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Capitolo 6 - Tra luci e ombre

Il giorno dopo mi svegliai esattamente dove mi ero addormentata, fra le sue braccia sulla sedia. Sentii l'allegro cinguettare degli uccellini fuori dalla finestra e pensai di essere proprio dovevo avevo sempre voluto, al suo fianco. L'ultima cosa che ricordavo era lui che mi mormorava dolci parole con tono caldo e amorevole. Probabilmente aveva rifiutato di svegliarmi una volta che mi ero addormentata. Dormiva ancora beato, il suo incarnato era chiarissimo ma splendeva illuminato dal primo sole. La sua mascella era ben marcata, e la bocca sottile era schiusa in un piccolo sorriso sghembo, mi chiesi cosa stesse sognando. Non ricordavo che le sue ciglia fossero così lunghe, ero tentata di accarezzarlo ma alla fine decisi di passargli delicata- mente una mano fra la folta chioma nera. Me ne pentii subito dopo, quando aprì di scatto gli occhi, fissandomi ancora addormentato e confuso.

«Scusa.» dissi mortificata, lui sorrise e mi strinse forte a sé. «La sedia è più comoda di ciò che avessi mai potuto pensare» disse. Scoppiammo in una risatina complice. Scesi dalle sue gambe controvoglia, immaginai che gli formicolavano dopo aver sostenuto tutta la notte il mio peso. Ci mise un po' ad alzarsi, si stiracchiò e aprii la finestra guardando fuori.

«C'è proprio un bel sole oggi fuori.» disse sinceramente toccato.

«Di certo non poteva esserci altro.» osservai.

«Hai ragione.» sorrise «Ma quando passi cinque giorni in un luogo con così poca luce, poco calore, sotto un cielo grigio e tonnellate di neve, capisci quanto ti è mancato il sole con il quale hai sempre vissuto.»
Questo mi ricordò la discussione della sera prima, dovevo ritentare! Ero curiosa di sapere perché se n'era andato in gran segreto, senza dirmi niente e soprattutto senza farsi sentire. Che cosa doveva fare a Siyah? Per quale ragione non poteva dirmelo? Mentre io ero persa nelle mie riflessioni, lui si stava già dirigendo alla porta.
«Ci vediamo tra poco a colazione.» cantilenò allegro salutandomi dall'uscio.
«Aspetta!» dissi involontariamente con una tonalità troppo alta tanto da far risultare la mia voce un grido, mi affrettai a raggiungerlo. Corrugò la fronte curioso di sapere cosa avevo da dirgli.
«Promettimi che mi racconterai perché sei andato via senza dirmi niente e mi spiegherai cosa dovevi fare a Siyah!»
Il suo volto si fece scuro e apprensivo.
«A tempo debito lo farò, Lianne.» ribatté, mi diede un frettoloso bacio sulla fronte e lasciò la stanza. Mi sentivo, tutta la beatitudine e la tranquillità di qualche attimo prima era svanita nel nulla. Quella sensazione di essere tenuta all'oscuro di tutto non mi si scollava di dosso, non capivo se lui e Lucifer non si fidassero di me o cos' altro. Presi il sacchetto che avevo appoggiato sul tavolino la sera precedente riponendolo con cure nel cassetto in cui era sempre stato, ma mi accorsi c'era qualcosa di diverso. Mi strofinai gli occhi per essere sicura di ciò che avevo visto: una busta da lettera marrone che mi risultò familiare, era lì, non sapevo se aprirla o meno. La osservai per bene e mi chiesi com'era finita nel mio cassetto, era impossibile che non l'avessi trovata fino a quel momento, era in bella vista e si percepiva che non apparteneva nostri tempi. Più nessuno ormai scriveva lettere e soprattutto le spediva, il Devertech gestiva una fitta rete di comunicazione tanto veloce quanto utile. La busta era chiusa da un sigillo con impresso lo stemma della nostra famiglia, un piccolo sole con otto raggi, che rappresentavano gli otto generali più importanti che avevano servito il governatore prima di me, i miei antenati. Decisi di strappare la busta per scoprirne il contenuto, quando lessi la firma rimasi di sasso: «Al mio sole Lianne, con amore il tuo papà». Mio padre? Ma che diamine! Iniziai a scorrere con gli occhi la lettera.

«Mia cara bambina, se stai leggendo questa lettera vuol dire che lui è già venuto a farmi visita. Mi ha mostrato una tua foto (incredibile come si sia evoluta la tecnologia, i colori erano così nitidi e mi sembrava di averti al mio fianco!), sei diventata più bella, forte e luminosa che mai, proprio come il sole che brilla fiero davanti a me mentre ti scrivo. Tanti pericoli incomberanno sulla tua vita e tante decisioni aspettano di esser prese, ma so che ce la farai. Credi sempre in te stessa, e appoggiati alla Luna quando senti che le nuvole ti oscurano. So che Deimos ti ama tanto per ora e la profezia fino a questo momento si è rivelata esatta, tuttavia nessuno di noi sa prevedere con precisioni l'evoluzione degli eventi. È stato da me qualche mese fa ma posso supporre che per te corrisponda a qualche giorno; mi ha raccontato della pallottola e del matrimonio (sono sicuro che ora sei al settimo cielo ora, spero che tutto vada come previsto). Nella mia epoca hai appena un anno e sei perfetta, ai miei occhi mi sembra incredibile che ti stia lasciando fra le braccia di un uomo che non sia io. Ora basta con i sentimentalismi, ti sto scrivendo questa lettera perché in concomitanza con la tua nascita e con quella degli altri quattro immortali a noi noti, un gran pezzo della profezia è stato rubato. Ti chiedi cos'è la profezia probabilmente. Oh mi rammarica così tanto non aver vissuto abbastanza per spiegarti tutto questo di persona!»

Una lacrima scese sul mio viso ed iniziai a chiedermi se tutti credessero che avevo problemi d'autostima vista l'insistenza con il quale mi ricordavano di credere in me stessa. Non è colpa tua, papà! pensai, volevo leggere tutto per dargli un senso compiuto, ma già fin lì mi sentivo triste, vuota ed arrabbiata. Deimos aveva visto mio padre? Il Deimos del presente? Ma come e perché? Mi aveva detto che non nascondeva nulla. Decisi di accantonare la mia rabbia e riprendere da dove avevo lasciato, nella speranza che mio padre mi desse altre informazioni preziose ed illuminanti.

«La Profezia, bimba mia, è una previsione molto dettagliata del futuro, scritta dal nostro capo stirpe cioè quello della Luna, delle Stelle e infine da quello del Veggente. Fino ad oggi la profezia si è rivelata dettagliata ed esatta, ovvero dettava che voi sarete nati all'alba dei tempi moderni in un anno che iniziava con 3 e finiva con 6. Recitava che un giorno il Sole e la Luna si sarebbero innamorati, ed un anno più tardi qualcosa fra loro sarebbe cambiato. In quattro anni una cruenta guerra sarebbe scoppiata. Ti starai chiedendo chi può attentare alla vita dei prescelti? Ebbene, come saprai la leggenda non raccontava di due uomini e due fazioni, ma bensì di tre.»

Non avevo mai dato troppa importanza alla leggenda, mi pentii della mia ignoranza. L'avevo sempre ritenuta una stupida storiella da bambini per interpretare da dove venivamo.

