•24 Profumo•
1975
Una buca presa in pieno fece sobbalzare Eleonora sul sedile dell'auto, risvegliandola dal riposino in cui era immersa da circa mezz'ora.
«Scusa, è difficile evitarle», le fece Bruno, guardandola con la coda dell'occhio.
Non gli era pesato non avere compagnia per quel tratto di strada: guidare senza essere costretto a sostenere una conversazione gli aveva permesso di immergersi nei suoi pensieri e nelle sue riflessioni, senza alcuna distrazione.
Certo, non era stato facile rimanere concentrato e impassibile mentre il profumo inebriante della pelle o dei capelli di Eleonora gli arrivava alle narici, ogni qualvolta il suo corpo veniva sferzato da una folata di vento proveniente dal finestrino.
Sapeva di gelsomino o di tigli, Bruno non avrebbe saputo dirlo, ma era un sentore fresco e dolce allo stesso tempo. Un odore che non aveva mai sentito sul corpo di nessuna donna, nemmeno di Mara.
«Quanto manca?», chiese lei, guardandosi intorno spaesata.
«Venti minuti e arriviamo a casa mia»
Eleonora cercò di ricomporsi, tirandosi su sul sedile dell'auto.
«Oh finalmente! Macchine, traffico, vita! Rumori! Quanto mi mancava la città», esclamó, guardando fuori dal finestrino.
«Immagino che a Londra sia impossibile sentire il cinguettio degli uccelli come a Montefioralle»
«Ti sbagli, basta andare in qualche parco tipo Hyde Park o Regent' s Park e puoi goderti anche quello.
Londra ha tutto»
«Parli di quella città sempre come se fosse La Mecca»
«E lo è! Io a Londra ho trovato tutto: la libertà, la possibilità di aprire la mente, di sperimentare, di vivere in mille modi diversi ogni volta che ne ho voglia!», rispose lei appassionata.
«Allora che ti spinge a tornare?», le chiese Bruno provocatorio.
Lei si girò verso di lui, con i suoi occhi penetranti e l'aria di sfida, dicendo:
«Mio padre. È l'unica persona che mi manca veramente. Mi manca il suo ricordo in realtà, di come era prima della malattia»
Bruno si sentì immediatamente in colpa per essere stato così superficiale a farle una domanda tanto intima. Non si aspettava una risposta del genere da Eleonora Alberti, forse perché oramai dentro di sé l'aveva etichettata come una cinica egoista, incapace di sentirsi legata a qualcuno.
Ma evidentemente si sbagliava.
Non volle aggiungere altro e rimase in silenzio.
«Beh, oggi che si fa?», chiese Eleonora, tentando di stemperare la situazione.
Faceva sempre così: con lei i discorsi non riuscivano mai a viaggiare sugli stessi toni ma, o volavano liberi e leggeri su argomenti frivoli, o sprofondavano in riflessioni estremamente profonde e cupe.
Nulla era prevedibile.
Bruno cercò di accantonare il disagio provato un secondo prima e rispose tranquillo:
«Dovremmo vedere i miei amici stasera. Si sta un po' al bar del mio quartiere e poi ci si sposta in centro»
«Quanti sono?»
Bruno rimase sorpreso da quella domanda e rispose confuso:
«Una decina di persone tra ragazzi e ragazze. Siamo un bel gruppo»
«Dieci amici. Io nella mia vita non ho mai avuto amici. Forse solo Abby»
«Che sarebbe?»
«La mia coinquilina a Londra. È una snob del cazzo, come la maggior parte degli inglesi, ma è in gamba ed è l'unica che mi sopporta anche sotto lo stesso tetto», rispose con schietta sincerità.
«Ci sarà anche la tua fidanzatina?», aggiunse improvvisamente con il tono di voce canzonatorio, poggiando una gamba sopra il cruscotto dell'auto.
«Si chiama Mara, e sì, ci sarà anche lei. Puoi togliere il piede per favore?»
