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•26 Colpa•

Torino

Il respiro di Francesco si infranse sulla sua spalla, rilasciando un ultimo gemito di piacere.
Milo sentì le sue mani stringergli la carne, aggrappato ai suoi lombi, abbarbicato al suo corpo come l'edera.
Percepì le sue labbra che gli si posavano delicatamente sulla spalla destra e una mano carezzargli i capelli scuri.
Francesco era venuto e con un movimento sinuoso stava uscendo da lui, interrompendo l'unione dei loro corpi, separandoli di nuovo in due entità singole.

Milo ricadde sfinito tra le lenzuola candide, tentando di riprendere fiato.
Serrò per un attimo gli occhi celesti, cercando di regolarizzare il battito che durante l'atto si era fatto sempre più ritmato.
Aveva percepito piacere, ma non l'aveva assaporato.
Per qualche motivo a lui sconosciuto non aveva raggiunto l'apice, nonostante avesse bramato il contatto con il suo amante per tutti i giorni trascorsi lontano da lui.

«Ehi», gli sussurrò Francesco, accostandoglisi accanto.

«Ehi... », rispose lui, abbozzando un sorriso.

«Fatti vedere», disse, prima di prendergli il volto tra le mani e portarlo vicino al suo.

«Quanto mi sono mancati questi zaffiri», fece Francesco, immergendo i suoi occhi in quelli blu di Milo.

Lui si scoprì imbarazzato come un adolescente e abbassò gli occhi.

«Ancora ti imbarazzi?», gli chiese Francesco, ridendo.

«Lo sai che non sono abituato ai complimenti», ribatté Milo le cui guance si erano colorate di porpora.

«Perché te ne hanno sempre fatti pochi», sentenziò Francesco.

Era vero, Milo era cresciuto senza alcuna consapevolezza di sé.
Ciò che pensava dell'uomo che era diventato lo doveva solo a sé stesso, aveva costruito la sua autostima passo dopo passo, mattoncino su mattoncino, a ogni traguardo raggiunto, a ogni anno macinato.
Sua madre e suo padre non avevano mai avuto l'abitudine di incensirli di complimenti: se raggiungevano buoni voti a scuola non dovevano essere premiati perché avevano solo fatto il loro dovere, e per quanto riguardava il loro aspetto fisico, lui e sua sorella erano sicuramente due bei ragazzi,  non c'era bisogno di ripeterglielo ogni giorno.

Quelle mancanze forse erano state d'intralcio a Eva che, nonostante i quarant'anni suonati, sembrava ancora accostarsi alla vita con estrema insicurezza e diffidenza, ma non a Milo.
Perché Milo aveva fatto a botte con il mondo, ma soprattutto con sé stesso per gran parte della sua giovinezza.
Si era prima dovuto accettare e poi farsi accettare dagli altri, in quanto omosessuale, in una continua lotta tra quello che era veramente e quello che gli altri si aspettavano che fosse.
Nel momento in cui aveva fatto pace con il suo "io", però, aveva raggiunto la stima totale di sé stesso, si piaceva come persona perché sapeva la fatica che aveva fatto per affermare la sua identità.
Aveva il cuore e l'anima ricoperti di tagli che non avrebbe mostrato a nessuno, se non a chi si fosse dimostrato degno di poterli scorgere.
Si autotutelava costantemente perché, dopotutto, si considerava un combattente, uno che aveva costruito la sua vita e che se l'era guadagnata.
Si guardava allo specchio e, oltre ai suoi occhi azzurri, poteva scorgere tutta la fatica fatta per arrivare a guardarsi con così tanto affetto.
Non aveva bisogno del riscontro altrui, non glie ne fregava più niente del giudizio degli altri, oramai contava solo quello che pensava di sé stesso.

E purtroppo, ciò che quel giorno lo aveva distratto così tanto da fargli vagare la mente lontano da quella stanza e dallo stesso Francesco, era proprio il fastidio di non sentirsi pienamente a posto con la sua coscienza.
E il motivo era semplice, aveva anche un nome e un volto: Eva.

