•14 Apparizione•
1975
Bruno era di ritorno alla Villa.
Aveva trascorso il suo giorno libero partendo presto di sabato mattina per raggiungere Firenze.
Il tempo di riprovare la morbidezza del suo materasso posto sopra quello di sua sorella sul letto a castello, di riassaporare la cucina sopraffina di sua madre, che si impegnava a cucinare per un esercito ogni volta che tornava a casa, e di trascorrere un pomeriggio passeggiando mano nella mano con Mara sul lungarno, ed era già di ritorno a Montefioralle.
Era sempre strano riaccarezzare la sua vecchia vita per un tempo così fugace, per poi abbandonarla di nuovo e tornare a quelle che erano le sue nuove abitudini.
Quel lavoro e quella villa rappresentavano oramai punti fissi dei suoi pensieri, così come le persone che vi abitavano.
Anche durante il suo tempo libero in famiglia, Bruno non riusciva a non pensare al signor Alberti, a come stesse, se gli venissero date le cure di cui necessitava.
Aveva lasciato detto di contattarlo in qualsiasi momento del giorno e della notte e in un attimo sarebbe tornato.
Nei suoi confronti sentiva un senso di responsabilità che andava oltre l'impegno meticoloso per il suo lavoro, e se mai gli fosse capitato qualcosa in sua assenza non se lo sarebbe mai perdonato.
Eppure non poteva mentire a sé stesso, il fulcro dei suoi pensieri non era solo il suo paziente disabile: nonostante non riuscisse a capire il perché, più volte, seppur distante, la sua mente lo aveva portato a pensare a Lidia.
A come stesse, cosa facesse, se fosse assorta nelle sue riflessioni come spesso accadeva, oppure se il suo viso delicato fosse attraversato da quei sorrisi rari e fulminei che di tanto in tanto regalava.
Era sola o in compagnia del marito? Fumava all'aria aperta o era immersa nella penombra della sua stanza come sempre?
Era triste o era serena?
La sua assenza l'aveva in qualche modo toccata, oppure lui le era del tutto indifferente come gli altri dipendenti della villa?
Bruno sperava nel profondo che non fosse così.
Si aggrappava all' idea di aver istaurato una sorta di connessione con lei, di non essere un completo estraneo, sebbene Lidia non si fosse più aperta con lui dopo quella sera sul balcone.
Non avevano più parlato di loro e della loro vite. Bruno avrebbe voluto scoprire nuove cose di lei, capirla man mano sempre più in profondità, strappare il velo di mistero in cui, ai suoi occhi, era avvolta quella donna.
Ma Lidia non aveva più creato quella situazione così intima: si limitava a dargli serenamente del tu, a sorridergli ed essere cordiale e gentile, ma aveva ristabilito le distanze tra signora e giovane dipendente.
E Bruno era troppo timido e rispettoso per cercare di oltrepassare quel valico, sebbene una voce dentro di lui lo spronasse a farlo.
Lidia era rimasta tra i suoi pensieri anche quando questi dovevano essere incentrati su Mara.
Bruno guardava la sua fidanzata, la trovava bella e desiderabile come sempre, sentiva che in qualche modo gli era mancata, eppure spesso si ritrovava a perdersi nelle loro conversazioni, a non prestare la giusta attenzione alle sue parole e ai suoi racconti delle giornate passate lontana da lui.
Pensava ad altro.
Anzi, pensava a un'altra.
La mente continuava a vorticare verso quella donna che conosceva a malapena, che non lo aveva incoraggiato in nessun modo e con la quale non poteva avere la benché minima opportunità.
Cercava di tornare in sé, di allontanare quella sorta di fissazione senza motivo, ma non ci riusciva.
Durante i momenti trascorsi con Mara, quei pensieri si erano tramutati in senso di colpa e tormento.
Li scacciava, cercava di distrarsi, di schivarli, ma senza successo, perché i lineamenti di Lidia gli apparivano davanti come se si rispecchiassero nelle acque dell'Arno, il suono della sua voce pacata era come un eco lontano che desiderava udire il più presto possibile.
Bruno era consapevole di essere un grande simulatore ed era sicuro che Mara non avesse colto in lui nulla di diverso.
Non avrebbe mai voluto farla soffrire o istillare in lei dei dubbi sulla qualità dei suoi sentimenti.
Per quale motivo poi?
Per essere affascinato da una donna più grande, sposata, altolocata e assolutamente irraggiungibile?
Era solo la curiosità momentanea dettata dal suo nuovo ambiente di vita, gli sarebbe passata...doveva passargli.
Pensava Bruno, e guidava.
Con una mano teneva il volante dell'auto mentre l'altra se l'era portata alle labbra, mordicchiandosi le unghie come era abituato a fare quando era nervoso.
Aveva trascorso un solo giorno lontano da Montefioralle eppure gli pareva che fosse passata un'eternità.
Dava gas, svicolando tra le stradine che oramai conosceva a memoria, per arrivare alla villa il prima possibile.
La vide da lontano ergersi tra i vigneti verdi e per assurdo gli parve di tornare a casa.
Parcheggiò nel solito spiazzo, alzando una nuvola di polvere.
L'aia era deserta e nessuno sembrava essersi accorto del suo ritorno.
Con un velo di delusione afferrò il sacco contenente i pochi vestiti che aveva portato con sé e si diresse verso il portone della villa.
Come sempre lo trovò semichiuso e bastò una piccola spinta per aprirlo.
