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Capitolo 13

La cavalcata si fece più furente e sostenuta, tantoché fu necessario poco tempo per attraversare il viale ghiaioso apertosi fra il folto bosco del Bedfordshire.

Non seppi spiegarmi la ragione per la quale il signor Wilkinson avesse ordinato di preparare la carrozza più illustre, dato che reputavo di minima importanza la visita ai miei genitori, ma evidentemente Bradley non aveva affatto l'intenzione di sminuire la sua considerazione.

Egli osservava attentemente la serpa del cocchiere dinanzi a sé con sguardo profondo, un braccio poggiato disinvolto accanto alla piccola finestra della vettura e una mano adagiata sul sedile posto tra i nostri corpi, e notai come le sue dita avanzassero verso la mia figura.

Come era possibile provare felicitá e timore al medesimo tempo nell'intravere la propria umile dimora precedente poco distante?

Quale destino avverso dovevo fronteggiare!

"Credo che i vostri cari padre e madre attendano con trepidazione il nostro arrivo." Il giovane socchiuse i occhi, poiché un bagliore di luce accecante coloró il suo volto.

"Cari, voi dite?" Sospirai incredula.

Il signor Wilkinson chinò il capo e la sua espressione assunse una sfumatura di arresa, così come notai il suo cuore trovare pace riguardo ad un simile argomento.

"Per me sono molto cari..."

Non attendevo una sua risposta, quindi mi sorpresi della rapiditá con cui formulò la frase.

Egli alzò il capo, sfoderò un sorriso sghembo e arricciò le labbra.

Intanto, la carrozza giunse dinanzi al cancello della mia vecchia casa, accompagnata da un gemito del cocchiere che si apprestò a fermare l'avanzata dei destrieri.

Il giovane scese dalla vettura con un balzo repentino e la sua lunga giacca sembrò volare per una manciata di istanti interminabili, dopodiché scorsi la sua figura allungare una mano verso la mia.

Notai i battenti della mia precedente dimora spalancarsi, pertanto mi affrettai a poggiare le mie dita su quelle del giovane, onde evitare ulteriori disguidi con i miei genitori.

"Vi prego di apparire calma, signora Wilkinson, non vorrete suscitare ancora preoccupazione nei vostri cari, giusto?" Il suo voltò si avvicinò al mio ed esaminai la passione con la quale pronunciò tali parole, visto l'ardore lucente nei suoi diamanti verdi, mentre stringeva maggiormente la presa attorno alle mie dita.

Come potevano i suoi occhi accendersi ogni giorno di una nuova luce sempre più ardente?

L'intensità di quel verde divenne quasi insostenibile al mio sguardo, pertanto mi limitai ad osservare le figure dei miei genitori avanzare ansiose verso di noi.

Ci volle un lungo istante prima che Bradley scostasse lo sguardo dal mio volto. "Signori Stevens, i miei più sinceri auguri per un buongiorno." Si profuse in un cenno del capo.

"Oh, la mia bambina!" Mia madre appariva stanca, ma emozionata al medesimo tempo; poggiò le mani sulle mie braccia e descrisse con le sue dita fredde lievi carezze materne.

La sua bambina! Avrebbe mai desiderato, una vera madre, la rovina della propria figlia?

Solo apparenze erano le sue!

Mio padre sorrise, evitando di scomporsi in futili effusioni, pertanto ammirai la sua innata eleganza. "Oh, caro signor Wilkinson! Siamo lieti di ricevervi. Ma prego, prego, entrate pure in casa!" Allungò una mano e fece strada sino all'ingresso.

Volontariamente e oramai esausta, ritirai la mano da quella del signor Wilkinson, ed egli, di conseguenza, mostrò un piglio perplesso, arrestandosi qualche secondo dinanzi alla porta d'entrata, dopodiché scostò lo sguardo, ma la sua confusione era ben visibile sul suo giovane volto.

