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•23 Passato•

«State comodi? Avete preso una sedia? Massimo, falli accomodare!», chiese la Pina, preoccupata, facendo gli onori di "casa".
Il figlio si apprestò ad avvicinare tre sedie ai visitatori.

«Grazie, ma io sto in piedi», ringraziò Damiano, poggiandosi alla parete con le braccia conserte un po' in disparte.

Eva si accomodò timidamente su una delle sedie poste di fronte all'anziana donna e suo fratello fece lo stesso alla sua destra.

«Vediamo, da dove posso iniziare?», chiese la Pina, giungendo sul grembo le mani nodose.

«Da dove vuole lei. Siamo qui per ascoltarla», la incoraggiò Eva con voce dolce.

Serbava in lei così tante domande, da essere agitata ed emozionata allo stesso tempo. Desiderava sapere tutto della famiglia Alberti e degli anni che suo padre aveva trascorso in quella villa, accumulare più tasselli possibile e finalmente poterli congiungere insieme.

«Ho lavorato per gli Alberti dal 1959 fino... », la voce roca le si spezzò in gola. Si prese un attimo di pausa per poi aggiungere: «...fino al '76, quando è successo il fattaccio. Diciassette lunghi anni», fece un profondo respiro, come se solo quell'incipit le avesse fatto riaffiorare tutti i ricordi in un solo momento.

«Sono originaria di San Donato, che non è tanto distante da Montefioralle. Sapete, purtroppo non sono stata fortunata nella mia vita: sono rimasta incinta di Massimo prima del matrimonio e quel mascalzone del padre mi ha lasciata sola.
Avevo un figlio, dovevo dargli da mangiare e cercare di crescerlo nel migliore dei modi, così quando mia sorella mi disse che cercavano una bambinaia a Montefioralle, le ho lasciato Massimo e sono subito partita.
Non so se sapete quello che è successo alla signora Alberti... », chiese la Pina.

«Sì, sappiamo del suicidio», rispose Milo.

«Quella donna aveva lasciato una ragazza di sedici anni e una bambina di sei. Ricordo quelle cittine come se fosse ieri: Livia, la più grande, se ne stava muta con gli occhi bassi e Nora si nascondeva dietro le sue gambe.
Mi si stringe ancora il cuore se ci penso»

«Intende Eleonora Alberti?», chiese Eva.

«Sì, proprio lei. In famiglia nessuno la chiamava Eleonora, per noi tutti era la nostra Nora.
Quella buona anima del signor Carlo, mi assunse subito per badare alle figlie, si può dire che le abbia tirate su io»

«Lei sa qualcosa del suicidio di Amalia Alberti?», le chiese Eva, cercando di avere più tatto possibile.

La donna scosse il capo con veemenza per poi dire:
«Il signor Carlo non ne ha mai voluto parlare. Ma quando lo conobbi, pochi mesi dopo l'accaduto, era un uomo distrutto. Sempre un gran signore, galante, educato, ma rotto... rotto come un coccio.
Non credo che si sia più ripreso.
A detta di tutti venerava la moglie e non si è più rifatto una vita dopo di lei. Nessuna donna, o per lo meno nessuna che abbia mai portato alla villa.
Ha anche dato il nome della moglie a uno dei suoi vini...»

«L'Amalia», terminò la frase Milo.

Eva si girò di scatto verso il fratello, sorpresa di come fosse a conoscenza di quell'informazione.
Lui in tutta risposta, sentendo i suoi occhi puntati addosso, rispose:

«Ho visto una bottiglia su una mensola alla villa e quando ho letto l'articolo ho ricollegato tutto»

«Era il suo vino migliore, quello di cui andava più fiero.
Io non lo so perché la signora abbia commesso quel peccato. Poteva essere la donna più felice del mondo: era  altolocata, aveva una bella casa, un marito che l'amava, due bellissime figlie, eppure dicono tutti che fosse tremendamente triste.
Nora un giorno mi disse che sua mamma non sorrideva mai», aggiunse la Pina.

Calò il silenzio in quella piccola stanza, mentre i raggi del sole penetravano dall'ampia finestra, colpendo inutilmente gli occhi spenti dell'anziana.

«Può raccontarci delle figlie? Di Eleonora e sua sorella?», chiese Eva mossa dall'esigenza di sapere.

