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Chapter 23.↯

A delle pazze che ho conosciuto
Da poco e che già adoro,
Che aspettano ogni capitolo per insultarmi
(Tranne una che è la mia alleata)
Per voi, grazie. 💜.
K. T. S. M.

Ricordati di me
Siamo morti insieme
Io ho qualcosa di te
Tu hai qualcosa di me che m'appartiene
Questo mondo lo so non ci ha voluti bene
Non scordarti però anche se non ci sto
Siamo morti insieme.



Dicembre di due anni dopo - Roma
Le dita che correvano veloci sulla tastiera, i polpastrelli che sapevano già cosa suonare, quale melodia creare. Ed tutto un incontro di tasti neri e bianchi e poi ancora e ancora.

Le mani agili sapevano ciò che il cuore di Mario esprimeva. La musica, la sua vita, l'unica sua salvezza.

È così che ha trascorso gli ultimi due anni, è cosi che si è riseduto di fronte a quel vecchio pianoforte regalato dalla sua dolce nonna, ha ripreso quella cartella in mano, ha riscoperto che lui con le mani sapeva davvero creare qualcosa, qualcosa di estremamente bello non solo per lui ma anche per gli altri.

E lui amava questo. Regalare un sorriso alla gente, farle emozionare ed emozionarsi.

Perché sì, la musica è tutto ciò che a Mario è rimasto.

Aveva perso una vita, una vita lontana che non sapeva di avere. Aveva un vuoto nella mente e nel cuore, anni che non sarebbero tornerati più indietro e che lui ormai sapeva che non avrebbe ricordato mai più.

Perché ti ritrovi ad avere 29 anni, ma tu ne hai vissuti solo 25 e mezzo. C'è quello scarto di quasi di quasi quattro anni che lui non aveva vissuto. O meglio, l'aveva vissuto ma non nella sua mente.

La mente umana è bastarda. Cancella ciò che ci fa male, ma nello stesso tempo ci toglie anche la felicità.

Sofferenza e gioia, amore e odio, camminano sempre di pari passo. Se togli una, perdi anche l'altra.

Ed era così che stava Mario, come se fosse morta una parte di sé stesso, sì è morta, insieme a quella di un ragazzo dai capelli castani ramato e gli occhi verdi.
È morta anche la sua e Mario l'ha vista, mentre il ragazzo due anni prima piangeva davanti ai suoi occhi, gli mostrava il suo cuore spezzato, gli dedicava la vita.

Come fai a guardare l'uomo che ami e capire quando è il momento giusto per andarsene?

Le parole di Claudio, venivano ripetute dalla sua mente bastarda in continuazione.

Già, come fai andare la persona che ami?
Ma come puoi trattenerla se non la ami? Come puoi illuderla, farle del male, ferirla ancora?

Mario non poteva fargli questo, non poteva infliggergli un dolore che l'altro provava solo a guardarlo.

Lo aveva lasciato andare, chiudendo anche il suo cuore.

Perché lui non gli era indifferente, no.

In poco tempo Claudio si era insinuato tra le pieghe del suo cuore e della sua anima. Provava affetto verso quel ragazzo che stava provando a conoscerlo.

Il problema era proprio questo: Claudio gli piaceva troppo.

Claudio gli mancava troppo.

Ma lo stesso ragazzo era oltre, non era una cotta, era amore, e Mario dal suo amore si sentiva schiacciato, e non perché non lo ricambiasse, ma perché si sentiva sempre sotto esame, qualunque passo avanti che lui facesse era sbagliato.

Aveva paura di scoprire che Claudio per lui era solo una cotta, e non aveva avuto il coraggio di continuare quella conoscenza.

Il coraggio.

Quel fottuto coraggio che lui non aveva avuto. Si era frenato, e aveva preferito così. Non solo per non farsi ancora del male, ma per non farne agli altri.

E poi c'era la sua famiglia. Quella famiglia che lo amava, in modo strano, assurdo, ma sempre amore era.

