era appena stata annunciata.

"Beh, iniziamo!" l'uomo si disfò della sigaretta e si avvicinò alla porta, la aprì e solo dopo essersi accostato all'uscio riprese a parlare: il tabacco era il suo punto di forza e non poteva farne a meno, alla fine entrò.

L'ansia cresceva nelle tre ormai inesorabile, non la riuscivano più nemmeno a contenere oltre che misurare. L'idea di danzare davanti a una platea più vasta del solito incuteva loro qualcosa di alquanto indescrivibile da fare.
Non sapevano se era un bene o meno ma c'era ancora del tempo per la loro esibizione, tiravano un sospiro di sollievo continuo tra un secondo che passava e l'altro pure.

"Ragazze, eccoci finalmente qui... Per favore teniamoci per mano altrimenti ci perdiamo di vista e se ciò succede ci ritroviamo tutti davanti all'angolo bar, ok? Comunque, che ne dite di un cocktail? L'angolo ristoro e lì, parola di quello che presumo sia il proprietario del nightclub che si è offerto gentilmente... pardon ma io non sono di qui!" Margaret e il suo forte accento canadese non fallivano mai, le altre annuirono e si diressero verso il luogo prestabilito: erano arrivate da poco e luomo si aggirava tra la calca abboccando un po' whisky e un altro di nicotina.

Dopo poco...

Le accolse nella sua impeccabile e massiccia presenza un lungo bancone in legno pregiato, era ciliegio.

"Su, che aspettiamo? Accomodiamoci!" incaricò ancora questa che non smetteva mai di parlare, era decisamente epilettica nel suo modo di fare, tutte stettero agli ordini della prima che già si era apprestata a prendere posto.

Gli sgabelli con la sella rivestita in pelle aurea davano quel tocco in più alla sala, era ogni cosa al suo posto pur essendo la serata più caotica che mai ci fosse stata o almeno in quella città. Sembrava Londra e il che era teatralmente insolito a Birmingham, Ella iniziò a fissare la scritta dorata dei biglietti da visita color crema posti in un angolo del tavolo: The Red Fox, questo stava scritto e doveva forse essere il nome di quel locale nel quartiere di New Town.

"È libero, Signorina?" una voce gentile quasi fosse uscita dalle labbra di un bambino interruppe i suoi pensieri, si voltò e due zaffiri brillavano nella penombra dell'area relax, quel luogo non mancava di nulla e anche lei lo diceva tra sé e sé, Katherine e Margaret si erano allontanate per qualche attimo, l'urgenza immediata del bagno era troppo importante e non poteva essere più aspettare.

Scrittrici dall'Inferno:

Il nightclub The Red Fox è solo frutto della mia immaginazione e ovviamente anche i Gales ma comunque... che ne pensate?

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