Mentre attraversava il corridoio venne subito investito dal vociare della Pina che cercava di gestire la cucina e l'intera villa, urlando direttive a tutti gli altri dipendenti.
In un attimo se la vide sgambettare davanti veloce, impegnata ad attraversare il grande salotto da una parte all'altra.
«Pina! Sono tornato! », le fece lui con un grande sorriso, come se fosse mancato chissà per quanto tempo.
«Oh Bruno! Buongiorno! Scusa eh, ma ho tanto da fare stamattina! », rispose lei, pulendosi le mani sul grembiule che aveva allacciato in vita e allontanandosi di corsa dalla sala, diretta in cucina.
"E io che sognavo un bello zabaglione..." , pensò Bruno sospirando, abituatosi oramai ad essere viziato dall' inserviente, che aveva sempre un occhio di riguardo per lui.
Decise di raggiungere le scale e di dirigersi verso la sua stanza per poi recarsi dal signor Alberti e controllare come stesse.
Passò di fronte alla camera matrimoniale di Lidia e vi si fermò per un attimo di fronte, cercando di captare con l'orecchio se da oltre la porta provenissero dei rumori.
Silenzio. Probabilmente non era lì.
Pensò che forse era con suo padre, e il solo pensiero di trovarla accanto a lui, non appena avrebbe aperto la porta, gli fece stampare un sorriso sul volto.
Entrò in camera e poggiò il sacco distrattamente sul letto per poi cominciare a frugarci dentro.
Tirò fuori una boccetta di acqua di colonia e se ne passò qualche goccia sui polsi e sul collo.
"Che cazzo stai facendo, Bru?", chiese a sé stesso, intercettando il suo riflesso sullo specchio della camera.
Non seppe darsi alcuna risposta e allontanò i suoi occhi da quelli scuri del ragazzo che lo osservava nervoso.
Già, era nervoso.
Nervoso di rivederla.
Lasciò la sua camera e scese le scale per raggiungere il primo piano della villa, dove era situata la stanza del signor Alberti.
Si ritrovò di fronte alla porta e tirò un profondo respiro, prima di afferrare la maniglia e spingere.
Quasi rimase accecato dal bagliore della luce di inizio giugno che lo investì improvvisamente e a cui non era più abituato, vista la prassi che vigeva in quella casa di tenere sempre le persiane semichiuse.
Non appena riuscì a mettere a fuoco la scena, notò la finestra della camera spalancata con le tende bianche mosse dal vento, il signor Carlo immobile come sempre e, seduto sopra il letto, un angelo.
Questo saettò nella testa di Bruno in quel momento, e più volte negli anni, ripescando nella mente quel ricordo, si ritrovò ad associarlo all'apparizione di un cherubino.
Non poteva essere nient'altro che un angelo quella figura esile e aggraziata, coperta da una nube di ricci biondi che le ricadevano sulle spalle baciati dai raggi del sole.
Il tramestio della porta l'aveva fatta voltare verso di lui, portandola a incastonare i suoi occhi verdi in quelli scuri di Bruno.
Lo guardò senza dire niente, mentre lui la osservava confuso e impalato di fronte alla porta, chiedendosi se quella scena fosse reale.
«Ciao », disse ad un tratto quell'essere, con voce sabbiosa.
Bruno si ritrovò quasi a non avere salivazione e capacità di parola.
Cercò di sistemare in una frazione di secondo i pochi neuroni che sentiva ancora attivi, e rispose:
«B-buongiorno...»
«Tu devi essere l'infermiere », disse, voltando il busto verso di lui.
«S-sì »
«E hai anche un nome? », chiese l'angelo sorridendo.
«Bruno», rispose lui quasi ipnotizzato.
«Bel nome»
In un attimo dal corridoio giunse un suono di passi veloci e una voce femminile che Bruno riconobbe subito:
«Nora! Dove sei? », fece Lidia avvicinandosi verso la camera.
Bruno, sempre più spaesato, sentì i all'improvviso i battiti accelerare.
«Sono qui! », rispose la figura di fronte a lui.
La porta si spalancò e Lidia entrò nella stanza.
Aveva i capelli sciolti sulle spalle, una camicia bianca di seta e una gonna verde stretta in vita.
Bella ed elegante come sempre.
In un attimo si accorse della presenza di Bruno sulla porta, e si affrettò a dire:
«Oh Bruno buongiorno, sei tornato!»
Abbozzò un sorriso verso di lui, uno di quelli aperti, un sorriso che la illuminava totalmente e che Bruno non le aveva mai visto.
«Sì, da poco in verità », quasi balbettò lui.
«Vedo che hai conosciuto Nora! », disse Lidia, riferendosi alla figura angelicata, che quindi doveva avere un nome.
In tutta risposta la ragazza si alzò delicatamente dal letto per dirigersi verso di loro.
Era avvolta in un lungo vestito floreale che le arrivava fino alle caviglie e al suo collo tintinnavano tante collanine dorate di diversa lunghezza che, come i suoi capelli, brillavano alla luce del sole.
«Ciao, piacere di conoscerti, Eleonora Alberti », disse, allungando la mano destra verso di lui e fissandolo intensamente negli occhi.
Non era uno sguardo come tutti gli altri. Non era lo sguardo delle ragazze che Bruno aveva conosciuto nella sua vita.
Era diritto, intenso, quasi sfrontato, tanto da metterlo in soggezione.
«Bruno Parisi », disse lui, stringendo quella piccola mano alla sua, capendo finalmente che quello non era un angelo, ma una donna in carne e ossa.
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