Capitolo 5
Un bagliore luminoso, brillante, quasi accecante. Aprii gli occhi, riluttante. Il mattino era giunto molto velocemente, come potei notare dal colorito del manto celeste che ammirai, una volta scostate le tende della mia camera, nelle sue più intense sfumature.
Un arancione aspro incorniciava le campagne del Bedfordshire, mentre un rosa innocuo tingeva le sponde erbose del ruscello poco distante.
Tuttavia, poggiai nuovamente la guancia sul cuscino, portando le ginocchia al petto, e tentai di estirpare dalla mia anima afflitta quell'insolita sensazione di solitudine che, invece, si aggrappava con più forza lungo le pareti del mio cuore.
Mi sposerò, Allyson.
Le parole di Bethan riaffiorarono nella mia memoria, pungenti ma concise.
Come poteva giurare dinanzi a Dio fedeltá eterna ad un uomo per il quale non nutriva neppure un accenno di sincero affetto? Trovavo e ponderavo tali situazioni inconcepibili e infondate.
Povera Bethan! mi ritrovai a pensare. Ingiusto era stato il destino nei suoi confronti, deciso a graffiare la sua integritá, accompagnandola in un sentiero oscuro di cui ella non conosceva la destinazione.
"Descrivi con ardore, cugina, il tuo futuro marito, eppure non è rispettabile e fedele come è apparso ai tuoi occhi." Il signor Wilkinson sospirò. "Le sue parole non sono sincere, false sono le sue ammirazioni nei nostri confronti."
"Taci Bradley! Non vorrai rovinare il mio matrimonio! Inoltre, le sue parole sono sempre colme di affetto e apprezzamenti." rispose Bethan, accigliandosi.
"Ma fasulli! Ricorda che" il giovane avanzò, sicuro. "è meglio bearsi della compagnia di un onesto peccatore, che di un falso religioso." Dopodiché ammiccò stranamente nella mia direzione e lasciò la stanza, congendandosi.
Ricordai la scena di pochi giorni addietro e riflettei sulle parole del signor Wilkinson che trovai essere, con mio grande stupore, sagge e sinonimo di un'ammirevole esaminazione dei comportamenti altrui.
La casa era avvolta da un eccessivo silenzio nauseabondo: nonostante il sole fosse già alto nel cielo e il vento spirasse da Occidente, la dimora appariva desolata e umida, circondata da un alone di mistero che provai a decifrare con le mie supposizioni.
Probabilmente mio padre era a caccia e mia madre a far visita alla sua cara amica Sophie Evans, una rigida signora da sempre attenta alla nostra condizione sociale.
Sentendomi improvvisamente accaldata, scostai le lenzuola del mio letto e abbracciai saldamente il carezzevole cuscino da sempre testimone dei miei incubi e delle mie lacrime notturne.
"È un giovane così raffinato e riservato che non ho avuto ancora modo di conoscerlo abbastanza!" Bethan espirò, scrollando le spalle.
"Eppure tuo cugino sembra conoscerlo quanto basta per esprimere il suo giudizio personale." ribattei.
Bethan si alzò nervosamente dalla poltrona su cui sedeva, poggiando le mani sui fianchi. "Ha esaminato attentamente i comportamenti del mio futuro marito e ne ha dedotto quanto ha detto precedentemente. Eppure non vedo cosa ci sia di preoccupante." Ella iniziò a camminare incollerita.
"Probabilmente..." dissi, ma fui interrotta.
"Allyson, il fatto è che..." Bethan chiuse gli occhi per un istante."Bradley è molto protettivo. Farebbe qualsiasi cosa per le persone a cui tiene. Persino danneggiare se stesso e la sua reputazione."
Sgranai gli occhi, sorpresa da simili parole che non riuscivo a credere fossero riferite al signor Wilkinson.
Riflettei una manciata di secondi, prima di ribattere. "Eppure non sembrerebbe. Tuo cugino giudica in un altro giovane il suo stesso comportamento." spiegai, con voce flebile. "Come può parlare e discutere di fedeltá, quand'è egli stesso a donarsi ai piaceri dati dalla compagnia di belle donne?"
Bethan rise, reclinando il capo. "Mi ha parlato di quanto tu sia rimasta sorpresa al riguardo."
