Capitolo 14 - Notte scura senza luna
Mi ritrovai in un bosco fitto, pieno di rocce e ruscelli, era notte fonda. Potevo sentire i gufi e le cicale cantare come sempre del resto, alzai gli occhi al cielo ma potei vedere poco e nulla, era coperto da una fitta boscaglia che mi impediva di scorgere cosa vi fosse oltre il verde delle foglie poggiate sui rami. Non vedere la Luna splendere mi dava una sensazione strana, quasi di vuoto, non potevo immaginare una notte senza rf in quel momento ne appresi il significato mentre il buio mi schiacciava ed io fui costretta a chiamare il sole a me per vederci chiaro. Mi chiesi se fossi nel posto sbagliato r Deimos aveva ragione, non riconoscevo nulla di quel luogo, non mi apparteneva. Mi sedetti su un masso in attesa, sperando che qualcosa accadesse, stavo per conoscere una di chissà quante delle mie vite, stavo per conoscere una io che non ero io. Rimasi a studiare la foresta per parecchi minuti, l'odore di muschio non mi dispiaceva anche se gli occhi gialli che si affacciavano spesso dagli alberi mi impressionavano. Udii dei passi, qualcuno correva nella mia direzione: un ragazzo e una ragazza si muovevano veloci nel buio con solo una piccola fiaccola fra le mani. Qualcosa dentro di me suggerì che loro erano la risposta che stavo cercando, la storia che avevo scritto ma non vissuto in prima persona o letto. Decisi di seguirli, li pedinai per alcuni metri finche' non li persi di vista. Delle urla squarciarono l'aria pesante di quella notte senza luce.
«Ti prego, resisti!» implorava il ragazzo.
Mi avvicinai per osservare meglio la scena ancora incapace di mettere a fuoco il tutto. Il ragazzo era piegato su una buca abbastanza profonda, stava cercando di sostenere il peso della ragazza che vi era caduta dentro, si era aggrappata a lui e stava cercando di reggersi con tutte le forze riposte nelle sue braccia esili.
«Lasciami andare!» piangeva. «Non ce la farai a salvarmi, lo sai!»
Il ragazzo cercò di tirarla su nonostante le sue proteste, il suo corpo era snello e sembrava mal nutrito, tutti i suoi tentativi furono vani. Mi sentii allettata dalla prospettiva di aiutarli, decisi che non era necessario intervenire in un passato così lontano dove non esistevano neanche le luci, dovevo essere solo la spettatrice di quella macabra scena. La mano sudata della ragazza stava scivolando dalla stretta del suo coetaneo piano piano, finche' con un gemito seguito ad un tonfo sordo cadde nella buca.
«No!» gridò lui disperato tuffandosi dietro di lei. Pensai che era un folle ed il suo gesto era totalmente immotivato, non poteva aiutarla, o non da lì dentro almeno. Mi chiesi quanto lontani eravamo dalla città ma sicuramente tanto visto che non potevo scorgere niente al di fuori di alberi, cespugli ed erba. Non c'era nessuna forma di vita a parte quella animale e vegetale, aprii le ali e li seguii giù senza più indugiare. La buca era più profonda di quanto lasciasse trasparire da fuori e quando finalmente planai con grazia sul terreno i due sconosciuti erano stretti in un abbraccio che mi sembrò familiare. La caviglia di lei era ferita, continuava a singhiozzare spaventata e decisi di osservarli meglio. Entrambi indossavano vestiti logori e sporchi, dovevano essere molto poveri o semplicemente molto indietro nel tempo per motivare quell'abbigliamento. Avevano sui quindici anni ed erano scalzi, lui aveva dei folti capelli neri e degli occhi grigi che risplendevano nella notte. Sul suo viso rude e unto c'era qualcosa che ricono- scevo come se mi fosse sempre appartenuto ma non capii il perché. La chioma rossa di lei era sporca e disordinata, era gracile e magra, bassa. Mi sembrò più delicata di un oggetto di vetro e più leggera di una foglia, pensai che una folata di vento avrebbe potuta portarla via. La sua gonna sotto il ginocchio era strappata e piena di macchie quanto le sue mani, piene di ferite, e le sue unghie nere.«Moriremo qui!» piagnucolò lei, lui sciolse l'abbraccio e la adagiò con la schiena su una parete della buca poi assunse la stessa posizione portandosi una mano alla tempia e strofinandosela proprio come faceva... come faceva Deimos! Lui era una parte di Deimos.
«Non importa.» disse infine tranquillo, anche se il suo viso raccontava tutt'altro. Dovevano essere stati grandi lavoratori nonostante la loro giovani età tutti, i calli e le ferite che avevano addosso facevano pensare che abitassero in campagna e vivessero coltivando.