Il salone della casa aveva inaspettatamente mutato aspetto: esso appariva diffidente ai miei occhi, i quali non cessarono di scrutare quest'ultimo come un qualcosa verso il quale provare nostalgia.

Ero sicura il signor Wilkinson potesse osservare la mia casa con un accenno di disprezzo, visto il rango sociale cui egli apparteneva -tanto da renderlo possedente delle ricchezze più illustri dell'intera Inghiterra- tuttavia, con mia enorme sorpresa, mostró rigiditá ed indifferenza.

Istintivamente allungai una mano per sfiorare il vetro dello specchio posto all'ingresso della dimora, osservandone la cornice intarsiata di un -dovevo ammetterlo- finto oro, dove, come mi era di consuetudine ogni mattina, osservavo il mio riflesso, ripetendo a me stessa che niente e nessuno mi avrebbe mai reso un oggetto con cui impiegare il proprio tempo.

Oh, e ora, invece? Cosa avrei dovuto pensare in quel momento, trovandomi in balìa di un diciottenne del quale tentavo di frenare gli impulsi carnali?

Dedussi che il mio poteva essere catalogato solo come un immenso fallimento al quale non avrei più potuto porre rimedio, poiché la delusione giacente in me aveva creato una ferita ancora troppo esposta alle intemperie per cessare di sanguinare.

"Io e tuo padre dobbiamo tenere un colloquio con tuo marito. Soli," puntualizzò mia madre e posò una mano sulla mia schiena, spingendomi lievemente per farmi avanzare verso il salone.

Chiusi gli occhi all'udire quelle due parole fluire dalle labbra di mia madre, per nascondere il mio acceso risentimento e, quando ebbi il coraggio di riaprirli, Bradley mi osservava impassibile, come se conoscesse quale sarebbe stata la mia reazione.

Come poteva aver esaminato così a lungo la mia persona tanto da prevenirne i comportamenti?

Non ebbi tempo per annuire che il signor Wilkinson aveva giá chiuso la porta dello studio di mio padre alle sue spalle.

Inutile sarebbe stato origliare! Futile e insensato, poiché non avrei sopportato ulteriormente il suono della voce di quel giovane, sempre pronto e incline ad assumere un tono propenso a sedurmi.

A distrarmi, però, fu la figura della governante poco lontano. "Signora Stuart!" Corsi verso l'anziana signora dalla chioma ormai argentata, notandola strofinare un panno umido sulle cornici dei pochi quadri rimasti appesi in salone.

"Signorina Stevens!"

Gioii sommessamente. Che suono delicato scivolò dalle sue labbra nel pronunciare il mio reale cognome!

"Oh, perdonatemi, volevo dire... signora Wilkinson, davvero, perdonatemi. Io vi vedo ancora come la piccola bambina che andava a caccia, oh!" Ella chinò il capo mortificata, ma poi tornò ad osservarmi, sapendo che non avrei badato ad una simile schiocchezza.

"Non preoccupatevi. Preferisco di gran lunga essere chiamata con il mio vecchio -nonché reale- cognome." Avanzai e un tuffo al cuore avvolse il mio petto nello scorgere la mia stanza socchiusa.

"Oh, e per quale ragione?" Iniziò a parlare con voce più flebile, temendo di essere ascoltata. "Il cognome di vostro marito non è forse abbastanza nobile?"

"Oh, no, vi prego! Nobile? Giammai! Un insulto alla reale aristocrazia!" Mi portai le mani alle orecchie, disgustata. Dopodiché, poggiai una mano sul suo petto. "Questo deve essere nobile!"

L'anziana sorrise e i suoi occhi furono risvegliati da una luce soffusa nell'udire le mie parole.

Le presi le mani e la guardai con occhio supplichevole. "Vi prego, licenziatevi e venite a lavorare a casa di mio... " mi corressi, "del signor Wilkinson, ve ne prego! La vostra presenza renderebbe senza dubbio meno drastica la mia nostalgia di casa!"

