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Capitolo 17

Il signor Roole consumò velocemente il suo pasto, per poi tamponare le labbra con il tovagliolo alla sua destra e congiungere le mani sulla tavola, visibilmente desideroso di conversare con noi.

Tuttavia, non ero propensa a ricredermi circa le mie intenzioni, benché esse potessero comportare dei notevoli rischi riguardo la mia reputazione, di conseguenza non tergiversai affatto e mi apprestai a lasciare la tavola, non senza aver posto loro i miei saluti, sotto le occhiate interrogative del signor Wilkinson, il quale, però ero felice non sapesse nulla di come avrei desiderato violare la riservatezza del suo passato.

Ero consapevole dell'assurdità dei miei propositi, ma così come egli riusciva a decifrare i miei comportamenti utilizzando una tattica a me ancora sconosciuta, anche io volevo trovare delle risposte alle mie domande riguardo i suoi comportamenti.

Sin da piccola avevo appreso che, nascosto in ogni atteggiamento, seppur quest'ultimo possa apparire banale, v'é sempre una caratteristica da non sottovalutare, poiché essa, invece, potrebbe rivelarsi come la fiamma che ha alimentato maggiormente il fuoco più ardente, quindi, dopo aver avvertito Dorothy della nostra partenza, chiusi la porta della mia camera alle spalle e sfilai il lungo abito bianco che mi accorsi di indossare da troppe ore, oramai.

Come bruciava la mia pelle nuda, sotto il tocco delicato delle mie mani!

Aprii velocemente le ante dell'armadio, poiché udii lo scalpitio dei cavalli sul brecciato del cortile, chiaro segno che la carrozza che avevo ordinato di preparare era pronta alla volta di Londra, quindi mi avvolsi con il primo abito trovai dinanzi agli occhi e -oh!- come furono tempestivi i miei movimenti!

Subito dopo, infatti, la porta della stanza venne spalancata febbrilmente, lasciando filtrare una flebile luce proveniente dal corridoio. Il signor Wilkinson troneggiava alle mie spalle, una mano ancora poggiata sulla maniglia e l'espressione confusa e investigatrice. "Mi ha detto Dorothy che deve accompagnarvi," si avvicinò con passi estremamente lenti, ancheggiando, e sussurrò sul mio collo. "dove credete di andare?" Il suo tono divenne serio ed imponente.

Oh, mai avrei potuto rivelare lui le mie intenzioni!

Mi voltai e inaspettatamente, in un movimento assai delicato, i nostri nasi si sfiorarono: riuscivo ad avvertire il suo respiro sulle labbra, pertanto iniziai ad ansimare convulsionatamente.

Ero estremamente sicura che ben presto avrei scostato rapidamente il mio viso dal suo, onde evitare spiacevoli contatti, invece alzai lo sguardo: le mie ciglia sfiorarono i suoi zigomi, e poggiai una mano sulla sua spalla, poiché quella vicinanza aveva provocato in me un lieve giramento di capo, quindi era necessario avessi qualcosa sotto le dita cui aggrapparmi.

Bollente era il desiderio in me di conoscere il suo passato, affinché potessi giustificare il suo comportamento enigmatico ed inverecondo, poiché solamente avendo certezze riguardo la natura della sua anima avrei potuto amarlo, un giorno, pertanto, quando egli inclinò il capo e avvicinò il suo viso al mio, voltai la guancia e il suo respiro famelico ricadde sul mio orecchio.

Ah, debole Allyson! Come tremavi ai brividi intensi che il suo tocco ti provocava!

Arricciai il tessuto della sua giacca tra le dita, e scostai la mia mano dal suo collo quanto avvertii il suo corpo bruciare sotto una mia involontaria carezza.

Perché la mia pelle era così intrisa di trepidazione?

Ah, sciocca quale ero! Disprezzare la sua presenza, per poi ansare piacevolmente alla sua

vicinanza!

La sensazione d'incertezza crebbe,  divenendo un'agonia cruda ed insopportabile, tantoché dovetti retrocedere per riprendere il respiro necessario per ricompormi.

