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•28 Congetture•

Era una mattina plumbea, di quelle in cui anche i raggi del sole sembrano faticare a trapelare e rompere il grigiore opprimente del cielo.
Perfino Montefioralle, non riusciva a svegliarsi quel giorno:
non si sentiva nulla, né il brulicare di voci, né lo sbattere dell'uscio di qualche abitazione, solo il rumore delle auto che passavano in lontananza.
La brina aveva ricoperto i campi e i filari di vite, come una coltre di seta elegante e monocolore.

Eva osservava il paesaggio dalla finestra della sua camera ancora in pigiama.
Il riflesso del vetro le permetteva d' intravedere leggermente la sua figura sfocata: i capelli scuri arruffati che prendevano sempre il sopravvento, gettandosi ovunque tranne che nella direzione scelta dal pettine, la pelle lattea, il viso un po' scavato e lo sguardo spento.
Strizzava gli occhi, prestando tutta l'attenzione possibile all'esterno, proprio per evitare d' intercettare la sua stessa immagine.

Non le piaceva guardarsi, forse non più.
Non era mai stata vanitosa e la sua era una bellezza acqua e sapone: niente rossetti volgari, niente smalto sulle unghie, solo mascara e un po' di phard sulle gote.
Si era sempre piaciuta e non aveva mai avuto bisogno di stravolgere ciò che già la natura le aveva donato con così tanta generosità: i ricci folti color cioccolato, gli occhi marroni grandi e intensi, le labbra piene, un seno florido e una silhouette elegante e slanciata.
Eva era ancora tutto questo, il tempo non aveva cambiato la sua figura, ma l'implosione del suo animo era riuscita a intaccare anche la visione che aveva del suo stesso aspetto.
Era spenta, come un fiore appassito che ha perso la bellezza del suo abito primaverile.

Guardava quel paesaggio triste e muto e, inevitabilmente, il pensiero andò a suo fratello, a come la partenza di Milo avesse privato anche Montefioralle della sua linfa vitale, oltre che della sua.
Era sola oramai.
Sola in quella casa, sola in quella pazzia, sola nella testardaggine di voler ancora capire e comprendere ciò che per anni le era stato nascosto.

Chissà cosa stava facendo suo fratello, chissà se era già tornato al suo studio, ai suoi progetti, alle sue idee visionarie.
D'altronde lui era appagato dalla sua vita, era riuscito a costruirsela passo dopo passo, a raggiungere tutti i suoi obiettivi.
Che motivo doveva avere per restare lì con lei?
Perché avrebbe dovuto accantonare tutto ciò che di bello poteva vivere ogni giorno lì a Torino e preferire la compagnia di una sorella così inutile e sgangherata?

E Paolo? Come stava?
Lo sentiva raramente, ogni due giorni.
Aveva deciso lei di diradare i loro contatti, tanto ogni telefonata o messaggio erano solo un pretesto per rinfacciarle il fatto di essere partita e di averlo lasciato solo a Roma, a gestire tutto: casa, cane e figlia.

Già, Giada... quella figliastra che amava come se fosse sua, ma che era distante anni luce, galassie da lei.
Non erano mai riuscite a stabilire un contatto: Eva aveva provato a rivestire in tutto e per tutto i panni di una madre, ottenendo solo disprezzo e un raggelante: "Io una madre ce l'ho e non sei tu".
Aveva tentato di esserle amica, di diventare la sua confidente, a cui raccontare segreti e cotte che non poteva rivelare a suo padre, ma Giada era sempre stata ermetica, quelli non erano affari suoi e le aveva fatto capire senza mezzi termini che non si sarebbe mai e poi mai confidata con lei.
Spesso si era domandata se l'odiasse, se le imputasse la colpa della fine del matrimonio dei suoi genitori e della distanza di sua madre.
Ma non era riuscita a ottenere nemmeno questa risposta da Giada, sempre e solo indifferenza e sopportazione.

Ora Eva, si chiedeva se Giada avesse mai sentito la sua mancanza durante quei giorni passati a Montefioralle,
se avesse compreso l'assenza e l'importanza di quei piccoli gesti che le riservava ogni giorno e che forse la ragazza dava per scontati.
I suoi biscotti preferiti e la tazzina di caffè appena macchiata con il latte ogni mattina, la bustina di lavanda che le faceva trovare nel cassetto della biancheria, il pacchetto degli assorbenti sempre nuovo poco prima che le arrivasse il ciclo, i passaggi in auto a ogni ora del giorno e anche della notte quando passava la serata con gli amici.
Eva sorrise amaramente al pensiero di quella quotidianità sbiadita e monotona come la giornata che si apprestava a iniziare.

Fece un profondo respiro e decise di andare in bagno per lavarsi la faccia.
C'erano ancora troppe cose da far quadrare, troppe domande rimaste senza risposta e, ora che era rimasta da sola, si sarebbe dovuta impegnare il doppio per ottenere qualche risultato.