«L'ultima fazione vive nel buio, gelosa dello splendore del sole, della luminosità delle stelle, del pallore e la grazia della Luna. Non siamo riusciti a leggere nell' epoca in cui mi trovo la fine della profezia, ma probabilmente tu e Deimos potreste riuscirci. Nella profezia si accennava ai viaggi nel tempo e a come avvenissero in maniera totalmente casuale in caso aveste manifestato il bisogno di sapere qualcosa. Badate bene a ciò che necessitate. Non sono sicuro di ciò che farete o farò nel futuro, ma dovete cercarla (non la profezia) prima che loro le posino quelle sudice mani addosso. Ti ho dato tanti spunti utili e spero che potranno esserti di aiuto e indirizzarti sulla giusta via. Avrei molte altre cose da dirti e tante altre verità da rivelarti, ma non sono coraggioso come te. Spero che quando capirai realmente come stanno le cose saprai continuare ad amarmi come fai adesso, sorridendomi ogni volta che ti prendo fra le braccia e tirandomi la barba con le tue piccole mani morbide. Continuerò a proteggerti fin quando ne avrò le forze, mi dispiace che non potrò portarti all'altare probabilmente sarò morto già da un bel pezzo. Sono sicuro che se avrò dei nipoti saranno fantastici come te a prescindere da chi sia il padre. Ho minacciato Deimos, se ti tratta male lo perseguiterò per il resto della vita rinunciando alla pace eterna. Detto questo, mio piccolo sole, ricordati di non vergognarti mai di chi sei, cammina a testa alta e sii forte, convinta delle tue scelte. Ti voglio bene.

"Al mio sole Lianne,
Con affetto il tuo papà."
»

Mi appoggiai al muro, premendo la carta ingiallita sul mio petto, era ruvida e sporca. Piangevo a dirotto e non ero abbastanza lucida per immagazzinare tutte quelle informazioni. Rimasi inerme ad ascoltare tutti i rumori fuori dalla finestra, il vento leggero che frusciava scuotendo i rami degli alberi, gli usignoli che cantavano allegri la loro melodia, il personale che ridacchiava camminando fuori dal giardino, i loro passi che risuonavano calpestando l'erba. Mi sembrò di rimanere così per ore ma in realtà erano stati solo pochi minuti. Riposi la lettera con cura, nascondendola nella scatola dorata di ferro sotto il materasso in cui custodivo le chiavi. Non mi ero lavata ma non era una mia priorità, stavo correndo giù per le scale come una furia, spesso rischiai di inciampare sui miei stessi piedi che si attorcigliavano nel tappeto rosso di moquette che era stato posizionato sulle scale. Il mio portamento regale si era appena andato a far benedire. Quando finalmente mi trovai di fronte la stanza in cui in genere io e Deimos consumavamo i pasti, aprii la porta bruscamente e lui mi fissò accigliato

«Ancora non ti sei cambiata?» mi disse «E' successo qualcosa?»
Mi chiedeva se era successo qualcosa? Niente a parte il fatto che aveva visto mio padre nel passato senza dirmi niente, che gli aveva raccontato minuziosamente del presente e gli aveva mostrato una mia foto. Mi sentii pervasa dal risentimento. Mio padre del passato aveva scritto una lettera alla me del presente  -mi chiesi se questo non infrangeva tutte le regole spazio temporali anche se in fin dei conti il cambiamento che aveva provocato era stato minimo per l'universo ed enorme per me-  mi sentivo crollare.

«Hai qualcosa da dirmi?» il mio tono era gelido e lui cominciò ad essere allarmato tanto. Lasciò il suo bacon nel piatto, alzandosi dalla sua comoda sedia rivestita di stoffa rossa, si diresse verso di me, cauto. Mi chiusi la porta alle spalle, poi feci girare la chiave che era già nella serratura perché non volevo alcun tipo di disturbo, da nessuno. Non rispondeva, perché non rispondeva? Sperai che mi confessasse tutto e avremmo evitato quella lite deleterio. «Perché non me l'hai detto? Tu hai visto mio padre!» urlavo furibonda, i miei occhi erano ridotti a fessure. Lui diventò ancora più pallido di quanto già non fosse prima.

«Hai viaggiato?» chiese piano in seguito ad un altro silenzio carico di trepidazione.

«No! Ho ricevuto una lettera!» gli riferì guardandolo in cagnesco. Si fece cadere sulla sedia, con la faccia tra le mani poi di scatto si rialzò e mi afferrò delicatamente il polso, mi liberai immediatamente dalla sua presa poco convinta. «Non capisci che sono coinvolta anche io!» ripresi a strillare gesticolando con foga come facevo sempre quando la mia rabbia superava i limiti consentiti, spesso avevo anche rischiato di schiaffeggiarlo nell'impeto. «Non sei solo! Mi tieni sempre allo scuro di tutto! Io sono qui per proteggerti e tu per farti proteggere, che senso ha chiedermi di sposarti se non ti fidi di me? E dopo, dopo sarà ancora così? Tu partirai di nascosto, complotterai con Lucifer e Caleb, parlerai in segreto con mio padre ed io sarò qui ignara ad aspettarti? Magari speri di trovarmi lì alla porta devota e servile! Non illuderti, io la prescelta del sole, sono il generale! E se vuoi una interessata solamente ai tuoi soldi o al tuo bel visino, che ti accontenta e asseconda allo scuro di tutto, sposa Idian!» 

Cercò di avvicinarsi ma fu inutile, il sole era sceso a proteggermi: un fascio di luce colpì la stanza creando una barriera fra noi due. Che cosa avevo combinato? Il sole avrebbe dovuto difenderlo non respingerlo, mi sentii in colpa per l'abuso di potere che avevo appena commesso ma non riuscii più a tornare indietro, ero in un bivio. Lo studiai con un occhiata veloce, i suoi lineamenti erano piegati in una smorfia di dolore, non lo riconoscevo più, mi sembrava più vecchio e stanco. Vacillava, la sua sicurezza era svanita nel nulla. Mi voleva al suo fianco per domarmi? Per far sì che stessi zitta e non facessi più domande? Che cos'ero io per lui? Immancabilmente dovetti chiedermi cos'era lui per me. Non l'avevo mai conosciuto, non era più il mio Deimos. Dovevo lasciare quel palazzo, le sue mura erano diventate una sala delle torture per me, dovevo lasciare lui che tanto non aveva bisogno di me.

«Non posso farlo.» dissi piano questa volta, non piangevo perché non mi avrebbe comunque aiutato a calmarmi, tantomeno mi avrebbe restituito quello che stavo perdendo il quel momento. Le lacrime non rispecchiavano il dolore lancinante e la sensazione di tradimento che mi sentivo attaccata alla pelle e al cuore, come una sanguisuga mi stavano portando via la vita. Tutto quello che avevo costruito e per cui avevo combattuto negli ultimi anni era appena andato in fumo. Mi sfilai l'anello che mi aveva dato una settimana prima e lo posai sul tavolino vicino alla porta che, girandomi, aprii.

«Aspetta, ti prego!» gridò implorante alle mie spalle intrappolato dal sole, ma non potevo, non potevo più aspettare. 

Mi diressi nel mio studio, chiesi a Jan di chiamare Leon, il mio vice generale. Guardando la mia espressione capì che avevo fretta e così prese a correre frenetico alla sua ricerca sbattendo a parecchi mobili e librerie. Mi sedetti sull'ampia poltrona marrone dietro la scrivania, massaggiandomi le tempie come facevo sempre quando il mio cervello stava per esplodere. Davanti avevo ancora i piani di difesa che avevo meticolosamente studiato quella settimana per quando Deimos sarebbe tornato. Mi voltai verso la grande finestra alle mie spalle, andava dal pavimento al soffitto ed era la cosa che amavo in assoluto di più in quella stanza, ogni volta che guardavo fuori mi sembrava di vedere un film. Il sole era alto nel cielo, fiero ed imponente, mi dispiaceva molto averlo usato contro colui che doveva proteggere. Pochi minuti dopo la porta si aprii cigolando e l'uomo massiccio dai capelli castani con gli occhi di un colore che ancora non riuscivo a classificare, a causa delle loro strane sfumature violette, mi si presentò davanti. 

«Generale, Jan mi ha detto che avevate urgente bisogno di vedermi.»

Annuii. Doveva essere nervoso, si grattava freneticamente ed era il suo modo di prevedere una sciagura, doveva essere lampante nei miei occhi.

«Sto' per partire.» annunciai. «Non so per quanto tempo, sei già stato istruito per questo momento, prendi le redini in mia assenza, lo scudo è ancora alto quindi non ci dovrebbero essere problemi ma raddoppia la sorveglianza.» mi guardava crucciato.

