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Capitolo 7 - La chiamata

Le nuvole dense e grigiastre si stavano dissolvendo nel cielo turbolento di Siyah, pronte a lasciare spazio alla notte chiara e luminosa. Lo stesso cielo a Lys doveva essere di varie gradazione di colore mentre il sole impaziente ritornava nella sua dimora per permettere alla sua amata di sorgere. I giorni successivi alla mia gita in biblioteca li avevo passati a mostrare a Crystal le mie tecniche del richiamo del sole ed il mio stile di combattimento elegante e rudimentale allo stesso tempo. I nostri combattimenti erano accesi e divertenti, finivano quasi sempre alla pari con noi due sporche e sudate stese sull'erba a ridere l'una dell'altra. Avevo cercato accuratamente di non incro- ciare Lucifer, ogni volta che lo vedevo la sensazione di saperne di più su di lui, o meglio su di noi, si saldava al mio cuore come un ancora al fondale marino. Per far sì che quel momento arrivasse stavo cercando di capire come muovermi nel tempo, come richiamare l'attimo giusto fra milioni. Il libricino che avevo trovato nell'ampia biblioteca del palazzo si era consumato ulteriormente da quando quella settimana l'avevo letto e riletto, accecata dal desiderio di conoscere. Quel pomeriggio stavo camminando nel giardino chiusa in un grosso cappotto bianco che Crystal mi aveva prestato, spesso mi parve di confondermi con il terreno candido ed innevato. Ero intenta ad osservare le mie mani pallide e rosse, vedevo il sangue pulsare nelle mie vene violacee congelate dal freddo. All'improvviso un fascio di luce arancione mi avvolse e la pietra d'ambra sul mio anello si illuminò, una scossa ---d'adrenalina mi colpì e allo stesso tempo brividi di paura mi scossero: lui aveva bisogno di me.

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Mi ritrovai nel mezzo di Hinode la capitale di Lys, sommersa tra gli alti e caratteristici palazzi moderni che al posto del tetto avevano una cupola di vetro. Erano tutte di forme strane per lo più nere, bianche e trasparenti, riflettevano i raggi del sole conferendo un aspetto ancora più luminoso alla città. Il grande mega schermo posizionato sulla facciata di un palazzo dava il telegiornale, il traffico era eclatante, molte auto fluttuanti erano in fila ad un semaforo. Dov' era Deimos e soprattutto cosa ci faceva lì? Come al solito non aveva ascoltato ciò che gli avevo detto prima di partire, si era allontanato senza di me dalla residenza! Sezionai ogni angolo della strada affollata poi d'un tratto rimasi impietrita alla vista della sua macchina abbandonata ed aperta, il conducente era scomparso e ancor peggio Deimos con lui. Cercai di individuarli ma era così pieno di vicoli e gente che mi sembrò impossibile farlo. Stavo perdendo il controllo.

«Mostrami la strada ti prego!» implorai il sole con una mano sul cuore. Dopo qualche secondo una luce bianca con sfumature arancioni si alzò dal mio petto e tutti i passanti mi fissarono scioccati, non so se dire se per chi fossi o per cosa stavo facendo. Lanciai il giubbotto bianco ed ingombrante che era diventato superfluo sul marcia- piede, la mia usuale armatura nera scintillò al sole come non aveva fatto per giorni. Corsi dietro la lucina finché dopo aver percorso un vicolo stretto e deserto arrivai ad un edificio abbandonato. L' aria che si respirava a Hinode era decisamente diversa da quella del palazzo del gover- natore dove regnava la tradizione ed il rigore. Sembravamo secoli indietro rispetto all'ampia città super tecnologica.

Il sole era al mio fianco non dovevo aver paura anche se l'ansia non mi aveva abbandonata un secondo e strinsi lo scudo e la spada che si materializzarono fra le mie mani. Aprii la porta del piccolo magazzino con cautela mentre la lucetta continuava a farmi strada. Sentivo puzza di muffa e polvere, trovai quel posto ripugnante, tutto apparvetranquillo finché una voce non risuonò nel vuoto, quella voce, trasalii.

«E' stato molto più facile di quel che pensassi.» diceva beffardo l'uomo che aveva aggredito Deimos alla festa. «Senza di lei non sei molto vero? Ad ogni modo il Governatore ne sarà felice!»

