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•19 Brividi•

Erano seduti al tavolo dell'osteria "Il canto del merlo", uno dei pochissimi luoghi di ristoro del paese.
Era un posto semplice, dal l'arredamento di almeno trenta o vent'anni prima.
Le pareti erano tappezzate di foto che rappresentavano il proprietario, un uomo grassoccio dalla faccia pingue, in compagnia di vip vari ed eventuali, che chissà per quale motivo, erano capitati lì.
La posa era sempre la stessa: lui in maglietta bianca e grembiule d'ordinanza, con un bel sorriso stampato in faccia e, il cantante, l'attore o il partecipante di reality di turno, che guardava l'obbiettivo con aria poco convinta.
Ma tutto ciò ovviamente serviva al proprietario per dimostrare che il suo fosse un locale ricercato, di quelli che attraevano anche i personaggi famosi dalla capitale.
I tavoli erano apparecchiati con una semplice tovaglia giallo ocra, le sedie, in legno scuro, non erano poi così comode e i bicchieri, forse, avrebbero avuto bisogno di un anticalcare per eliminare gli aloni che li rendevano poco brillanti.

Eva se ne stava seduta davanti a suo fratello, sfogliando malamente il menù a base di prodotti del territorio e cacciagione.
Non aveva fame per nulla, anzi, ultimamente le risultava difficile individuare un giorno in cui il suo stomaco avesse reclamato prepotentemente del cibo. Buttava giù lo stretto indispensabile per reggersi in piedi durante la giornata, ma gli ultimi avvenimenti avevano tolto ogni odore o sapore a tutte le pietanze.

«Che prendi?», le chiese Milo, chiudendo di botto il menù e guardandola.

«Mmm... pappa al pomodoro, credo»

«E...? »

«E basta. Non ho fame», fece lei, passandosi una mano tra i ricci.

«Contenta tu. Io sto morendo »esclamò Milo, prima di sbracciarsi verso la cameriera, pronto a ordinare.

Una ragazza di circa trent'anni si avvicinò al loro tavolo con passo lento e svogliato. La sua immagine cozzava totalmente con quella del locale, nonché con quella del paese stesso: anello al naso, piercing al labbro inferiore, capelli rosso fuoco raccolti in una coda alta, rasatura sulle tempie e il braccio destro totalmente tatuato.
Eva notò subito l'espressione attonita comparsa sul volto di suo fratello, che la stava squadrando, senza alcuna remora, da capo a piedi.
Si schiarì la voce, cercando di attirare la sua attenzione e, quando gli occhi cerulei di Milo incrociarono i suoi, lo incenerì con lo sguardo.

«'Sera. Ditemi pure», esordì la ragazza annoiata, pronta ad annotare sul taccuino di carta che teneva tra le mani.

«Una pappa al pomodoro, un piatto di pici* al tartufo, un tagliere misto di salumi e formaggi, vino rosso della casa e una bottiglia di acqua naturale. Grazie!», elencò Milo.

La cameriera segnò tutto velocemente, per poi bofonchiare un "Ok" e dirigersi verso la cucina.

«Speriamo non ci mettano tanto a preparare, ho una fame!», esclamò Milo, strofinandosi le mani e guardandosi intorno.

Effettivamente il loro era il solo tavolo a essere occupato, assieme ad altri due.

«Dio, che posto questo paese...», disse lui, sospirando.

«Milo! Per favore», fece sua sorella, cercando di zittirlo e controllando attorno che nessuno lo avesse sentito.

La cameriera tornò verso di loro, sorreggendo un vassoio con le bevande.

«Capisco perché questa Eleonora non abbia voluto la villa e abbia cercato di disfarsene... chi mai vivrebbe nel nulla cosmico?», disse Milo, ignorando la presenza della ragazza.

«A quanto ne sappiamo è cresciuta qui, veramente. Credo di aver letto negli atti catastali della villa che è stata acquistata dagli Alberti negli anni cinquanta», ribatté Eva, poggiando delicatamente le dita attorno allo stelo del bicchiere.

«Un motivo in più per andarsene allora... », disse Milo a bassa voce, mentre la cameriera si stava allontanando.

«Non sono i posti a renderci felici», sussurrò Eva, con lo sguardo immerso nei suoi pensieri.

