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Chapter 6.↯

  "Love is a temple
Love the higher law
Love is a temple
Love the higher law
 You ask me to enter  
But then you make me crawl

And I can't be holding on
To what you got
When all you got is hurt"

28 aprile 2014 – A prima vista

Musica, alcool, corpi sudati che ballavano, baci, lingue, mani. Questo era quello che Claudio osservava da uno dei divanetti in pelle nera sul quale era seduto, del Plastic, un noto locale notturno milanese. Sorseggiava il suo mojito mentre teneva sotto controllo dall'altra parte della sala i suoi amici. Era annoiato anche troppo. Quelle serate lo annoiavano. Alla bellezza di 22 anni, era annoiato da quella che erano le serate mondane di ogni fine settimana. Erano sempre le stesse. Potevi cambiare locale, ma non la festa. Era stanco di quella vita così piatta e senza senso, voleva di più e anche se giovanissimo, cercava qualcosa che facesse battere quel cuore di ghiaccio incapace di provare sentimenti.

Forse sono difettoso.

Questo pensava di sé stesso. È vero, non aveva molta autostima di sé stesso eppure non ne aveva motivo. Era giovane, bello come il sole al tramonto, un ciuffo perfettamente ondulato all'insù, il colore dei cappelli castani ramati, e gli occhi, due smeraldi verdi che facevano innamorare di sé tutti.

Tutti, ma io no.

Ecco, Claudio non era mai stato innamorato. Era gay dichiarato da tempo ormai, eppure non riusciva a provare nessuna emozione che non fosse l'attrazione fisica, e quella a poco a poco stava andando via. Scopare uomini senza nomi, non lo divertiva più come un tempo. Una volta si sarebbe pure vantato, avrebbe fatto a gara con Paolo su chi ne avesse conquistati di più. Ma ora no. Adesso desiderava altro.

Guardava i suoi amici ballare, divertirsi, strusciarsi su corpi di altra gente e un po' li invidiò. Voleva rivivere anche lui quel brivido dietro la schiena, ritrovare la voglia di vivere e godersi la sua giovinezza. Terminò il mojito, appoggiando il bicchiere sul tavolino anch'esso nero, e rifiutò con un sorriso un ragazzo che si era piombato lì davanti per ballare.

Poi accadde che la musica cambiò, le luci si abbassarono e uno strano silenzio si diffuse, fatto di mormorii e gente confusa. Un gruppo di ragazzi fece il suo ingresso sulla pista da ballo, e uno di essi trasportava sulle spalle muscolose, un ragazzo minuto, dal corpo esile ma spigoloso, la carnagione scura, la barba pronunciata e i capelli neri in disordine: uno schianto, una bellezza meridionale, accecante.

Oh cazzo.

Fu tutto quello che riuscì a pensare Claudio. Doveva essere il festeggiato, perché portava una fascia con scritto "La reginetta della notte", un nome alquanto stupido, ma nello stesso tempo era venerato da quel gruppo di uomini che aveva accanto. Il ragazzo muscoloso che lo reggeva, lo fece scendere, e il principe arabo - così lo aveva definito Claudio – alzò lo sguardo verso di lui.

Da lì tutto ricomincia. Un fottuto scambio di guardi che li paralizzò sul posto. Claudio non lo conosceva, ma avvertì subito una scossa che si irradiava in tutto il corpo, che guidò il suo corpo, che accese il suo cuore. Quei occhi, quell'oceano di petrolio, più nero della notte, brillanti come le stelle, lo avevano accecato.

E lui non credeva nei colpi di fulmine, non credeva nell'amore a prima vista, ma quella sera dovette ricredersi, perché quando fece un passo in avanti verso quel ragazzo, lo stesso lo imitò. Si ritrovarono uno di fronte all'altro, occhi negli occhi, il fiato sulle guance, e non ci fu più via di fuga.

Iniziò così la loro storia.

****

"Mi stai dicendo che ci siamo conosciti in una discoteca, che banale cliché". Mario rise, mentre ascoltò attentamente ogni singola parola di Claudio.