"Devo assolutamente conoscere dove intendete dirigervi in mia assenza, soprattutto se non avete alcun motivo per allontanarvi," sussurró ansimando, poi tentò di riabilitarsi congiungendo le mani dietro la schiena e alzando il mento. "Esigo il massimo rispetto da voi."

Ah, se solo lo avesse chiesto e non preteso!

Deglutii e ripresi la mia avanzata verso il suo corpo. Quando vi fui dinanzi, un bagliore di luce illuminò le sue iridi, rendendo il verde dei suoi occhi ancor più accecante. Spostai lo sguardo sul suo volto, determinata, prima di riuscire a parlare. "Anche io esigo rispetto, signore." La sua espressione divenne tesa. "Potreste iniziare a collaborare in questo patto di reciproco rispetto donandomi il permesso di vivere la libertà che mi è stata concessa da Dio."

Non avrei mai rinunciato alla mia indipendenza, specialmente se ero propensa a vivere quest'ultima per conoscere il passato di un uomo che non mi aveva mai raccontato di sé, causando quindi la mia costrizione nel formulare pregiudizi circa l'apparenza con cui egli si poneva a me.

Egli non rispose, ma alzó il capo e  chiuse gli occhi, come se fosse improvvisamente sofferente e tormentato, per poi accarezzare nervosamente le sue sopracciglia. "Avete ragione." disse allontanandosi e iniziando a percorrere irritabilmente la camera a grandi passi. Poi si voltò e puntò un dito nella mia direzione con piglio autoritario. "Ma ho il diritto di sapere dove va mia moglie."

Vostra moglie o la vostra proprietà? Oh, signor Wilkinson, chi vi avrá mai trasmesso questa tale possessivitá? ragionai, inclinando il capo per esaminare la tensione nei suoi diamanti verdi.

Chinai lo sguardo e sbattei un paio di volte le palpebre, e chiesi disperatamente alla Divina Provvidenza di illuminarmi circa una risposta che avrei potuto dare.

"Non parlate?"

"Andrò dai miei cari padre e madre." Non riuscii a guardarlo negli occhi, tanto era intenso il senso di colpa che provavo nel sapere di mentirgli.

Bradley reclinò il capo ed iniziò a ridere fiocamente, eppure compresi come la sua fosse una finta gioia autoimposta. "Come possono essere cari simili genitori che obbligano la loro unica figlia a sposare un..." tentennó. "mostro?"

Il mio cuore venne lacerato da tali parole, poiché non avevo mai ragionato su quali pensieri potesse nutrire il signor Wilkinson nell'osservare come evitassi la sua presenza, disprezzando quest'ultima in maniera - ammisi fosse- troppo esplicita.

Il giovane restò in silenzio e, per la prima volta, lessi un vivido imbarazzo nelle sue movenze, vista l'avidità con cui iniziò a grattarsi il collo, per poi far scorrere le dita sul suo volto.

"Voi non siete un mostro." Inaspettatamente, parole sincere fluirono dalle mie labbra, tantoché, poco dopo averle pronunciate, il mio respiro si mozzò, poiché, stranamente, non credevo mi risultasse così difficile osservarlo vestirsi di una sofferenza che tentava di celare.

Egli si voltò rapidamente, come se fosse incredulo riguardo quanto avevo appena rivelato, poi ghignò. "Invece vi sbagliate."

Quella conversazione contribuì a colmare ulteriormente i miei pensieri di una fulgifa confusione, quindi scossi il capo, decisa a lasciare velocemente la stanza e mi avviai verso la porta.

Prima che potessi rivolgere un cenno di congedo, Bradley afferrò il mio polso, per poi allentarne la presa. "Abbiate cura di voi." Tanta era la sua apprensione, mio Dio! "Vi voglio a casa prima del tramonto."

Oh, come tornò ben presto a mostrare la sua innata superbia!

Inoltre, mai avrei potuto tornare alla villa prima del crepuscolo, dato il lungo tragitto che sarei stata costretta a percorrere in carrozza, eppure il desiderio accresceva in me secondo dopo secondo trascorso in sua presenza, quindi annuii, nonostante fossi consapevole dei rischi che avrei -senza dubbio- incontrato una volta fatto ritorno.