«Perché mi hai seguita Jace? Tu mi hai sempre odiata, pensavo saresti stato contento di disfarti di me...» lo incalzò lei senza staccare lo sguardo dalle mani rovinate. I suoi occhi verdi color smeraldo erano inconfondibili per me: quella ero io. Mi rispecchiavo in lei grazie ai suoi modi ansiosi e frenetici, ma soprattutto perché in un momento come quello, era ancora ossessionata dal conoscere il perché Jace non corrispondesse i suoi sentimenti lampanti.
«Nou come fai ad essere sempre così ottusa?» la rimproverò lui pungente, scuotendo la testa. I nostri nomi erano diversi come certi tratti, a grandi linee potei riconoscere alcune cose ma molte altre mi sembrarono sconosciute. «Loro ti hanno accusata di eresia! Hai detto di avere il potere del sole sei una semplice contadina, eri forse impazzita piccola stupida? Sai quante grane abbiamo lasciato ai miei ed agli zii?» gridò lui sgarbato, non era il mio Deimos.
Sicuramente quello del presente avrebbe trovato un modo più elegante e cattivo per sbattermi in faccia i miei errori e le mie pazzie, Jace era stato incredibilmente diretto ed emotivo. Riuscivo solo a paragonare il presente al passato cercando similitudini e diversità ma non capivo ancora cosa dovevo vedere in quel luogo dimenticato. Avevo intuito che eravamo cugini, lo trovai incredibile e curioso, le relazioni fra familiari erano sempre state proibite a Lys. «No! E tu lo sai perché hai visto la Luna, ti ha baciato!» lo accusò lei in lacrime, leggevo il suo sdegno per essersi appena sentita dare della pazza. Era molto più sensibile di me o semplicemente innamorata e ferita.
«Mi dispiace...» si scusò Jace sinceramente pentito. «Il fatto è che sono uno stupido bugiardo. Io l'ho visto, hovisto tutto ma ho avuto paura.»
«Perché sei qui?» sospirò lei fra i singhiozzi.
«Preferirei non vivere più che avere una vita senza di te.» Recitò tutta la frase d'un fiato e nonostante non sivedesse nulla riuscii a cogliere le scintille nei suoi occhi e il rossore che gli stava riempendo le guance. Si avvicinò a lei prendendola fra le braccia, cullandola con dolcezza e calore.
«Non prendermi in giro!» questa volta fu lei a gridare cercando di allontanarlo poco convita. «Tu ti sei sempre preso gioco di me e mi hai sempre maltrattata! Quella volta a dodici anni quando il figlio del signor Mordet voleva prendermi in sposa tu mi hai baciata di fronte a lui rendendomi impura e così tutto il paese ha parlato male di me, alle mie spalle, ripudiandomi e trattandomi come una poco di buono fino ad oggi! Nessun ragazzo mi ha mai piùguardata. Tu hai ammesso che era soltanto uno dei tuoi stupidi scherzi che mi è costato la reputazione ed il matrimonio, mamma e papà erano infuriati... ed io anche!»
«Sei la solita testa dura, sciocca! Io ti ho sempre amata, ma credi davvero che le nostre famiglie potessero accettare la nostra unione?!» sbottò mettendola a tacere. «Dovevo tenerti lontana per non cadere in tentazione ed essere sgarbato, era l'unico modo che conoscevo per costruire un muro fra di noi, non volevo che ti innamorassi di me e soffrissi. Ma poi è comparso quell'uomo e l'immaginarti fra le sue braccia mi ha tolto il sonno e la fame, il solo pensiero mi faceva venire il vomito!»
Così geloso e possessivo proprio come il lui del presente. Le baciò la fronte finche' lei non gli prese debolmente il viso fra le mani e lo baciò delicatamente. Mi sentii un intrusa che sbirciava nella vita di qualcun altro come fosseun film tragico.
«Ho pensato davvero che fuggendo ti avrei salvata, così da poter iniziare una nuova vita dove nessuno sapeva nulla di noi... solo io e te.»
Iniziò a piangere anche lui e non potevo biasimarlo, senz'altro la fine era vicina e lui aveva fatto di tutto per evitare a Nou di soffrire ma non era riuscito a sovrastare con la razionalità i suoi sentimenti. Rimasero abbracciati per un po', finche entrambi non collassarono in un sonno profondo.
Passarono due giorni a sussurrarsi tutte le parole d'amore che non si erano detti in quegli anni. Cercarono di combattere, l'assenza di cibo ed acqua e tutti i dolori che la caduta aveva causato, ma la sera del terzo giorno si spensero ed io tornai nel presente. Erano, eravamo morti appena ci eravamo ritrovati, che destino crudele! Sentii lelacrime rigarmi il viso e pensai che tuttavia per essere un generale dell'esercito non ero poi tanto meno frignona di lei. Quando mi ritrovai nello studio, Deimos mi guardò preoccupato accogliendomi fra le sue braccia proprio come Jace aveva fatto con Nou. Il mio cuore era scosso da fitte violente, come se qualcuno ci stesse conficcando pugnali appuntiti uno ad uno con una lentezza impres- sionante, assicurandosi che il primo facesse più male del prossimo.