Erano al bar dell'ospedale, aveva ancora un'ora prima di andare via e ritornare a casa. Claudio impiegò quel tempo per rispondere a tutte le domande di Mario, che non erano poche. Il moro era curioso, voleva conoscere la verità, e ormai aveva capito che dalla bocca dei suoi genitori non avrebbe ricevuto nulla. Claudio era la chiave per i suoi dubbi, e il castano era ben contento di poter ricoprire quel ruolo. Certo che parlare del suo passato non era facile. Claudio aveva provato emozioni, amore, gioie, che adesso Mario aveva eliminato. Era sempre la sua parola contro quell'altro, perché oltre ad un paio di foto non aveva molte prove in mano.

"Beh si, niente di avvincente o strano, però è stato bello". Un sorriso scappò dal suo viso, mentre ripercorreva gli anni al ritrovo, mentre ricordava ogni singolo secondo di quell'incontro tanto banale, quanto unico.

"Oddio io mi conosco, non mi lascio convincere alla prima. Penso proprio che ti abbia dato del filo da torcere." Rispose Mario, indicando il suo compagno con il cucchiaio sporco di cioccolata. Claudio aveva ordinato per entrambi la sua merenda preferita: cioccolata calda e torna al cioccolato. Mario era ghiotto di dolci, e Claudio che invece non li aveva particolarmente, aveva imparato ad amarli mangiandoli con lui.

"Oh sì, molto." Alzò gli occhi al cielo. Mario era difficile da conquistare, era stato una sfida contro sé stesso e il carattere permaloso e cocciuto dell'altro. Eppure c'era riuscito.

"Sei stato tu... insomma. Il primo ragazzo che ho avuto?". Le guance del moro si tinsero di rosso, mentre abbassava lo sguardo, sulla sua cioccolata quasi finita. Claudio notò il suo imbarazzo e trattenne a stendo una risatina. Era adorabile.

"No. Non sono stato io. Hai scoperto la tua sessualità un anno prima". Resto sul vago, mentre addentò un pezzo di torta.

"Davvero?"

"Mmh... hai avuto anche un ragazzo. Si chiama Simone, è durata qualche mese", continuò con una punta di fastidio nel suo volto.

"Simone? Oddio il mio compagno del liceo!" esclamò stupido Mario, sbarrando gli occhi.

Claudio annuì, mentre raccoglieva un po' di cioccolato sul piatto. Parlare di quell'uomo lo infastidiva. Non l'aveva mai conosciuto, eppure non riusciva ad accettare altre mani sul corpo di suo marito. Lui era suo, e lui avrebbe voluto essere stato il primo.

"Non ci posso credere". Continuò ancora Mario, portandosi una mano alla bocca e sporcandosi tutte le labbra. "Cioè sapevo fosse gay... ma che io...ecco insomma. Oddio"

Claudio lo guardò sorridendo. Allungò una mano sul volto dell'altro e pulì un pezzo della sua pelle. Mario nel frattempo, bloccò il respiro e restò a guardare quel gesto tanto dolce, quanto intimo. Solo dopo Claudio si rese conto si essersi spinto troppo oltre, e ritrasse la mano, camuffando l'imbarazzo con un colpo di tosse. Non era colpa sua se Mario quando mangiava si sporcava peggio di un bambino!

"e poi cos'è successo?" Riprese parola Mario, dopo essersi ricomposto.

"Sei sicuro di volere sapere proprio tutto adesso?"

****

"Ciao. Non ti ho mai visto qua, sei nuovo?" chiese Claudio dopo essersi trovato di fronte quella bellezza mora. Il ragazzo lo guardava con un sorriso divertito sul volto, indugiando allungo sul suo corpo.

"La sala è mia stasera. Doveva essere una festa privata, quindi non penso che tu sia sulla lista" rispose in tono acido il ragazzo, con un sorriso tutto fossette che metteva in mostra i denti bianchissimi.

Senza fiato. Se avessero chiesto a Claudio di descrivere quel ragazzo, lui avrebbe risposto così.

