Chapter 2. ↯
Questo capitolo lo dedico
A una ragazza speciale,
La prima che mi ha incoraggiato a scrivere e che mi ha sostenuto sempre.
Ilenia questo è per te 💗
16 luglio 2017
"Scusa ma tu chi sei? "
Cinque singole parole che rimbombarono nella mente di Claudio, in quei cinque giorni a venire. Pensava di essere forte abbastanza, di poter superare tutto, invece si sbagliava e non di poco.
Mario aveva una amnesia. I medici dissero che era una patologia più che normale. Mario aveva perso molto sangue, aveva avuto un trauma cranico non indifferente, quindi loro non si preoccuparono più di tanto, definendola come una "perdita di memoria momentanea". Di positivo c'era che del resto Mario non aveva subito nessun danno celebrale, e si sarebbe ripreso da lì a pochi giorni. Il primo dopo il suo risveglio, infatti Mario non ricordava neanche il suo nome, chi fosse, dove abitasse. Se ne stava in un angolo del letto, con gli occhi spaesati, persi e traumatizzati. Ogni volta che qualcuno si avvicinava a lui, iniziava a piangere e a tremare. Claudio rimase all'ombra, non interferì con la sua persona in quelle ore che lui era sveglio. Non poteva vederlo così perso, fragile, senza pace, e lui si sentiva imponente. Poi quando si addormentava si avvicinava alla sua sedia e prendendogli la mano gli raccontava del sul amore. Passava la notte così accanto a lui, non riusciva a lasciarlo solo neanche per un istante.
I giorni trascorsero e divennero cinque. Mario a poco a poco ricordò spezzoni della sua vita. Era un inizio, era una speranza, e Claudio a quella speranza di stava aggrappando con le unghie e con i denti, perché non poteva sopportare di dover condurre la sua vita senza che l'uomo della sua vita si ricordasse di lui. Stava sempre dietro la porta e aspettava che ogni pezzo della sua vita ritornasse al suo posto.
Ma ciò portò che la parte più bella di Mario, la parte che comprendeva Claudio, non venisse ricordata.
Per questo decise di partecipare al colloquio di quel giorno, ma ogni risposta era un anno di vita in meno, una speranza in meno.
"Io non sono sposato!" così aveva risposto Mario, infastidito da quale affermazioni. Non lo degnò di uno sguardo, e mentre Claudio moriva lentamente appoggiato alla porta di quella stanza, Mario si era coperto la testa col lenzuolo ponendo fine ad ogni tentativo di dialogo. Alla fine della settimana la diagnosi fu chiara: Mario aveva rimosso dalla sua mente sei anni della sua vita. I suoi ricordi di fermano ai suoi ventun anni, alla sua vita a Roma e alla sua eterosessualità. Non c'era spazio per Claudio.
Mario aveva stabilito un rapporto con i suoi genitori. Naturalmente non ricordava neanche la parte dove anche loro non lo avevano accettato, e suo padre e sua madre si rifiutarono di comunicargli quella piccola omissione. Claudio era sul punto di rivelargli tutto, e non perché fosse cattivo e non volesse che Mario riandasse d'accordo con la sua famiglia, anzi negli anni lo aveva sempre spronato a parlargli, ma perché loro non volevano fargli sapere che lui esistesse, che loro stavano insieme. Suo padre infatti, un giorno di quelli gli diede anche una pacca sulla spalla dicendogli "lo sapevo che era solo una sbandata. È ritornato il Mio Mario. Il ragazzo che ho cresciuto". A Claudio congelò il sangue nelle vene. Che ne sapeva di lui di Mario? Che ne sapeva come lui era stato, quanto aveva pianto le notti, quanto aveva sofferto? Che ne sapevano loro del Mario dolce e apprensivo, del compagno e del marito perfetto, della persona migliore al mondo che era diventato quando era riuscito finalmente ad accettarsi?
