Capitolo 11 - Sulle spalle del sole
Quando mi svegliai ero nel suo letto, stesa al suo fianco. Deimos mi osservava rapito giocherellando con le ciocche rosse sfuggite dalla mia lunga treccia. Lo fissai confusa, non ricordavo molto dopo essermi addormentata sul suo davanzale, mi sorrise allegro.
«Buongiorno, mio piccolo sole.» il suo tono era caldo e dolce mentre i suoi occhi argentati mi accarezzavano con amore, pensai che fosse un buon inizio dopo la tormentata notte che avevo passato.
Quel pensiero fu spezzato buio e la luce mi avvolsero e allora capii, mi ritrovai in mezzo ad un'altra stanza da letto più spoglia seduta sul pavimento, vidi due figure fuori dalla finestra e decisi di precipitarmi strisciando sotto il letto per aspettare il ritorno. Non sarebbe stato molto carino farsi cogliere in déshabillé da degli estranei o parenti probabilmente, la sola idea che potessero essere i miei suoceri mi fece sorridere, rigidi e ferrati com'erano sarebbero morti di crepacuore o probabilmente Lumiér sarebbe stato abbandonato dalla moglie in quattro e quattr'otto pensando che aveva un amante. I due sconosciuti ridevano a crepa pelle, potei udirne le voci: quella non era stata la stanza dei genitori di Deimos ma dei miei.
«Sei sempre così premurosa!» le diceva mio padre allegro. «Voglio che sappia quanto l'ho aspettata nel caso non dovessi farcela a sopravvivere come recita la profezia.» il suo buon umore era stato portato via con quella frase perdendosi nella brezza che soffiava sulla terrazza. Serenia. Cercai di sporgermi per vedere i loro visi ma non riuscii, erano seduti di spalle su due sedie di ferro battuto in vernice bianca intorno ad un tavolino uguale, gli stessi che adesso si trovavano fuori alla terrazza della sala da ballo. Mio padre le cingeva la vita mentre la osservava incollare e scrivere su qualcosa che non potei distinguere.
«Ce la farai.» le sussurrò infine baciandole la guancia. Quanto avrei voluto dirgli di non mentirgli, forse in quel momento credeva davvero a ciò che stava dicendo. «Quando il giorno arriverà il sole alto nel cielo splenderà e allora la prescelta al mondo verrà, mentre la vita la sua genitrice abbandonerà che in pace per il resto dei suoi giorni su di lei veglierà.» recitò lei «Sai che non si può vincere la profezia, l'importante è che lei sia forte, sana e amata.» sconsolati sospirarono, vidi i capelli di lei brillare al sole proprio come i miei, chissà quante cose in comune fra di noi avrei potuto trovare se solo avessi potuta osservarla meglio.
Fui quasi tentata di alzarmi e liberarmi dalla fastidiosa rete del letto che mi pizzicava la schiena, corrergli incontro abbracciandola e dirle: «Sono io mamma, sto bene e sono amata, il tuo sacrificio è servito a regalarmi una vita piena di mille emozioni.» ma mi trattenni, non era necessario interferire in quel passato ancora sereno e senza ombre. Lei si alzò e potei vedere il suo pancione a dispetto di quanto magra e smilza mi era parsa di spalle, si avvicinò al quadro che ritraeva un campo di girasoli che si trovava in camera di Deimos e lo alzò, dietro vi era una cassaforte ma fu quello il momento in cui il mio viaggio stava per terminare... o forse no. Mi ritrovai dentro lo studio di Lucifer stesa sul pavimento come un pesce fuor d'acqua, mi alzai di scatto cercando di trovare riparo dietro la tenda alle spalle della scrivania di fretta e furia.
«Mi dispiace Abros questo non è il nostro destino ed io non posso ricambiare i tuoi sentimenti...» era sempre mia madre a parlare, molto più giovane e meno felice della mia ultima visione. L'uomo aveva i capelli castani e gli occhi celesti color ghiaccio che mi ricordarono quelli di Lucifer.
«Perché lui? E' un semplice generale, io potrei darti tutto, un grande palazzo spazioso, un regno su cui governare e soprattutto potrei tenerti in vita.» rispose lui sinceramente addolorato.
«Abros, io non ti amo e questo è molto di più di ciò che possiedi, mi dispiace ferirti.» lei fece per andarsene ma lui la trattenne prendendola per il braccio.
