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Chapter 15.↯

"C'è troppa luce dentro la stanza
Questo caldo che avanza e io non dormirò
E scusa se non parlo abbastanza
Ma ho una scuola di danza nello stomaco
E balla senza musica con te
Sei bella che la musica non c'è"



26 ottobre 2014

Indossò la giacca nera, si sistemò la cravatta e aggiustò il colletto della camicia anch'essa impeccabilmente nera. Si guardò allo specchio, passando le dita tra i capelli corvini. Aveva le mani sudate, era agitato. Aveva lavoro tanto in quel progetto. Aveva passate giorni e notti intere chiuso nel salone di quella parrocchia con una vecchia pianola malfunzionamento a fargli compagnia. Ormai abitava a Verona da quattro mesi, aveva deciso di abbandonare gli studi di economia anche se mancavano solo due esami alla fine. Non era la sua strada e non se ne sarebbe fatto nulla di un foglio di carta ed essere chiamato Dottore.
No, lui voleva qualcosa di più. Così aveva trovato quel annuncio, un concorso per giovani compositori, la musica che per lui era tutto.
E si era impegnato molto, ogni ora, ogni minuto del suo tempo era speso solo per lui e la sua musica. Per lui era qualcosa che andava oltre il piacere, suonare lo portava in un'altra dimensione. Le dita che scorrevano velocemente e delicate sui tasti, suonavano le note del suo cuore. Era una passione che era nata con lui, coltivata da sempre. Frequentava il conservatorio parallelamente con gli studi scientifici che suo padre gli aveva imposto, partecipava ai cori, alle feste popolare, in qualsiasi attività dove richiedevano un musicista. Ricordava perfettamente il giorno più bello della sua vita, quando compì 10 anni e sua nonna le regalò un pianoforte vero. Gli mancava quello strumento, sempre accordato e perfetto, rispetto alla pianola in prestito che aveva ora, gli mancava sua nonna, la donna più importante della sua vita, colei che l'aveva spronato, incitato, supportato nel suo sogno fino alla fine dei suoi giorni. E poi era arrivata l'Università, le crisi di identità, i problemi. La musica era stata accantonata in un angolo al buio. Due lunghi anni e neanche un brano accennato. E ora si trovava dietro le quinte di quel grande teatro a Venezia dove i suoi rivali si esibivano e lui aspettava spazientito il suo turno. Voleva vincere, si merita di vincere. Aveva scritto una canzone per l'amore della sua vita, lui che lo aveva aiutato, che quando ci facevano le 23 la sera usciva di casa e lo andava a recuperare, lui che lo incoraggiava e gli diceva che sarebbe andato tutto bene, gli portava il caffè e il pranzo, lui che aveva accettato le sue poche attenzioni nell'ultimo mese. Lui che però non capiva questa sua ossessione. Non era un capriccio, era molto di più, era mettere le basi per il suo futuro. Ma Claudio non lo aveva mai visto suonare, non sapeva neanche che fosse in grado di farlo. Però non diceva nulla, restava in un angolo e lo aspettava perché Mario gli aveva proibito di assistere. Doveva essere una sorpresa, soprattutto per lui. Con i soldi della vincita, avrebbe voluto prendere casa più grande – quel bilocale ormai era troppo piccolo per loro – avrebbe voluto portarlo in vacanza, fargli girare il mondo e ringraziarlo della sua ospitalità in quei mesi. Non voleva gravare più sulle sue spalle, né tantomeno coi soldi dei suoi genitori, era stanco dei soliti lavoretti nei bar o nei ristoranti. Voleva vivere di musica e per la musica. E quella canzone era per Claudio, ogni nota, ogni singolo accordo, ricordava una parte del suo corpo. Perché lui lo amava così. Ogni volta che toccava il suo corpo e poteva goderne della sua bellezza, aveva disegnato una scala musicale, traducendo ogni sua piccola imperfezione in suono.
Ma ora aveva paura, paura di sbagliare, di non essere all'altezza, di deludere l'aspettativa di Claudio. Di sminuire il suo amore per lui con una banalità.
Ma no, lui era Mario Serpa, lui ce l'avrebbe fatta. Lui aveva lottato per averlo e avrebbe lottato per esaudire i suoi sogni a partire da una casa più grande, un viaggio, un cane, una famiglia. Si fece forza da solo e quando venne annunciato il suo nome, entrò fiero di sé in scena, accolto da un grande applauso del pubblico. Si sedette davanti al pianoforte pronto per iniziare, ma prima si concesse una sbirciata a lui. Era seduto in seconda fila, col suo immancabile smoking blu scuro. Era bellissimo e la prima volta che Mario lo vedeva in quelle vesti. Il castano ricambiò il suo sguardo e strinse un occhio a mo' di occhialino che non sapeva fare. Mario gli sorrise per poi spostare lo sguardo sulla tastiera.

