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Capitolo 6


L'elegante ascensore che lentamente ci riporta al mio ufficio è occupato solo da me e Logan. Ce ne stiamo in silenzio, osservando i numeri dei piani che scendono mano a mano senza sapere bene cosa dire. Per quanto suo padre si fosse sforzato di farci passare come grandi amici, in realtà, io e Logan avevamo in comune solo qualche semestre passato dietro i banchi dell'Università, seguendo lo stesso corso di editorial manager. Sì, ci incrociavamo spesso, lui sedeva sempre dietro di me insieme al suo gruppetto di amici "figli di papà" come lui, sempre circondato da uno stuolo di ragazze con gli occhi a cuoricino, che sbavavano non appena i suoi incredibili occhi verdi accennavano a spostarsi nella loro direzione, ma io e lui a malapena ci rivolgevamo la parola. Ricordo che era sempre molto educato, salutava sempre per primo. Una volta mi chiese gli appunti di una lezione. Fosse stato qualsiasi altro ragazzo del suo elitario gruppo di amici, avrei pensato non ascoltasse niente di quello che il professore spiegava durante le ore di lezione, ma non Logan. A dispetto del cognome importante e dell'etichetta di "figlio di papà", il ragazzo si applicava parecchio. I suoi voti erano sempre altissimi ed aveva una media davvero invidiabile. Se avessi dovuto competere con lui per le borse di studio per meriti scolastici, onestamente, non so se le avrei vinte tutte con tanta facilità. Per mia fortuna era talmente ricco da non aver mai avuto bisogno neppure di sapere che esistono delle borse di studio. Al contrario di me, che, invece, ho fondato tutta la mia carriera scolastica sulle borse di studio. La mia è una famiglia modesta, non siamo poveri, sia chiaro, ma l'albergo dei miei genitori non è esattamente il Ritz o l'Hilton e, per quanto gli affari andassero discretamente bene per essere in una piccola località di montagna, di sicuro non si potevano permettere di pagarmi l'università in America con tutto quello che comportava. A dirla tutta, per citare le esatte parole di mia madre, quando gli comunicai che avevo deciso di partire per New York, se anche fossero stati dannatamente ricchi, avrebbe preferito regalare quei soldi ai poveri piuttosto che assecondare le mie assurde mania di fuga. All'epoca ricordo che questa frase mi ferì peggio di una coltellata. Mi sentivo incompresa e anche sottovalutata, come se i sacrifici che i miei genitori avevano fatto per farmi studiare, fossero stati vani solo per il fatto che volevo trasferirmi all'estero. All'epoca, dicevo, ci rimasi malissimo, ma ora, alla luce dei fatti, apprezzo la sincerità di mia madre. Se non altro, ho sempre saputo contro cosa dovevo combattere. Mentre mio padre si è sempre astenuto da ogni commento al riguardo, mia madre non ha mai fatto mistero di come questa idea di trasferirmi oltreoceano fosse per lei, non solo assurda, ma addirittura ai confini della realtà. Lei, come quasi tutti i miei compaesani, amano quel posto, quel silenzio, l'aria fresca ed inconfondibile del mattino, l'odore dell'erba bagnata, il buon cibo, gli spazi aperti e il senso di libertà. Nessuno di loro baratterebbe mai tutto questo con l'asfalto, gli hot dog, il rumore dei clacson e la confusione di una metropoli come New York.

"C'è gente che paga, per godere di tutto questo," mi ripeteva mia madre fino allo sfinimento, "e tu che ci sei nata, che puoi avere tutto questo gratis cosa fai? Te ne vuoi andare?"

Devo riconoscere che adesso che manco da casa da un po', mia madre aveva ragione sulla bellezza della natura delle nostre montagne, ma quello che non ha mai capito è che, in quegli spazi aperti io mi sentivo comunque in prigione. Io ero libera solo in mezzo ai libri della biblioteca, mentre aiutavo mia nonna Teresa, che era la bibliotecaria del paese. I libri sono sempre stati la mia unica e vera grande passione e la potevo condividere solo con mia nonna. Era lei che si occupava di me, mentre i miei erano impegnati con l' albergo. Fin da piccola, dopo la scuola, andavo da lei, mi sedevo in fondo ai suoi piedi sotto la scrivania e lei mi leggeva tutti grandi classici. Rannicchiata così ho conosciuto Anna Karenina, ho pianto con "Piccole donne" e mi sono innamorata di Darcy di "Orgoglio e Pregiudizio". Ho sempre saputo che avrei voluto lavorare in mezzo ai libri e quando al liceo, dopo la maturità, arrivò la borsa di studio per l'estero, decisi che quella sarebbe stata la mia grande occasione e non la volevo sprecare. Certo avrei voluto anch'io l'appartamentino vicino al campus come quello di Logan (non che io l'abbia mai visto, sia chiaro, ma molte delle ragazze del mio dormitorio lo descrivevano con minuzia di particolari) invece, dovetti accontentarmi di una camera nel campus femminile. Per permettermi anche solo un minuscolo monolocale avrei dovuto cercarmi un lavoretto e questo avrebbe tolto tempo allo studio ed io non me lo potevo permettere. I miei voti dovevano essere sempre alti per guadagnarmi la borsa di studio per l'anno successivo. Ero sempre la migliore di tutti i corsi che frequentavo, ma devo dire che Logan mi teneva testa. Per mia fortuna a lui non servivano le borse di studio. Al rientro dalle vacanze di primavera, dopo gli esami, non lo vidi più alla NY University. Seppi dalle ragazze che era volato in Europa per finire gli studi. Migliaia di cuori femminili andarono in frantumi. Sulle scene di isterismo che questa notizia creò, stenderei volentieri un pietosissimo velo. Mi ha sempre disturbato la poca considerazione che, un certo tipo di ragazze, mostrano per loro stesse quando si trovavano nella stessa stanza con Logan. Probabilmente, per un certo tipo di donne, quelli come Logan rappresentano una vincita alla lotteria: ricchissimo, sfacciatamente bello e pure brillante, ma esiste un confine sottilissimo nell'atteggiamento che una donna deve comunque mantenere ed ha a che fare con la dignità: se lo passi diventi zimbello, ma se ti fermi un attimo prima sei salva.




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