"Mmh... questa discoteca è la mia seconda casa. Forse avresti dovuto chiedere il permesso a Me, prima di organizzare questa festa", attaccò Claudio. Nessuno poteva dirgli di andarsene. Quella era la sua terra, il suo territorio, non quello del ragazzo.

"Ah, sì? E chi saresti tu, sentiamo." Chiese col fare seducente. "Ah no, aspetta lo so" lo indicò con ghigno. "Sei il famoso Claudio Sona. Ventiduenne, veronese. Ho sentito parlare molto di te in giro. Beh devo dire che le voci erano vere sul tuo conto. Sei un figo da paura" gli sussurrò quelle ultime parole all'orecchio, e poi scoppia a ridere. Una risata fragorosa e fece tremare le gambe a Claudio. Era stregato, inerme di fronte quel ragazzo.

"Beh, non è educato non presentarsi al padrone di casa, sai?" Incrociò le braccia al petto e indossò la sua maschera da duro. Non voleva mostrarsi debole davanti a lui. Dio, lo voleva. Quel ragazzo era irresistibile, ma se voleva giocare, lui avrebbe giocato.

Una sfida, qualcosa che ne voleva la vita stessa.

Il ragazzo esultò ancora, e poi con un movimento sexy si tolse i capelli dalla fronte, dalla quale scendeva goccioline di sudore, porgendo la mano a Claudio.

"Mi chiamo Matías."

*

La serata per Claudio si trasformò in una vera e propria sfida. Matías, così disse che si chiamava il ragazzo, lo congedò dopo quella stretta di mano e poi ritornò ad evitarlo. Claudio lo osservava, mentre beveva forse il quinto drink, vedeva quel ragazzo ballare con altri uomini, muovere i fianchi con movimenti a dir poco censurabili. Era diventato l'anima della festa, tutti lo veneravano, tutto lo voleva. Matías concedeva un ballo ad ogni ragazzo che ci provava, per poi rifiutarlo subito quando questi voleva baciarlo, o stringerlo più forte.

Claudio capì una cosa: se quel ragazzo non ti voleva, tu non potevi neanche avvicinarti.

Eppure lo beccò più volte mentre anche lui lo guardava. E allora in quei casi gli sorrideva e gli strizzava un occhio, per poi tornare a parlare con il suo gruppo di amici.

Mentre Claudio, si scolava l'ennesimo cocktail, due mani pesanti si posarono sui suoi fianchi. Claudio cercò di scrollarsi l'uomo di dosso che invece insinuava le sue mani sul suo corpo, e gli sussurrava di seguirlo.

"Non mi va. Ma via" rispose secco, mentre si voltava e la testa bionda di un tizio che si era fatto una volta, gli baciava il collo. Cercò di svincolarsi dalla stretta, ma l'alcool gli limitava i movimenti. Cercò di scacciarlo via, quando le labbra di quell'essere, si posarono sulla sua guancia, e cercavano la sua bocca. "Ho detto lasciami!" quasi strillò, ma il ragazzo non lo stese a sentire.

"Ehi, tu. Ti ha detto di lasciarlo andare." Una voce profonda, arrivò da dietro le spalle di Gianmarco, Gianfilippo, qualche nome che iniziava con Gian ma che Claudio non ricordava al momento.

"Cosa vuoi?" rispose il biondo, lasciandolo finalmente andare, e solo dopo Claudio si rese conto che l'uomo che aveva parlato era stato il suo principe, il suo tormento.

"Ti ho detto di lasciarlo andare." Sibilò Matías, guardando Gianluigi, ecco forse si chiamava così, con un sorriso sul volto. Il moro era pure esile in confronto al bestione, eppure incuteva terrore. E poi lo stava salvando.

"E perché dovrei dare retta a te?"

Dalle labbra disegnate del ragazzo scappò una risatina sarcastica, e poi diventando nuovamente duro e terribilmente incazzato, prese Gianluigi per il colletto della maglia e lo minacciò. "Claudio sta con me, razza di idiota. Provaci un'altra volta ad avvicinarti in mia presenza che per te è la fine. E poi questa festa è privata, se non vuoi avere guai. Sparisci." Gli sussurrò all'orecchio e per poi lasciarlo andare.