E che lo spettacolo abbia inizio.




****

Roma, 2 agosto 2017

"Ho invitato Claudio a cena, sta sera" disse Mario mentre faceva colazione con la sua famiglia.

Suo padre lasciò cadere la forchettina con quale stava mangiando la sua torta al cioccolato – la preferita di Mario – sul piattino, fulminandolo con lo sguardo. "Che cosa?" chiese alterato.

Mario sbuffò, alzando gli occhi al cielo. "Ti ho detto che ho invitato Claudio a cenare con noi, stasera."

"E perché?" insistette ancora, ma per fortuna venne interrotto dalla moglie. "Carlo... gli abbiamo detto che poteva venire a trovarci quando voleva"

"Sì, ma sono passati solo dieci giorni!"

"Papà! È mio marito."

Il silenzio crollò nella stanza. Anche Martina sua sorella, ne rimase fortemente sorpresa. Non erano ancora abituati. Non sapevano come gestire questa situazione. Il ritorno di Mario era stato così inaspettato che si erano illusi di poter dimenticare e cancellare tre anni dal nulla, per ritornare ad essere quella famiglia che erano una volta.

Famiglia. Pensò divertito, Mario. Lo erano mai stati?

"Io pensavo che... insomma non ricordassi" prese parola di nuovo Carlo Serpa, mentre terminava il suo dolce.

"Posso perdere la memoria ma non posso mica cancellare via il mio orientamento sessuale. Non è un capriccio, papà. Sono nato così" Rispose al tono l'altro.

Era stanco di questa situazione, nessuno riusciva a capirlo. Per loro era sempre quello difettoso, quello bisognoso di attenzioni. Lui voleva essere solo Mario. Mario e basta. Il figlio che suo padre amava quando era piccolo, quello che teneva stretto a sé la notte. Voleva di nuovo essere orgoglioso di lui e sperare di essere uguale a lui da grande. Voleva solamente vivere di nuovo la sua illusoria, felice infanzia.

"Non c'è bisogno che parli così" insistette il capofamiglia, bevendo il caffè e cercando di mascherare via l'imbarazzo che stava prendendo quella discussione.

"Allora il problema è sempre questo!" sbottò Mario alterato, battete un pugno sul tavolo "Vi vergognate di me. Certo che ve ne fate di un figlio gay. Che orrore, vero papà?" lo accusò, puntandogli un dito contro. Non ricordava il suo primo coming out, ma di certo credeva che i suoi avessero superato la fase di negazione. Invece si trovava davanti alle loro menti chiuse.

"Non mi è mai importato nulla di chi ti porti a letto, Mario. Il problema non è il fatto che tu sia... sia gay." Cercò di spiegarsi Carlo, ma Mario era tanto simile a lui. Nessuno dei due si sarebbe arreso fino a quando non avrebbe avuto l'ultima parola.

"E allora qual è?" gli domandò quasi sconfitto il figlio.

"Non mi piace quel Claudio."

"A te non piace nessuno che non venga imposto da te."

Era sempre stato così. Nessuno amico di Mario secondo suo padre andava bene, nessun voto a scuola era sufficientemente alto per lui, nessuna passione era importante se non si parlasse di soldi e affari. Crescendo Mario era stato privato da tante cose come andare a giocare a calcio, dedicarsi alla musica, persino andare a ballare i sabati sera in discoteca. Doveva essere migliore, perfetto, sempre ben vestito. E Mario era tutto tranne che questo.

"Mario, figlio mio. Io non vorrei che lui ti influenzasse negativamente in questo momento in cui sei... spaesato."