«Considerando che sono un designer d'interni e un architetto avrei da ridire su questa affermazione», esclamò Milo beffardo.

«Sono le persone. Puoi anche vivere nel posto più bello e sfarzoso di tutti, ma rimani comunque infelice se non hai nessuno con cui condividerlo», continuò Eva, riferendosi anche alla condizione sentimentale di Milo.

«Meglio essere soli che circondarsi di persone che ti ci fanno sentire», sentenziò Milo, tagliente come solo lui sapeva essere.

Gli occhi spenti di Eva saettarono in quelli del fratello, sentendosi colta nel vivo.

«Probabilmente non scorreva buon sangue in famiglia e questa Eleonora ha voluto prendere le distanze da tutto e da tutti dopo quello che è successo »,cercò di sviare il discorso Eva.

«Lo credo bene, se l'è data a gambe dopo che ci sono scappati due morti», fece Milo, prima di mandare giù un sorso di vino, per poi fare una smorfia e dire: «Imbevibile. Sembra Tavernello»

Lei si limitò a roteare gli occhi, abituata ormai al fatto che il fratello si lamentasse di tutto, costantemente.

«Pensi che li abbia uccisi lei? », gli chiese, guardandolo negli occhi.

«Potrebbe essere. Ma hanno parlato di omicidio suicidio. Non ne sappiamo nulla di questa faccenda. Nè chi fosse questa Eleonora, né tanto meno la sorella o il cognato. Finché non parliamo con quella Pina non ne caveremo un ragno dal buco»

«A me basta sapere che papà non centri nulla con questa brutta storia... », sussurrò Eva in un filo di voce.

Si era sentita tradita da tante persone nella sua vita: ex fidanzati, ex amici, sua madre, suo fratello, ora Paolo, ma l'unico che non l'aveva mai fatto era stato proprio suo padre.
Un uomo sempre presente, che le voleva bene, di quel bene che entra nella pelle e rimane dentro, come linfa vitale ardente che scorre, e fa sentire protetti, al sicuro, amati.
Non poteva minimamente accettare che lui fosse stato diverso dall'uomo che aveva sempre conosciuto e ammirato. Non ci credeva, non voleva prenderlo nemmeno in considerazione.

«Nonostante non andassimo d'accordo, pensare che abbia potuto uccidere qualcuno o provocarne la morte, sarebbe troppo anche per me», ammise Milo con voce profonda.

Eva rimase colpita da quell'esternazione, che per la prima volta aveva dilaniato il velo di cinismo, caratteristico di ogni risposta di suo fratello.
In un angolo della sua anima anche lui voleva preservare il ricordo di suo padre o per lo meno quello che di buono ne rimaneva in lui.

Non riuscì a ribattere perché la cameriera tornò di nuovo da loro, tenendo in mano un vassoio con il tagliere di affettati e la pappa al pomodoro, che poggiò malamente sul tavolo.

Milo cominciò subito a inforcare una fettina di finocchiona*, mentre Eva afferrò la bottiglia per versarsi un po' di acqua, quando si accorse della presenza della ragazza ancora accanto al loro tavolo.
Alzò lo sguardo verso di lei, pensando che aspettasse un loro cenno per defilarsi, quando invece la vide abbassarsi e appoggiare i gomiti sulla tovaglia.
In un attimo anche Milo la fissò con aria interrogativa come a voler dire "E adesso che vuole questa?".

«Ma voi siete quelli che dormono al B&b?», chiese loro con un forte accento toscano, che non fece nulla per mascherare.

Eva rimase spiazzata da quella domanda, chiedendosi come facesse ad avere quelle informazioni.

«Sì... », ammise Milo smarrito quanto la sorella.

«Fate ricerche sulla villaccia vero? », chiese, ciancicando una gomma.

Dopo l'uomo a cui avevano chiesto indicazioni appena giunti a Montefioralle, era la seconda persona che definiva villa Alberti "la Villaccia", come se ormai fosse l'unico appellativo con cui fosse conosciuta nella zona.

«In un certo senso», ammise Milo.

«Siete giornalisti? Oppure avete uno di quei canali YouTube in cui andate per le case infestate a cercare fantasmi?», chiese la ragazza con uno strano guizzo negli occhi, che fino a pochi minuti prima era del tutto assente.