Sua madre e suo padre non erano perfetti. Sua madre troppo iperprotettiva, suo padre troppo rigoroso. Ma era amore. Mario non aveva mai avuto un rapporto con loro. Non si era mai sentito tanto integrato in quella famiglia. Per loro era un errore ma adesso voleva risolverlo.

"Non vogliamo perderti di nuovo, Mario" gli aveva detto sua madre la sera stessa del matrimonio di Davide, quando Claudio era andato via. Perché lo avevono trovato così, da solo a piangere per ciò che aveva fatto per aver lasciato andare via un pezzo di vita.

"Io voglio solo il meglio per te." aveva replicato il padre e lui non se la sentiva a ferirli di nuovo.

Così in silenzio li aveva abbracciati e "non mi perderete più". Da quel momento era stato tutto un crescendo. Tutto era andato bene.

Mario aveva ripreso gli studi di economia per far contento Carlo, si era laureato con il massimo dei voti. Era diventato il figlio perfetto per sua mamma e un fratello presente per Martina.

E aveva ripreso i suoi hobby, la musica che aveva dimenticato, la magia di scoprire che in realtà era bravo davvero.

E quel Natale di due anni fa si esibì a Vienna e divenne una piccola stella. I giornali parlavano di lui, erano ammaliati dalle sue note che esprimevano quella malinconia che c'era sempre insieme a Mario. Aveva fatto un tour in giro per l'Europa e per l'Italia, e adesso dopo una tappa a Milano, aveva la possibilità di approdare insieme al suo pianoforte fino a New York.

Ma c'erano giorni come quelli, giorni tristi dove neanche la musica lo rassicurava. Nessuno poteva.

Vi chiederete di Simone.
Già.
Simone.

Era andata avanti per un po'. Si erano visti, erano usciti insieme, lo aveva baciato un paio di volte, ma non riesciva a spingersi con lui, a provare qualcosa di più.

"Dobbiamo parlare" esordì una sera Mario, mentre erano a cena. Simone era così carino con lui, davvero. Mario trovava anche dolce il fatto che si fosse preso un pugno per difenderlo, ma non era ciò che Mario voleva.

"Dimmi" aveva risposto il ragazzo.

Mario lo aveva guardato. I suoi occhi azzurri erano indubbiamente bellissimi, ma non erano nulla. Vuoti, anonimi, non gli trasmettevano emozioni.

Non erano verdi com i prati in primavera, non erano profondi come le onde del mare.

"Tu sei un ragazzo meraviglioso, davvero. Io con te sto bene"

"Ma c'è un 'ma', giusto?"

Mario abbossò lo sguardo e sospirò. "Ma non sei quello giusto per me, anzi non sono quello giusto per te. Tu meriti un amore che ti rispetti e che ti voglia davvero non al 60%, meriti qualcuno che ti apprezzi e ti ami incondizionatamente, ma questo qualcuno non sono io. Però ti voglio bene, sei stato importante per me. Non voglio perderti, possiamo restare amici?"

Simone iniziò a ridere e si infilò il cappotto pronto per andare via. "Sei sicuro di aver perso la memoria?"

"Cosa vuoi dire?"

"Mi hai detto la stessa cosa anche quando mi hai lasciato la prima volta, e la risposta è no. Sparisci dalla mia vita, Mario" e se ne andò via, davvero.

Finì cosi con Simone, e Mario ne fu sollevato.

Col tempo poi riuscirono a recuperare quel poco rapporto che avevano grazie gli amici comuni e le feste insieme.

Erano amici e quello bastava.

Mario sospirò, fermando le sue dita. La musica terminò il suo corso ma non i suoi pensieri.

Oggi proprio non riusciva a concentrarti, la sua mente era proiettata a domani.

Perché c'era Claudio, cazzo.

Era un pallino fisso, peggio di un incubo. Non riusciva a farlo andarlo via neanche volendo, non riusciva a eliminarlo.