Niente. Loro non sapevano niente. Si ripeteva come un mantra Claudio, non sapevano niente perché erano stati proprio loro i primi a tagliare le ali al proprio figlio e a non incoraggiarlo nel suo percorso e nelle sue passioni. Claudio invece c'era, c'era stato ogni singolo istante nel quale Mario aveva bisogno di qualcuno. Si erano salvati a vicenda, Mario lo aveva salvato, e adesso toccava a lui salvarlo, e non perché si sentisse in debito nei suoi confronti, ma perché l'amore è questo: è sostenersi nel momento del bisogno, è mettere il bene dell'altro primo del proprio, prendere il suo dolore e condividerlo, prendersi cura a vicenda.
Era suo marito, e non importava quando Claudio stava letteralmente morendo dentro ad ogni rifiuto, avrebbe fatto di tutto per riaverlo.
Dopo giorni di attesa, decise di affrontare lui stesso la questione. Doveva parlargli, doveva affrontarlo. Mario merita di sapere tutto quello che gli stavano omettendo. Dopo aver chiesto le autorizzazioni necessari ai medici, ci incamminò verso quel lungo corridoio infinito diretto alla camera di Mario. La spalla era ancora parecchio dolorante, questo rallentava i suoi movimenti, ma il suo dolore fisico non era niente a confronto a quello che provava dentro.
Si fermò davanti alla porta bianca con sopra il numero 26 e chiuse gli occhi, appoggiando la fronte contro il legno freddo dell'infisso. Sapeva sarebbe stato difficile, i medici gli diserro di essere cauti e non affrettarlo, né tanto meno farlo sentire sbagliato. Fece un paio di respiri sprofondi e bussò.
In un primo momento non ottenne nessuna risposta, quindi riprovò a bussare nuovamente, fino a quando una voce esile non sussurrò in maniera alterata un "Avanti!".
Claudio si fece coraggio e abbasso la maniglia della porta per entrare. "E' permesso?" chiese mentre osservava una testa mora che sbucava da sotto il lenzuolo bianco. E i suoi occhi verdi si incatenarono a quel nero pece, che invece rimase a guardarlo apatico, senza mostrare nessun tipo di reazione. Claudio incassò il primo colpo, avanzò chiudendo la porta alle sue spalle, e si avvicinò alla sedia bianca accanto al letto. Chiese a Mario il permesso di potersi sedere, e ottenne solo un cenno di capo.
Quei due occhi neri vagavano sul suo corpo, lo studiavano, ma ancora una volta erano privi di quella luce che li caratterizzava. Però lo guardava, era già un passo.
"Come stai?", ruppe poi il silenzio il castano.
Mario si voltò verso di lui un secondo, e poi torno a fissare un punto nel vuoto davanti a lui. "Bene."
Claudio rabbrividì. Quella freddezza da parte del suo compagno, era peggio dell'indifferenza. Mario non è che non lo considerava, ma provava quasi fastidio dalla sua presenza. Stava per aggiungere altro, quando la voce del moro lo sorprese. Eppure nello stesso tempo sembrava quasi offeso, ferito.
"Perché non sei più venuto?"
"Come scusa?"
"La notte... lo so che entravi qui e dormivi su quella sedia. Io facevo finta di non sentirsi, ma in realtà ero sveglio. Ti ascoltavo in silenzio, la tua voce mi tranquillizzava, ma adesso sono due notti che non dormi più qui."
Claudio spalancò leggermente la bocca, stupido. Non si aspettava tale domande da parte sue. Era vero. Le prime dieci notti le aveva trascorse a casa, ma da quando Mario si era svegliato non ne voleva proprio sapere di mettere piede in quell'appartamento. Ormai ci andava solo per cambiarsi e lavarsi. Aveva trascorse notti interi in quelle quattro mura ad osservare il volto di rilassato di suo marito, e un po' si imbarazzò per tutti le cose gli aveva sussurrato sapendo che lui fosse dormiente, ma in realtà così non era.
"lo sai che maleducazione non rispondere allora? Credevo di parlare con un muro" sentenziò, arrossendo debolmente. Mario lo guardò e un primo lampo di vita attraversa i suoi occhi, lasciandosi andare in una debole risata che riscaldò il cuore del castano.