Pregai per Bethan, affinchè trovasse nel suo destino una piacevole convivenza, però ella sembrava estasiata all'idea di unirsi in matrimonio, data la fermezza con cui ne parlava, scaltra e astuta.
Tuttavia non osai aggiungere altro alle mie parole, poiché il discorso, ricadendo sul signor Wilkinson, non mi donava un'ampia scelta di pensieri positivi.
Non avvertivo neppure il flusso del sangue nel mio corpo, tanta era la stanchezza provata dalle mie gambe, pertanto decisi di rimanere ancora coricata, avvolta nella mia vestaglia di lino bianco.
Inoltre, non amavo come i miei lunghi capelli scuri ricadessero ribelli sulle mie spalle, ma non avevo la forza di lasciare il letto per acconciarli dinanzi alla toletta.
Chiusi gli occhi, lasciandomi cullare dal canto melodioso dei pettirossi appollaiati sui rami di un imponente arbusto, fino a che il mio sguardo non fu annebbiato da un intenso torpore mattutino.
Uno scalpitìo di zoccoli di cavallo risuonò bollente nel cortile.
Aprii freneticamente gli occhi, il cuore palpitante e la vivacità ritrovata.
Vittima del mio istinto, con un balzo repentino, raggiunsi la porta della mia camera, piombando frebbilmente nel salone, i piedi scalzi e il viso stanco, ma eccitato.
Mi chiesi se mio padre avesse catturato qualche cervo, in una giornata così bramosa.
"Non preoccupatevi, signora Stuart, accoglierò io mio padre," dissi alla governante, una volta notato il suo sguardo perplesso.
"Ma..."
"Spero voi abbiate catturato qualche coniglio anche in mia assenza, padre!" esclamai, il tono di voce alto.
"Allyson..." udii la voce confusa di mia madre -la quale non credevo essere in casa- mentre mi avvicinavo sempre più alla porta d'ingresso.
Assunsi un piglio irritato, prima di sganciare le serrature di sicurezza. "Credevo mi avreste chiamata per la battuta di..."
Improvvisamente m'interruppi.
Un paio di occhi verdi scrutarono la mia immagine attentamente, sorridendo al mio aspetto semplice e malconcio, ed io mi sentii inaspettatamente nuda sotto la voracità di quello sguardo.
"Signor Wilkinson, cosa..."
"Buongiorno, signorina Stevens." Il giovane fece per prendere la mia mano, ma indietreggiai, confusa.
"Quale buon vento vi porta qui?" alzai lo sguardo, per fissare il suo volto: le sue labbra rosee si schiusero in un sorriso, rivelando una perfetta linea di denti splendenti.
Egli lanciò un'occhiata al suo destriero nero, il cui manto era illuminato dall'ingorda luce del sole. "Giorni fa, vostro padre mi ha spedito un suo scritto, chiedendomi espressamente un colloquio, questa mattina," rispose, poggiandosi allo stipite della porta, incrociando lentamente le braccia.
Un ciuffo di capelli corvini gli ricaddette sulla fronte, unendosi alle sue ciglia folte e ricurve.
"Oh, entrate pure, signor Wilkinson!" Mia madre, giunse alle mie spalle, gesticolando con impazienza. "Siete il benvenuto!"
Il giovane sorrise, continuando tuttavia ad osservarmi.
"Allyson, un po' di contegno!" La donna prese tra le dita il tessuto della mia veste, per poi allontanarmi con una lieve spinta.
Quando fu alle spalle del signor Wilkinson -il quale, nel frattempo, avanzava imperterrito verso l'ingresso- ella mi guardò con riprensione, chiudendo velocemente la porta dietro di sé.
"Credo invece.." Il giovane si avvicinò, "che vi donino i capelli al vento." Ne accarezzò delicatamente una ciocca, osservando la mia reazione.
Scostai il capo, fissando le mie caviglie, eppure riservavo alla scena qualche furtiva occhiata curiosa.
Non ci vollero molti minuti affinché la porta dello studio di mio padre si aprisse. "Giovane Wilkinson! Credevo non vi fosse giunta la mia lettera!"
Mi chiesi quale fosse il contenuto dello scritto di cui discutevano, poiché detestavo non essere inclusa nelle questioni familiari, quindi osservavo i loro sguardi, tentando di captarne un utile indizio.