Mi nascosi dietro il muro che divideva le due stanza lerce e buie, mi sporsi leggermente per vedere cosa stava succedendo. Deimos aveva le mani legate, era seduto su una sedia barcollante senza schienale. L'uomo che avevo sentito parlare lo schiaffeggiò con una tale forza da fargli sanguinare il naso, quella scena mi riempii di collera. Stavo cercando di rimanere lucida, non riuscivo ad immaginare quali conseguenze avrebbe comportato un passo falso in una situazione così delicata.

«Cosa ne facciamo di quella sgradevole creatura?» chiese il secondo uomo se così si poteva definire, anche se da quel momento in poi avevo deciso che per me sarebbe stato semplicemente abominio. Cercai l'essere di cui stava parlando e quando la individuai i miei occhi si ridussero a fessure, almeno su una cosa io e gli abomini eravamo d'accordo, stavano parlando di Idian.

«Risparmiateci vi pregò!» gridò stridula ed impaurita, cercando di liberarsi dalla corda. Cosa ci facevano insieme? Cominciavo a sentirmi stufa dell'atteggiamento infantile ed immaturo di Deimos ma quello non era certamente il momento adatto per decidere cosa fare della nostra storia ma quando tutto sarebbe finito avrei messo in chiaro lecose una volta per tutte.

«Lasciatela andare è me che volete!» tentò di convincerli Deimos, ma l'abominio rise, decisi che dovevo entrare in azione, cercai di scorgere che armi avessero: nessuna, o almeno così sembrava. Decisi di dover puntare sull'at- tacco più che sulla difesa, erano pur sempre due contro uno e anche se ero in perfetta forma non sapevo cosa aspettarmi. La mia spada ed il mio scudo si librarono in aria, fondendosi in un imponente e lungo spadone con il manico marchiato dal sole che si poggiò per terra, mi chinai a prenderlo. Scattai con agilità dietro alcuni scatoloni ritrovandomi dietro il secondo abominio avevo deciso di trafiggerlo senza pietà, non mi sembrò molto onesto colpirlo alle spalle tuttavia trovai che la correttezza in quella circostanza era l'ultima cosa a cui badare. Mi precipitai su di lui colpendolo con un calcio in faccia che lo fece cadere a terra confuso, con un tonfo sordo sollevando una manciata di polvere che mi fece bruciare gli occhi. Feci in modo che la mia spada trapassasse il suo stomaco e lui imprecò gridando contro di me. Quando si disperse sommerso in una pozza di sangue, tirai via la lama doppia e rossa dal suo corpo.

«E' finita l'ora dei giochi, Vukan il rabbioso.» dichiarai all' abominio rimasto.

«Da dove sei arrivata?» mi chiese allarmato.

«Non penso sia affar tuo.» risposi spavalda, fu il quel momento che bisbigliò qualcosa di strano e nella sua mano cominciò a materializzarsi una spada, una spada infuocata. Si fece avanti e la inchiodò per terra ed una profonda insenatura si aprì davanti ai miei occhi increduli, un fumo denso e nero mescolato ad una fiammata rossa iniziò ad uscirne. Qualsiasi cosa fosse si dirigeva verso di me, arretrai ma capii che era inutile, viaggiava veloce. Mi si strinse alla gamba facendomi perdere l'equilibrio, era pesante ma non bruciava. Il generale di Suarì tirò fuori la spada dal pavimento e con un calcio deciso mi lanciò verso degli scatoloni ammassati al muro, l'impatto mi provocò una ferita sul viso che iniziò a sanguinare tanto, ma sentii Deimos gridare «No!» disperato. La schiena mi faceva male e quando cercai di raddrizzarmi scricchiolò contrariata. Strinsi il mio spadone più decisa che mai apriila mano libera in cui comparvero dei fili di luce dorata e li gettai sull'ombra ancora legata alla mia gamba, quando si toccarono un fascio di luce esplose dal contatto e l'ombra si ritirò sotto la potenza delle mie corde solari.

«Interessante!» osservò compiaciuto Vukan ancora incappucciato. Impiegai tutta la concentrazione che ero riuscita ad accumulare per richiamare la mia spada ed il mio scudo, ma mentre il mio spadone si divideva una mano composta da quella materia untuosa si materializzò davanti ai miei occhi. Mi afferrò il collo e decisa mi spinse contro il ruvido muro grigio sollevandomi da terra. Non riuscivo a respirare, iniziai a sentirmi persa e sconfitta mentre il generale mi fissava soddisfatto. Lucifer e Deimos dovevano aver torto, loro sapevano, sapevano molto più di quanto noi non sapessimo sui loro poteri.