Eleonora cominciò a sbuffare e ad alzare gli occhi al cielo come una bambina di dieci anni:
«Che noia! Mamma mia!», esclamò, rimettendosi composta sul sedile.
«Siamo arrivati», annunciò Bruno.
Scese dall'auto, prendendo il suo borsone e quello di Eleonora dal sedile posteriore.
«Non c'è bisogno, la porto da sola», disse lei, afferrando la sua sacca dalla spalla di Bruno.
«Come vuoi», rispose lui, prima di avvicinarsi al portone della palazzina di casa sua.
«Parisi», scandì Eleonora, notando il nome scritto sul campanello che lui aveva appena premuto.
«Suona bene?», le chiese con un sorriso sghembo sul viso.
«Non quanto Alberti, mi dispiace»
«Non avevo dubbi. Dopotutto, come vedi, non esiste nessuna villa Parisi», rispose Bruno, mentre un sonoro gracchio aveva appena aperto il portone del palazzo.
«Prego, terzo piano», esclamò Bruno, facendo precedere Eleonora all'interno dell'androne.
Lei cominciò a salire le scale in silenzio, seguita da Bruno.
La vedeva guardarsi attorno, sembrava osservare ogni minimo particolare, dalla ringhiera bianca, alle scale in marmo, fino alle crepe che correvano lungo i muri.
Mentre stava per iniziare l'ultima rampa di scale, Bruno sentì la voce squillante di sua madre, rimbombare per tutto il pianerottolo:
«Buongiorno! E benvenuta! Piacere, io sono Giovanna, la mamma di Bruno»
Vide Eleonora allungare il braccio destro per stringere la mano a sua madre e rispondere:
«Piacere mio, Eleonora. Mi scuso per l'intrusione...»
«Ma si figuri signorina Alberti, per noi non è che un piacere! Bruno, ti vuoi muovere?», disse sua madre, allungando il collo per scorgere il figlio che stava salendo gli ultimi gradini.
«Ciao mamma», rispose lui sorridendole.
«Vieni qui, fatti dare un abbraccio!», esclamò sua madre, allargando le braccia verso di lui.
Bruno notò che indossava il vestiario "buono della domenica" , una camicetta blu scuro infilata dentro la gonna grigia che le arrivava sotto al ginocchio.
I capelli ramati sembravano essere stati cotonati da poco, raccolti ai due lati della testa da alcune forcine.
Sulle labbra un tenue rossetto rosa carne e sulle guance un po' di phard.
Sua mamma a quanto pareva si era agghindata per accogliere la giovane ospite.
Bruno si ritrovò a essere stritolato in un forte abbraccio e in quel momento sentì un senso di disagio pervaderlo per tutto il corpo: era abituato a quelle esternazioni d'affetto da parte di sua madre, e anzi, le ricercava tutte le volte che tornava a casa, ma non davanti a "estranei".
Nonostante non la vedesse, poteva immaginare gli occhi verdi della ragazza che scrutavano lui e sua madre, che soppesavano quel gesto, che lo giudicavano e che probabilmente lo trovavano ridicolo.
Si sorprese, invece, intercettando in Eleonora uno sguardo pieno di tenerezza, una volta staccatosi dalla madre.
«Entrate! Il pranzo è quasi pronto!»
Ad attenderli sull'ingresso c'era Carola e anche lei sembrava essersi tirata a lucido per l'occasione: camicetta di seta bianca, pantaloni vinaccia a palazzo e i capelli castani legati in una coda bassa.
Lo sguardo curioso della sorella ignorò Bruno per posarsi immediatamente sulla nuova arrivata.
«Ciao», le disse timidamente.
Eleonora protese come sempre il braccio destro per stringere con forza la mano di Carola.
Bruno aveva notato che tendeva sempre a presentarsi con quel gesto: lo aveva fatto con lui la prima volta che si erano conosciuti e lo stava ripetendo ora con i componenti della sua famiglia.
Quel braccio teso, quella mano pronta a stringere e a far sentire la sua stretta, sembravano essere il segno di riconoscimento del suo fare sfrontato e sicuro.
