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Chapter 10.↯

"Niente da dire, niente da fare

forse c'è un tempo per riprovare

Perché tu sarai sempre il mio solo destino

Posso soltanto amarti, senza mai nessun freno."



25 luglio 2017

Mario non parlava da quattro giorni. Claudio lo osservava mentre compiva gli stessi movimenti di sempre. Si alzava la mattina, gli dava il buon giorno, faceva colazione, e poi lo incitava per andare a lavoro. Al suo ritorno lo trovava sul divano, con la tv accesa su un canale qualsiasi, ma Claudio sapeva che non la stava neanche guardando. Gli preparava il pranzo e la cena, teneva un sorriso tirato e di circostanza e tentava di chiudere sempre ogni argomento. A Claudio era stata data una settimana di tempo. I genitori di Mario erano rimasti a Verona per partecipare e vedere coi in loro occhi i progressi di loro figlio, ma non c'era stato nessuno passo avanti, anzi ogni giorno che passava, Mario chiudeva sempre più fuori dalla sua vita Claudio. Claudio lo sentiva lontano come mai prima d'ora. Aveva come la sensazione che qualcosa stesse succedendo dentro la mente di suo marito, qualcosa che lui gli teneva nascosto e non gli dava la possibilità di capire. Claudio più volte la notte si alzava dal divano dove ormai dormiva da giorni, e andava a controllarlo mentre dormiva. Quelle ore erano gli unici momenti che gli permettevano di osservarlo in santa pace, di chiudersi nel suo mondo, di perdersi in quella bellezza. E il castano aveva studiato ogni suo movimento. Mario non aveva un sonno tranquillo, a volte si lamentava, altre volte parlava, pronunciava parole troppe velocemente che non riusciva a comprendere. Due volte aveva avuto degli incubi, e allora lo aveva aiutato, lo aveva svegliato, dato dell'acqua, gli restava accanto. Ma ogni passo che lui faceva verso Mario, Mario ne faceva uno indietro, era come se il moro odiasse vedersi fragile, inerme davanti a lui e Claudio non poteva concepire un pensiero tanto stupido. Era suo marito, era tutto, e invece adesso si sentiva il nulla.

Lui ce la stava mettendo tutta, si forzava a farlo stare bene, a coinvolgerlo nelle sue giornate, a farlo uscire e fargli incontrare i loro amici. Ma davanti a lui trovava un muro impenetrabile. Una porta chiusa a chiave, dei mattoni mancanti. Sì, era per forza successo qualcosa che aveva portato Mario a chiudersi definitivamente su sé stesso, Claudio se lo ripeteva ogni giorno eppure non riusciva a comprendere ancora di cosa si trattasse. Il tempo scorreva, le giornate andavano via e poche erano le ore ancora a suo disposizione. Mario aveva incontrato i due genitori due volte nel corso della settimana, diceva loro che si trovava bene con Claudio ma aveva ancora bisogno di tempo per schiarissi le idee. Tempo che Claudio non aveva, minuti, secondi, che aveva perso quando avrebbe dovuto recuperare il loro rapporti. Ore che lo separava da quel giorno dove Mario sarebbe andato via da lui se non avesse trovato qualcosa che potesse accendere un barlume, una luce nella mente del suo compagno. Qualcosa che lo riportasse di nuovo da lui.

Era un sabato mattina quando Mario decise finalmente di rompere il ghiaccio e parlargli.

"Ma io come trascorro le mie giornate qui? No perché davvero, Clà. Io mi sto annoiando a morte."

Clà.

Clà.

Clà.

Il cuore di Claudio si fermò su quell'appellativo che l'altro sempre era solito concedergli. Clà mi ha appena chiamato Clà! Avrebbe voluto urlare per quella piccola gioia che probabilmente era venuta fuori in modo spontaneo delle labbra dell'altro, e quindi per darsi un contegno, sbarrò gli occhi e continuò a bere il caffè per risvegliarsi dai suoi pensieri, per ponere fine ai suoi ricordi che rimembravano tutte le volte che Mario lo aveva chiamato, sorriso, amato.