«Ma generale...» cercò di dire, gli feci cenno di tacere. «Ho delle cose da sbrigare e ho bisogno di una pausa. Ho fiducia in te quindi non mi deludere, Leon.»
Mi studiò per qualche altro minuto e poi annuì, si porto la mano alla fronte in segno di saluto, lo congedai con un gesto ed appena se ne fu andato presi la carta da lettera ed inizia a scrivere saltando i convenevoli:
«Ho bisogno di andarmene Deimos, ho lasciato istruzioni precise a Leon, lo scudo è eretto, ti lascerò l'anello nella busta contenente questo biglietto.»
Ero indecisa, dovevo scrivere «A presto», «Addio» o «Arrivederci». Esclusi l'addio, avevo dei doveri da compiere potevo assentarmi per qualche giorno, settimana, ma non di sicuro per mesi. Decisi per l'arrivederci, lo scarabocchiai velocemente con la mia calligrafia disordinata. Presi una busta arancione, ci misi dentro la lettera ma non la chiusi. Andai in camera mia e immaginai che Deimos doveva già esserci stato, la porta era spalancata, probabilmente in quel momento mi stava cercando da qualche altra parte. Dovevo essere veloce così presi dalla scatola il sacchetto rosso contente l'anello che mi aveva riconsegnato la sera prima, al ricordo sentii l'amaro riempirmi la bocca. Riluttante lo misi nella busta, chiudendola. Chiamai Jan e gli dissi che stavo per partire, doveva consegnare quella lettera al governatore solo dopo che fossi già lontana, lui mi fece segno di aver capito e mi diede una leggera pacca sulla spalla sussurrando un «Buona fortuna». In fondo, dopo tutti gli anni in cui l'avevo visto diventare piano piano un uomo e nei quali mi aveva servito lealmente eravamo diventati buoni amici, sapevo di potermi fidare di lui. Presi la mia valigia e ci buttai dentro un paio di vestiti, due pigiami, due paia di scarpe, spazzolino, trousse, spazzola, la lettera di mio padre e la foto con mia madre, poi mi ci sedetti sopra cercando di chiudere la chiusura lampo. Afferrai tre delle mie armature e le adagiai con delicatezza dentro il porta abiti nero. Tirai fuori dalla scatola ancora aperta sul mio letto il mazzo di chiavi che aprivano tutte le camere private, sfilai quella che apriva la stanza della botola e me la misi in tasca. Tirai la valigia giù dal letto ed agguantai il porta abiti. Cauta controllai che il corridoio fosse vuoto, chiusi la porta di camera mia a chiave e a passo veloce mi diressi giù per le scale senza inciampare questa volta. Aprii il lucchetto della stanza della botola e mi ci precipitai dentro appena udii dei passi in vicinanza, pochi secondi dopo sentii anche delle voci: Jan e Deimos. Evidentemente Jan mi aveva visto scendere e aveva pensato che già fossi partita.

«Signore.» gli sentii dire. «Il generale mi ha chiesto di consegnarvi questa.»

Lo immaginai mentre con le sue mani ossute porgeva la lettera a Deimos e per un attimo fui curiosa di vedere il suo viso, ma non potevo e non volevo, sapevo che la sua espressione non mi avrebbe lasciata indifferente. Ebbi una altra fitta al cuore. Qualche minuto dopo lo senti gridare «Dannazione!» seguito da un altro rumore, aveva tirato un cazzotto al muro. Dovevo andare ormai non avevo più tempo così mi infilai nella botola e cercai di dimenticare la sua voce.

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Quando emersi non c'era Caleb ad aspettarmi quella volta ma bensì due guardie, sfoggiavano le loro armature lucenti, uno impugnava una lancia, l'altro una spada ed un scudo. 

«Vostra luminescenza.» disse uno, ed io trovai alquanto divertente il suo modo di porsi. «Master Caleb aveva previsto la vostra visita, ma non ha potuto accogliervi.»

Annuii trascinandomi dietro la valigia, faceva freddo, ma la mia priorità non era cambiarmi.
«Devo vedere Caleb e il governatore, per favore.» dissi frettolosa. I due uomini annuirono scortandomi fuori dalla stanza bianca.

La valigia era pesante e la schiena iniziò a farmi male, probabilmente a causa della postura nella quale avevo dormito la sera prima. Una donna con una massiccia armatura grigia mi attendeva fuori. Era bella, con i suoi capelli nero corvino e gli occhi di un verde che mi ricordava le foglie del faggio nella nostra tenuta. Era abbastanza muscolosa e alta, mi sorrise.

«Ho sempre sperato di incontrare il sole.» disse spontanea.

«Avrei dovuto presentarmi in migliori condizioni e circo- stanze per non deludere le tue aspettative.» sorrisi a mia volta, imbarazzata.
«Sono Crystal.» mi porse la mano entusiasta e gliela strinsi, era calda ma non mi spiegavo come, in quel posto per me così freddo. «Tu devi essere Lianne, il governatore e Caleb ti stanno aspettando.» non ero sorpresa. Era difficile coglierli di sorpresa, io e Deimos controllavamo il passato, ma loro vedevano il futuro. La seguii per i vasti corridoi della tenuta, i colori delle pareti e gli affreschi erano totalmente diversi dai nostri, le tonalità che predominavano erano per lo più il grigio e il bianco. Gli affreschi ritraevano sempre il cielo stellato ed una pietra bianca, quasi trasparente, probabilmente era Danburite o Goshenite. Quando finalmente giungemmo allo studio Crystal aprì la porta e dichiarò «Eccoci». Arrossì leggermente ma non capii se alla vista di Caleb o Lucifer. Quest'ultimo mi fissava preoccupato, ed arrossii anche io ai ricordi del nostro ultimo incontro. La congedò con un cenno, lei fece un inchino a mezzo busto.

«Sarò qui fuori di guardia, se vi serve qualcosa chiamatemi.» E così dicendo uscì chiudendosi la porta alle spalle. Lucifer mi invitò a sedermi, lasciai le valigie sulla soglia e adagiai i tre porta abiti neri sul divano nero affianco le vaste librerie sulla destra, liberandomi di un grosso peso. Presi posto sulla poltroncina davanti alla sua scrivania esattamente come l'ultima volta. Probabilmente lui e Caleb si aspettavano che dicessi qualcosa, ma non lo feci, così parlo lui:

«Ci sono problemi al palazzo? Deimos sta' bene? Sembri sconvolta.»
Scossi la testa decisa.

«E' tutto okay al palazzo e Deimos sta bene ma io no.» feci una pausa. «Abbiamo discusso ed io mi sentivo in prigione, quindi mi chiedevo se potevi ospitarmi per un paio di giorni.»

Discusso, non sapevo se era proprio quello che avevamo fatto, probabilmente avevamo rotto.
«Cosa è successo?» mi incitò. Mi presi alcuni minuti poi gli spiegai tutto, di mio padre, delle visioni, della profezia e del litigio. Non sembrava molto sorpreso, mentalmente stava ricomponendo un puzzle e l'unico tassello che gli mancava era quello di mio padre. I suoi occhi celesti mi studiavano mettendomi in soggezione.

«Sei sempre benvenuta qui, come ti ho detto l'ultima volta.» decretò infine. «Ma dovresti sapere che il tuo governatore è il più debole fra tutti noi immortali, escludendo ovviamente quelli dell'altra fazione di cui non conosciamo il vero potenziale.»

Lo guardai inquisitoria. «Ho issato lo scudo, ho dato ordini ben precisi al mio esercito e ha l'anello, ma non riesco a capire cosa vuoi dirmi.»
Continuava a fissarmi, pensieroso. Lucifer non era molto premuroso, men che meno con Deimos, quindi il tutto mi risuonò al quanto strano. Si passò una mano fra i capelli biondi scostando qualche ciocca che gli era caduta sugli occhi.