La donna rimase muta, aggrottó la fronte ed incurvó le sopracciglia, non capendo. "Io, signorina? Tengo davvero molto a voi -credetemi!- ma il mio posto è qui. E poi, -orsù- cosa vi porta a dire questo?" I suoi occhi si fecero materni. "Non siete felice? Non vi scalda il cuore l'amore?"

Alzai una mano e sembrò quasi che schiaffeggiassi l'aria. "L'amore? Oh, l'amore! Sconosciuto mi è quel sentimento!"

La signora Stuart sorrise un poco. "L'amore non si chiama. Arriva nel momento opportuno."

"Sono sicura che ha allora deciso di non dispensarmi della sua presenza," dissi.

La signora Stuart si avvicinò e accarezzò la mia guancia, osservandomi con lo stesso affetto che avrebbe nutrito per una figlia che non aveva mai concepito. "Vi assicuro -perché questa è la buona legge dell'altrettanto buon Dio- che il vostro cuore non sarà macchiato di sentimenti avversi. E' troppo buono. Vi dico che riceverete invece molto amore, molto."

Feci per controbattere, ma rimasi riflessiva ad assimilare quelle parole, mentre la donna alzò il capo per osservare la porta dello studio di mio padre spalancare i battenti.

"Allyson."

Mi voltai per osservare l'espressione corrucciata di mia madre. "Siediti. Veloce. Ho bisogno di parlarti urgentemente." Indicò l'antico divano in raso, poi osservò la signora Stuart alle mie spalle. "In privato."

Aiutami, buon Dio, nel riuscire ad ascoltare senza versare lacrime le parole di questa donna malvagia! pregai.

Dedussi dovesse essere un atto estremo considerare la propria madre una creatura malvagia alla quale attribuire la colpa della propria rovina, ma non riuscii a trovare altro aggettivo confacente alla sua persona. 

Mi sedetti.

Santo Cielo! Quante avversità avrei mai potuto ancora incontrare?

Mia madre si sedette dinanzi a me, congiungendo nervosamente le mani in grembo, e chiuse le labbra in una rigida linea sottile. Aprì le labbra per inspirare un poco, prima di rivolgersi a me con un insolito tono irritato. "Pretendo delle spiegazioni riguardo l'accaduto di due notti fa."

Notti! Buon Dio, cosa avrò mai commesso di grave la notte del mio matrimonio? pensai, ma poco dopo aver formulato il pensiero, compresi.

"E cosa avete dunque da rimproverarmi in proposito?"

La donna si alzò, furente. "Oh, tu, sciocca! Il tuo scarso intuito non ti lascia comprendere come in un matrimonio sia indispensabile l'unione fisica?" Mia madre alzò prepotentemente la voce.

Dannato signor Wilkinson e le sue rivelazioni!

"Unione fisica , voi la chiamate, ma ho il diritto di considerare quest'ultima più importante di quanto voi credete," dissi, poi iniziai a battere la mia mano sul cuore. "E' un'unione spirituale, che coinvolge l'anima, la mente ed il cuore! E mai posso permettere che essi incontrino la natura selvaggia e autoritaria del signor Wilkinson, giovane che voi ammirate ma che è la ragione della mia disperazione!"

Ella inizió ad urlare e mi domandai cosa avrebbe mai pensato Bradley di una sua tale reazione ma, d'altro canto, suo era stato l'incoraggiamento di certe parole!

Disgraziato traditore!

"Un buona moglie che si rispetti prende parte agli impegni coniugali! Perché è cosa buona e giusta!" gracchiò. "E poca maturità dimostri, tu, Allyson! Ingrata! Un matrimonio così nobile e tu...! Tu..." La sua espressione divenne ancor più furente. "Ingrata!" ripeté.