«Aspetta...» la implorò lasciandola andare una volta attirata la sua attenzione, si voltò sulla scrivania e quasi mi prese un colpo mentre guardò nella mia direzione, tolse il panno da quella che mi parve una tela e la porse a mia madre. «Questa è per te, l'ho dipinta pensandoti.»
Gli occhi di mia madre si riempirono di lacrime prendendo la tela in mano.
«So che a Lys c'è il sole, c' è la vita e tutto ciò che hai sempre desiderato ma per favore non mentire a te stessa dicendoti che non mi hai amato, perché ricordo i tempi in cui per te non c'era niente al di sopra di noi.»
Mia madre aveva avuto una tresca con il giovane gover- natore di Siyah? Il governatore di Siyah... Oh Misericordia! Quello era il padre di Lucifer. Quindi mia madre a dispetto delle apparenze non era originaria di Lys, allora come ci era arrivata?
«Mi dispiace, devo andare.» disse asciugandosi una lacrima che le era rimasta appesa alle ciglia con una mano e stringendo il quadro in petto con l'altra. Quel quadro, era il quadro che si trovava adesso in camera di Deimos.
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Finalmente la visione volse al termine e mi ritrovai dove ero partita, Deimos era ancora lì sul letto che mi fissava preoccupato.
«Non preoccuparti sono meno sconvolta di quel che si possa credere questa volta.» lo rassicurai e subito tirò un sospiro di sollievo muovendo un passo verso di me. «Perché non hai viaggiato con me?» mi sembrò al quanto strano tutte le volte che eravamo l'uno nei pressi dell'altra viaggiavamo insieme.
«Perché non c'era nient'altro che desiderassi vedere in quel momento che non fosse te. Evidentemente senza saperlo tu hai desiderato di vedere qualcosa che non apparteneva più al nostro tempo.» osservò, tentai di fargli un riassunto breve di ciò che era successo e lui fu sorpreso e divertito allo stesso tempo.
«Stai scoprendo chi era.» mi disse, mentre come ogni volta che era pensieroso o alla ricerca di qualcosa, corrugava la fronte lasciando comparire una piccola ruga. «Il quadro è ancora qui.» proseguì indicandomelo. Meno male, aveva ragione, come mi era potuto sfuggire? Era grande e pieno di colori, ritraeva un campo di girasoli per metà illuminato da sole e per l'altra metà dalle stelle e dalla Luna, era davvero magnifico il talento di Abros. Non poteva essere messo in discussione, tuttavia non era per contemplare quella tela che lo stavo cercando. Scostai il quadro e la cassaforte nera e lucida era proprio lì davanti a me, al suo fianco incastrato sul muro c'era un tastierino nero nel quale immaginai di dover inserire la combinazione a me sconosciuta. Non ero mai stata brava con i numeri e ancor meno non avevo idea di quali fossero le date importanti per i miei genitori. Digitai la data di nascita di mio padre e ovviamente non funzionò, provai con la mia ma era illogico loro non sapevano quando sarei nata.
«Ho bisogno di sapere.» bisbigliai mentre Deimos mi guardava curioso di capire la logica nei numeri che stavo inserendo, come spiegargli che non ce n'era alcuna.
Passai la settimana a cercare di indovinare il codice ma tutti i miei tentativi furono vani ed era arrivato il giorno del ballo. Io e Deimos ci stavamo incamminando verso lo studio di Miss Natalie che aveva tenuto il massimo riserbo sui nostri abiti da ballo. Ero tesa non avevo mai partecipato ad un evento ufficiale ancor meno come accompagnatrice del governatore. Da bambina quando ero ancora innocente e credevo che per me e Deimos non ci fosse futuro, che non ero destinata a stare al suo fianco come donna ma solo come generale chiedevo sempre a Mr. Albert cosa ne avrei fatto delle sue lunghe lezioni di Valzer, lui mi rispondeva puntualmente:
«Sei una signorina e anche se indosserai un armatura non significa che tu debba dimenticare i doveri di un'alta carica dello stato e soprattutto di una donzella!»