Cercava di riportare alla mente particolari dell' incontro avuto con la Pina, giorni prima a Livorno.
Era stata una conversazione ricca d'informazioni: Lidia artefice dell'omicidio suicidio, forse stanca dei continui tradimenti del marito, le due sorelle così legate e al tempo stesso così diverse, Cristina, la cameriera presente nel momento del delitto e scomparsa poco dopo.
Eleonora Alberti che decide d'intestare la villa a suo padre, a detta della Pina poco più di uno sconosciuto per lei.
Eva ripercorse con la mente l'intero racconto, tentando di non dare per scontato nessun frammento e, in un attimo, ripensò alla risposta poco convincente dell'anziana donna sul rapporto tra suo padre e l'Alberti.
Era stato l'unico momento in cui la Pina aveva tentato di sviare il discorso, passando veloce, senza alcunché da aggiungere, mentre in ogni altro singolo passaggio era stata ricca di particolari e descrizioni.

"C'è qualcosa che non ci ha voluto dire, anche se non so il perché", pensò Eva tra sé, soffermandosi su quel dettaglio.
Afferrò l'asciugamano bianco, ripiegato accanto al lavabo e vi immerse il viso, iniziando a strofinare forte.
Ne riemerse e, questa volta, non poté far altro che guardare la sua immagine riflessa sullo specchio di fronte a sé.

"Fanculo tutti. Faccio da me", si disse e uscì dal bagno, decisa a scrollarsi di dosso la cappa di stallo che quel giorno aleggiava nell'aria.

✧∭✧∭✧∰✧∭✧∭✧

Eva accostò la jeep lungo un caseggiato adiacente alla villa, usato dalla comunità come magazzino.
Prima di scendere dall'auto si domandò se prima o poi Damiano o Anna le avrebbero intimato di non farsi mai più vedere e di lasciarli stare per sempre.
Sarebbe stato comprensibile dopotutto: a lungo andare il suo aggirarsi nella villa in cerca di risposte li avrebbe potuti portare all'esasperazione.
Loro lavoravano in quel posto, non erano in villeggiatura come lei e, sicuramente, la loro priorità era il recupero dei ragazzi, non certo le sue indagini da quattro soldi.
Eppure sapeva di dover rischiare anche di diventare un'insopportabile spina nel fianco pur di sapere qualcosa.

Un improvviso tocco sul vetro del finestrino la destò dai suoi pensieri, facendola saltare sul sedile.
Si girò di scatto e intercettò gli occhi azzurri di Damiano che la salutava con il suo ampio sorriso.

«Ti ho spaventata?»

«Stavo meglio prima in verità... », ammise Eva, aprendo lo sportello dell'auto.

«Scusa, non volevo! Mattiniera oggi!»

Continuava a sorriderle, stretto nella sua camicia di flanella a quadri, i jeans chiari e la barba rossiccia appena accennata.
Sembrava un taglialegna sexy, ma Eva tentò subito di ricacciare dalla mente quell'assurda fantasia.

«Già. Sai, qui a Montefioralle dopotutto non ho molto da fare... », rispose lei, sistemandosi la borsa a tracolla e iniziando a camminare di fianco a Damiano verso la villa.

«Milo? È ripartito?»

«Sì, come era nei piani.
L'ho accompagnato ieri in aeroporto»

«Non siamo riusciti a fargli amare questo posto, eh?», chiese Damiano, rallentando il passo, per poi fermarsi e guardare Eva con il suo fare bonario e pacifico.

«Perché, tu lo ami?», ribatté Eva curiosa.

«È il posto dove sarei voluto crescere. Ti immagini correre ovunque? Nascondersi? Non farsi mai trovare da nessuno ... e invece ci lavoro.
Faccio quello che mi piace fare nel posto che mi piace. Sono un uomo fortunato, non credi?»

«Assolutamente... », rispose Eva con un pizzico d' invidia.

«E secondo me piace anche a te stare qui, sbaglio?», domandò Damiano, riprendendo il cammino.

«In un certo senso sì. Staccare dalla città e stare in campagna è sempre una manna dal cielo. Certo, avrei preferito starmene in vacanza in un bell'agriturismo, piuttosto che cercare di evitare la bancarotta per un'eredità che non mi spetta...»

«E se ti spettasse? Se villa Alberti diventasse davvero tua, ci vivresti?», la provocò lui.

«Che domande fai?», chiese Eva, ridendo.

«Dai! Giochiamo con il periodo ipotetico dell'irrealtà!», la incitò Damiano, sorridendole.

Eva lanciò uno sguardo verso la villa, che si stagliava di fronte a lei in tutta la sua imponenza, leggermente avvolta dalla nebbia mattutina.
Le imposte scolorite dal tempo e l'intonaco scrostato non riuscivano comunque a mascherare la bellezza di quella magione circondata dalla valle e dai filari.