"Lui mi fa bene, papà. Io non mi ricordo di lui ma lui lotta per me. E io ho bisogno di capire." Cercò di spiegargli con le lacrime quasi agli occhi. Neanche lui sapeva come spiegare quello che lo spingeva verso Claudio, ma qualcosa c'era che non lo lasciava libero. Era come se fossero legati da un elastico, più andavano lontano, più tirano le estremità per allontanarsi, più finivano uno sull'altro. E Mario nutriva qualcosa per quel ragazzo appena conosciuto, per qualcuno del quale non sapeva niente ma di lui sapeva tutto. Ma qualcosa c'era, lo sentiva fin dentro le visceri.

"Okay, va bene. Dirò a Betty di preparare la cena e apparecchiare per una persona in più. Vedrai, sarà tutto bellissimo." Disse sua madre Viola, alzandosi dal suo posto e andando a chiamare la domestica.

Silenziosamente anche suo padre andò via e Mario si portò le mani ai capelli cercando di metabolizzare quello che era appena successo. La mano dolce di sua sorella, si appoggiò alla sua. Quanto era bella Martina, Mario si era perso la sua crescita. L'aveva lasciata che aveva appena 14 anni e adesso se la ritrovava maggiorenne. Chissà se c'era stato alla sua festa di compleanno, chissà se invece aveva tagliato fuori pure lei.

Le lacrime minacciarono di nuovo di uscir fuori, mentre Mario se la tirava addosso e l'abbracciava.

"Andrà tutto bene. Vedrai"

*

Sarebbe andato tutto bene, certo. E allora perché stava male? Camminava avanti e indietro per la sua camera e si sentiva più agitato che mai. Ieri sera Claudio lo aveva salvato letteralmente da sé stesso, dai suoi ricordi, dai suoi demoni. Era riuscito con un solo abbraccio con una sola parola di conforto a fargli spegnere il cervello, a trasmettergli tutta la sicurezza di cui aveva bisogno. Andava bene, andava tutto bene. E poi Claudio era crollato davanti ai suoi occhi. Non riusciva a credere neanche lui come una cosa del genere fosse possibile, ma era successo. Claudio era più fragile di quanto lui stesso ammetteva, aveva un dolore dentro pari se no superiore al suo. Dopotutto aveva perso tutto anche lui. Aveva perso la sua stabilità, la sua famiglia, la sua quotidianità. C'erano dentro in due in quella storia e forse in due ne sarebbero usciti. Quindi non poteva far altro che rassicurarlo a sua volta, perché quell'uomo per lui c'era e ci sarebbe stato sempre.

Non aveva visto suo fratello rientrare, e onestamente non voleva vederlo. Lo aveva lasciato solo, scaricato come uno conosciuto. Sono tuo fratello, cazzo. Invece no, era passato pure per lui. Rimaneva solo lui e un pugno di verità in mano, troppe ma nello stesso tempo troppo poche. Claudio lo aveva aiuto, non Davide. Claudio aveva trasformato della serata orrenda, in una notte magica. Era stato bello rincorrersi per il prato, inzupparsi e ridere, dimenticarsi dei problemi e tornare a respirare. E poi era stato meraviglioso guardare le stelle insieme, sorridere e perdersi l'uno negli occhi dell'altro. Claudio aveva un mondo dentro, qualcosa che allarmava Mario ma nello stesso tempo lo attirava verso di sé.

E allora perché si sentiva così tanto agitato per quella cena?

Decise di mettere un freno ai pensieri e aprì la valigia tirando fuori la sua vecchia agenda. Ne spogliò le pagine e trovò dentro un foglio. Era un pentagramma, marchiato da innumerevoli note scritte con una scrittura frettolosa, la sua. Lesse il titolo "A te" e la riconobbe subito, era la stessa melodia che aveva sentito nel video del suo matrimonio, era la stessa canzone che Claudio lo aveva spinto a suonare quel giorno che segnò un po' la fine.

Di istinto si alzò e andò di nuovo in biblioteca, lì dove ieri era entrato e aveva cercato di suonare prima che venisse interrotto. Si sedette davanti a quello strumento così tanto familiare, il ricordo vivo nella nonna. Sfiorò il legno e poi si decise a provare. Pigiò un tasto che non suo grande stupore lo trovò accordato. Prese il foglio e lo sistemò sul leggio.

