Capitolo 6
"Mio caro Fitzwilliam, stento ancora a credere a quanto ha affermato il signor Wilkinson la scorsa mattinata!" Mia madre si portò una mano al petto, stringendo le dita attorno al corsetto del suo abito di taffetà.
Non seppi se alzare lo sguardo al cielo -esprimendo così la mia esasperazione all'udire quel nome- o se conservare la mia compostezza e approfittare del momento di ebbrezza di mia madre per estorcerle informazioni, utili a confermare le mie supposizioni.
"Avete deciso di coadiuvare per il mantenimento della tenuta di Woburn?" domandai, continuando ad affettare la carne di agnello sul mio piatto.
Non udendo una risposta immediata, alzai il capo per poter osservare l'espressione attonita di mia madre, impegnata a trovare una valida risposta alla mia domanda.
La donna rivolse lo sguardo a suo marito che, dopo aver bevuto un sorso d'acqua, si sporse maggiormente verso il tavolo. "No, Allyson."
Lasciai le posate sopra il piatto con un tintinnio rumoroso e congiunsi le mani in grembo, pensando cosa potesse concernere la loro discussione, ma, benché avessi affilato l'astuzia e l'ingegno, non trovai una risposta che non comprendesse questioni di affari.
Mi adagiai sulla sedia e scossi il capo. "D'altro canto, nulla che abbia a che fare con la mia persona, presuppongo," dissi. "Quindi non domanderò altro."
Conclusi poi che sarebbe stato più vantaggioso per la mia pazienza accantonare ogni argomento riguardante il signor Wilkinson, onde evitare un mio turbamento d'animo.
I miei genitori tossirono all'unisono e rimasero in silenzio.
"Il tuo atteggiamento nei confronti del signor Wilkinson non è dei migliori, Allyson. Quindi intendo conoscerne la ragione, ora." Osservai come i capelli castani di mia madre fossero intrecciati in una complessa acconciatura e mi chiesi quanto ancora dovesse durare la sua minuziosità in ambito estetico.
"È un giovane sfrontato e inverecondo, ligio a mostrar la metà peggiore del suo animo, facendo di ciò una ragione di vanto," spiegai, e le parole fluirono spontanee dalle mie labbra. "Non ammiro il suo pensiero lussurioso, inteso a esporre la donna come oggetto di piaceri e adulazioni, e mi sorprendo che voi non abbiate notato tali aspetti."
Mia madre inspirò fortemente, mentre la rabbia accresceva nel suo cuore. "Non voglio udire altre simili parole! Cambia al più presto questa tua maniera di esprimerti nei suoi confronti, ne gioverebbe del tuo futuro." Alzò un dito, imponente, fissando il mio volto con imposizione.
Non risposi, poiché ero assorta nel ridere mentalmente alle sue parole, mentre ella continuava a bollire in modo convulso sulla sedia.
"Fitzwilliam, ricordate l'enorme biblioteca del signor Wilkinson?"
Mio padre, visibilmente concentrato su altri pensieri di differente natura, annuì, arricciando le labbra.
"Quanti libri avrá mai letto quel giovane uomo!?" continuò mia madre, ma la sua domanda apparve più come un'esclamazione gioiosa.
"Due." risposi, estasiata all'idea di poter ferire la loro ammirazione riguardo il signor Wilkinson.
"Taci, sciocca!"
Notai un sorriso beffardo sul volto di mio padre, il quale, dopo qualche istante di meditazione, si ricompose, alzandosi dalla sedia su cui sedeva. "Ottimo pranzo. Ma ora devo occuparmi di alcune faccende in vista di..."lasciò galleggiare la frase nel vuoto, "del grande evento."
Mia madre s'illuminò. "Certo, Fizwilliam! Badate a non trascurare alcun dettaglio!"
Scossi il capo, perplessa, osservando come, dalla finestra, le nuvole lasciavano il posto ad un celeste lenzuolo di luce, quindi mi congedai e corsi nelle mie stanze, spogliandomi dei miei abiti.
Non indugiai su quale divisa dovessi indossare, bensì mi apprestai a infilare velocemente gli stivali da caccia, afferrando successivamente il fucile.