«Mi aspettavo di meglio anche da te, principessa.» disse con un ghigno. Il mio scudo era per terra affiancato dalla mia spada, ne avevo bisogno più che mai. Cercai di richiamarlo mentalmente ma non voleva rispondermi. L'aria cominciava a venir meno ai miei polmoni mentre l'oscurità stringeva la presa. Non capì bene cosa stesse succedendo all'inizio ma d'un tratto Vukan allentò la presa e mi lasciò scivolare per terra, tossì e respirai a pieni polmoni sentendomi di nuovo viva. Di fronte a me un vortice nero e stellato aveva respinto l'ombra in un angolo lontano della stanza mentre l'uomo teneva le mani sugli occhi gridando. Lucifer era qui. Non potevo perdere tempo, presi lo scudo che era al mio fianco elevandolo, non avrei più permesso che quella cosa viscida mi toccasse. Materializzai la barriera intorno a noi, che sovrastò la fioca luce nella stanza. Quando fui abbastanza sicura di poterla reggere mi buttai di nuovo all'assalto dell'uomo accecato dal vortice prodotto da Lucifer, pensai di dover puntare alle gambe così da impedirgli di toccare gli altri presenti ma l'uomo era troppo massiccio e mi riuscì difficile pensare di arrivare direttamente al suo petto o al collo, caricai ma non appena i raggi luminosi del mio scudo toccarono l'abo- minio egli sembrò bruciare. Inveì contro gli astri con le peggiori bestemmie, finche' non prese il compagno morto da terra e disse:

«Ci rivedremo presto!»
Scomparve di nuovo davanti ai miei occhi stanchi. Mi lasciai cadere sul pavimento noncurante di quante malattie mi attendessero, ero esausta e sollevata allo stesso tempo, stavamo tutti bene ed era l'unica cosa che per me contava. Deimos mi fissava preoccupato dalla sedia rotta e Idian doveva essere svenuta, lo intuii dal fatto che era stranamente silenziosa, per fortuna. Lucifer si affrettò verso di me tendendomi la mano.

«Tutto bene Lianne?» chiese studiandomi, posai i miei occhi sul suo viso come avevo cercato di non fare per quasi tutta la durata della mia permanenza a Siyah. Non sarei mai riuscita ad esprimere la mia gratitudine a parole così mi limitai a fissarlo ammirante.

«Come mi hai trovata?» bisbigliai.
«Ti ho vista scomparire nel giardino, avevo una brutta sensazione. Ho chiesto a Caleb di cercarti e appena ti ha trovata mi sono precipitato qui.»
Mi rimisi in piedi senza smettere di fissarlo, ero sicura che da qualche parte nel tempo c'era la prova delle sue parole. Non riuscivo a capire perché Deimos affollasse i miei pensieri in modo così irrazionale se veramente ero appartenuta a Lucifer. Quel pensiero mi ricordò che non eravamo soli, lasciai la mano di Lucifer dirigendomi verso Deimos.
«Come ti sei fatto mettere nel sacco tanto facilmente?» dissi ironica, lui alzò le mani mostrandomi le strane fascette che le tenevano legate. Erano di un materiale che non avevo mai visto prima, quando le sfiorai si sgretolarono.
«La mia luce non è stata abbastanza forte da farle ritrarre.» mi spiegò con una nota d'amarezza nella voce. Rimase seduto a fissarmi con il viso incrostato di sangue poi si mise in piedi e mi strinse forte al suo petto, sentii il suo cuore martellare irrequieto.
«Quando ti ho vista al muro ho avuto così tanta paura.» sentii un brivido percorrergli la schiena, lo strinsi a mia volta ed iniziai a piangere, le lacrime si mischiarono con lo sporco e il sangue facendomi bruciare la ferita. Lucifer stava liberando Idian ed io mi staccai da Deimos fissandolo in cagnesco, lui mi guardò implorante come se volesse chiedermi il beneficio del dubbio.

«Ne parliamo a casa.» promise avvicinandosi a Lucifer. Pensai non fosse il caso di origliare la sua conversazione così lasciai il magazzino in silenzio. L'attimo di debolezza che avevo avuto un secondo prima era già scomparso, mi diressi fuori dal magazzino. Era sera, potevo scorgere le luci della città fuori da quel vicoletto buio. Una folata di vento fresco mi accarezzò il viso, mi sentii grata alle stelle per aver superato quella giornata. Premei il bottone piccolo e arancione situato sulla manica della mia armatura e recitai «Chiamata», quando la proiezione del tastierino comparve digitai il numero del palazzo e chiesi che Leon ci venisse a prendere. Deimos uscì dal magazzino con Idian fra le braccia ed io mi sentii irritata da tutta quella situazione che aveva creato.