Aveva deciso di lasciarla lì, a Montefioralle.
Anzi, le aveva consigliato di tornare a Roma, alla sua vita con Paolo e Gioia, proprio come gli aveva intimato di fare sua madre.
Ma non c'era stato verso, Eva voleva sapere, voleva capire e restare lì, in quel buco di posto.
Aveva potuto scorgere negli occhi della sorella una richiesta sorda, un tentativo di farlo restare con lei, in quel viaggio che oramai avevano intrapreso insieme.
Ma Milo era stato irremovibile, nonostante le nuove rivelazioni, nonostante quel mistero che pareva farsi sempre più intricato, aveva bisogno di ristabilire le distanze e tornare a casa.

Così la domenica mattina aveva silenziosamente preparato la valigia nella camera che condivideva con sua sorella, mentre lei era ancora intenta a dormire.
L'aveva vista svegliarsi, tirarsi su dal letto e dargli un'occhiata con gli occhi ancora gonfi dal sonno.
Non aveva proferito parola, accettando passivamente la scelta che Milo aveva preso, quella scadenza che le ripeteva ormai da giorni: avrebbe preso il suo volo e sarebbe tornato a Torino, senza se e senza ma.
Eva sapeva che oramai fosse irremovibile, che le aveva dedicato anche fin troppo tempo, che il suo piano originario era quello di andare a Roma per il funerale di loro padre e di fare subito ritorno a casa.
Invece l'aveva assecondata, le aveva dato spago, accompagnandola lì, in quella villa, in quel tuffo nel passato.
Ma il tempo era scaduto ormai: Milo non aveva mai accennato alla remota possibilità di prolungare quella "villeggiatura" ed Eva aveva finito per farsene una ragione.

Mentre usciva dal bagno, trovò sua sorella al bordo del letto, che gli chiese:

«A che ora hai il volo?»

«Alle 11:00»

«Ti accompagno a Firenze»

«Non è necessario. Posso chiamare un taxi», ribatté lui, senza intercettare gli occhi di Eva, fingendo di essere impegnato a sistemare il beauty-case.

«Ti porto io», sancì lei, senza aggiungere altro.

Il tragitto era stato silenzioso.
Milo aveva scorto in lontananza il profilo di Villa Alberti, che si stagliava candida tra i filari di vite.
L'aveva salutata interiormente, sperando di poterla rimuovere dai suoi ricordi il prima possibile e di chiuderla nel dimenticatoio, insieme ai suoi abitanti: Damiano, Anna, tutti i loro ragazzi e quella donna misteriosa e pazza... Rita.
Non era riuscito a capire chi fosse: forse la giovane ragazza accennata dalla Pina? O forse no?
Tutto ciò che sperava era che comunque quella donna riuscisse a trovare pace, un posto nel mondo, che fosse a Montefioralle o altrove.
Un posto che la proteggesse da una vita di sofferenze e dolori.
Ma questo, dopotutto, non era più affar suo.
Osservava dal finestrino dell'auto il paesaggio che correva accanto a lui e si lasciava carezzare dalla brezza che trapelava dal finestrino semiaperto.

In quegli ultimi momenti passati
accanto a sua sorella forse avrebbe dovuto dire qualcosa, dirle qualcosa.
Che gli dispiaceva?
Che la loro ricerca non era stata poi così male, ma che non li avrebbe portati a nulla?
Che le augurava di avere la capacità di dimenticare e gettarsi tutto alle spalle come stava facendo lui?
Era consapevole che ogni parola sarebbe stata superflua o che avrebbe potuto rappresentare una miccia pronta a innescare l'ennesima discussione.
No, non aveva voglia di discutere con Eva un'altra volta, voleva salutarla tranquillamente e scivolare via da lei e dalla sua vita come si era abituato a fare da anni.

Erano arrivati a Firenze all'incirca alle 9:00. Milo aveva insistito affinché Eva lo lasciasse davanti all'aeroporto, senza scendere dalla macchina.

«Sei sicuro che non vuoi compagnia per queste due ore? Come sai non ho impegni», gli propose lei una volta spenta l'auto.

«No, grazie non ti preoccupare. Lèggerò un libro, farò un giretto per i market»

Eva aveva incassato l'ennesimo rifiuto da parte del fratello, da aggiungere a un' innumerevole lista.

«Magari quando arrivi a Torino mi mandi un messaggio?»