"Cioè, ho un lavoro, un hobby, faccio uno sport. Non penso proprio che io mi sia ridotto a fare la casalinga disperata" continuò, mentre spezzettava una brioche vuota con le dita. Claudio rise per quella sua mossa teatrale e fu tentato a prenderlo in giro, però poi preoccupato su una possibile sua reazione, si morse la lingua.

"No, certo che no." Rispose infine sorridendo. "Hai uno studio di musica tutto tuo. Scrivi, componi, ti prepari per gli spettacoli, dai lezioni private ai bambini. Fai quello che ti rende felice."

Le dita di Mario si sbloccarono, mentre lo guardò con gli occhi sbarrati, non aspettandosi tale risposta. Claudio lo trovò ancora più adorabile. Uno a zero per lui, uno a zero per un passo avanti. Una felicità.

"Mi stai dicendo che ho lasciato economia...e...e ho uno inseguito il mio sogno?". Al cenno di assenno di Claudio, un sorriso enorme di aprì sulle labbra di Mario e per la prima volta dopo quasi un mese, finalmente i suoi occhi brillarono di una luce nuova. Era felice...stupito, era bellissimo. Il primo sorriso vero, ed era tutto per lui. Era tutto per Claudio, di nuovo. Il primo segnale, il primo inizio. Il cuore di Claudio fece una capriola nel petto, perché sì, Mario aveva sorriso per lui, lui era stato la causa di quel sorriso.

"Esatto proprio così" rispose con dolcezza, ricambiando il sorriso dell'altro. Prese una banana del cesto della frutta, ma una nuova domanda lo rese ancora più felice.

"E dove si trova il mio studio?" domandò infatti, spostando la colazione di lato e spingendosi in avanti col busto. Una luce negli occhi, una curiosità da soddisfare, un battito del cuore accelerato.

"Vuoi che ti ci accompagni?"

E Mario non aspettava altro che l'altro gli ponesse quella domanda.

*

Si cambiarono in fretta. Claudio costrinse Mario a terminare la sua colazione e il moro un po' per la curiosità un po' mosso delle minacce del veronese, per la prima volta gli diede ascolto e riempì lo stomaco, regalandogli un nuovo sorriso.

E Claudio morì di nuovo, mentre aspettava che si vestisse, mentre lo riempieva di domande su questo fanatico luogo, mentre lo osservava curioso, mentre per la prima volta stava gettando a terra a uno a uno, un mattone alla volta. Era un'illusione? Un sogno momentaneo? Una debolezza? Claudio non lo sapeva, e non voleva neanche pensarci. Salirono in auto in silenzio, e sempre in silenzio arrivarono a destinazione. Lo studio di Mario non era tanto lontano da casa. Mario di solito era felice di arrivarci anche a piedi. Diceva di amare le strade di Verona perché calorose, protettive. La gente gli sorrideva, spesso lui prendeva i bambini strada facendo e li portava lui stesso allo studio. Era amato e splendeva.

Claudio aveva visto Mario splendere tre volte solo nella sua vita. La prima volta quando lo vide seduto a un pianoforte, le mani sulla tastiera, lo sguardo basso, gli occhi di tutti gli spettatori fissi su di lui. E le dita del giovane che scorrevano lente e decide sui tasti, danno vita a una melodia nuova, unica. Mario viveva per la musica, Claudio lo sapeva. In essa di risvegliava, in essa brillava e a volte il castano di era ritrovato geloso di quelle mani che accarezzavano quelle note e non il suo corpo, si era sentito geloso di quella musica dove alle volte Mario ci si perdeva dentro e Claudio era costretto ad andare a prenderlo di peso e staccarlo dal suo pianoforte e portarlo a casa. La musica nasceva in lui, ne era un tutt'uno.