«Piacere Eleonora», disse decisa.
«Lei è Carola, mia figlia. Venga signorina Alberti, le faccio vedere la sua stanza», esclamò la madre di Bruno.
«Mi chiami pure Eleonora!», la esortò la ragazza, mentre lui le guardò sparire lungo il corridoio di casa sua.
«Dorme nella tua camera», gli fece Carola.
«Cosa? Non può dormire con me!», ribatté pietrificato.
«Infatti non dorme con te. Mamma ti prepara il divano letto in salotto stasera»
Bruno rimase impietrito a guardare la sorella, cercando di digerire quell'informazione.
«E la tua stanza?», le chiese.
«Ospite tua, camera tua», esclamò la sorella beffarda prima di dirigersi in cucina.
Bruno alzò gli occhi al cielo e sospirò forte. Non solo non aveva desiderato quell'invito, ma ora era stato anche sfrattato dalla sua stessa camera.
Sconsolato seguì sua sorella in cucina per poi chiederle:
«Papà?»
«Stacca tra poco in officina e viene qui», rispose lei con noncuranza, intenta come era a controllare qualcosa in forno.
«Non mi dire che è carne», fece lui, sentendo l'inconfondibile aroma nell'aria.
«Costine di agnello e patate, perché?», gli chiese sua sorella, guardandolo di traverso.
«Non mangia carne»
«Chi?»
«Quella», rispose Bruno, indicando con il braccio verso la sua camera.
«Potevi dircelo!», lo accusò Carola.
«Dirci cosa?», fece all'improvviso sua madre, irrompendo nella cucina. Per poi aggiungere subito dopo: «Che bella ragazza!»
«Bella ma vegetariana a quanto pare», ribatté Carola.
«Oddio! Non le garba la carne? Ma ho cucinato l'agnello!
Bruno, mannaggia a te!», disse stizzita sua madre, dandogli uno scappellotto.
«Ahia!», urlò lui, massaggiandosi la nuca.
«Via, via! Uscite di qui e fatemi preparare qualcos'altro!»
I due fratelli lasciarono campo libero alla madre che subito si rimise ai fornelli.
«Mara?», gli chiese d'un tratto Carola.
«Viene più tardi»
«L'hai avvisata del fatto che non sei venuto da solo?»
«No», ammise Bruno.
Sua sorella alzò le braccia in aria per poi farle ricadere pesantemente lungo i fianchi rassegnata.
«Io non ti dico niente! Sei un grullo!», esclamò prima di dirigersi verso la sua camera, lasciandolo solo e impalato.
"Ma adesso che ho fatto?", si chiese.
Quella situazione pareva così assurda e surreale da farlo sentire un estraneo nella sua stessa casa e tra i suoi familiari.
Decise di incamminarsi verso quella che era stata la sua stanza per disfare la sacca che si era portato da Montefioralle.
Trovò la porta chiusa e bussò.
«Avanti!», esclamò la voce di Eleonora dall'altra parte.
Lentamente aprì la porta, ma subito la richiuse di botto gridando:
«Scusa! Non volevo!»
Appena spostato l'uscio si era ritrovato davanti l'immagine della ragazza senza top e di scatto si era serrato la porta alle spalle.
Aveva intravisto un reggiseno in pizzo rosa carne in contrasto con quella pelle leggermente baciata dal sole.
«Ah eri tu...», gli fece lei, uscendo un secondo dopo dalla stanza.
Bruno tirò un sospiro di sollievo, notando che si era rimessa addosso una t-shirt bianca.
«Posso?», le chiese imbarazzato.
«È la tua camera... », rispose lei, facendo un passo indietro per farlo passare.
Lui cominciò in silenzio a svuotare la sacca dai vestiti, sparpagliandoli sul letto e dandole le spalle.
«Non ti sarai scandalizzato per un reggiseno in vista, spero!»
La sua voce provocatrice e canzonatoria suonava alle orecchie di Bruno come un fastidioso stridio.