Mai avrei permesso mi fossero riservati simili appellativi, quindi ringraziai la buona Divina Provvidenza per avermi donato abbastanza forza per controbattere.

"Una donna matura è colei che offre la propria persona ad un uomo che crede essere degno di riceverla! Le vostre parole sono confacenti agli atteggiamenti di una sgualdrina!"

Ella gemette, digrignando i denti, tanta era la sua rabbia. "Taci! Taci, per Dio! Io ti dico che dovrai invece mettere al mondo un erede. E subito, subito!"

Sbarrai gli occhi. "Dovrei dunque donare un figlio ad un simile lussurioso? Potrebbe concepire un suo erede con la sicuramente più piacevole compagnia di una bella donna o, perché mai, una compagnia più allargata! Due o tre belle donne!"

Qualcuno a cui ben presto trovai un nome rise sommessamente all'interno dello studio di mio padre.

Figlio del diavolo! Ridere delle mie sventure o delle mie giuste insinuazioni!

Lottai segretamente con la mia ragione, ma il mio istinto mi portò a coltivare un fiume di lacrime pronto a rigare le mie guance.

"Tuo marito saprà come educarti in materia," mormorò, poi si avvicinò, chinandosi, e trovai il suo naso sgraziato dinanzi ai miei occhi, "dato che non credevo di avergli dato in moglie una tale sciocca."

Oh, cuore mio, calma i tuoi tumulti a queste parole! pensai.

Fu un istante: sfociai in un pianto isterico e disperato, del quale non seppi spiegarmi la ragione.

Per quale motivo la mia forza si era affievolita, tanto da piangere in ogni piccolo contesto avverso?

Non avevo mai provato tali sensazioni pronte ad affliggermi, ecco la ragione! La mia anima era troppo debole per vivere quel destino ingrato!

Mia madre continuò: "Devi -anzi, te lo ordino!- donarti a tuo marito, affinché il Bedfordshire possa avere una stabile sicurezza data dalla consapevolezza di possedere un futuro capo Wilkinson!" Poi mi osservò. "Spero di essere stata chiara."

A quelle parole, la porta dello studio venne aperta con foga, e vidi il signor Wilkinson poggiare una mano sullo stipite e tingere il suo volto di un'immensa confusione nell'osservarmi piangere.

Così vivida era la mia voglia di schiaffeggiarlo!

Puoi notare, mia buona anima, come il suo cuore sia così perverso da indurre i miei genitori ad ordinarmi di donare il mio corpo a lui! Che Iddio possa darmi la forza necessaria per oppormi un'altra volta al suo piacevole tocco! pensai.

"Guai a te, piccola ingrata, se verrò a sapere che hai rifiutato un'altra volta un'unione fisica con tuo marito!" Agitò un dito dinanzi al mio sguardo, poi si voltó rapidamente, e sgranò gli occhi quando vide Bradley, poiché era chiaro che non sapeva della sua presenza nel salone.

Egli sfoderò un'espressione quasi affranta, simile a -oh, cos'era? Stupore, forse?

Mia madre uscì dalla stanza con grandi passi, agitando i larghi fianchi adulti, poi chiuse violentemente la porta delle sue stanze, una volta entratavi.

"State piangendo.." Il signor Wilkinson mi guardò e sembrò in difficoltá nel pronunciare quel verbo, infatti tentennò un momento. Dopodiché si fece improvvisamente serio.

Badai solamente al mio istinto quando mi alzai per andargli incontro: notai come il nero della sua giacca fosse il medesimo delle sfumature dei suoi capelli.

"Vi odio," gli sussurrai, e i nostri volti erano sin troppo vicini.

Egli sbatté le palpebre tre volte, come per assimilare quelle dure parole, mentre io uscivo disperatamente dalla porta della mia -oramai odiata- dimora.

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Pronte a leggere le parole del signor Wilkinson? E soprattutto, siete pronte al colpo di scena del prossimo capitolo?

Votate e commentate!

  

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