«Non capisco perché non vuole accettare che avete centotrent'anni a testa e tu non sei più una bambina da difendere o tenere al sicuro, al contrario hai il totale controllo sulle tue azioni e la tua vita. Non comprendo la sua ostinazione ed il suo modo di amare, immagino non stia a me giudicare ma ora mi trovo in questa scomoda posizione e sono costretto a spiegarti tutto al suo posto...» fece una breve pausa ed iniziò:

«Come sai oltre che da noi questo mondo è popolato da individui oscuri che occupano la parte più bassa del pianeta. Non abbiamo idee in merito a come ci si arrivi o di come essi siano esteticamente. Pensiamo che la pallottola che ci hai portato tuttavia provenga da lì. Non sappiamo di preciso cosa stanno cercando o cosa vogliono, ma sappiamo che non si fermeranno finché non l'avranno ottenuta e le cose potrebbero peggiorare in modo drastico da qui a quattro anni. Probabilmente sono stati loro a rubare la profezia, ma sicuramente non sono al corrente dei doni di cui siamo dotati, quindi non sanno che due della nostra allegra gang possono vedere il passato ed uno il futuro.» indicò prima me e poi Caleb che stava aggiungendo legna al grande camino al nostro fianco. «Tuttavia Deimos ha compiuto parecchi viaggi nel passato e Caleb ha avuto molte visioni, ma le cose che entrambi hanno riferito sono confuse e ancora oggi stiamo cercando di venirne a capo.»
Riflettei, probabilmente era per questo che il governatore si era assentato la settimana scorsa, aveva visto qualcosa ed aveva bisogno di Lucifer.
«Questo non spiega tuttavia perché secondo te Deimos è il più debole fra di noi.» riflettei ad alta voce. Fu Caleb a parlare questa volta che nel frattempo si era seduto sul tappeto d'orso bianco di fronte al focolare, porgendo pericolosamente le mani vicino al fuoco.
«Come sai ognuno di noi è dotato di armi o mezzi per far funzionare la propria dote, ad esempio tu puoi chiamare il sole dalla tua parte ogni volta che lo desideri e nel tuo anello sono state rinchiuse la spada, lo scudo e lo spadone forgiate personalmente dal sole. A me basta guardare nella mia pietra di Goshenite per avere una visione o le informazioni che desidero, posso ad occhio decretare i punti deboli del nemico ed infine Lucifer può usare le stelle quando vuole».

Lucifer fece schioccare le dita e la stanza si riempi di nero, tante piccole luci brillavano sul soffitto, era una visione mozzafiato. Aprì la mano e tutto fu risucchiato nel suo palmo, come se un buco nero stesse risucchiando la stanza, lo fissavo estasiata e lui ne rimase compiaciuto.

«Questo è solo un fenomeno da baraccone.» mi spiegò «Posso fare molto di peggio, ma questo non è il punto.» mi guardò dritta negli occhi. «Quando sei nata le tue armi forgiate dal sole furono inserite nell'ambra dell' anello che oggi porti al dito ma anche la luna ne creò una riversando gran parte del suo potere lì. Da ciò che ha potuto vedere Deimos centotrentadue anni fa, l'arma è andata persa e così non fu inserita nell'anello. Si tratta di una risorsa molto potente, pare sia una sciabola a forma di mezza luna in grado di tagliare e distruggere qualsiasi cosa con un solo colpo e con il potere del prescelto di sferrare potenti attacchi ad area. In più sembra sia l'unica arma in grado di uccidere gli immortali.»

Lo ritenevo molto raccapricciante, pensai che era uno strumento di distruzione di massa fatale e deleterio per il mondo. Deimos viaggiava nel tempo da cinquant'anni o forse più non fui sorpresa di essere allo scuro anche di quello.

«Non c'è modo di ritrovarla? E soprattutto perché me l'ha nascosto?» chiesi leggermente alterata cercando di restare concentrata sul discorso ma Lucifer sorrise alla mia ingenuità.

«So che caparbia com' è farebbe di tutto per seguirmi se cercassi di ritrovare la sciabola.» imitò il tono di voce di Deimos. «Ed io non vorrei mai che le accadesse qualcosa.» Scoppiammo a ridere tutti e tre, ma mi sentivo malissimo. La sua priorità era sempre stata difendermi senza capire che io ero stata scelta e creata per difendere lui, l'avevo trattato come un miserabile prima di andarmene.

«Forse» riprese con il suo tono normale e tranquillo. «Si è dimenticato che sei la combattente più forte e preparata che questa terra abbia mai visto, oltre tutto hai il sole dalla tua parte ed il tuo compito è difenderlo. Ad ogni modo Caleb ha avuto una visione riguardo la sciabola qualche giorno fa, ma non siamo riusciti ad identificare il posto e pensiamo si trovi vicino al mare o comunque in territori da noi non ben conosciuti, era in una caverna.» 

La testa mi faceva malissimo l'unico posto che mi saltava in mente era Hydrara la città sul mare. Cercavo di dare un senso al tutto ma non ci riuscivo, mi stavo iniziando a perdere in quella marea di informazioni superflue e non avevo capito che dovevo prepararmi di più, se in quattro anni la guerra sarebbe scoppiata veramente non potevo permettermi di essere colta impreparata come l'ultima volta.

«Sei stanca.» osservò Lucifer «E' meglio che riposi, ti accompagno in camera tua.»

Si alzò e mi porse la mano aiutandomi a rimettermi in piedi a mia volta, prese la mia roba e ci avviamo fuori dalla porta. Salutai Crystal con un cenno che lei ricambio distratta, intenta a guardare dentro lo studio qualcosa o forse qualcuno. Camminammo in silenzio finché non ci ritrovammo di fronte una grossa porta argentea, Lucifer la spinse ed entrammo, presse l'interruttore e le luci si accesero.

«Qui c' è il bagno» disse indicandomi una porta affianco alla sedia su cui stava appoggiando la mia roba. La camera era spaziosa, c'era una libreria, un mobile ampio con dei cassetti ed un grosso letto era posizionato nel suo centro. Lucifer accese il camino.

«Immagino che il sole avrà freddo in una terra fredda e tetra come la nostra.» continuò mostrandomi un sorriso sghembo, in effetti fuori dalla finestra la neve cadeva ininterrottamente da quando ero arrivata.

«Grazie.» sussurrai, mi si avvicinò con un'aria seria che poche volte gli avevo visto assumere e mi strinse.
«Sai che per te ci sarò sempre vero?» bisbigliò ed io mi senti avvampare con più violenza, annuendo. Mi sembrava di aver già vissuto quel momento, che avessi dimenticato? «So che non provi ciò che provo io, anche se mi hai amato più volte di quelle che tu possa mai immaginare.» disse triste lasciandomi andare. Capii che ero stata crudele a presentarmi lì da lui, abusando di ciò che provava per me, ma quel qualcosa io non potevo provarlo con la sua stessa intensità. L'attrazione che c'era fra noi era lampante, la si percepiva dalla tensione che si avvolgeva tutto in nostra presenza. In tutto quel tempo mi ero sempre sottratta ai suoi sentimenti e soprattutto ai miei, non volevo affrontarli. Qualcosa di molto antico risiedeva in me e mi legava a lui come un nodo, tuttavia non era un sentimento lucido e cosciente come quello che provavo e avevo scelto di continuare a provare per Deimos.

«Sarà meglio che vada.» decise, mi salutò con un ampio sorriso e se ne andò lasciandomi sola con me stessa. La stanza era accogliente, le pareti ora erano diventate nere sfumate di bianco, davano un effetto molto scenico e sofisticato all' ambiente ma allo stesso tempo mi mettevano agitazione. Volevo contattare Deimos, così mi affrettai a cercare il Devertech e lo trovai vicino al camino: emanava luce ad intermittenza che mi infastidì. Lo azionai ed un tastierino fu proiettato davanti a me, inserii il numero del palazzo e recitai «Chiamata» visto che non volevo davvero vederlo evitai la video chiamata. Una voce metallica rispose alla mia richiesta: «Stiamo trasferendo la sua chiamata, attenda in linea.»

Il telefono iniziò a squillare. «Pronto?» rispose quasi immediatamente una voce incerta all' altro capo dell'apparecchio, lo immaginai nella penombra del suo studio, afflitto. Sembrava triste e stanco, era come un cazzotto nello stomaco.