«In una giornata così me ne starei su una poltrona di vimini lì, sotto la veranda.
Ci farei crescere l'edera che d'autunno diventa di quel bel rosso intenso.
Passerei le mattine a leggere sotto una coperta calda, con una tazza di tè bollente accanto», disse, immaginando esattamente la scena che stava descrivendo.

«Bello. Davvero bello.
Ma spero che tu non diventa mai la vera proprietaria di questo posto, altrimenti per me vorrebbe dire fare le valigie!
A proposito, ti va un tè per caso?»

«Sì. Grazie», rispose Eva una volta raggiunta l'entrata principale.

«Vieni. Preparo due belle tazze fumanti. Hai fatto colazione?»

«Sì, tranquillo... », disse Eva, sorridendo.
Non era abituata a tutte quelle attenzioni, di solito era lei che si prodigava per gli altri, di certo non il contrario.

Seguì Damiano nella grande cucina, che sembrava essere rimasta quella di un tempo.
Alla parete erano appese stoviglie in rame di ogni genere e dimensione, al centro della stanza un grande tavolo in legno che poteva ospitare una decina di persone e un'intera parete era occupata da un immenso focolare in pietra.

«Questo doveva essere il regno della Pina... Allora, quale è il tuo programma d'indagine oggi?», fece Damiano, riempiendo un pentolino d'acqua per poi metterlo a bollire.

«Nessuno. Mi rendo conto che sto andando totalmente a casaccio in questa storia», ammise Eva, mettendosi a sedere su una sedia.

«Beh, diciamo che un mistero che dura da quarant'anni non è proprio semplice da sbrogliare. Parlare con la Pina ti ha aiutata?»

«Sì, in un certo senso sì. Ma ho ancora molte domande.
Possibile che questa Eleonora sia scomparsa così nel nulla pochi giorni dopo l'accaduto?
Non è verosimile! Capisco lo shock, ma rimani sola al mondo con un patrimonio immenso da gestire e che fai? Lasci tutto al primo venuto, ovvero mio padre?»

«Era uno spirito libero a quanto pare e viveva lontano già da anni...», rispose pensoso Damiano.

«Secondo me c'entra qualcosa anche la servetta. Scompare lei e scompare pure Eleonora, nello stesso periodo.
E nessuna di loro fa più ritorno in paese....»

Seguì un attimo di silenzio, in cui Eva era immersa nelle sue riflessioni e Damiano se ne stava a guardarla con le braccia conserte, appoggiato al bancone della cucina.

«Oddio!», esclamò d'improvviso Eva.

«Cosa?», disse Damiano allarmato.

«E se Eleonora e la ragazzina fossero in combutta per eliminare Lidia e il marito e intascarsi i loro soldi?
Dopotutto Eleonora ha lasciato solo la villa perché rimanere qui era troppo rischioso, ma il denaro di famiglia l'ha ereditato totalmente lei!»

«Due ragazze così giovani artefici di due omicidi? No dai, non può essere!
La Pina ha detto che è stata Lidia a uccidere prima il marito e poi a spararsi!», ribatté Damiano.

«Pensaci! Cristina era in casa quella sera con loro. Potrebbe essere stata convinta da Eleonora a commettere il tutto, per poi scappare insieme!»

«Non lo so. Davvero non lo so, Eva», rispose Damiano, cominciando a versare l'acqua bollente in due tazze.

«Perché tuo fratello ha chiesto alla Pina di che colore avesse gli occhi quella Cristina?», le chiese, mettendo in infusione due bustine di tè.

«Non me lo ha spiegato. E io mi sono dimenticata di chiederglielo...
Ha detto che li aveva verdi. Verdi...come.... Oddio!», urlò di nuovo Eva.

«Se continui così mi farai venire un infarto però!», si lamentò Damiano.

«Rita! Rita ha gli occhi verdi! E Rita conosce questa casa... ecco perché Milo ha fatto quella precisa domanda!»

I due rimasero così a guardarsi, mentre gli ingranaggi dei loro cervelli sembravano essersi messi improvvisamente in moto, quando la loro connessione venne interrotta dal clacson impazzito di un' auto arrivata di corsa nel piazzale.

«Ma chi....?», cominciò a pronunciare Damiano, prima di lasciare la cucina e fiondarsi all'esterno, seguito da Eva.

Le bastò una frazione di secondo per riconoscere la Golf grigio metallizzato che aveva appena parcheggiato lì di fronte, dalla quale uscì un'ecopelliccia viola tutt'altro che sobria e un casco di capelli oro.
Eva rimase impalata, a bocca aperta, incapace di dire altro se non:

«E tu che caspita ci fai qui?»

«Per stare con te, che domande sono? Mamma mia che strada!
Ciao Ricciolina! Vieni qui, fatti abbracciare!», disse Valeria, prima di gettarsi a capofitto su di lei per stritolarla in uno dei suoi grandi abbracci, sotto gli occhi di Damiano e dell'intera comunità.

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