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"Vedete, signora, laggiù v'è situata Londra." Dorothy si sporse verso di me, allungando un braccio per indicare un lontano gruppo di abitazioni, mentre percorrevamo in vettura i pochi metri restanti del bosco, per poi sfociare in un groviglio di urbanizzazione.

"Sapreste dirmi quanto manca al crepuscolo?" domandai inquieta, continuando ad osservare come il cielo lasciava facilmente svanire le sue sfumature azzurre, per tingersi di una rara scia dorata ad Occidente. "Non molto signora, tuttavia ho avvertito il buon cocchiere di percorrere velocemente la strada del ritorno." rispose.

I tessuti del mio corpo si contrassero sotto quelle parole, poiché la mia mente fu invasa da un vortice di ampie preoccupazioni, date dalla consapevolezza di aver promesso il mio anticipato ritorno ad un uomo che non ammetteva giustificazioni.

Oh, come peccai d'imprudenza!

Non badai a quanto tempo trascorsi immersa nei miei pensieri, ma la voce acuta di Dorothy destò ben presto il mio animo apprensivo. "Siamo giunte dinanzi alla vecchia dimora di vostro marito, signora Wilkinson."

Annuii, seppur continuando a crogiolarmi nelle mie ossessive ed estenuanti riflessioni, prima di scendere e di tentare di riacquistare il respiro, una volta ritrovami dinanzi all'imponenza della dimora che sorse imperativa, dirimpetto ai miei occhi sorpresi.

Una spaziosa casa in pietra in struttura rinascimentale poneva le sue grinfie verso il cielo, e la sua immobilità sembrava quasi soffocare l'intero viale ciottoloso su cui si affacciava imperterrita.

Le inferriate delle alte finestre erano sbarrate e consunte, quindi dedussi rapidamente la quantità immemore di tempo trascorso dalla sua rovina, eppure, nonostante ciò, continuai a fissare l'abitazione come fosse una struttura maligna ed esoterica, poiché ero sicura che in essa abitasse il passato e lo spirito fanciullesco di Bradley, il quale compresi non avesse raccolto con sé i ricordi positivi della sua infanzia.

"È disabitata da molto tempo, oramai." Dorothy accarezzó un frammento di vetro spezzato ai nostri piedi, chinandosi. Poi rivolse il capo verso l'alto, schiudendo timorosamente le labbra, come se quella criptica dimora portasse alla luce antiche situazioni di cui io non conoscevo la natura.

Un calesse irruppe improvvisamente nel sentiero altrimenti desolato ed io trasalii timorosa, giacché quest'ultimo riempì la zona di un oscuro alone di mistero che inculcò in me un curioso terrore.

Mi avvicinai alla porta d'entrata, provando a romperne i battenti, ma fui interrotta dal tocco materno di Dorothy sulla mia spalla. "Aspettate, signora." Ella estrasse dalla tasca della sacca che reggeva in mano una chiave sporca e rivestita da uno spesso accumulo di polvere. "Il signor Wilkinson me ne ha affidato la custodia, ma non ho mai avuto l'ardire di tornare a visitare quest'antica dimora." Sospirò.

Perché così tanti sospiri, mio Dio? Cosa non conoscevo ancora?

Detestavo non essere informata delle questioni personali di coloro che mi circondavano quotidianamente, quindi non esitai a porle alcune domande.

"Quanto tempo fa?"

"Tre anni addietro, signora."

La mia mente fu illuminata dall'immagine di un Bradley quindicenne che lasciava la casa a me dinanzi per una ragione a me ancora ignota, quindi aggrottai la fronte e seguii Dorothy all'interno dell'abitazione quando ella ne aprì i battenti.

Fui immediatamente avvolta da una nube di polvere così fitta che riscontrai un'enorme fatica nel respirare, nonché da una scia di nausea dovuta all'olezzo che una dimora così priva di aria pulita covava.

Dorothy estrasse un fiammifero e con esso accese due piccole e consunte candele di cera poggiate su un ruvido ripiano in mogano e me ne porse una, ben attenta ai suoi movimenti, dopodiché s'incamminò verso uno spazioso atrio dove solamente un lungo divano in raso bianco sembrava dominare la stanza.