«Deimos.» deglutii, ci fu un attimo di silenzio in cui si senti il rumore della sedia strisciare sul pavimento.
«Lianne, dove sei?» non potevo dirglielo.
«Non posso dirtelo.» sussurrai sperando che provasse ciò che provavo io ogni volta che mi teneva all' oscuro di qualcosa. «Ma sto' bene e tornerò fra qualche giorno.» Altro silenzio.

«Senti...» disse infine. «Sono stato uno stupido non dovevo nasconderti quello che ho visto, ho sbagliato e quando tornerai ti racconterò tutto. Ho questa ossessione di tenerti al sicuro, se ti perdessi non riuscirei ad andare avanti, è già successo al principio e molte altre volte a seguire. Mi dispiace...»

Mi sentivo responsabile per le cattive parole che gli avevo dedicato qualche ora prima ma non mi sentivo ancora pronta a perdonarlo.
«So già tutto» sospirai.

«Come?» mi chiese sorpreso.
«Me l'hanno riferito Lucifer ed Caleb.» avevo paura che chiudesse la chiamata, mi sentivo stordita.

«Sei stata da Lucifer?» disse in tono piatto, ma colsi una nota di gelosia.
«Si.» non avevo intenzione di dirgli che ci ero rimasta. «Torna a casa.» suonò come una supplica. Mi mancava, volevo toccarlo, baciarlo, stringerlo, scusarmi ma quello non era il momento giusto, il momento per noi. Rivolsi lo sguardo fuori alla finestra sulle montagne innevate, quanto lontani eravamo?

«Non posso, devo cercare delle risposte. Ma per favore ascolta Leon e sii cauto, io tornerò presto come ti ho già detto, ora devo andare.» sentivo un buco nello stomaco espandersi fino al cuore, mi sentivo prosciugata da ogni tipo di emozione, non sapevo nemmeno perché. «Lianne...? Ti amo» cantilenò dolcemente, un'altra fitta al cuore. Come la felicità della sera prima poteva essersi trasformata in angoscia e sofferenza? Non risposi, sapevo che sarebbe stata una bugia in quel momento. Ero confusa sui miei sentimenti più che mai.

«Buonanotte» dissi fra i singhiozzi e senza dargli tempo di rispondere pressi l'interruttore e chiusi la chiamata. Andai in bagno, riempii la vasca e mi misi a mollo. La stanza aveva un arredamento minimale, il muro era bianco come tutti i sanitari e mi ricordava un ambiente ospedaliero e sterile trasmettendomi una grande sensazione di vuoto. Trovai la vasca molto stretta e scomoda, non era quella di casa mia. Appena mi sentii pulita uscii e mi asciugai i capelli, presi il pigiama dalla valigia e me lo infilai. Posizionai la fotografia con mia madre sul comodino affianco al mio letto e sotto vi infilai la lettera di mio padre. Un secondo dopo tutto era di nuovo tenebre e luce.

«Non ora implorai.» non avevo la pozione con me, nella fretta di organizzare il mio viaggio improvvisato l'avevo dimenticata. 

---

Mi ritrovai in un magazzino che riconobbi come quello del nostro palazzo e rapida mi nascosi dietro un mucchio di scatoloni marroni, sigillati e messi in pila al mio fianco. Avevo paura che potessero cadere da un momento all'altro schiacciandomi. Mi sporsi appena e ciò che vidi mi fece sorridere. Il Deimos sedicenne che parlava con la me stessa di oggi.

«Che ci fai qui?» chiese lui sorpreso. «E soprattutto quanti anni hai?»
Io, cioè l'altra me, lo guardava con i miei stessi occhi verdi ma la luce che li illuminava era piena di affetto e nostalgia. Si poggiò con le spalle al muro mettendo le mani sui fianchi e non smise di studiarlo neanche per un secondo, pensai che fosse alla ricerca del Deimos dei suoi ricordi. «Se dicessi all'incirca cento trentaquattro, mi crederesti?» La fissai curiosa, non mi sembravo cambiata per niente, la mia gestualità era sempre la stessa, come i miei modi. Notai con sollievo che picchiettavo ancora il piede destro a terra come tutte le volte che ero nervosa. L'unico cambia- mento che notai era al mio dito. Sulle mie mani piccole l'anello che Deimos mi aveva dato durante la sua proposta di matrimonio – mi sentii estremamente nostalgica ed addolorata a mia volta- era scomparso sostituito da una piccola fede dorata che scintillava. Ci eravamo già sposati? Quindi c'era ancora una chance per noi nel futuro.

Il giovane Deimos dopo lungo tempo annuì decidendo di dargli fiducia. La me stessa del futuro riprese più tranquilla e meno agitata.
«Sono qui per informarti che tra un centinaio d'anni qualcosa cambierà e romperà la pace ma devi ricordarti quello che sto per dirti.» assunse il mio tono dispotico e continuò. «Devi cercarla ad ogni costo è l'unica possibilità di anticiparli, guarda dentro te stesso e saprai dove trovarla! Il prezzo da pagare è alto e cambierà tutto ma saprai andare avanti.»

Il giovane Deimos la guardava confuso e sbigottito, stava cercando di decifrare le sue parole ma dubitai fortemente che ci sarebbe riuscito presto.

«Cosa devo cercare?»
Lei lo ammutolì con un gesto.
«Non posso dirtelo, ma abbi fiducia in me e a tempo debito saprai cosa fare! E con me intendo anche la me stessa del tuo futuro e del presente. Ora devo andare.» «Saggio consiglio» mi congratulai mentalmente con l'altra me.
Lui continuava ad osservare la mia io invecchiata estasiato finché non recepì il suo messaggio.
«Aspetta! Ho un'altra domanda!» la afferrò e al suo contatto arrosi perdendo leggermente l'equilibrio, era ancora così innocente. Lei si voltò e lo fissò proprio come facevo io aspettando la sua domanda, era impaziente e frettolosa.

«Io... amo una ragazza, ma mio padre mi ha chiesto espressamente di starle lontano e maltrattarla. Come immagino tu sappia è morto e non posso neanche chiedergli spiegazioni ma ha manifestato il chiaro desiderio che io sposi un'altra, farò la scelta giusta?» Lei scoppiò in una fragorosa risata, quella ragazza dovevamo essere noi.

«Non puoi fermare il destino. Posso dirti che sarai molto felice in futuro con la ragazza che sceglierai, ma solo tu saprai se è stata la scelta giusta quando accadrà. Ad ogni modo segui il tuo cuore.»

Gli rivolse un altro sorriso radioso e scomparve nel nulla. Deimos continuava a fissare sconnesso - come me d'altro canto - il punto dal quale io, cioè lei, era comparsa e scomparsa finché non iniziai a svanire anche io. Buio, poi di nuovo luce ed io mi ritrovai nella camera che mi avrebbe ospitato per qualche giorno. Stavo perdendo me stessa, lo sentivo. Nell'ultimo periodo ero sempre rabbiosa, nervosa non splendevo più come una volta, non splendevo come aveva fatto lei pochi istanti prima. Eppure avrei dovuto essere felice, avevo lui che mi amava come avevo sempre fatto io, avevo il sole, avevo... nulla, perché in realtà Deimos non mi apparteneva, continuava a trattarmi come se fossi un estranea ed il sole stava uscendo fuori dal mio controllo. Era diventato difficile andare d'accordo con me stessa, la mia personalità stava diventando sempre più spigolosa e ruvida, tutta la sofferenza che avevo sigillato in un angolo di me stessa tempo addietro stava rivenendo a galla prepotente ed io non sapevo come attenuarla. Cercai di fare il punto della situazione: mia madre non era mia madre anche se ne stavo ancora cercando la conferma. Stavamo cercando tutti qualcosa ed immaginai che quel qualcosa fosse la sciabola. La gente che abitava l'abisso così oscuro ai confini dell'altro emisfero del nostro pianeta ci avrebbe attaccato ed io e Deimos non riuscivamo più ad andare d'accordo, qualcosa sarebbe cambiato fra di noi tanto da farmi chiedere se seguire lo stesso patto che avevo scelto. La me del futuro aveva detto che saremmo stati felici insieme ma mi risultava molto difficile crederci in quel momento. Lei lo stava vivendo dopo tutto, dovevo avere fiducia, non potevo perdermi nelle ombre e non dovevo permettergli di affievolire il mio sfolgorio. Avevo una forte emicrania, dovevo dormire. Mi lasciai cadere sul letto inaspettatamente soffice e così caddi in un sonno