Improvisamente gaia, decisi di dedicare il mio tempo alla mia passione, senza badare ai futili discorsi dei miei genitori, il cui unico ideale era di disporre di un ampio patrimonio, trascurando così la priorità dell'intelletto.
"Sarò di ritorno prima del crepuscolo," urlai; la mia voce troneggiava, una volta inebriata dalla consapevolezza di poter vivere attimi di libertà.
Ammiccai all'alto promontorio ad oriente e con passo deciso mi apprestai a raggiungerlo, continuando tuttavia a trastullare i miei pensieri.
Reputo questa vostra proposta un onore, signori.
Oh, quale imperdonabile errore avevano compiuto i miei genitori, affidando i loro affari a quel perfido diciottenne, pur di non cadere in rovina!
Ero sicura di non poter avere una differente opinione di lui, poiché non credevo agli inganni dell'apparenza e, così, subdolo come le sue parole doveva essere il suo cuore!
Eliminai ogni pensiero negativo rivolto al signor Wilkinson e, giunta tra i boschi, impugnai il fucile, aggirandomi furtiva tra la folta vegetazione.
Un raggio di sole scoprì gli aspetti più nascosti delle foglie dei faggi: i loro colori variavano da un verde cereo ad un verde acerbo e mi ritrovai ad ammirare tali sfumature come fossero rari diamanti incastonati.
Un cervo.
Mi nascosi dietro un arbusto, lo sguardo felino, mentre l'animale avanzava, rivolgendo il muso alle sue spalle, quasi come se temesse la mia avanzata.
Talmente erano vivide le mie inquietudini e le mie sincere costernazioni, che avvertivo l'indiscutibile bisogno di sfogare la mia rabbia su una creatura innocente, eppure appresi quanto fosse vile il gesto che intendevo compiere, impugnando il fucile da caccia.
Non riuscii a controllare i miei istinti e, appena l'umile cervo dal manto chiaro si posizionò dinanzi a me, alzai l'arma da fuoco, pronta e in attesa.
Le mie dita s'incurvarono sul grilletto; d'un tratto divennero insicure, poi riacquistarono determinazione.
Un grido lacerante.
"Signorina Stevens!"
Il fucile cadde dalle mie mani e il cervo fuggì tra le radure erbose, oramai consapevole del rischio che avrebbe corso.
Mi chiesi quale entità superiore ringrassiasse della sua salvezza, quell'animale.
Mi voltai e scorsi l'anziana figura della signora Stuart agitare una mano nella mia direzione, stringendo tra le dita un candido fazzoletto.
"É giunta una lettera per voi!" Ella racchiuse a coppa le dita attorno alle labbra.
Bethan! pensai.
Scesi freneticamente dal promontorio, alzando i lembi del mio abito scuro e poggiai in spalla il fucile ancora munito di tutti i proiettili.
Attraversai l'ampio cortile e giunsi dinanzi alla porta di casa. "Chi ne è il mittente?"
La signora Stuart spalancò gli occhi, alzando le spalle. "Non lo so, signorina. É giunto or ora Albert Mikaelson a recapitarvela, e non ho avuto ordine di leggere alcunché."
Annuii, osservando l'innocenza di quella donna, l'unica presenza in famiglia che avevo accettato e ammirato per la sua costanza e modestia.
Presi la lettera e accarezzai lo stampo in ceralacca rossa, curiosa di conoscere quali buone notizie avesse da enunciarmi per iscritto Bethan.
Nel correre verso la mia stanza -che reputavo il mio unico rifugio sicuro dalle indifferenze altrui- la carta scivolò dalle mie mani.
Osservai il pavimento: sul retro della lettera era scritto qualcosa, il mittente.
Mi chinai per leggere: la firma non era di Bethan.
Lessi "Bradley Wilkinson" a caratteri obliqui, le lettere distorte e allungate.
Il mio cuore perse un battito: cosa poteva mai volere da me un giovane di interessi simili?
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Curiose di conoscere il contenuto della lettera?
Commentate in tanti!
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