Da una parte sentiva la curiosità che la stava attanagliando come un fuoco che le vibrava dentro il petto, dall'altra aveva paura di pretendere troppo da quell'anziana donna, di farle riaffiorare alla mente vecchi dolori e momenti da dimenticare, più che da rivivere.

A quella domanda sul volto della Pina, nacque un sorriso fatto di estrema dolcezza: era evidente che quelle ragazze fossero state per lei le figlie che non aveva mai avuto.

«Non è facile per me parlare di loro.
Da quel maledetto giorno di quarant'anni fa le ho perse entrambe.
Lidia...beh, credo che lo sappiate, mentre Nora è scomparsa e non l'ho più rivista»

Calò di nuovo il silenzio, mentre la Pina cercava di raccogliere le forze per continuare il suo racconto.

«Non avreste mai detto che fossero sorelle: una era il giorno e l'altra la notte, ma si volevano un gran bene.
Non si somigliavano per niente, nè fisicamente, né tanto meno caratterialmente.
Lidia era il ritratto di sua madre a detta di tutti. Ha perso la mamma in un' età critica, quando stava sbocciando come donna.
Credo che sia cresciuta immediatamente. Sempre responsabile, sempre con la testa sulle spalle. Era l'orgoglio di suo padre.
Non ha mai creato un problema, la mia Lidia. Quando l'ho conosciuta era una ragazza chiusa, con poche amicizie, una piccola donna.
Ricordo che cercava di fare da mamma alla sorella, la proteggeva, la rimproverava quando serviva.
Ha studiato, si è laureata a pieni voti e poi... », l'anziana fece un lungo respiro.

Eva si ritrovò a trattenere il fiato, famelica di sapere.

«Poi?», chiese Damiano dalla sua postazione, rompendo il silenzio.

«Ha conosciuto Gianfranco Gigli, il futuro marito, ed è stato un colpo di fulmine, anche se è finito nel peggiore dei modi», continuò la Pina con una smorfia di dolore.

«Era di Montefioralle anche lui?», domandò Eva, cercando di stemperare il velo di profonda tristezza che aleggiava nell'aria in quel momento.

«No. Il signor Gigli l'era un fiorentino doc, come il vostro povero babbo. Lavorava nella ditta del padre di Lidia e, piano piano, si è fatto notare.
Era un tipo brillante, simpatico, un gran chiacchierone. Con le donne ci sapeva fare, figuratevi con la mia Lidia che aveva poco più di vent'anni quando lo ha conosciuto.
Si sono frequentati per un po' e poi lui le ha fatto la proposta di matrimonio, il signor Carlo ha approvato e si sono sposati dopo solo un anno di fidanzamento.
Che bella coppia che erano...»

«Alla faccia... », commentò Milo in un sussurro appena udibile, ma che Eva percepì chiaramente, tanto da lanciargli un'occhiataccia.

«E Eleonora? Che tipo era?», chiese alla Pina, sperando che non avesse sentito l'esternazione del fratello.

Il volto contrito da una smorfia di dolore della donna, mentre parlava di Lidia, si rilassò nuovamente, distendendosi in un dolce sorriso mosso dai ricordi.

«Nora era un ciclone, lo è sempre stata.
Era bella come il sole. Non che Lidia non lo fosse, ma Nora era di una bellezza rara.
Quanto mi ha fatto penare da bambina! Si nascondeva ovunque e io dovevo cercarla per tutta la villa e anche per i campi!
Era un demonio, ma non era cattiva, solo estremamente vivace.
Suo padre stravedeva per lei.
Era vispa, intelligente, furba.
Montefioralle le stava stretto, voleva vedere il mondo.
Così a vent'anni è partita, è andata a vivere a Londra, e io ero sempre in pena per lei.
Il padre, invece, aveva appoggiato quella scelta, forse perché non sapeva dirle di no»

In un attimo il tenue sorriso sulle labbra della Pina scomparve.

«Quando poi il signor Carlo si è ammalato, Lidia si è dedicata totalmente a lui. E Nora ha cominciato a tornare più spesso per stare accanto al padre.
Povero signor Carlo, non si meritava di soffrire così»

«Cosa ha avuto?», chiese Milo.

«Un ictus. Gli ha tolto la parola e le gambe. L'era sempre stato un uomo attivo e, vederlo su quel letto, faceva male al cuore»

«È per questo che nostro padre si è trasferito a Montefioralle?», chiese Milo.