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Mi svegliai nella penombra della mia stanza e mi profondo. Mi sentii stordita. Il mio cervello era ancora dormiente, dovetti guardarmi intorno due volte per capire dove mi trovavo. L'ambiente era scuro, nonostante fosse giorno penetrava solo una luce fioca e debole dalla finestra chiusa. Fuori era tutto bianco ma non stava nevicando, sentii lo scrosciare della pioggia sui vetri e mi persi nello sconforto. Fui travolta in un turbine di pensieri che mi riportò alla mente tutto quello che avevo visto e sentito la sera prima. Decisi che non potevo abbattermi, dovevo alzarmi, così di botto scesi dal letto con un balzo e aprii la finestra. L'aria era gelida come avevo immaginato e sentendo una raffica di vento tagliente sul mio viso mi ritrassi rabbrividendo. Cominciai ad avvertire una forte nostalgia di casa..

Presi la mia armatura in pelle, tutta nera e aderente: lasciava una gamba scoperta e sulle spalle vi era disegnato il simbolo arancione del sole, che in quell' oscurità splendeva e sembrava più lucente che mai. Come di consuetudine spesi un'ora a prendermi cura di me stessa, fra bagno, capelli e altro, quando ebbi finito decisi di andare a sgranocchiare qualcosa, il mio stomaco che brontolava. Uscii dalla mia stanza e mi misi alla ricerca della sala da pranzo, girovagai per venti minuti buoni nei vasti corridoi tutti uguali della tenuta, senza successo. Stavo per arrendermi al mio fallimento quando riconobbi un viso conosciuto fra quelle fredde mura: Crystal.

«Hey!» le dissi felice come non mai di incontrare qualcuno, mi sorrise raggiante ammirando la mia armatura.

«Buongiorno Generale!»
Quel giorno ne indossava anche lei una veramente parti- colare: grigia e sfarzosa con alcune gemme incastonate sul petto, nonostante fosse un armatura la trovai estrema- mente femminile. Crystal non poteva essere un soldato semplice era a stretto contatto con Lucifer e Caleb, ero quasi sicura che avesse una cotta per quest'ultimo ciò implicava una conoscenza molto più intima di quella che un soldato semplice potesse avere.
«Sai dove posso trovare qualcosa da mangiare?» le chiesi con un barlume di speranza negli occhi.
«Certo, seguimi!» le sorrisi più felice che mai, il mio stomaco che mugolava ancora si sentii sollevato. Solo i passi risuonarono nei corridoi deserti e silenziosi finché non cercai di avventurarmi in una goffa conversazione: «Allora di cosa ti occupi qui al palazzo?»
Crystal continuava a guardare in avanti, come se stesse cercando di ricordare la strada a sua volta. Il suo porta- mento distinto e solenne aggiungeva qualcosa in più al suo fisico massiccio e slanciato così particolare.
«Beh diciamo che sono il generale. Le cose qui a Siyah sono gestite diversamente da Lys.»
Aver trovato un'altra donna generale mi eccitò, non essere più la sola donna in armata che conoscessi mi suonò strano. Molti alla mia vestizione avevano pensato fosse folle che una donna comandasse l'esercito, che preferisse le armi ad un bel vestito ma non mi sentii toccata dalle loro critiche, vivevano nella loro ignoranza e superficialità questo mi bastò per non dar conto alle loro parole. Trovai Crystal ancora più simpatica di quando si era offerta di accompagnarmi a mangiare, scoprendo quante cose avessimo in comune.

«Come gestite quindi la milizia?» chiesi curiosa, lei si voltò verso di me sorridendomi con i suoi denti piccoli e dritti. «A Lys tu sei il capo delle forze armate quindi è tutto nelle tue mani, qui sono divise sotto la supervisione di due cariche. Io alleno e guido l'esercito ma a dirigerlo e a pianificare il resto ci pensa Caleb.»

Avevo un forte desiderio di conoscere come due persone potessero gestire lo stesso esercito. Doveva esserci molto feeling e sintonia fra lei e Caleb per prendere decisioni importanti in un tempo generalmente ristretto, e soprattutto, insieme. Quell' osservazione riportò la mia mente a Deimos, se fossimo stati noi sicuramente l'esercito sarebbe andato in rovina in un paio di giorni. Fra me e lui non c'era né comunicazione né fiducia, eravamo un duo veramente mal assortito. Fui sinceramente contenta che ognuno di noi si facesse gli affari suoi controllando ciò in cui era specializzato senza interferire nel lavoro dell'altro. Riconobbi che Caleb tuttavia era una risorsa molto preziosa, sapeva dove e quando colpire grazie alla sua dote per stendere il nemico nel minor tempo possibile, oltre alla vasta cultura che si era fatto studiando al palazzo, aveva proprio un vero talento naturale.

«Tu e Caleb siete molto vicini?» la domanda mi uscii spontanea. Svoltammo l'angolo e mi pentii della mia sfrontatezza. Crystal diventò rossa fino alla punta delle orecchie, un nuovo bagliore le illuminò gli occhi verdi facendoli scintillare nella penombra di quel labirinto, apparve molto più bella e giovane di quanto non lo fosse mai stata da quando l'avevo conosciuta. La risposta era diventata ovvia a quel punto.

«Uhm...» sembrava sinceramente a disagio. «Io e Caleb andiamo molto d'accordo, condividiamo gran parte delle nostre giornate per ovvie ragioni, ma non so qual ora potesse scegliere se lo rifarebbe. Ad ogni modo non siamo vicini in quel modo.» colsi l'amarezza e la delusione nella sua voce pacata, agitava la mano su e giù come voler scacciare una mosca o un pensiero fastidioso. Dovevo aver toccato un nervo scoperto.

«Scusa!» mormorai mortificata. «Non volevo metterti a disagio, sono un impicciona.» stavo arrossendo anche io ma lei mi sorrise gentile tranquillizzandomi. Il suo viso era uno dei più espressivi che avessi mai conosciuto, lasciava trasparire tutto quello che le passava per la mente riflettendosi sui suoi tratti gentili e trasparendo dagli occhi incavati e sfavillanti, era genuina ed istintiva.

«Ma cosa dici! Sono io che mi imbarazzo troppo facilmente! E tu cosa mi racconti? Ho sentito che il nostro governatore ha un debole per il sole.» non sapevo bene cosa rispondere ma fui grata che non sapesse di Deimos che era un tabù per me in quel momento. Le voci di corridoio ci avevano preso, indubbiamente Lucifer era interessato a me ma in tutti quegli anni mi ero impegnata a non cadere fra le sue braccia tenendo il mio pensiero fisso su Deimos. C'era attrazione ed intesa fra noi, tuttavia ogni volta che ero al suo fianco sentivo una sofferenza antica farsi strada sul suo viso ed un muro ergersi fra noi.

«Si, probabilmente è così, ma non penso che sia rilevante.» mi guardò con un'espressione indecifrabile, come se volesse capire ad ogni costo cosa mi passava per la mente. «Dovevo ehm... cioè devo... a dir la verità spero di sposarmi con qualcun altro. Non fraintendermi non sono costretta! Io lo voglio, l'ho adorato fin da quando eravamo bambini ma ho sempre pensato fosse un amore non corri- sposto. Poi qualche giorno fa tutto è andato a mio favore.» feci una pausa ricordando il bel ricordo che mi sembrava così lontano. «Penso che venendo qui io abbia rovinato tutto, litighiamo spesso.»