Il ragazzo si ricompose e poi senza più degnarli di uno sguardo, scomparve nella folla.

Claudio era immobile. Il battito cardiaco accelerato, lo shock sul volto. Non se lo aspettava. Non si aspettava che quel ragazzo lo tirasse fuori da quella situazione, e non si aspettava neanche che Gianluigi andasse via senza protestare. Era stupido, spaesato, perso.

"Ah Claudio, Claudio." Mario si voltò verso di lui, sempre sorridendogli. "Cosa devo fare con te?" si avvicinò cauto, e appoggiò una mano sulla sua guancia. "Stai bene?" chiese con dolcezza, e corrugando la fronte preoccupato.

"Si... io... grazie" riuscì a dire alla fine, risvegliandosi dal suo stato di trance.

"Non devi ringraziarmi, piuttosto smettila di bere così tanto e offrimi qualcosa!"

E così fecero. Restarono al bancone a parlare del più del meno, e a ridere come pazzi. Claudio gli raccontava un po' della sua vita, e a causa dell'alcool sviluppò una parlantina non indifferente. Matías lo guardava con ammirazione e attenzione. Parlò poco di lui, purtroppo per Claudio che invece voleva sapere di più del suo conto. E poi...lo provocava. Aveva un modo di prendere la cannuccia tra i denti invitante, di tanto in tanto si mordeva il labro inferiore mentre lo stava ad ascoltare, e non staccava mai gli occhi dai suoi. Quei due fari neri erano invadenti, mettevano Claudio a nudo. Si sentiva spogliato sotto la potenza di quello sguardo, e più lo guardava muovere i fianchi a tempo di musica, più perdeva la testa.

"Vieni con me." Gli disse infine il romano, ecco aveva scoperto di non essere della zona, prendendola per mano e trascinandolo fuori dalla pista. Claudio si lasciò guidare, mentre stringeva le dita tra le sue. Un incastro perfetto.

"Dove andiamo?" gli chiese, mentre il moro continuava a trascinarlo su per la rampa delle scale.

"In terrazza. Dai."

Salirono in fretta gli scalini e Matías, sforzò la porta, lasciando la mano di Claudio, per entrare sulla terrazza che si affacciava su Milano. La luna era in alto nel cielo, circondata da miliardi di stelle. La loro debole luce si rifletteva sul volto di quel ragazzo tanto bello quanto dannato.

Claudio rimase ad ammirarlo, mentre lui teneva gli occhi fissi nell'oscurità della notte, e giurava di non aver mai visto nulla di più bello prima di lui. La mano, che solo pochi minuti fa era stretta in quella dell'altro, bruciava e il ragazzo sentiva la necessità di stringerla ancora.

Poi il romano riportò la sua attenzione su di lui, e sorrise stavolta davvero.

Wow potrei morire di crepacuore se mi guarda ancora così.

"Sai, esattamente un'ora e mezza fa, ho compiuto 24 anni" disse fiero di sé, facendo più vicino. "Ma non ho ancora espresso il mio desiderio" continuò adesso serio. Quando gli fu davanti, socchiuse gli occhi e sfiorò una guancia di Claudio col naso.

Troppo vicini, i profumi si mischiarono, i respiri caldi di uno con gli altri addosso. Attrazione fisica che li unica.

"E cosa vuoi desiderare?" chiese alla fine Claudio, recuperando un po' di saliva per parlare dalla sua gola secca, facendosi ancora più vicino.

"Baciami."