"È giunta ieri in mattinata." Non capii per quale ragione il signor Wilkinson continuasse ad osservarmi, seppur rivolgendosi a mio padre.
Quest'ultimo piegò le labbra in una linea rigida nel notare i miei piedi scalzi, poi divenne improvvisamente serio e assunse un atteggiamento solenne da protocollo.
"Allora vi prego, entrate. Avremo molto di cui discutere." Egli spalancò la porta, arretrando di qualche passo.
Lo studio alle sue spalle era stranamente lustro ed ordinato, quasi a dover confermare l'eleganza morale della nostra famiglia.
Preceduto da mia madre, il signor Wilkinson entrò nella stanza, accarezzando le increspature della sua camicia. Il suo viso da diciottenne contrastava con i tratti ormai anziani di mio padre.
"Allyson, cara," Mia madre si voltò, la capigliatura gonfia, "ritorna nelle tue stanze. Dovremmo discutere in privato con il signor Wilkinson."
Avanzai per chiedere spiegazioni, ma la porta dello studio di mio padre era già stata chiusa.
Repressi un gemito di irritazione nell'essere testimone di tanta confidenza che i miei genitori riservavano costantemente a quel giovane, poichè io, invece, ero certa egli nascondesse qualcosa.
Quindi mi voltai, amareggiata e arresa, percorrendo l'ampio corridoio che si affacciava sul salone, finché il mio sguardo non fu attratto dalla figura in movimento della signora Stuart.
"Scusate la mia intromissione, signora Stuart," avanzai decisa verso di lei.
Ella rispose con un breve cenno del capo.
"Siete a conoscenza di quale questione importante devono, i miei genitori, discutere con il signor Wilkinson?"
Con le spalle curve e lo sguardo basso, la donna scosse il capo. "No, signorina Stevens."
Non siete così arrendevole come speravo...
Non mi considerai affatto arrendevole e lasciva quando decisi di accostarmi alla porta della stanza, decisa a partecipare segretamente alla loro conversazione.
M'inginocchiai, alzando il tessuto della mia vestaglia, e poggiai un orecchio alla soglia dello studio, le mani aggrappate alla maniglia.
"Reputo questa vostra proposta un onore, signori." Riconobbi la voce calda del signor Wilkinson.
"Noi possiamovantare di aver avuto il piacere di conoscere un giovane tanto attento alle questioni sociali, io e mia moglie vi ammiriamo con viva convinzione." Mio padre sospirò "Pertanto, questo nostro indiscutibile affetto nei vostri confronti ci ha portati a formulare questa... proposta, che spero voi accettiate."
Il signor Wilkinson si schiarì la voce, restando in silenzio per qualche secondo. "Non intendo riflettere sulla mia risposta. Mi affiderò all'istinto."
Udii il sospiro di mio padre arrestarsi, seguito dal fiato corto di mia madre.
"Quando?" domandò infine il ragazzo.
Una sedia graffiò il pavimento. "Sapevo avreste accettato, signor Wilkinson!" La voce di mio padre divenne possente. "A breve, dieci giorni."
Un'altra sedia rasentò il suolo.
"E che dieci giorni siano," rispose il giovane.
Nel riflettere, rimasi impietrita accanto alla porta, chiedendomi cosa potesse coinvolgere la mia famiglia e quel diciottenne lussurioso, e pochi istanti dopo, non avvertii più il metallo freddo della maniglia sotto le mie dita.
"Allyson!" Mia madre, uscita dallo studio, mi richiamò all'ordine e lo sguardo di ghiaccio del signor Wilkinson si posò sui miei capelli.
Mi alzai in fretta, intimorita dalle riprensioni che mi sarebbero giunte di lì a poco.
"Di cosa avete discusso?" chiesi istintivamente al signor Wilkinson con sguardo speranzoso.
Notai mia madre congiugere le mani compiaciuta; gli occhi le brillavano di un'innata gioia nell'osservare il mio corpo accanto a quello del giovane ospite.
Il signor Wilkinson ignorò la mia domanda. Mi superò, chinò il capo e sussurrò tra i miei capelli: "A presto."
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Leggete i racconti di GretaFiorucci e di due gemelle.
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