Sentii di nuovo quella fitta al cuore, leggendo lo sconforto sul mio viso Crystal mi diede una pacca di incoraggiamento sulla spalla, sembrò volermi rincuorare. Quel gesto mi ricordò Jan, chissà come se la stava passando al palazzo con Deimos imbestialito che gli aleggiava intorno. Mi chiesi se fosse sfuggito alla sua ira, la prima sfuriata era sempre la peggiore, lo sapevo per esperienza. Sperai di si, lui non c'entrava niente.

«Siamo arrivati!» annunciò. «Vuoi che ti faccia compagnia?» mi chiese e io annui contenta. Era una specie di mensa, doveva essere dedicata ai componenti dell'esercito, lo riconobbi dall'arredamento scarno e poco appariscente. In contrapposizione all'ingresso semibuio, sulla parete opposta vi erano alte vetrate che mostravano il paesaggio freddo e facevano entrare un po' di luce, al centro della sala parecchi tavolini neri e rettangolari in lamiera erano disposti in maniera casuale e disordinata. In un angolo isolato dal resto della stanza c'era un grosso bancone che lasciava intravedere tramite la sua vetrata varie prelibatezze. Lo puntai avvicinandomi con passo energico e chiesi al cameriere che mi servisse una fetta di torta al cioccolato e del caffè. Io e Crystal ci accomodammo ad un tavolo vicino alla finestra, ogni volta che il mio sguardo si posava fuori ero tentata di chiamare il sole ed illuminare quel posto cupo. Parlammo del più e del meno, mi rincuorava aver trovato una nuova amica. Stavamo per andarcene quando le tenebre mi inghiottirono di nuovo, i miei viaggi stavano aumentando esponenzialmente di numero, si presentavano sempre a distanza più ravvicinata e non seppi decidere se fosse un bene o un male, chissà Crystal cosa aveva pensato quando mi aveva vista scomparire da sotto il suo naso.. Questa volta mi ritrovai nello studio di Lucifer, cercai riparo fra le due librerie al mio fianco, pensai fosse il rifugio più vicino e sicuro. Dovetti trattenere il fiato e stringermi su me stessa per entrare nello spazio angusto che li divideva. Deimos era seduto sulla poltrona davanti al camino stava giocando con un piccolo mappamondo, lo lanciava per aria e lo riprendeva. Non avrei saputo dire quanti anni mi distanziassero dal presente, i prescelti erano uguali.

«Allora cosa hai intenzione di fare? Mi aiuterai?» chiese. Lucifer si era finalmente fermato, osservava corrucciato il paesaggio scuro e cupo fuori dalla grossa finestra dietro la sua scrivania. I suoi occhi azzurri erano pieni di turba- mento nonostante i suoi tratti fossero distesi e tranquilli. «Come potrei dirti di no. In fondo ci conosciamo da sempre.» rispose, non riuscivo a cogliere il soggetto della loro conversazione.
«Suppongo che tutti si aspettassero di più dalla luna.» continuò Deimos. «Ma sono come una pistola con il caricatore vuoto, totalmente inutile.»
Sembrava pensieroso e frustrato, osservai i suoi bicipiti indurirsi e rilassarsi mentre tirava la pallina per aria, mi sembrava passata un eternità dall' ultima volta che mi aveva abbracciato, in realtà erano soltanto due giorni. «Non vuoi dirglielo?» chiese Lucifer, girandosi verso di lui trafiggendolo con lo sguardo, stava cercando di leggerlo. «Questo non ti riguarda.» rispose Deimos gelido.
«Pensi sia ancora una bambina? Oh, per favore Deimos apri gli occhi! E' il generale del tuo esercito e sai che senza di lei non ce la faremo mai. Andrà su tutte le furie quando inevitabilmente dovremmo confessare e capirà che gli abbiamo nascosto i nostri piani così a lungo.»

«Tu non la conosci, Lucifer.»
Gli occhi di Lucifer si ridussero a fessure, potei leggere tutto il suo risentimento e dolore.

«Deimos, quando è stata libera di scegliere ha amato me. Fossi in te non dormirei sugli allori, prima o poi i suoi occhi non saranno più accecati dal sole e allora fratello mio dovrai dirle addio. Goditela finché dura piegata dalla volontà di qualcun altro e tu altrettanto.»

Deimos si ostinava non guardarlo ma il suo volto era contratto in una smorfia di disappunto, era alterato. «Possiamo aspettare, deciderò vedendo la piega che le cose assumeranno nel tempo.» decretò alla fine. L' ultima cosa che vidi fu Lucifer scuotere la testa finché dopo il solito alternarsi di bianco e nero, mi ritrovai esattamente dove ero partita. Ero così stanca di tutti quei sotterfugi, Lucifer ci aveva visto bene ero furiosa. Avevo scelto lui? Non ricordavo, perché non ricordavo? La sensazione che avevo avvertito stando al suo fianco non era errata, ci eravamo conosciuti e in qualche modo amati in passato. Ero piegata dalla volontà di qualcuno a suo dire ma mi sentivo perfettamente lucida come lo ero sempre stata. Crystal era di fronte a me, mi fissava preoccupata e apprensiva sbattendo il piede per terra agitata.

«Tutto bene?» domandò dubbiosa. Doveva credermi un extra terrestre o qualcosa del genere.

«Oh sì...» mi sforzai di rispondere mentre avevo ancora la mente annebbiata da ciò che avevo visto. «E' normale tranquilla, mi succede spesso ultimamente.» mi affrettai a spiegarle, lei sembrò scettica e confusa dalla mia spiegazione poco chiara.

«Posso viaggiare nel tempo.» dissi «E questo è quello che succede quando il passato mi chiama. Non ho ancora idea di come rapportarmi con questo dono.»

Annuì pensierosa portandosi una ciocca di capelli dietro le orecchie.

«Si può controllare?» chiese. Avrei tanto voluto saperlo anche io.

«Non lo so.» tagliai corto.
«Potremmo provare a scoprirlo!» ribatté, si grattò il capo come qualcuno che cerca di risolvere un grosso problema. «Come?» aveva tutta la mia attenzione.

«Qui c'è una biblioteca molto fornita che parla delle abilità di ognuno dei quattro immortali e di arti esoteriche, abbiamo anche la versione originale della profezia che, come immagino tu sappia, è stata portata qui da tuo padre in persona dopo che la parte finale fu rubata.»

No non lo sapevo, ma ad ogni modo ignorai quel particolare.
«Portamici ti prego!» la implorai, lei mi sorrise complice prendendomi sotto braccio.

«Andiamo!» esclamò, ed io mi sentii di nuovo come quella mattina quando aveva salvato il mio stomaco.

Crystal aprì l'ampio portone alto fino al soffitto dove vi erano raffigurati il sole, la luna e le stelle. Davanti a noi si estendevano librerie immense ed altissime e qualche tavolo di legno sparso qui e lì, c'era odore di vecchio, di storia, di passato. Al banco c'era una signora paffuta e anziana che appena ci vide si diresse verso di noi frettolosa.

«Come posso aiutarvi, generale?» chiese cortese, inaspettatamente aveva una vocina stridula che non si addiceva affatto al viso paffuto e allo sguardo caldo e dolce. Era una sensazione strana sentire la parola generale rivolta a qualcuno che non ero io.

«Madame Traviè!» le sorrise la mia nuova amica. «Ho l'onore di presentarle il generale dell'esercito di Lys, il sole, Lianne.» Madame Traviè si inchinò subito, come se avesse visto un dio.

«La prego si alzi!» Esclamai imbarazzata. «Non sono il vero sole!» le sorrisi. «Sono solo la discendente che ha la fortuna di ereditare i suoi poteri, le sue armi e la sua compagnia. Potrebbe farle male alla schiena inchinarsi così, una stretta di mano è più che sufficiente!» mi guardò ammirata e Crystal rise a crepapelle.

«Madame Traviè stiamo cercando qualcosa riguardo ai viaggi nel tempo.» le disse.
«Viaggi nel tempo?» ripeté lei, strinse gli occhi in un'espressione pensierosa che le evidenziava le rughe affianco alla palpebra. «Purtroppo non c'è molto mie care».