Sognava i suoi occhi la notte, si svegliava sudato dagli incubi. C'era sempre lui che riviveva quella maledetta notte. C'era lui e Claudio che gli dava le spalle e andava via e lui lo lasciava andare sempre.

Mi ha dimenticato, si diceva, come io ho dimenticato lui.

Ma erano solo stronzate.

Lui si mangiava lo stomaco notte e giorno per non aver concesso una vera opportunità a Claudio. Si era sempre giustificato dicendo di non essere pronto, non avere coraggio, di sbagliare.

Ma adesso aveva tutto, un futuro certo, una famiglia amorevole, degli amici fantastici, mancava solo l'amore. E lui quel puntino fisso lo aveva sempre.

Avrebbe dovuto conoscerlo, avrebbe dovuto provarci, e ora continuava a dirsi che fosse troppo tardi.

Lo aveva seguito, certo. Sapeva come stava, cosa faceva, come andava il suo lavoro. Aveva ripreso una certa corrispondenza fissa con Paolo. Non lo conosceva, ma se ne innamorò subito. Era l'amico che tutti avrebbero voluto nella propria vita, colui che era stato accanto ad entrambi in silenzio.

È vero che Mario aveva firmato il divorzio, lo aveva fatto credendo che fosse la cosa migliore. È vero che si fece mandadare la sua roba, tutto ciò che aveva lasciato a Verona.

È vero che il primo anno era stato bene.

Ma poi aveva sognato Claudio per la prima volta un anno prima, ed era stata la fine.

Si era frenato nel prendere treni per raggiungerlo, aveva represso la voglia di scrivergli, ma una notte non ne potette fare a meno.
Si era appena svegliato dopo l'ennesimo incubo. Aveva visto qualcosa di nuovo però, come un fash.
Aveva visto lui ridere con una persona in una casa che non conosceva ma che sentiva familiare. Non aveva visto il volto di quel ragazzo, ma il suono della sua risata gli restò impresso. Era un ricordo, il primo ricordo. Ne era certo.

Prese il telefono, selezionò il suo contatto, inserì la modalità di anonimato e avviò la chiamata.

Uno squillo, due squilli.

"Pronto?"

La sua voce. Era la sua voce.
Era il suo timbro, la stessa risata nel suo sogno.

Era Claudio.

"Pronto? Chi è?"

Non rispose. Rimase in attesa fino a quando Claudio dall'altro lato non mise giù la chiamata.

Sorrise.

Da quel giorno fu impossibile non pensarlo. E ci provò davvero ad andare avanti. Ebbe altre storie più o meno durature ma si stancava subito, trovava dei difetti a tutti. Troppo alto, troppo basso, troppi tatuaggi, occhi troppo verdi. Non andava bene nessuno.

E si sentiva pronto, sì cazzo, doveva incontrarlo.

Solamente la musica gli dava lo stimolo per proseguire. I vari giornalisti a fine di ogni concerto gli dicevano sempre le stesse cose.
"È bellissimo ciò che scrive, ma anche maliconico, come se sentisse la mancanza di qualcosa. A chi sono dedicate?"

Già, a chi?

Mario non rispondeva mai. Sollevava le spalle e diceva sempre "la musica è personale, ad ognuno di noi comunica sentimenti distinti, chissà lei giornalista perché la trova maliconica, forse sta pensando a qualcuno mentre la ascolta?" e così metteva a tacere tutti.

Intitolò il suo album "Feeling blue",ovvero "mancanza, maliconia, anima blu",un po' come era lui, un po' come gli altri percepivano quelle note.

Qualcuno una volta cantava "la musica vola, ma se la spegni muore" e lui si sentiva un po' così, libero quando parlava di Claudio attraverso le sue composizioni e terribilmente vuoto quando la melodia finiva e non restava niente altro che quel silenzio assordante, il suo libro che ancora portava con sé, e l'unica foto che aveva.