«Potevi dirmi di aspettare, anzi che gridare "Avanti!" », ribatté lui, continuando a tirare fuori magliette, pantaloni, mutande e calzini.
«La malizia è negli occhi di chi guarda. Fai la stessa scena anche quando vai al mare e tutte le ragazze sono in costume?», continuò Eleonora con un sorrisino divertito stampato sulla faccia.
«Al mare no, ma qui solitamente giriamo per casa vestiti!», fece lui voltandosi di scatto per poi ritrovarsi a due centimetri dal viso di lei.
«Mannaggia...», sussurrò Eleonora con la sua voce sabbiosa, fissandolo negli occhi.
Gelsomini e tigli.
Ancora.
Quel profumo pervase le narici di Bruno, attestando quanto fosse ridotta la distanza che li separava in quel momento.
In quel brevissimo lasso di tempo, riuscì a osservare nei minimi dettagli le iridi acqua marina che lo stavano guardando: il sole che trapelava dalla finestra ne metteva in evidenza tutte le sfaccettature, un mosaico di verde, giallo e marrone.
Il suono del campanello di casa riportò Bruno alla realtà e interruppe quel contatto così ravvicinato.
Fece un passo indietro, tentando di ricomporsi, nonostante si sentisse avvampare.
Dal suono delle voci provenienti dall'ingresso capì che suo padre era tornato.
«Vado», disse con lo sguardo basso a Eleonora, incapace come era in quel momento di intercettare nuovamente i suoi occhi.
Si chiuse alle spalle la porta della sua camera e si impose di scacciare dalla
mente quell'attimo, archiviandolo come se non fosse realmente successo, ma fosse stato solo una proiezione della sua fervida fantasia.
"Non è successo nulla.
Nulla".
Si ripeteva come un mantra per auto convincersi di quella bugia.
Percorse il corridoio, per poi arrivare in salotto dove trovò suo padre e...Mara.
«Guarda chi ho trovato sotto casa!», esclamò il padre, riferendosi alla sua fidanzata.
Mara era ancora vestita con la divisa dell'azienda tessile in cui lavorava: un paio di pantaloni blu e una polo dello stesso colore.
Tutto in lei manifestava quanto fosse felice di rivederlo: gli occhi luminosi, il sorriso aperto, il leggero rossore sulle sue gote.
Gli si avvicinò sorridente, cingendolo in un abbraccio e affondando il viso sulla piega del suo collo.
«Bentornato», gli sussurrò dolcemente.
Lui ricambiò l'abbraccio e chiuse gli occhi, concentrandosi sul profumo della sua pelle. Ricercava lo stesso sentore che aveva percepito poco prima ma... niente.
Non sentiva niente.
D'un tratto qualcuno dietro di lui si schiarì la voce.
Mara sciolse l'abbraccio e allungò il collo oltre le spalle di Bruno.
«Oh Mara! Conosci la signorina Alberti? », chiese la madre di Bruno, rompendo lo strano silenzio che aleggiava nell'ingresso.
«No. Non ho avuto il piacere», rispose asciutta Mara.
Bruno in quel momento desiderò sparire, liquefarsi, esplodere in frammenti talmente piccoli da non poter essere ricongiunti.
Rimase in piedi, impalato, come un corpo inerme, mentre Eleonora lo aveva raggiunto per stringere la mano della sua fidanzata.
Afferrarono l'una le dita dell'altra e Bruno poteva giurarci: quella stretta non era poi così delicata ma somigliava più ad uno stritolamento.
✧∭✧∭✧∰✧∭✧∭✧
Ciao gente, da quanto! (Per colpa mia ovviamente).
Ho aggiornato il cast dividendo i personaggi "vintage" da quelli odierni, e ne ho aggiunti alcuni mancanti.
Spero che i nuovi personaggi vi piacciano!
Devo ancora decidere se continuare questo tuffo nel passato o tornare ai nostri fratelli detective.
Al prossimo capitolo per scoprirlo ;)
Vostra Bomambo
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