«Siamo morti dopo esserci confessati!» sussurrai. Mi strinse più forte sospirando, lui lo sapeva. Tutte le nostre vite sarebbero state così? Ritrovarci ci avrebbe portato a morti dolorose e tristi? Ma perché?
«Io mi sono consolato dicendo che quelli non erano i momenti giusti per il nostro amore.»
Cercò di rincuorarmi come se mi avesse letto nel pensiero. Mi rannicchiai sul suo petto e rimasi così inerme perqualche minuto, finche' il suo orologio da tavolo analogico non suonò ed io capii che ero in ritardo. Lo baciai con passione e desiderio, mi era mancato e volevo dimostrargli quanto stupidi e complessi eravamo. Ci separava il tutto e il niente, perché il nostro divario più grande era rappresentato da noi stessi.
«Devo andare.» gli sussurrai e contro voglia si staccò da me baciandomi la fronte. Uscii dallo studio con calma poi una volta chiusa la porta alle mie spalle presi a correre su per le scale per raggiungere la camera di Cassiel. Vedermi morire era l'ultima cosa che mi aspettavo di vedere quella notte. Non sapevo a tutte le me sorte a metà nel passato, quale altro destino crudele fosse toccato per arrivare alla mia ultima forma. Sperai che non tutte le mie fini fossero dolorose e crudeli, piene di agonia come quella di Nou e Jace, guardare la vita che lasciava i loro occhi mi era sembrato un prezzo troppo alto da pagare per il loro amore, avevo sempre saputo che la mia relazione con Deimos era tormentata e delicata, fragile come il mio animo turbato in quel momento ma non mi aspettavo fino a tal punto. I loro cari avevano sofferto? Magari avevano illuso se stessi dicendo che i loro ragazzi avevano preso il volo insieme alla ricerca di una vita migliore in un'altra faccia di Lys. Quanto gli sarebbe costato tempo dopo vedere gli scheletri dei loro figli, fratelli, cugini...amati? Non dovevo lasciarmi impressionare, me l'ero ripromesso ma era impossibile dimenticare per me. Cassiel era seduto sul suo letto ad aspettarmi con il suo libro in mano. Sembrò sollevato quando mi vide.
«Eccomi qui!» gli dissi prendendo posto al suo fianco, lui mi sorrise contento e sentii la tristezza di qualche attimo prima abbandonarmi.
«Sei in ritardo di tre giorni, ma ti perdono! Jan mi ha spiegato che eri nel passato.»
Ero stata via tre giorni? Tutto era rimasto invariato da quando avevo lasciato il palazzo.
«Dai, dai!» mi incitò distogliendomi dai miei pensieri. Aprii il libro all'inizio dove una figura del sole e della luna che sembravano abbracciarsi era meticolosamente disegnata.
«Iniziamo!» dissi cercando di camuffare quella sensazione di vuoto che avevo nel petto con l'allegri, così presi a leggere.
«Il sole viveva da solo nel suo palazzo in cielo sorretto dalle nuvole. Ogni mattina il sole si svegliava e montava sul suo carro trainato da fantastici cavalli bianchi alati. Egli compiva il giro del pianeta per rallegrare gli abitanti con la sua luce ed invogliarli a venerarlo. Di notte quando il sole riposava solo le stelle splendevano nel buio.»
Feci una pausa osservando la figura dell'uomo dai capelli rossi incredibilmente simile al Sole che avevo conosciuto, raffigurato mentre trainava il suo grande e sfarzoso carro. Cassiel mi ascoltava rilassato e pensai che a breve sarebbe caduto nel sonno poiché aveva gli occhi arrossati ed un'espressione stanca.
«Il Sole quel giorno si svegliò come sempre, illuminando con la sua risata tutti i campi e le case, le valli e i prati. Ma quel giorno qualcosa in un bosco lo colpì: una donna dai lunghi capelli biondi che quasi rasentavano il bianco saltellava leggiadra fra gli alberi cantando un dolce inno a lui dedicato. Egli non poté fare a meno cheosservarla rapito, senza riuscire più a distogliere il suo sguardo da lei e le orecchie dalla melodiosa musica che la donna cantava.»
Mi voltai di nuovo verso Cassiel che dormiva tranquillo, mi alzai cercando di non svegliarlo, lasciai cadere il libro sul comodino e gli rimboccai le coperte baciandogli la fronte.
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