E poi per i bambini. Mario con i bambini tornava a respirare. Concedeva sorrisi che facevano innamorare di lui ogni genitori. Tutte le bambine gli si attaccano alle gambe e i suoi corsi era sempre strapieni tanto da non avere giornate di riposo. E lui si conseguenza adorava quelle piccole pesti. Sognava, e spesso rendeva Claudio partecipe dei suoi sogni, quando gli raccontava che tutto ciò che desiderava era una famiglia più grande, tanti bimbi, una femminuccia e un cane. E Claudio sognava con lui, perché ogni singolo sogno del moro lo era anche per lui, ogni singolo desiderio doveva essere esaudito. Loro erano questi, un continuo soddisfare i sogni dell'altro.

E poi l'unica volta che gli aveva rivolto quel sorriso raggiante, quella gioia degli occhi, quella voglia di vivere, era stato il giorno del loro matrimonio. Nell'esatto istante che gli sfiorò l'anello, alzò lo sguardo su di lui e Claudio morì. Morì perché si sentì amato davvero, capì che era tutto per lui, più importante della musica, di ogni cosa al mondo, più importante del sole, dei sorrisi degli altri. Claudio trovò negli occhi di Mario solo lui. E non lo aveva mai guardato in quel modo, non lui almeno. Lo aveva sempre desiderato, e si perdeva quando invece vedeva quell'espressione di felicità dedicata sola alla musica, e pensava a quanto sarebbe stato bello averlo sulla propria pelle. Ma mai, mai si sarebbe aspettato che sarebbe stato così, intenso. Si era innamorato di lui ancora. Claudio passava ogni giorno della sua vita ad innamorarsi di Mario.

E adesso mentre parcheggiava davanti allo studio, sperava che riuscire ad accendere di nuovo quella luce, sperava di essere guardato almeno una volta, per un secondo, di nuovo da lui nella stessa maniera di un anno e mezzo fa. Ci credeva, e si tormentava, mentre infilava le chiavi nella toppa della porta, mentre gli dava una mano a farlo entrare, mentre accendeva la luce in quella stanza rimasta per troppo tempo buia. E sì, egoisticamente voleva che Mario ricordasse dentro quelle mura lui, non il resto.

Lo studio era una piccola stanza al pianterreno di una vecchia palazzina, di fronte al bar dove erano solito andare a loro, dove Mario si ingozzava di cioccolata e dolci. Al centro un grande pianoforte nero lucido, che Mario si era comprato con gli sforzi e il duro lavoro. Non aveva mai speso un solo soldo della sua famiglia per comprarsi uno strumento musicale, avrebbe potuto avere il doppio delle comodità, ma lui diceva che andava bene così, che non voleva infangare qualcosa di tanto bello come la musica col suo nome. Di lato al pianoforte, una fila di sedie dove si sedeva i bambini, tutti accompagnati da un leggio musicale e una serie di fogli. Infondo due chitarre, un clarinetto, e alcuni di strumenti da percussione. Dopo un attimo di tentennamento, Claudio si concesse di guardare Mario che non aveva emesso un suono. I suoi occhi erano lucidi, le mani tremano, deglutiva rumorosamente, mentre i suoi occhi passavano da un lato all'altro della stanza. Claudio ancora una volta decise di farsi coraggio, e aprì le tende permettendo alle luci del sole di entrare.

"Questo è tutto il tuo mondo" disse con un sorriso, passandogli un volantino che l'altro preso al volo.

Scuola di Musica di Mario Serpa - musicista e compositore.

"Io... io... non so cosa dire, Clà" mormorò infine, cercando il suo sguardo. "raccontami qualcosa di questo posto" gli chiese mentre prendeva posto sullo sgabello del pianoforte.