«No, niente di tutto questo. Non crediamo ai fantasmi », rispose Milo, sogghignando come divertito da quell'affermazione.

«Nemmeno io, ma su quella casa girano storie di ogni tipo da sempre, con tutte le disgrazie che sono capitate... ».

Eva venne attratta dalla parola  "disgrazie", al plurale.

«Ti riferisci alla morte di marito e moglie negli anni '70? », le chiese curiosa, poggiando il gomito sul tavolo a sorreggere il mento.

«E non solo. Non sono state le prime morti strane nella villa... », fece lei, rimanendo con la frase sospesa, in quanto richiamata dal titolare dell'osteria:

«Debora in cucina! », gridò l'uomo nella loro direzione.

«Scusate, buon appetito », disse la ragazza per poi allontanarsi, sbuffando.

Eva e Milo rimasero a guardarsi, pensierosi, prima che lui esordisse con:

«Ghostbusters! », canticchiando la sigla dell'omonimo film.

✧∭✧∭✧∰✧∭✧∭✧

Avevano appena lasciato l'osteria e camminavano in silenzio tra le stradine di Montefioralle, illuminate dalla luce gialla dei lampioni.
La cena era proseguita senza che la cameriera avesse avuto l'occasione di continuare il discorso intrapreso.
Eva aveva notato lo sguardo ammonitore del proprietario che seguiva la ragazza passo passo, come se volesse controllarla.
Le portate successive gli erano state servite da un altro cameriere e Debora non si era più avvicinata al loro tavolo.

Eva aveva tentato di interrogare Milo su quali fossero state le sue impressioni a riguardo, ma lui le aveva risposto sbrigativamente, con aria scocciata:

«Possiamo almeno cenare in santa pace?», zittendola in un nano secondo.

Così si era limitata semplicemente
a ingoiare a fatica ogni boccone, mentre la sua mente era rivolta altrove, a quella villa, a quella famiglia, a suo padre. 

Le parole della ragazza continuavano a vorticarle nella mente come un tarlo, un maledetto insetto che le martellava il cervello, portandola a porsi la stessa domanda: "Cosa altro è successo in quella villa?".

D' un tratto Eva cominciò a sentire la vibrazione del cellulare tremare nella sua borsa. Lo afferrò e, guardando il nome apparso sullo schermo, disse a Milo:

«Sali pure. Ti raggiungo subito»

Il fratello fece un cenno di assenso con la testa e spinse il portoncino d'ingresso del B&b.

Eva, rimasta sola nella strada deserta, accettò la chiamata e rispose:

«Ehi... »

«Buonasera ricciolina! Se non sono io a farmi sentire, tu niente eh! », esclamò la voce cristallina di Valeria, che come sempre le invadeva le orecchie con tutto il suo impeto.

«Scusa, hai ragione. È che questi giorni sono stati davvero un casino», cercò di discolparsi lei, poggiandosi alla parete dall' intonaco rosa del loro alloggio.

«L'ho immaginato dai messaggi sporadici che mi hai inviato. Situazione complicata? », chiese l'amica, il cui tono di voce si era fatto comprensivo.

«Non sai quanto. Domande su domande a cui non riesco a dare una risposta»

«E la donna che avete investito? Come sta?»

«Sembra bene. Fortunatamente è seguita dalla psichiatra del centro di recupero che occupa la villa»

«Ti sento stanca Eva. Tutto ok per il resto? Milo? Ti dà una mano?»

«A suo modo. Domenica riparte per Torino e non ne vuole sapere più niente di tutta questa storia. Come dargli torto d'altronde... », fece lei, passandosi una mano tra i capelli, quasi sfinita.

«Torni anche tu a Roma?»

«Non lo so. Devo ancora decidere», ammise Eva.

«E con "l'uomo che non deve chiedere mai" come va?»

Eva aspettava quella domanda. Sapeva che sarebbe arrivata di lì a breve. Conosceva troppo bene Valeria e, anzi, sospettava che quello fosse il reale motivo di quella chiamata.

«Sei sicura di aver voglia di tornare? »la provocò l'amica.

«Vale... dai, ti prego»

«Non sto insinuando nulla. Ma mi hai detto di aver discusso con Paolo questi giorni e volevo sapere come andassero le cose, tutto qui...»