«Va bene», le aveva risposto lui, afferrando la maniglia della portiera, nel disperato tentativo di fuggire da quella conversazione scomoda in cui non sapeva giostrarsi.
Sapeva che si stava comportando da stronzo con sua sorella, che invece dimostrava di tenere a lui anche in quegli ultimi istanti.
Un bravo fratello l'avrebbe abbracciata, stretta, le avrebbe scompigliato i capelli e sussurrato "vai piano in macchina, fai attenzione al ritorno. Ci vediamo presto! Ti voglio bene".
Ma Milo non era mai stato un buon fratello, quelle parole non erano da lui.

«Milo... », fece Eva, troncando il suo tentativo di aprire lo sportello.

Lui si girò lentamente, osservando sua sorella che appariva come impacciata.

«Vuoi avere qualche notizia se dovessi venire a conoscenza di qualcos'altro sulla villa e su papà?», gli chiese quasi balbettando.

In quella frazione di tempo, Milo si domandò cosa rispondere.
Dentro di sé voleva dirle che no, non glie ne importava un fico secco di tutta quella storia. Ma negli occhi di Eva intercettò un'esigenza, la voglia di condividere ancora qualcosa con lui.
Così si limitò a rispondere:
«Come vuoi. Prendo la valigia nel portabagagli»

«Certo. Buon viaggio... »

«Grazie», rispose una volta uscito, sporgendosi dal finestrino.

Eva lo fissò un'ultima volta, con un sorriso dolce sul viso. Il sorriso di chi avrebbe voluto dire o fare di più, ma non lo ha fatto.
Milo abbassò gli occhi incapace di sostenere quello sguardo, diede due piccoli colpi alla portiera dell'auto e si incamminò verso l'aeroporto, trascinando il trolley dietro di sé.

«Milo... che hai? A che pensi?», gli chiese Francesco, riportandolo alla realtà.

«A niente»

«Non è vero. Sei distante. Ti sei abituato alla mia assenza per caso?»

«No, no. Tu non c'entri nulla. Anzi mi sei mancato tantissimo»

«E allora quale è il problema? Sono qui, puoi parlarmene», disse Francesco, poggiando la testa su un gomito.

«È mia sorella il problema. Si è incaponita su questa storia di mio padre, del suo passato. Si è fissata »

«...e avrebbe voluto che tu restassi in Toscana con lei, vero?», gli chiese Francesco, leggendogli nella mente.

«Già. Ma il mio lavoro è qui, la mi vita è qui... tu sei qui», fece lui, guardando negli occhi il suo amante.

«Tu volevi rimanere?»

«No, certo che no! Vedessi che posto... »

«Ma ti dispiace aver lasciato tua sorella da sola, giusto?»

Milo stette in silenzio e volse lo sguardo altrove, dove Francesco non poteva scorgerlo.

«Guarda che non c'è niente di male ad ammettere che tieni a lei e le vuoi bene»

Poi si protese verso di lui, facendogli ruotare la testa in modo tale che lo guardasse.

«Milo, so che non è facile per te parlare della tua famiglia. È un argomento che non hai mai voluto toccare, e io non ho mai insistito. Tu non parli dei tuoi e io non ti parlo dei miei, ce lo siamo promessi tanto tempo fa»

Milo lo fissava in silenzio, soffermandosi su quelle quattro lettere insignificanti: miei.
Sua moglie e i suoi figli. Il loro taboo.

«Però non posso vederti così. Cosa ti preoccupa?», gli chiese Francesco, carezzandogli una guancia con il dorso della mano.

«Che sia sola, lì a a Montefioralle»

«Non può raggiungerla nessuno? Sbaglio o ha un compagno?»

Milo fece un ghigno e beffardo rispose:

«Sì, purtroppo. Ma non è mai stato d'accordo sul fatto che Eva partisse. Vuole che torni a Roma da lui»

Francesco cominciò a mordersi il labbro inferiore, pensieroso.

«Un'amica? Tua sorella avrà un'amica che può passare qualche tempo in Toscana con lei»

«Valeria... », rispose Milo, come illuminato sulla via di Damasco.

«Ecco. Perché non la contatti chiedendole di farle compagnia?»

«Non è una cattiva idea»

«Vedi? Oltre a scopare bene so anche trovarti le giuste soluzioni!», esclamò Francesco, scoccandogli un bacio a stampo, per poi scendere dal letto ancora nudo.