I suoi passi erano decisi, poiché evidentemente conosceva già molto bene la struttura della casa e non seppi spiegarmi la ragione per la quale iniziai ad inviare questa sua sicurezza.

Io, invece, avvertii improvvisamente un brivido gelido diffondersi in tutti i miei arti, pertanto mi strinsi nelle spalle, accarezzando le mie braccia per infondermi quel calore che era venuto a mancarmi.

Addietro ed in solitudine, osservavo circospetta le pareti malconce circostanti e, come se avvertissi una presenza ignota alle mie spalle, mi voltai rapidamente, tantoché una goccia di cera bollente cadde sulle mie dita, ed io trasalii con un grido dolente.

La candela ed il suo manico fecero per cadere con un tonfo rumoroso sul pavimento, tuttavia fui abbastanza veloce e riflessiva da afferrarne l'estremità, per impedire un possibile incendio indesiderato.

La fiamma della candela, però, illuminò ardentemente un oggetto ancora non identificato, accasciato sul pavimento. Incurvai perplessa le sopracciglia, alzai i lembi del mio abito e mi chinai, curiosa per ciò che i miei occhi avevano appena incrociato.

Una vecchia fotografia.

Non riuscii a scorgerne i soggetti ritratti, finché non mi apprestai a rimuovervi la polvere con un dito: una giovane donna ed un fanciullo.

Avvicinai la fotografia scolorita ai miei occhi e quasi mi mancò il respiro quando riconobbi lo sguardo determinato di Bradley negli occhi del fanciullo, così come la linea perfetta delle labbra e la chioma discola sempre scarmigliata.

Il bambino era sorridente, quindi mi sorpresi -poiché non avevo mai osservato una sincera risata del giovane Wilkinson- e abbracciava affettuosamente il busto di una donna, con una stretta colma d'amore.

Amore. Un Bradley fanciullo era forse capace di amare?

Restai ad ammirare l'eleganza delle due figure e a scorgere i ritratti somiglianti della donna con Bradley, vista la medesima linea della mascella che poteva vantare di avere in comune con il fanciullo.

"Signora Wilkinson." La voce di Dorothy alle mie spalle si tinse di una perplessa confusione, prima di giungere al mio fianco.

Ella osservò la fotografia che accarezzavo tra le dita, sospirò e annuì, senza riuscire a celare un sorriso nostalgico.

"Lady Wilkinson... o almeno così si chiamava, una volta," spiegò, affiancandomi. "Era la madre del signor Wilkinson."

Un tuffo al cuore. "Cosa volete dire, Dorothy? Lady Wilkinson è forse..." deglutii prima di parlare, poiché mi era assai difficile pronunciare un simile termine. "morta?"

Dorothy sgranò i piccoli occhi blu e arricciò le labbra, dissentendo con il capo. "Oh, no, mia signora!" esclamò, colpita. "Ma forse sarebbe stato meglio se Dio avesse richiamato a sé quella donna."

"Come potete dire simili cattiverie, Dorothy?" Senza badare al mio gesto equivoco, portai la fotografia al petto, esterrefatta.

"Mia dolce ragazza, Lady Wilkinson è stata la rovina di vostro marito."

"Cosa intendete dire?" inclinai il capo, improvvisamente attenta.

"Il signor Wilkinson ha trascorso un'infanzia oscena, mia signora!" La donna assunse le difese di Bradley, visto l'ardore con cui parlò, dopodiché punto deplorevolmente un dito contro la figura femminile ritratta in foto. "E la causa ne è stata sua madre! Una donna insensibile e maligna! Il suo passato oscuro lo ha reso così, mia cara."

Il mio sguardo tornó lentamente sulla foto e provai a scorgere accenni di perfidia nei grandi occhi della giovane, ma ella somigliava troppo a quel Bradley amorevole, quindi non vi riuscii.

"Raccontatemi, Dorothy, se sapete," dissi, decisa. "Quali sofferenze è stato costretto ad affrontare mio marito?"

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Che ne pensate?

Che infanzia tragica avrá mai vissuto Bradley e come avrà pesato quest'ultima sul suo essere?

Vi piace il contatto che inizia ad esservi tra il signor Wilkinson ed Allyson?

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