E il resto fu musica. Le sue mani scivolarono suoi tasti neri e bianchi suonando la melodia più dolce di sempre. Si rese conto di conoscerla a memoria, o meglio le sue dita si muovevano in automatico suoi tasti. Era un brano così dolce, così pieno di sentimento, era l'anima di Mario stesso. Suonò e ricordò la prima volta che vide Claudio davanti al letto di quel ospedale, ricordò il suo stupore, il suo dolore. Ricordò i suoi occhi verdi e di quando pensò che fossero bellissimi. Ricordò tutte le volte che lo aveva respinto, umiliato, le volte in cui aveva messo la sua sofferenza prima di quella dell'altro. E la musica cambiò, diventò mi oscura, e i suoi occhi si inumidirono. Ogni nota era un taglio al cuore, un peso sul petto. Sfocò tutto ciò che aveva dentro con la sua musica e tornò a vivere, ritrovò la sua strada, quello per cui era nato. E pianse fino a quando non accordò l'ultima nota, terminando il pezzo.

Si ritrovò col fiato corto e per quanto si sentisse perso dentro ma nello stesso tempo stava meglio. Riprese quel foglio in mano e si accorse che era scritto pure dall'altro lato. Ma non erano note, era parole.

"E tu Ricordati di me, ricordati di me sempre. Ricordati di quello che siamo stati, di quello che abbiamo creato. Ricordami sempre perché ti ho scelto, perché ti ho amato. Ricordati di me, e dei miei occhi neri, Claudio vedilo, raccontalo quel nostro amore, perché voglio che me lo spieghi ogni volta che me ne dimentichi, ogni volta che andrò via e ti dirò che è stato tutto un errore e affrettato. Resta, quando io non sono in grado di farlo, salvami se mai dovessi perdere. E io ti prometto amore, che farò di tutto per amarti più forte, per rendere la tua vita migliore, e io ti prometto di Ricordarmi di te anche in mezza alla bufera, di trovare sempre la strada verso casa, mi ricorderò di te che sei l'unico appiglio nella mia vita, l'unica persona al mondo in grado di poter amare. Mi ricorderò di salvarti, di prendermi cura di te, di accudirti e di non lasciarci mai. Ed è per questo che ho inciso questa frase nelle nostre fede, perché se mai un giorno tu dovessi scordarti il perché ti abbia messo questo anello al dito e ti abbia fatto mio, voglio che tu ti ricordi di noi, e di ciò che siamo stati. Perché io non me dimenticherò mai, mai. Preferirei morire piuttosto che vivere in un posto al mondo dove tu non sei accanto a me, e voglio fare tutto con te, diventare padre, avere dei bambini, un cane, una casa più grande, invecchiare insieme a te, tenere i nipotini e spiegare a loro quanto tu sia l'uomo più straordinario al mondo. Ti amo."

Lesse d'un fiato quelle che erano le sue promesse di matrimonio. Sorrise perché le aveva scritte su quel pezzo di carta dove aveva inciso tutto il suo amore, li aveva suggellati lì come una promessa di amore eterno.

Perché le parole posso essere al vento, ma le note no. La musica non muore, non si perde. La musica resiste, vive per sempre. Da vita a qualcosa di nuovo ad ogni rivisitazione, e scrivere quelle parole dietro quel pentagramma era tutto.

*

"Ciao" Mario andò ad aprire la porta di ingresso e si ritrovò davanti Claudio in tutto il suo splendore. Aveva una semplice camicia azzurra che gli metteva in risalto gli occhi ed era favoloso.

"Ciao" rispose Claudio, terribilmente in imbarazzo.

"Sono per me quelli?" chiese divertito Mario, indicando il mazzo di rose blu che Claudio teneva in mano. Le guance del castano di tinsero di rosso.

"Emh... si" disse infine, camuffando tutto con un colpo di tosse. E Mario rise mentre le prendeva e portava il mazzo al naso.

Sapeva di buono, sapeva di Claudio. E Claudio era poesia, era musica anche se la musica non c'era. Era quella nota perfetta, quel accordo sonoro che nessun musicista riesce a trovare.

"Sono bellissime, grazie." Rispose sincero, per poi farsi da parte e invitarlo ad entrare. "Dai, entra."

Entra nella mia casa.

Entra ancora un po' nella mia vita.


***

Dedicato a chi trova sempre la voglia di lottare ogni giorno.

A presto.

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