«Dov'è andato Lucifer e che fine ha fatto il conducente dell'auto?» chiesi scontrosa.
«Lucifer è tornato a casa, riguardo il conducente è fuggito.» non aggiunse altro di fronte al mio cambio d'umore. Ci dirigemmo sulla strada principale sotto gli occhi increduli e divertiti dei passanti, nell' attesa nessuno dei due parlò e quando Idian si riprese, non disse niente nemmeno lei. Era pallida e stanca mentre io ero sporca ed impolverata quasi quanto i volumi sulla mia libreria che mi ripromettevo sempre di spolverare. Sentivo ancora un forte dolore alla schiena, ero esausta ed arrabbiata ma allo stesso tempo sollevata perché Deimos era ancora al mio fianco e soprattutto respirava. Ero appoggiata al muro con le braccia conserte, cercavo di mantenere la lucidità e le distanze che avevo preso da lui. Ero proprio curiosa di sentire il suo racconto al riguardo dell'accaduto. Il vice generale non ci impiegò molto ad arrivare, d'altro canto le macchine erano diventate molto veloci e funzionavano ad energia solare e lunare, avevano motori potentissimi e non inquinavano come qualche secolo prima. Salii nell' elegante macchina nera che ci attendeva accostata al marciapiede. Idian si sedette al mio fianco mentre Deimos prese posto di fronte a me al fianco di Leon, gli rivolsi uno sguardo severo e carico di disapprovazione.

«Generale io...» gli feci cenno di tacere, al palazzo lo avrei sistemato per bene.
«Non è stata colpa sua, sono voluto uscire io senza scorta.» si intromise Deimos. Ancora una volta volevo prenderlo a cazzotti, non capivo da dove gli uscissero quelle geniali trovate. Mi sembrava di parlare con il muro perchè si rifiutava di comprendere che era in costante pericolo, non sapevamo ancora cosa quegli abomini volessero da noi. Il tragitto verso il palazzo mi sembrò eterno, e quando ci lasciammo alle spalle le luci ed il caos della città fui contenta. Arrivammo alla tenuta e notai con piacere che il mio scudo era ancora alto e brillava nella notte, potevo vederlo splendere e riscaldarmi. Scesi dall'auto, sbattendo lo sportello sperando che Deimos sentisse la rabbia che avevo accumulato in quel gesto sgarbato e Leon percepisse la mia frustrazione. Come erano arrivati quegli abomini in città, come avevano trovato Deimos e soprattutto cosa sarebbe successo se non fosse riuscito a chiamarmi e allo stesso tempo Lucifer non fosse intervenuto per aiutarci? Procedevo a passo spedito verso il suo studio, lui mi era alle calcagna quando fui di fronte la porta la aprii senza indugiare, aspettai che entrasse anche lui e la chiusi a chiave.

«Cosa diavolo ti è passato per la mente?» dissi rivolgendogli uno sguardo truce  «Ti ho lasciato quattro giorni, quattro dannatissimi giorni e tu per poco non ti sei fatto catturareo forse peggio ammazzare! Cosa sarebbe successo se non fossi arrivata? E se Lucifer non fosse arrivato? Le mieistruzioni erano chiare, dovevi solo seguirle!» aveva tirato fuori dei fazzolettini bagnati e li aveva appoggiati sulla scrivania.

«Sapevo che saresti arrivata.» ribatté. «Scusi generale se non ho seguito i suoi ordini alla lettera, la prossima volta starò più attento quando deciderà di prendersi un'altra vacanza insieme al biondo.»

Raccolsi la sua provocazione. «Ora vorresti insinuare che è colpa mia?» gli urlai mentre prendeva posto sulla sedia, estrassi un fazzoletto dalla scatola ed iniziai a tamponargli delicatamente il viso per ripulirlo dal sangue incrostato. «Oltretutto dopo quattro giorni ti sei consolato vedo!» conclusi verde dalla gelosia e lui rise amareggiato.