"E se tu avessi saputo che io ero sveglio, non avresti più parlato. Però neanche tu mi stai rispondendo per ora" corrugò la fronte e assunse la sua tipica posa da chi vuole sapere. Era buffo e bellissimo. Claudio lo trovava bellissimo sempre anche adesso con quel cerotto sulla fronte, un graffio sulla guancia, e pallido come un fantasma. E poi era sempre lui, il suo compagno. Testardo, impulsivo, senza peli sulla lingua e terribilmente curioso. Non aveva perso nulla, e Claudio questo lo sapeva, come sapeva che in qualche parte del suo cuore c'era ancora lui.
"Non me la sentivo" decise di rispondere infine.
Non me la sentivo, amore perché hai detto di non conoscermi. Non me la sentivo perché mi faceva male al cuore. Ma se avessi saputo che tu quelle due notti non eri riuscito a dormire, sarei rimasto accanto a te. Scusami.
Claudio si sentì in preda per i sensi di colpa, e abbassò la testa promettendo a sé stesso che mai più lo avrebbe lasciato. Mario aveva bisogno di lui di questo ne era certo.
"Ho sentito tante storie su di te, ma non mi hai detto ancora chi sei, né tantomeno come ci siamo conosciuti"
E Claudio sorrise, un sorriso triste che non arrivò ai suoi occhi e che colpì Mario tanto da accorgersene.
"Scusa, non volevo essere indiscreto".
Claudio scosse la testa, e invece di rispondergli, tirò fuori dalla tasca una scatolina e la posò sul comodino accanto al suo letto. "promettimi che la aprirai solamente quando me ne sarò andato e sarai solo e ti giuro che risponderò ad ogni tua domanda." Il moro curioso, allora annuì e si sistemò meglio sul letto, pronto ad ascoltarlo.
"Mi chiamo Claudio"
"Questo lo so già"
"Zitto, fammi finire"
Mario scappò una risatina, e poi con una mano fece segno di sigillarsi le labbra per farlo continuare.
"Dicevo... mi chiamo Claudio Sona, ho ventisei anni e sono nato e cresciuto a Verona" Claudio sorrise mentre il moro era super attento ad ogni sillaba che usciva dalla sua bocca, incantato quasi dalla sua voce.
"E noi due ci conosciamo da...?"
"Da tre anni e mezzo".
"Quindi siamo amici?"
Claudio non sapeva bene come rispondere. Il dottore gli disse di non sforzarlo e farlo arrivare a poco a poco agli avvenimenti. Mario doveva ricordare, ma Claudio dentro piangeva. Cosa doveva rispondergli? - no sai tu sei l'amore della mia vita ma in questo momento non lo ricordi - non poteva non era giusto. Inghiottì il rospo e poi fece un breve segno col capo per acconsentire, incapace di sminuire quelli che loro erano stati con la semplice etichetta di "amici".
Non siamo mai stati amici, Mario. Mai. Neanche la prima volta che ci siamo incontrati.
Gli occhi erano curioso e Mario assimilava ogni dettaglio. Era questo il superpotere di quell'uomo bellissimo che aveva sposato. Mario era super attento, ma nello stesso tempo troppo sensibile. Sapeva quando non era il caso di continuare una discussione, sapeva quando fermarsi. Sapeva leggere Claudio dentro, e anche ora il castano riconobbe lo sguardo da chi prova quasi compassione per lui.
"Cosa fai nella vita, Claudio?" chiese per cambiare così discorso.
Il solo suo nome pronunciato da quelle voce calda, incendiò il suo cuore. Aveva sempre avuto un debole per il modo in cui la voce di Mario accarezzava e pronunciava le sei lettere che componevano il suo nome, quando gli dava nomignoli improponibili, o quando gli sussurrava carinerie all'orecchio. Era una sensazione che Claudio stesso non sapeva spiegare.
"Mi sono laureato l'anno scorso in lettere. Sono un insegnante di letteratura e mi piace molto scrivere"
"Tu scrivi?"
Claudio annuì di nuovo, e sapeva che Mario stava per fargli una domanda ben precisa.