Si diresse ad uno scaffale altissimo attaccato al muro e quando la vidi salire sull'alta scala mi prese quasi un colpo, avevo paura che potesse cadere da un momento all'altro con il suo equilibrio precario.

«Non è un po' troppo per una signora della sua età?» chiesi a Crystal indicandola con un cenno del capo ma lei rise ancora.

«E' più forte ed in salute di quel che pensi!» mi rassicurò. Madame Traviè sezionò lo scaffale a fondo, spostando i libri con le mani piccole e tozze, sembrava conoscerli uno ad uno, doveva essersi presa cura della biblioteca sin da giovane. Dopo svariati minuti di ricerca sembrò non aver trovato nulla finché soddisfatta non tornò con un libro piccolo e spoglio.

«Ecco qui.» disse orgogliosa porgendomelo. Lo presi cauta, era così vecchio e rovinato che avevo paura mi si sgretolasse fra le mani e si intitolava "Accorgimenti per viaggiatori delle varie epoche", era stato scritto a mano in bella calligrafia. La ringraziai di cuore e lo misi sotto braccio. Io e Crystal uscimmo dalla libreria insieme, ero ansiosa di leggere quel libro, volevo congedarmi. Presi la sue mano fra le mie facendo attenzione a non far cadere il volume e la strinsi. «Grazie di cuore Crystal! Il tuo aiuto mi è stato prezioso!» sul suo volto a forma di cuore comparve il suo solito grande e travolgente sorriso.

«Che ne dici di assistere agli allenamenti di domani in cambio? Magari potresti darmi qualche dritta.»
Mi sentii in dovere di farlo, un po' perché ormai la consideravo mia amica e un po' perché mi sentivo in debito. «Certo!»

«Immagino tu voglia andare a leggere questo adesso.» indicò il libricino cadente sotto il mio braccio e io le feci segno di sì con il capo lasciandogli le mani morbide. «Non vorrei perdere il mio attimo intellettuale.» recitai la frase con il tono di uno scienziato che annuncia una grande scoperta al mondo, ridendo, rise anche lei.

«A più tardi allora!» mi salutò con la mano mentre mi allontanavo. Mi sembrò di camminare per ore prima che finalmente riuscii a trovare la mia stanza, e solo allora realizzai quanto odiavo quel posto. Mi accomodai sulla sedia affianco la porta del bagno e lessi il libro tutto di un fiato, non ci impiegai molto. Con mia grande delusione la maggior parte delle informazioni che custodiva non mi dicevano niente di nuovo: il passato non poteva essere cambiato altrimenti irreversibili danni sarebbero stati inflitti al presente e blablabla. L'unica frase che mi aveva colpita recitava: «I prescelti potranno tuttavia controllare le proprio visioni in modo da vedere ciò che desiderano e non ciò che il fato detta, per compiere quest' operazione è necessario molto allenamento ed una buona dose di concentrazione. Il segreto è rinchiuso in ciò che il viaggiatore ha bisogno di vedere e non in ciò che vorrebbe.»

Ricordai gli insegnamenti del signor Albert ma non comprendevo ancora cosa volesse dire, che cosa avevo bisogno di vedere? Avrei dovuto parlarne con Deimos ma non ritenni quello il momento più adatto, chiusi il volume e guardai fuori. Il cielo si era leggermente schiarito ma ovviamente non c'era traccia del calore o dei luminosi raggi del sole tuttavia trovai il paesaggio fantastico: gli alberi spogli erano pieni di neve, il viottolo oltre la tenuta era stato ripulito ed era l'unico elemento che donava un po' di colore al resto. Si potevano scorgere in lontananza le luci della città che immaginai affollata come la nostra capitale, piccoli fiocchi cadevano dal cielo e si posavano lentamente sull'ambiente circostante. Rapita, aprii la finestra e mi sedetti sul marmo freddo del cornicione con le mani aperte per raccogliere quei piccoli fiocchi a sei punte ma qualcuno bussò alla porta interrompendo il mio attimo magico.

«Si?» chiesi senza voltarmi, la risposta non tardò tanto ad arrivare.

«Sono Lucifer, posso entrare?» che sorpresa, pensai. «Certo!»

Aprì la porta, immaginai che stesse sorridendo ma decisi di non guardarlo. Non avevo ancora dato un senso alle parole che aveva pronunciato in passato.
«Ti disturbo?» chiese con tono allegro.

«Certo che no!» replicai sincera, mi guardavo le mani arrossate dal gelo cercando di rimanere concentrata, tutte le volte che eravamo soli mi sentivo tremendamente in soggezione.

«Volevo sapere oggi come ti senti.» disse, era premuroso come sempre. Mosse qualche passo verso la finestra appoggiando una mano sull'anta aperta, osservai il suo riflesso nel vetro. Era bello ed informale, faceva impallidire tutto ciò che lo circondava compresi quei piccoli cristalli di ghiaccio che si fermavano sulle mie mani ed avevo considerato tanto graziosi ed affascinanti.

«Molto meglio, grazie.» feci una smorfia rimproverandomi per quel pensiero. «E tu come stai?» mi affrettai a chiedere. «In ottima forma, mi fa stare bene averti qui.» guardavamo nella stessa direzione, fianco a fianco come se fosse stato sempre così. Mosse il suo sguardo su di me, con la coda dell'occhio potei distinguere il carico di emozioni nei suoi occhi. Non capivo cosa ci aveva divisi o perché avessi scelto Deimos a lui, morivo dalla voglia di saperlo.

«Ho viaggiato anche oggi!» lo colsi alla sprovvista e lui alzò il sopracciglio destro guardandomi interrogativo.
«E cosa hai visto?»
«Te e Deimos che parlavate di una cosa. Riflettendoci penso sia la sciabola, quello che mi ha sorpreso nella vostra conversazione erano le parole che avete speso per qualcuno che non doveva sapere, qualcuno che ti aveva amato in passato, quando poteva ancora scegliere. Posso suppore che quel qualcuno sia io. Quindi tu sei suo complice, mi avete tenuta allo scuro di tutto compreso di qualcosa che ho fatto e non ricordo.» lo accusai, inchiodando i miei occhi dentro i suoi. Lui rimase impassibile e sereno, sorrise amareggiato dalle mie insinuazioni.

«Sai benissimo che se fossi stato io te l'avrei detto subito ma la cosa non riguardava me e tu non sei il generale del mio esercito.» sibilò. Anche lui sembrò volermi colpevolizzare, era irritato ed i suoi fantastici occhi azzurri mi fissavano severi ed accusatori, dovevo aver acquisito una buona abilità nel far arrabbiare gli uomini che mi amavano. Tacqui cogliendo la frecciatina che mi aveva appena lanciato. Un silenzio che io interpretai come imbarazzante cadde su di noi, mi girai verso l'interno della stanza riportando le gambe dentro, sentivo le mie dita scricchiolare ad ogni movimento come se fossero fatte di pietra. Il contrasto fra calore che il camino sprigionava e la mia pelle fredda mi provocò un brivido.

«Perché non ricordo di essere stata tua?» gli chiesi abbassando gli occhi sul pavimento di moquette persa nello sconforto. Non era possibile che avessi dimenticato una cosa così importante.

«Non posso dirtelo, la risposta ad ogni modo è dentro di te, sei tu a doverla e a doverti ritrovare.» Disse alzandomi il viso con la mano grande ed inaspettatamente calda, eravamo vicinissimi e per un attimo pensai che mi avrebbe baciata. Non riuscii a ritrarmi e così rimasi in attesa di qualcosa che non accadde.

«Sarà meglio che vada prima che perda il controllo delle mie azioni.» annunciò liberandomi ed io non lo trattenni. Gli rivolsi un cenno di saluto con la mano e lui lasciò la stanza in silenzio e senza voltarsi. Brava Lianne, combini sempre i casini migliori mi complimentai con me stessa lasciandomi affondare nel divano ancora caldo con il suo profumo che invadeva l'aria. Se è veramente come dici io lo scoprirò, Lucifer. 

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