«Proprio così. Serviva qualcuno che se ne prendesse cura e Bruno lo ha fatto nel migliore dei modi fino all'ultimo»

«Ci può parlare un po' di nostro padre? Del periodo che ha trascorso lì a villa Alberti? Non conosciamo questa parte della sua vita», chiese Eva, pronunciando con fatica l'ultima frase.

Era difficile dover ammettere a una perfetta estranea che suo padre, un pezzo di lei, forse l'uomo più importante della sua vita, avesse deciso consapevolmente di nascondere quella parentesi della sua esistenza a lei e a suo fratello.
Era qualcosa di cui ancora non riusciva a capacitarsi e che viveva come un piccolo dolore.
Doveva esserci un motivo e sperava che, finalmente, la Pina fosse in grado di spiegarglielo.

«Il mio Bruno», sospirò la donna, gettando gli occhi vitrei al cielo, alla ricerca di un ricordo o dell'immagine di loro padre sbiadita dal tempo.

«Ricordo ancora la prima volta che venne alla villa: secco secco, alto, con un gran sorriso.
Quanto l'era bello il vostro babbo quando sorrideva: gli si illuminava il viso e aveva gli occhi buoni, puri.
Era così, infatti: sempre gentile, sempre disponibile con tutti.
Un gran lavoratore.
Passava tutta la settimana alla villa per accudire il signor Carlo e poi partiva per due giorni e andava a Firenze dalla famiglia. Ogni volta che tornava cominciava a suonare il clacson già all'inizio del viale, poi scendeva dalla macchina e mi urlava "Pinaaa" per farmi affacciare dalla finestra. Che matto!»

Gli occhi di Eva si umidirono dall'emozione, sentendo che quella descrizione combaciava con il ricordo che aveva dell'uomo che l'aveva cresciuta.
La voce di suo fratello interruppe quel momento così toccante:

«E che genere di rapporto aveva con Eleonora?»

La donna sembrò presa alla sprovvista da quella domanda.

«Nessun rapporto in verità. Si sono conosciuti durante uno dei periodi in cui Nora è tornata a Montefioralle, ma niente di più. Quando il signor Carlo è venuto a mancare, vostro padre se ne è tornato a Firenze e non credo si siano più visti»

«Allora come spiega il fatto che Eleonora abbia lasciato l'intera villa a nostro padre come usufruttuario?», insistette Milo.

«Immagino che sapesse che era una persona di cui si poteva fidare. Non le era rimasto più nessuno», rispose la Pina con scarsa convinzione.

Eva si girò verso il fratello, che scosse il capo, consapevole che quella risposta fosse un ennesimo buco nell'acqua.

«E Eleonora che fine ha fatto? Lei non ha più avuto notizie di lei?», chiese Eva a sua volta.

«Ahimè no. Nora è scomparsa poco dopo che.... Che Lidia non c'era più.
Ha passato alcuni giorni sotto shock, rispondendo, come tutti noi, alle domande della polizia e poi ha deciso di partire. Mi ha detto che sarebbe tornata, ma credo che in realtà volesse solo dimenticare Montefioralle e tutto il dolore che quel posto rappresentava per lei»

«Mai una lettera? Mai una chiamata?», chiese Damiano.

La Pina scosse il capo in silenzio.

«Ho sempre e solo pregato che stesse bene e che fosse riuscita a essere felice», disse la donna sommessamente.

«Mi scusi... », iniziò Eva, guardando d'istinto Massimo, il figlio della Pina, e cercando nel suo sguardo l'approvazione di poter continuare con le sue domande scomode.
L'uomo non obbiettò e lei chiese:

«Ci può parlare di come sono andati i fatti che riguardano Lidia e suo marito?»

La Pina sospirò forte, affaticata da quel ricordo doloroso che probabilmente l'aveva perseguitata per tutta la vita.

«Non ero alla villa quella maledetta notte, ero andata a trovare Massimo da mia sorella per qualche giorno.
So solo che quando mi chiusi la porta alle spalle prima di partire, non avrei mai pensato di tornare e non trovare più niente di quello che avevo lasciato.
Posso solo dirvi ciò che ha ricostruito la polizia: omicidio suicidio. Tre colpi di pistola a Gianfranco e uno a Lidia»

«Questo vuol dire che...?», cominciò a dire Milo, ma venne interrotto dalla Pina.