"Posso leggere qualcosa?" infatti la domanda del moro arrivò nello stesso istante in cui Claudio l'aveva pensato. Mario amava i versi di Claudio, ed era sempre stato suo sostenitore. Negli anni lo aveva pure convinto a pubblicare qualcosa e Claudio ci stava pensando davvero. La prima volta che si era incontrati, Claudio per farsi dare il suo numero di cellulare, iniziò a ripetere i versi di un autore russo, e Mario un po' per la sorpresa, un po' perché Claudio era visibilmente ubriaco, non riuscì a non ridere, mentre gli scriveva con un pennarello sulla maglietta bianca, le cifre del suo numero.
"Forse un giorno..." restò sul vago e appoggio un braccio sul letto per sfiorargli una mano. Non voleva esagerare ma aveva davvero bisogno quel tocco morbido quel suo uomo.
"E io a Verona cosa faccio?" chiese ancora il moro, desideroso di sapere sempre di più.
"Ciò che ti rende felice"
"E sarebbe?"
"Questo lo scoprirai"
Mario restò a fissarlo per qualche secondo, poi chiudendo gli occhi si lasciò andare con la testa sul cuscino. Claudio lo guardò attento, registrando ogni suo singolo movimento. Sapeva cosa stava facendo, stava cercando di assimilare i pezzi di quel puzzle rotto. Gli si strinse il cuore, e anche se non avesse dovuto, allungò una mano per sistemargli i ciuffi morbidi dei suoi capelli, sussurrando un lieve "Ehi..."
Mario sospirò quasi rassegnato, e quando riaprì gli occhi erano lucidi e persi.
"Ho perso l'occasione di fare ciò che mi rendeva felice da un po'." Iniziò, mentre la voce si inclinava a poco a poco.
"Non è vero..." potrò a ribattere Claudio, ma Mario ormai era in un'altra dimensione e il castano capì che aveva bisogno di sfogarsi.
"I miei genitori non me l'hanno mai permesso. Mi sono iscritto in economia per farli contenti e beh non mi soddisfa più di tanto. Io sono un spirito libero, capisci? Non mi stupisce che abbia finalmente lasciato Roma. Certo Verona non è il massimo come meta. Avrei preferito Milano, Parigi o Berlino. Non capisco cosa mi abbia portato qui. Tu lo sai, Claudio?" Domandò con aria innocente di chi non trova pace con sé stesso.
Per me, sei qui per me. Urlava dentro di sé il veronese, e di nuovo i sensi di colpa furono più potenti. Mario aveva rinunciato a molto per lui, lo sapeva. Con la sua passione, il suo talento, sarebbe arrivato lontano, invece si limitò al piccolo pur di stargli vicino, di creare una vita insieme. E seppur Mario era felice, a volte Claudio lo aveva ritrovato, appoggiato alla finestra mentre immaginava un futuro diverso. Erano quelli i momenti difficili da superare, si credeva costantemente se il suo compagno fosse felice realmente, e anche se il moro gli rispondeva sempre che casa era dove si lascia il cuore, e casa era lui, sapeva che dentro di sé aveva un desiderio inespresso che forse per il tenore di vita che avevano, non avrebbe esaudito mai.
Perso tra i suoi demoni, non si accorse che il moro stava ancora attendendo una risposta.
"Io...emh no. Non lo so" mormorò infine, abbassando il capo.
"Vedi che l'ho capito chi sei" la sua voce dolce lo distolse dalle sue paranoie e quasi Claudio credette che si ricordasse di lui. Un lume di speranza gli gonfiò il petto. Si avvicinò ancora di più con la sedia al letto, desideroso di sapere.
"Sei un bravo ragazzo, Claudio." E così dicendo, chiuse gli occhi e si voltò dall'altra parte del letto.
Claudio rimase interdetto per una manciata di secondi. Non sapeva bene cosa fare, quando sentì il respiro del ragazzo diventare più pesante, segno che si fosse addormentato. Allora si alzò e gli rimboccò le coperte. Lo osservò mentre dormiva con quel viso da panda da coccolare, e gli lasciò un cauto bacio sulla fronte, prima di uscire dalla stanza e andare via. Aveva bisogno di aria, aveva bisogno di riflette.
Chissà perché quando dormi,
mi trascini con te nel tuo mondo.
E bussi nei miei sogni, e non mi dai tregua.
Oh quanto vorrei incatenarmi in questo tuo sogno
Per sempre.
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