Accadde così, il primo bacio. Sotto un cielo stellato a fargli da sfondo. Claudio portò le sue mani sulle guance dell'altro e le accarezzò piano, mentre delicatamente incontrava le sue labbra. Fu uno schiocco dolce, un bacio a stampo più delicato delle ali di una farfalla. Le braccia del moro gli circondarono la schiena e infilò le mani nelle tasche dei jeans, facendo scontrare i loro bacini. Lentamente Claudio chiese accesso alla sua bocca, e mugolò quando la lingua dell'altro incontrò la sua. Si scambiarono i sapori, i pensieri, le anime. Si amarono dolcemente, con la consapevolezza che niente sarebbe stato più come prima. Claudio si staccò un secondo per riprendere fiato e sussurrò un "Buon compleanno", prima di inglobare di nuove quelle labbra che stavano diventando la sua nuova ossessione, la sua dose di droga preferita. Si baciarono allungo, mentre sotto di loro la festa continuava, ignari di quello che sopra le loro testa stava succedendo. Si baciarono ancora, mentre i loro cuori scandivano lo stesso ritmo, le mani si riconoscevano, e i corpi si adattavano. Tutto sapeva di loro.

"Stai tremando" costatò Claudio, quando si rese conto del tremolio delle gambe del ragazzo. "Hai freddo?"

Il ragazzo negò con la testa, e baciò a stampo ancora le sue labbra. "è colpa tua. Se mi baci così, io..." ma Claudio non gli diede il tempo di completare la frase, che ritornò a torturare la sua bocca, facendo ridere.

"Mario" disse infine.

"Come scusa?"

"Non mi chiamo Matías, mi chiamo Mario."

Claudio ancora non sapeva che quel nome sarebbe diventato il suo suono preferito.

****

"Okay confermo. È un banalissimo cliché" disse Mario mentre rideva. Adesso erano sul taxi, avevano lasciato l'ospedale diretti a casa, e il moro non faceva altro che sorridere.

Pensandoci Claudio, pensava che Mario avesse ragione. Il loro incontro fu un cliché. Discoteca, ballo, bacio sotto le stelle, ma il più bello che avesse mai vissuto.

"va bene, un po' si" si rassegnò, alzando le mani e sorridendo.

"Ti ha veramente reso felice..." commentò il moro, guardandolo.

"Cosa?" Disse allora, il più giovane, notando il primo sorriso sincere dell'altro sul suo viso.

"Il tuo Mario, il vecchio me, o la parte di me che per ora non c'è. Quando ne parli ti brillano gli occhi. È bello da vedere". Mario sorrise, mentre scendeva dal taxi.

Claudio non rispose, si incupì all'istante.

Si che mi hai reso felice, avrebbe voluto dirglielo, invece tacque. Una pugnalata al cuore avrebbe fatto meno male. Claudio non gli aveva mai nascosto i suoi sentimenti, ma adesso che Mario era riuscito a leggerlo nel profondo, si sentì solo. Sperava che ripercorrendo la loro storia, potesse scaturire nell'altro un segno, qualcosa, invece il nulla. Mario lo guardava come si guarda un film romantico, dall'esterno, e non dall'interno, come se quelle emozioni non gli appartenessero.

Tenne il capo abbassato, leggermente imbarazzato, mentre lo aiutava a salire i gradini della loro casa.

"Poi cosa avete fatto?" domandò nuovamente Mario, cogliendo il rammarico nel suo volto, e cercando in qualche modo di salvare la situazione. Stavolta però Claudio rise.

"Sei instancabile oggi"

"Sono curioso".

"Emh... ecco" le guance si tinsero di rosso fuoco, e Mario si mise una mano davanti agli occhi.

"Okay, ho capito, risparmiami i dettagli." Ribatté terribilmente imbarazzato, facendo ridere di buon gusto l'altro.

"L'ho portato a casa" disse infine, mentre infilò le chiavi nella toppa della serratura e aprì la porta.

"Occhi tuoi ardenti

più brillanti del firmamento,

più dolorose delle lame"

---

Ciao mie belle!

Sono tornata con un nuovo capitolo, un po' più lunghetto degli altri.

Siamo dal punto di vista di Claudio, che racconta a Mario la loro storia. Una serie di flashback col quale spero che il marito può ricordasse di lui.

Che dite ci riuscirà? Si? No? E il tuo?

Fatemi sapere che ne pensate e a presto.

Sabry

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