Ogni volta che me lo diceva mi pareva di tornare indietro di millenni a quando le donne potevano solo cucire e danzare, incipriarsi il naso e mostrare i logo sgargianti abiti. In quel momento fui amaramente pentita di non aver ascoltato i suoi consigli e soprattutto di non aver danzato per così tanto. Il tragitto verso lo studio di Miss Natalie mi sembrò troppo breve mentre cercavo di ripassare i mille passi che avevo appreso un secolo prima, lei era sulla porta che ci attendeva sorridente. Ricambiai il suo sorriso sperando di essere abbastanza convincente mentre sia lei che Deimos mi spingevano nel suo studio. Tutto era esattamente come lo ricordavo e nella notte era illuminatissimo, l'unica cosa diversa era nello sguardo della piccola donna minuta e rotonda che osservava rapita Deimos, era indubbiamente strano che una donna della sua età fosse attratta da un cento trentenne dall'aspetto giovane.
«Piccolo sole, mia cara, dobbiamo darci una mossa sono già le 20:00. Signorino!» disse rivolgendosi a Deimos che ridacchiava nell' angolo. «Il tuo vestito è lì dentro sicuramente non avrai bisogno del mio aiuto per indossarlo.»
Indicò un porta abiti nero con cerniera appeso su un anta dell'armadio marrone nell'angolo, Deimos lo prese e mi fece l'occhiolino uscendo dallo studio.
«Fra mezz'ora sarà pronta non fare tardi Deimos!» lo minacciò Miss Natalie. «Tu tesoro vieni con me!» appoggiò le sue mani grinzose sulla mia spalla e mi condusse verso il divisorio poi corse all'armadio dal quale Deimos aveva preso il suo vestito e tirò fuori un altro porta abiti nero. Quando con il suo passo lento fu arrivata da me la vidi raggiante.
«Su bellezza questa è la tua serata!» disse infilandomi il vestito, non avevo avuto voce in capitolo sul modello e non sapevo come mi calzasse, era di cotone nero e rosso, ero curiosa di vedermelo addosso. Miss Natalie mi fece sedere infilandomi le scarpe rosse di velluto con il tacco a spillo, immaginai che anche Deimos fosse vestito di quei colori. In quello che a me sembrò un battito di ciglia – anche se in realtà era passata mezz'ora- fui pronta.
Deimos era sulla porta che mi aspettava, mi guardò estasiato per qualche secondo baciandomi la fronte, mi prese per mano e mi disse:
«Sei bellissima ma siamo di fretta.» viaggiamo veloci verso le scale ma quando passai davanti lo specchio non potei distogliere gli occhi da quello che vidi: non sembravo io quella riflessa, avevo i capelli sciolti e lisci raccolti solo sul davanti, formavano una leggera onda ed erano bombati. Il vestito era sensazionale, aveva delle spalline non troppo doppie, era aderente e la gonna poco rigonfia mi arrivava fino ai piedi, aveva uno spacco da metà coscia in giù.
Il dietro fu la cosa che mi colpì di più: una scollatura profonda lasciava la mia schiena in bella mostra, mi arrivava sopra il sedere, al suo capolinea Miss Natalie aveva collocato un grosso fiocco rosso con lunghi nastri che scendevano paragonabili alla lunghezza di uno sfarzoso velo da sposa. Il trucco era leggero ma risaltava il mio viso e rendeva il miei occhi da cerbiatta magnetici, lo sgargiante rossetto dello stesso colore del fiocco mi rendeva estremamente sexy. Mentalmente mi complimentai con me stessa, quella sera ero proprio un opera d'arte.
Deimos mi strattonò come a volermi ricordare che eravamo in ritardo, corremmo giù per le scale, più volte ebbi paura di inciampare. Arrivati nella stanza ci infilammo nella botola, riemergendo a Siyah, in tempo stranamente: Caleb ci stava aspettando. «Siete splendidi e coordinati.» ci sorrise, fu quello il momento nel quale posai gli occhi su Deimos. Indossava uno smoking nero elegante con una camicia bianca ed una cravatta rossa, mi sembrò terribilmente attraente. Aveva i capelli neri portati indietro, gli donavano un aria sofisticata e regale da vero uomo d'affari.
«Auguri Caleb!» dissi infine quando finalmente riuscii a staccare gli occhi dal mio fidanzato. Caleb ci fece strada fino ad arrivare alla grossa sala da ballo, gli addobbi mi tolsero il fiato. Il soffitto era ricoperto di stelle che brillavano come se il tetto non ci fosse, tante lucine bianche galleggiavano sui muri. Ai lati avevano situato un grosso e lungo tavolo pieno di cibo e l'immancabile bar occupava un angolo della sala dove molti ospiti si stavano accal- cando. Nel lato opposto una piccola orchestra composta da violino, pianoforte e flauto si esibiva sopra un palco in legno allestito per l'occasione. Mi avvicinai alla finestra e scorsi fuori il cielo, la luna si crogiolava apatica fra le stelle ma non era la stessa: era rossa. D'un tratto il mio sogno mi parve più vivo che mai, Deimos aveva colto l'agitazione sul mio volto.