«Sì, è stata Lidia a sparare. Dopo tutti questi anni, mi domando ancora cosa sia successo»

Silenzio.
Silenzio assordante.
Silenzio ridondante.

Eva non aveva immaginato che la mano assassina potesse essere quella di Lidia Alberti. Non sapeva nulla di quella donna, non ne conosceva neanche il volto, eppure aveva dato per scontato che fosse lei la vittima della scelleratezza di un marito violento.

«Avevano problemi? Li ha descritti come una coppia felice», tentò di chiedere.

La donna andò visibilmente in difficoltà, come se avesse paura di intaccare la memoria di chi non c'era più.
Eva se ne rese conto e si allungò verso di lei, poggiandole una mano sul braccio:

«Non è tenuta a dirci nulla se non se la sente»

La Pina si voltò verso di lei, guidata da quel tocco delicato. Si morse il labbro inferiore e disse:

«Un matrimonio è felice solo quando ad affollarlo sono i figli e non qualcun altro»

«Amanti?», chiese Milo.

«Purtroppo credo che Gianfranco non sia sempre stato fedele a Lidia. Al tempo stesso, lei pativa profondamente per non aver avuto ancora un figlio»

A quelle parole Eva percepì qualcosa in lei frantumarsi in tante piccole crepe.
In un attimo si sentì vicina a quella donna che non avrebbe conosciuto mai.
Sapeva quanto poteva essere subdolo e avvilente quel senso di inadeguatezza dovuto al sentirsi femmine guaste e incapaci, capitate al proprio compagno come un fardello, piuttosto che come un dono.
Le separavano quarant'anni, generazioni differenti, vite agli antipodi, ma erano accumunate dallo stesso identico dolore.

«Sarebbe stata una bravissima madre. Sarebbe stata quello che la sua stessa mamma non era riuscita a essere per lei e per Nora. Ma la vita di Lidia è sempre stata piena di sventure e quella sera ha deciso di compiere anche l'ultima»

In quell'istante la Pina scoppiò in lacrime, portandosi le mani agli occhi e scuotendo la testa, scossa dai sussulti.

«Mamma», fece Massimo, avvicinandosi a lei e cingendole le spalle.

«Calmati»

«Scusatemi. Ma il cuore di una povera vecchia non riesce a sopportare ricordi così brutti», disse, cercando di ricomporsi.

Eva guardò il fratello, notando che fissava la Pina con lo stesso sguardo di compassione con cui lei stessa la stava osservando.

«Forse è il caso che si riposi... », propose Damiano.

«Signora Pina ci dispiace di averle fatto rivivere dei momenti così terribili. La ringraziamo tanto, davvero. È stata molto preziosa per noi», disse Eva, cominciando a sollevarsi dalla sedia.

«Mi scusi, solo un'ultima domanda», esordì improvvisamente Milo, cogliendo tutti di sorpresa.

«Lei conosce una donna legata agli Alberti di nome Rita?»

L'anziana sembrò sinceramente sorpresa e disse:

«No, mai sentito nessuno che si chiamasse così. Perché?»

«Rita è una senzatetto che si aggira da qualche giorno attorno alla villa. Dovrebbe avere tra i cinquanta e sessant'anni. È una persona affetta da problemi mentali e sembra essere spaventata da quella casa», spiegò Damiano.

«In quale stanza è avvenuto l'omicidio?»

«Milo.... », lo ammonì Eva, conscia che era tempo di andarsene e di terminare quelle domande.
Lui la ignorò, fissando la Pina e aspettando una sua risposta.

«Nel salotto della villa»

«Chi c'era quella sera in casa?», continuò Milo.

Eva non capiva dove stesse andando a parare il fratello. Si limitava a voltare il capo da lui alla Pina, seguendo quel botta e risposta continuo.

«Lidia, Gianfranco e una delle altre cameriere. Cristina. Era una giovinetta di Montefioralle, venuta da nemmeno un anno a lavorare alla villa»

«Che fine ha fatto? Possiamo parlare con lei?», chiese Milo.

«Subì un forte trauma povera figliola.
Cercai di andarla a trovare a casa qualche giorno dopo il fatto, ma la madre mi disse che non era il caso di farle rivivere quei momenti.
Dopo qualche tempo seppi che era partita e non ho più avuto sue notizie»

«Di che colore aveva gli occhi?», domandò Milo, preso dall'euforia di quel momento.

«Verdi. Li aveva verdi»

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