Eva fece una risata amara, sentendo gli occhi già inumidirsi di lacrime.
Cosa le stava succedendo? Era via da pochi giorni, avevano discusso sì, ma come avevano fatto altre mille volte.
Eppure la distanza, la strana situazione in cui si ritrovava accanto a suo fratello, i dubbi sul passato di suo padre, era come se stessero ingigantendo tutto ciò che sentiva... e che non andava nella sua relazione.

«Ok, ho capito. Non ti va di parlarne. Voglio solo che tu sappia che io sono qui, sempre», la voce di Valeria era come sempre un balsamo, le faceva sentire che almeno lei le sarebbe stata accanto, qualunque cosa fosse successa.

«Grazie», disse Eva, in un filo di voce rotta dall'emozione, per poi schiarirsi la gola e aggiungere: «E tu? Come stai? La tournée? In quale parte dell'Italia ti trovi adesso? »

«Ora siamo a Genova. Domani già ripartiamo per la tappa di Milano e resteremo lì tre giorni.
Sto bene, sono un po' stanca, ma il pubblico mi da sempre tante soddisfazioni»

Eva sorrise, percependo quanto l'amica fosse appagata da quella vita frenetica, inusuale, un po' nomade, ma che aveva scelto di vivere con la consapevolezza che solo quel tipo di esistenza l'avrebbe resa veramente felice.
Lei invece non aveva scelto nulla, si era adeguata agli eventi che, come sempre, riuscivano a stritolarla come una morsa.

«Ricciolina, mi prometti che starai bene? », le chiese Valeria teneramente.

«Ci proverò... »

«Bene. Dai, ti lascio andare, è tardi. Buonanotte. Ti voglio bene», la salutò Valeria alla cornetta.

«Anche io. Grazie della chiamata... Notte»

Eva chiuse il telefono con una nota di malinconia. Quanto avrebbe voluto averla accanto lì, in quel momento esatto. Forse si sarebbe sentita un po' meno sola.
Fece un sospiro e spinse il portoncino del B&b deserto.
Salì la prima rampa di scale, prima di raggiungere la porta della stanza che condivideva con il fratello e bussò delicatamente, non avendo le chiavi.
Dopo qualche secondo, Milo le aprì la porta con indosso la sua solita t-shirt e un paio di boxer grigi.

«Vieni! Guarda che ho trovato!», le disse, con gli occhi azzurri sgranati appena la vide sulla soglia.

Eva lo seguì all'interno della camera, illuminata solo dalla fioca luce sprigionata dal monitor del pc portatile di Milo, poggiato sul letto.

«Ho fatto qualche ricerca per capire a cosa si riferisse quella cameriera...», le disse, sedendosi di botto sulle coperte e cominciando a muovere freneticamente i tasti del computer, mentre Eva si stava levando la giacca per avvicinarsi allo schermo.

«Inizialmente sono comparse solo notizie risalenti agli anni '70, sull'omicidio suicidio, ma poi ho trovato questo trafiletto di giornale datato 1958 », disse Milo, guardando lo schermo e aspettando che la sorella facesse lo stesso.

Eva scorse rapidamente gli occhi sull' immagine dell'articolo datato 9 giugno 1958, che riportava la dicitura:

"Tragedia avvenuta all'alba della scorsa mattinata nel ridente e tranquillo paese di Montefioralle, in provincia di Firenze: una giovane donna, Amalia Rossetti, in Alberti, moglie del noto imprenditore della zona, Carlo Alberti e madre di due figlie, è stata trovata morta nella villa in cui viveva con tutta la famiglia.
Dalle prime indiscrezioni la donna si sarebbe gettata dalla finestra dell'ultimo piano, morendo sul colpo.
Sono in corso accertamenti.
Per ora tutta la comunità di Montefioralle è profondamente scossa dall'accaduto".

Eva terminò di leggere per poi girarsi verso il fratello, che l'attendeva impaziente e stranamente euforico.

«Una morta in più da aggiungere alla lista della "villaccia"...», fece lui, mentre Eva cominciò a percepire un brivido lungo la spina dorsale e freddo....tanto freddo.

*pici: tipo di pasta lunga tipica della Toscana.
*finocchiona: insaccato toscano a base di carne di maiale e aromatizzato con finocchio.

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