«Mi rattrista che mi consideri così viscido. Potrei dire lo stesso di te, Lianne.» sussurrò sinceramente rattristato ed io scossi la testa.
«Comunque ora non stiamo parlando di noi, stiamo parlando delle follie che ti saltano per la testa!» avevoriiniziato a gesticolare furiosa, per sbaglio sbattei al taglio sul mio viso che riprese a sanguinare, non sapevo quanto profondo fosse ma sperai che non avrebbe lasciato alcuna cicatrice. «Questo popolo ci ha aspettati per decenni non puoi permetterti di passare la vita ad essere torturato da degli abomini o ancor peggio dargli quello che vogliono, sai quanto conta la tua esistenza per tutti noi?» si alzò dalla sedia e afferrò il mio mento costringendomi a guardarlo, non seppi leggere cosa c'era nei suoi occhi forse rabbia, frustrazione, dolore.

«Solo per il popolo giusto? Per te non sono nient'altro che l'anello debole.» non sapevo se ridere o piangere. Stava attribuendo a me il pensiero che lui stesso si era fatto sulla sua persona.

«Vedo che hai problemi d'autostima» mi limitai a dire e lui mi lasciò sbuffando.
«Dobbiamo andare dal dottor O'Callagan, la tua ferita continua a sanguinare senza sosta.» mi passai la mano in faccia, ma non ero decisa a mollare.

«Non ci muoveremo da qui finché non mi spiegherai cosa ti è passato per la testa, Deimos.» mi lasciai cadere sul divano di fronte al camino inutilizzato, questa volta pulendo il mio di viso e mi costrinsi a fissare l'ampio lampadario per evitare il suo sguardo tagliente.

«Senti, non so dirtelo davvero, avevamo deciso di fare visita alla tomba di mio padre ad un certo punto la nostramacchina è caduta nell'oscurità e ci hanno preso, ti ho chiamata immediatamente.Il resto già lo sai».

Oh ma che carini, stavano andando a visitare il suocero mancato di Idian! Passai il fazzoletto bagnato sul mio viso con più forza, la sensazione di fresco mi fece sentire sollevata ed il suo profumo di vaniglia mi aiutò a dimenticare l'odore di chiuso e sangue che aveva infestato quella palazzina malconcia. Mi chiesi improvvisamente perché fossi corsa a salvarli... perché dovevo ovviamente, mentii a me stessa. L' interruttore sul mio braccio si illuminò, lo premetti distrattamente «Chiamata in arrivo» annunciò la stessa voce metallica di qualche ora prima.

«Lianne?» la voce maschile all'altro capo era seriamente preoccupata e sapevo perfettamente a chi apparteneva. «Lucifer.» tirai un respiro di sollievo.
«Volevo scusarmi per essere scomparso, avevo delle cose urgenti da sbrigare.» osservai Deimos che mi guardava torvo e cupo, si avvicinò e feci in tempo a dire solamente: «Scuse accettate, anzi volevo ring...»

Deimos presse il tastino ed io lo fissai incredula, mise una mano sulla spalliera del divano e si piegò su di me. «Stavamo parlando mi pare.» la sua rabbia era palese, riempiva i suoi tratti e stringeva i suoi occhi in una smorfia tesa. «Non sono l'unico che si è divertito come tu sostieni in questi giorni a quanto pare.» Eravamo faccia a faccia, sentivo che il mio spirito combattivo era stanco e cominciava a vacillare. Si alzò e mi prese per mano. «Andiamo» disse trascinandomi. Aprì la porta ed io lo seguii pigra per le scale, arrivammo allo studio del dottor O'Callagan che ovviamente a mezzanotte era vuoto, aprì un mobiletto attaccato alla parete tirando fuori dell'ovatta, ci spruzzò sopra del disinfettante e delicatamente tamponò la mia ferita. Sentii la guancia bruciarmi quasi quanto il mio cervello confuso e stanco.