"Quando hai deciso di venire a Verona da me, hai scelto di lasciare la facoltà di economia. Io non ero molto contento, volevo che tu continuassi gli studi qui, eri a un passo dalla laurea, ma non hai voluto sentire ragioni. Un giorno ti sei imbattuto per caso in un volantino su concorso per giovani compositori. Avevi frequentato il conservatorio, eri bravo, hai deciso di partecipare. Io non ti avevo mai visto suonare e tu non hai voluto che ti vedessi. Avevi detto che sarebbe stata una sorpresa. Hai trascorso un mese chiuso dentro la cappella della parrocchia a comporre con una vecchia pianola mal funzionante, ma non ti interessava. Avevi paura sì, non toccavi un pianoforte da molto tempo, eppure c'era qualcosa in te che io non riesco a spiegare. La sera del concorso mi portasti con te a Venezia. Hai indossato il tuo abito migliore, mi hai costretto a mettere uno smoking per la prima volta nella mia vita, ma ti ho seguito. E poi le luci si sono abbassate e tu eri lì, al centro di quel parco, sicuro di te, perfetto. Hai messo le mani sui tasti di un pianoforte vero e hai suonato e io Mario... giuro di non averti mai visto così. Ti sei perso dentro le note e mi hai trascinato in un mondo nuovo. Hai lasciato senza parole me, e il pubblico li riunito. Hai vinto. Hai incantato tutti. Eri felice e ho capito che dovevi fare quello nella tua vita, inseguire quel sogno. Da quel giorno le porte per il successo si sono aperte per te. Abbiamo girato l'Europa insieme, io tu e la tua musica. Sei diventato noto nell'ambito, e dopo un anno di avventura, hai deciso di aprire una scuola tutta tua e di fermarti un anno per prepararti per il tuo assolo che dovrai eseguire nel grande concerto di Capodanno a Vienna. È questa la tua vita, Mario e se tu volessi, puoi riaverla tutta indietro." Concluse Claudio, col fiato corte e gli occhi che non si staccavano mai da quelle del compagno.

E Mario era sbalordito, mentre lo fissava con le lacrime minacciose che voleva uscire, e un groppo alla gola.

"Io..."

"Sì, tu." Rispose Claudio e decise di dover provare tutto quel giorno. Si sedette accanto a lui e tolse via la polvere dalla tastiera. Poi prese le sue mani, mentre lo sguardo di Mario seguiva ogni suo movimento, e li porto sui tasti. Sorrise. "Io non sono bravo, ma mi hai insegnato qualche nota" sussurrò, mente premeva i tagli bianchi e neri, realizzando note sconnesse tra di loro che fece sorridere entrambi. "Perché... perché non provi tu?"

"E se non ne sono capace?" chiese con innocenza, e una punta di terrore nella sua voce.

"Impossibile. Tu vivi per la musica. Dai." Lo incitò ancora, fino a quando il moro non portò le sue dita affusolate sui tasti, ma non le premette, ritirando la mano.

"No, Claudio non ce la faccio..."

"Ma sì, che ce la fai." Prese il suo pentagramma, e tirò fuori la melodia con la quale Mario aveva vinto la prima volta. "Questo è il tuo pezzo. Questo è quello che tu hai scritto per me."

Mario lo guardò ancora, confuso, spaesato e prese quel foglio tra le dita. Diete un'occhiata veloce, lesse il titolo "A te" per poi posarlo via. "Ti prego, andiamo via..."

"Ma non direi sciocchezze." Claudio si alzò di nuovo sorridente e recuperò un vecchio lettore cd. "guarda qui" fece partire la traccia e le note di quella stessa musica scritta su quel pentagramma. Il moro si portò le mani alle orecchie e esasperato urlò.

"Ti ho detto basta, Claudio. BASTA" e Claudio restò basito, mentre vedeva il suo uomo sparire, soffrire, piangere. E si rese conto che era sull'orlo di un attacca di panico, ma non riusciva a comprendere dove stesse sbagliando ancora. "E inutile che ti sforzi tanto non ricorderò. Perché devi insistere? Perché vuoi tanto che ricordi questa canzone? Lo capisci che non sono delle note a riportarmi da te? lo capisci che c'è la possibilità che non riavrai indietro nulla? Mi stai esasperando." E pianse, buttando fuori quelle parole che per giorni si era portato dentro, quelle parole che aveva temuto. Il motivo del suo silenzio.