«Dove vai?», gli chiese Milo, facendo correre gli occhi sul corpo del suo amante.

«A preparare qualcosa da mangiare. Che ti va?»

«Fai tu, mi fido», rispose Milo sorridendogli, mentre l'altro si stava infilando un paio di boxer.

Una volta rimasto solo, Milo afferrò il telefono sul comodino e cominciò a scorrere la rubrica.

"Valeria...Valeria. Merda, non ho più il suo numero. Provo a contattarla su Instagram."

Le sue dita digitarono Valeria De Santis e il profilo della sua ex amica fu il primo a comparire nella ricerca.

"160 mila follower, ammazza!", pensò Milo cominciando a scorrere le foto del profilo.
Dopo poco si stancò di osservare la ragazza con cui era cresciuto ritratta in mille pose diverse e in mille posti diversi.
Sempre allegra, sempre sorridente, come d'altronde era sempre stata.
Andò sulla chat e iniziò a scrivere:

"Ciao Vale. Scusa se ti contatto qui, ma ho un favore da chiederti.
Sono tornato a Torino, mentre Eva è ancora a Montefioralle.
Che ne pensi di passare qualche giorno lì con lei? Sempre se non sei impegnata con le riprese di qualche film.
Fammi sapere.

Ps: preferirei che Eva non sapesse che ti ho cercata.

Grazie.
Milo"

Finì di digitare il messaggio e poggiò il cellulare sul letto, accanto a lui.
Sì, Valeria era la persona giusta per stare accanto a Eva, l'unica persona che l'aveva sempre capita e supportata.
La presenza della sua migliore amica non poteva che farle bene. O per lo meno, questo era ciò che Milo sperava, come sperava che quella soluzione potesse alleviare il senso di colpa che nutriva nel profondo e che gli rodeva dentro.

Decise di alzarsi, seguendo l'eco delle stoviglie, proveniente dalla cucina.
Mentre si stava rivestendo, notò il distintivo di Francesco fuoriuscire dalla tasca dei suoi pantaloni, appoggiati malamente su una sedia.
Gli faceva sempre uno strano effetto pensare che l'uomo tenero che gli sussurrava parole di amore durante le notti trascorse insieme, fosse in realtà un ispettore di polizia, un uomo rispettato e temuto da molti.
La vista di quel particolare gli fece balenare in testa un'idea.

"Perché non ci ho pensato prima?"

Si avvicino alla porta del suo angolo cottura, appoggiandosi sullo stipite a braccia conserte, mentre Francesco era impegnato controllare il bollore dell' acqua sul fuoco.

«Aglio, oglio e peperoncino che ne dici?», gli chiese, girandosi verso di lui.

«Basta che non bruci il peperoncino come l'ultima volta. Senti, posso chiederti una cosa?»

«Certo»

«Potresti fare delle ricerche su una persona? Anzi, in realtà su due persone scomparse da tempo»

Francesco aggrottò le sopracciglia, sorpreso da quella richiesta inaspettata.

«Potrei farlo se ci fosse la richiesta da parte degli organi inquirenti»

«No, la richiesta viene da me», lo interruppe lui.

«Milo, io sono un ispettore di polizia, non posso svegliarmi la mattina e decidere di fare indagini su qualcuno», tentò di spiegargli Francesco.

«Mi bastano pochissime informazioni. Solo se sono vive o meno e dove si trovano», esclamò Milo, mosso da una strana frenesia.

«Chi vorresti cercare?», gli chiese Francesco con aria rassegnata.

«Eleonora Alberti e Cristina, una ragazza che nel '75 doveva avere diciotto o forse vent'anni, originaria di Montefioralle »

«Sai quanto ti costerà questo lavoro extra che mi fai fare?», fece Francesco malizioso.

«Puoi chiedermi quello che vuoi», rispose Milo, avvicinandosi a lui con sguardo rapace.

Poggiò le braccia sui fianchi del suo amante e fece incontrare di nuovo le loro lingue, mentre l'acqua sul fuoco cominciava a bollire.

Ciao bella gente!
Eccomi di nuovo qui dopo una lunga pausa.
Spero che nel frattempo non vi siate dimenticati della storia e di tutti i suoi intrecci.
I vostri commenti sono sempre ben accetti.
Buone vacanze a tutti voi!

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