«C'è qualcosa che non va?» mi chiese apprensivo.
«Oh niente di grave, mi servirebbe il tuo aiuto giusto per precauzione.» gli rivolsi uno dei miei migliori sguardi e lui annuì. «Dobbiamo ergere uno scudo invisibile.» continuai. «Perché?» disse con stupore.
«Quella notte che mi sono addormentata sul tuo davanzale ho fatto uno strano sogno e non voglio si realizzi questa sera, ti prego abbi fiducia in me!»
Mi guardò perplesso per un altro paio di minuti, poi mi porse le sue mani grandi e chiuse gli occhi, io ci appoggiai le mie di riflesso e cominciai a costruire lo scudo nella mia mente, vivido, luminoso, accogliente. Lo vidi fondersi con la nebbia argentea e lucente che lui aveva creato. Non volevo lasciare niente al caso, fui infinitamente sollevata dal fatto che Deimos avesse deciso di non fare molte domande e fidarsi finalmente di me.
«Mi concede un ballo signorina?» Mi chiese facendomi un inchino, sorrisi.
«Certo.» ridacchiai sentendomi un po' più frivola e stupida del solito, decisi che per quella sera potevo concedermelo. Mi condusse verso il centro della sala, in quel momento solo il pianista si stava esibendo. Le sue note mi accarezzarono mentre Deimos mi tirava a sé e insieme prendevamo posto al centro della scena. Sentii gli occhi di Lucifer appoggiato al suo trono trafiggermi mentre Caleb e Crystal, che non avevo ancora modo di salutare, ci incitavano. Appoggiai la mano sull' imponente spalla di Deimos mentre l'altra era congiunta alla sua, iniziai a seguire i suoi movimenti con grazia che non pensavo appartenesse a me. Avevo temuto fino a quel momento di non ricordare come ballare e fare una figuraccia davanti agli ospiti del palazzo, ma tutti i passi e i nostri allenamenti riaffiorarono nella mia mente come se li avessimo ripassati ogni giorno di quei secoli che avevamo vissuto assieme. I miei occhi si riflettevano nei suoi, erano lo specchio della mia anima che prendeva fuoco a contatto con la sua, mi sentivo radiosa, sembrerà scontato dirlo ma illuminavo la stanza proprio come il sole. Deimos era elegante, più bello che mai mentre ci crogiolavamo in quelle note delicate e rasserenanti quanto le prime luci dell'alba dopo la notte più buia che il nostro animo e i nostri occhi abbiano mai potuto conoscere. Quando finimmo la nostra piccola esibizione tutti applaudirono e noi sorridemmo compia- ciuti regalandogli una riverenza di cortesia e ringraziamento. Presi Deimos per mano e me lo trascinai dietro mentre cercavo di farmi spazio fra la folla per raggiungere Crystal ma in quel momento sentii il cuore scoppiarmi e la testa farsi più pesante, mi piegai per lo spavento ma nessuno eccetto Deimos e probabilmente Lucifer, che non mi aveva staccato gli occhi di dosso neanche per un istante, se ne accorsero.
«Stai bene?» aveva la fronte corrugata e gli occhi pieni di preoccupazione mentre si mordeva nervosamente il labbro.
«No, ma tu resta qui e goditi la serata!» dissi biascicando le parole, gli lasciai la mano e uscii sulla terrazza che fortunatamente era deserta.
Lui arrivò sull'uscio della portafinestra e fu in grado di scorgere solo le mie imponenti ali che irradiavano la notte piena di stelle, mi voltai per rivolgergli un ultimo sguardo rassicurante: l'unica cosa di cui avevo bisogno era che si cacciasse nei guai in quel momento tanto delicato, non sapevo chi era la preda di colui che aveva attaccato il nostro scudo. Lo spadone del sole mi comparve fra le mani mentre volavo veloce e indiscreta nella sfolgorante notte di Siyah, le nostre stelle non erano luminose e numerose come le loro, non erano come Lucifer.
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