E Claudio capì, capì che era Mario a non voleva ricordare, capì che lui non stava aspettando altro che quella settimana finisse per andare via da lui. Nero, ecco cosa vide, mentre tutta la rabbia che si portava dentro scoppiò del suo petto. Capì di star per impazzire, e non gli importò di ferirlo.

"Mi dici cosa cazzo devo fare ancora con te?" urlò più forte del moro, e gettò a terra lo stereo che si ruppe in mille pezzi sul pavimento. Il tempo si fermò in quell'istante, come il cuore di Mario, come la furia che Claudio non riusciva più a trattenere. "Sto cercando di aiutarti! Ma non sono il tuo pupazzo, non sono un giocattolo! E noi non abbiamo mai urlato in questo modo. È dura anche per me, Mario, cosa ti credi? Che sia facile? Che sia bello sapere che mi hai rimosso?" e lo sputò fuori con enfasi e il volto rosso.

"Claudio... per favor-"

"No, tu ora mi stai a sentire. Sono stanco di questa storia. Tu non vuoi essere aiutato, tu stai scappando e io non posso amare per il resto della mia vita il fantasma di quello che era mio marito. Reagisci, Mario. Perché non ti aspetterò in eterno." E Mario sussultò, e lo stesso fece Claudio. Le sue parole ferirono il moro e ritornarono indietro ferendo anche lui. Come un boomerang.

"Io avevo chiesto solo del tempo." Fu la sola preghiera rotto del pianto dell'altro.

"Non ne ho tempo. Cazzo, Mario." Si portò le mani ai capelli esasperato. Lo aveva visto sul volto di Mario la tristezza, il dolore, il senso di abbandono. Si maledisse subito di quello che aveva detto ma ormai era troppo tardi. Mario si era alzato, aveva asciugato le lacrime, e stava per uscire da li.

"Dove vai?" gli urlò dietro, raggiungendolo e prendendolo per un braccio. Ma Mario non lo guardava, restava col volto fisso di fronte a sé, mentre tremava. "Ascolta... mi dispiace non volevo essere così brusco io..."

"Hai detto la verità. Mi merito ogni parola detta, ma ora ti prego, lasciami andare. Ho bisogno di schiarirmi le idee." E silenziosamente scappò dalla sua presa, scappò sua vista, scappò di nuovo e ancora una volta lo lasciò dentro quello studio che ora improvvisamente Claudio odiava.

***

Ciao miei bimbe!

È vero, non mi faccio viva da un po'. Perdonatemi. Eccovi il capitolo, spero che vi piaccia. Scusate l'attesa ma ormai con l'università pubblicherò solo i fine settimana e lo scorso purtroppo ero fuori.

Ci tenevo a precisare una cosa, ho letto che molti di voi non apprezzano il mio Mario, non apprezzano il suo dolore, il suo voler scappare e non volere ricordare. Io vi dico di fidarvi di lui. Non andrà sempre così, ma se scrivessi già il lieto fine la storia terminerebbe e invece abbiamo ancora un po' di cose di cui parlare, sempre se vorrete, sempre che continuerete a leggere. Per questo vi dico che se vi aspettate gioie folli a breve, avete sbagliato storia, ma tutti alla fine andrà bene quindi fidatemi di me e fidatemi dei miei Claudio e Mario.

Per chi legge anche "Notebook-Clario" non ho ancora scritto il capitolo, ma mi impegnerò domani. Abbiate pietà.

p.s. per chi volesse seguirmi su twitter mi trova su @Sabryy97Sabrina

Buon sabato a tutte.

A presto

Sabry.

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