«Aia!» piagnucolai, ma scosse la testa divertito e più tranquillo. Non tolse i suoi occhi da me neanche per un istante. Era perfetto e bello come lo avevo intensamente ricordato durante il periodo di lontananza, notai con piacere che lo schiaffo dell'uomo non gli aveva provocato danni gravi. Era scuro in viso come una notte senza luna, una notte senza di lui. Sospirai, si staccò da me e prese da uno scaffale un cerotto applicandolo sul taglio e si muoveva come se conoscesse alla perfezione quel posto. Alle nostre spalle l'ampia finestra mostrava fiera il cielo, la luna alta e piena sopra le montagne ci illuminò nell' ombra dello studio accompagnata dagli occhi vivi e sfavillanti di Deimos. La notte era silenziosa e potevo udire esatta- mente i nostri respiri leggermente affannati rimbombare nelle mie orecchie. Si avvicinò di nuovo e chiusi gli occhi, anche se non ero in torto non sarei riuscita a sostenere un altro suo sguardo così colmo di sentimenti. Appoggiò la sua testa alla mia, sentivo il suo sguardo su di me. «Perché non riusciamo ad andare d'accordo?» sospirò ma io non risposi. «Quando te ne sei andata non sapevo cosa pensare. Ho sbagliato tutto lo so, non ti taglierò più fuori, domani ti mostrerò tutto ciò che io e Lucifer abbiamo raccolto sulla sciabola e sugli uomini di Suarì se questo può farti sentire meglio. Sembriamo due treni che viaggiano su binari paralleli verso la stessa direzione, ma a quanto pare non siamo destinati a toccarci...» fece una pausa, stavo cominciando a demordere. «Lucifer me lo dice sempre che ti tratto come una bambina, ma il mio scopo non è questo, non è quello di farti sentire male o inferiore, ma unica- mente quello di proteggerti, nonostante il più debole fra i due sia io.» Mi sentivo il cuore pesante come sommerso da una valanga di tensione e amore accumulata nel tempo.

«Non puoi capire cosa voglia dire non sentirsi all'altezza, cosa voglia dire non riuscire nemmeno a proteggere la propria donna. Quando Lucifer è arrivato a salvarti mi sono sentito così inutile, i tuoi occhi su di lui mi hanno fatto pensare di averti persa.» sentii la sua frustrazione attaccarmisi addosso come il caldo in una giornata afosa. 

«Deimos, ferendomi ed allontanandomi non ci aiuti ad andare d'accordo. Stupidamente in questi anni ho pensato che quando ti avrei avuto sarebbe stato tutto facile e fantastico, mi sbagliavo. Io voglio davvero sposarti ma ho bisogno che ti fidi di me e mi dici di cosa hai bisogno.» recitai quelle poche parole tutto d'un fiato aprendo gli occhi, potevo vederli riflessi nei suoi, quasi bianchi quella sera.

«Ho bisogno solo di te.» sussurrò. «Ho bisogno di sapere che stai bene e sei al sicuro fra le mie braccia, solo di questo.»
Abbassai lo sguardò sul pavimento, le piastrelle erano bianche come i muri, mi ricordò vagamente il bagno a Siyah, d'altronde era un ambulatorio non so' cosa mi aspettassi. Cercai di concentrarmi sulla loro forma quadrata per impedire ai miei occhi di piangere, ma non ce la feci. Quelle erano le parole più belle che qualcuno mi avesse mai dedicato ed io non potevo rimanerne indifferente. Mi portai le mani in viso, perché io? Perché non potevamo essere normali, sposarci, avere dei bei bambini dai capelli neri e folti con gli occhi verdi? Notando il mio sconforto, scansò le mie mani sostituendole con le sue, mi costrinse a guardarlo per l'ennesima volta quel giorno e baciò una delle mie lacrime. «Non piangere, mio piccolo sole, ti prego!» il suo tono era dolce, ma nei suoi occhi c'era stampata una tristezza profonda ed antica, quella che aveva sempre risieduto nelle sue ombre. Baciava ogni lacrima che scendeva e piano piano mi calmai, ero stanca di fare la sostenuta lo strinsi a me baciandolo, speravo sentisse quanto mi aveva ferita, quanto mi era mancato, quanto lo desiderassi. Eravamo avvolti nel nostro turbinio di passione, fu un bacio lungo e passionale diverso da quelli di prima, consapevole ecco com'era. Quando finalmente ci staccammo tirò fuori dalla tasca il piccolo e grazioso anello che mi aveva già dato quando mi aveva chiesto di sposarlo, mi aprii la mano e mi sussurrò:
«Questo appartiene a te e spero che non me lo restituirai mai più.» mi rivolse un altro sguardo intenso carico di premura e speranze, mi baciò la fronte e mi strinse. Lasciai che il suo calore mi avvolgesse finché non decise di sua spontanea volontà di allontanarsi da me.

«Credo che andrò a dormire» annunciò. «Domani abbiamo molte cose di cui discutere, ti prego va a riposare anche tu.» annuii, mi accarezzò la guancia e si avviò, lo vidi perdersi nel corridoio con lo sguardo, in silenzio.

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