Eppure, Mario lo sapeva che ogni storia che finisce si tinge di nero, muore qualcosa, ci si dimentica il bene che si è provati insieme.

Ma se lui quella storia con Claudio non l'aveva mai cominciata, come come poteva cancellarla?

Lui aveva qualcosa di Claudio, lo sapeva, come Claudio aveva qualcosa di lui. Claudio aveva quattro anni della sua vita. Mario adesso rivoleva indietro i suoi ricordi. E non importa dove adesso Claudio fosse o dove fosse lui, non importa se non si vedevano da due anni, non importa se a detta di Paolo, Claudio si stava ricostituendo il suo futuro con qualcuno, no. Loro erano morti insieme, Claudio aveva qualcosa riguardante lui e Mario la rivoleva indietro.

La porta della biblioteca si aprì, e Mario sobbalzò, risvegliandosi dai suoi pensieri.

"Scusami, non ti ho sentito più suonare." le disse Martina, mentre a passo veloce si chiudeva la porta alle spalle.

"Vieni qui." Gli fece segno Mario, e la sorella si sedette accanto abbracciandolo.

"Sei agitato?"

"Mm mm"

"Non mi hai risposto."

"Sono sempre agitato prima di uno spettacolo, Marti." gli rispose Mario. Ma la sorella era più veloce di lui e alzò un sopracciglio. "Davvero. Domani a Milano per me si giocherà tutto"

"Hai suonato nei più grandi teatri europei, non sarà di certo La Scala a metterti paura!"

"Beh, c'è di mezzo New York.."

"Mario lo sai benissimo che vincerai."

Ed era vero, Mario lo sapeva. Quel concorso era solo una formalità. Conosceva tutti i partecipanti e nessuno poteva superarlo. In quel parco sarebbe esistito solo lui.

"Non è che c'è qualcos'altro sotto, tipo un certo ragazzo con due smeraldi al posto degli occhi che proprio domani presenterà il suo nuovo libro? Oh, guarda! Proprio lui" disse ironica la ragazza, prendendo tra le mani il primo libro che Claudio aveva pubblicato due anni prima e che lui teneva gelosamente conservato.

"Martina, non farti strane idee." la richiamò il fratello, inutilmente. "okay, mi sento pronto ad incontrarlo."

"Era l'ora!" esclamò la ragazza, stringendolo tra le sue braccia così forte che quasi lo soffocò.

"Ma io domani sera suono, lui il pomeriggio è impegnato e non sa che anch'io sia a Milano domani"

"A Milano vi siete incontrati la prima volta, se sarà destino.. "

"...ci rincontreremo ancora."

E Mario sorrise.
Aveva sofferto tanto, ma adesso si sentiva pronto.
Adesso aveva una chance.
Doveva provarci.

E se fosse stato troppo tardi o se non fosse stato abbastanza? Questo non lo sapeva ma almeno poteva dire "c'ho provato. Non è andata"

Ma doveva provarci.

Alla fine, vivere nella vita non è abbastanza, bisogna avere un sole, la libertà e un piccolo fiore, e Mario non vedeva l'ora di prendersi cura del suo girasole.




*******
Ciao ragazze,
Eccoci all'ennesimo capitolo.
Ho fatto l'impossibile per aggiornare. Sono ritornata a casa dai miei per le vacanze di Pasqua e beh potete immaginare!
Prima di lasciarvi vorrei spendere due paroline.
So che questa storia non è la più felice che abbiate mai letto, so che do più pali che gioie, so che forse ho deluso qualcuno.
Ma è la mia storia. È ciò che mi sento di scrivere.
Ho una il finale in testa ben prima di averla iniziata. Non posso farmi influenzare.
Io accetto le critiche, accetto tutto e mi dispiace di aver deluso le aspettative di qualcuno che si aspettava altro.

A chi ha voluto abbandonare la storia, io dico grazie lo stesso.
A chi è rimasto, ne sono infinitamente grata.

A presto,
Sabry.

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