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Ricorda, Samel

Premessa:
È consigliato leggere la poesia ad alta voce. Sono piuttosto soddisfatto ed attaccato al risultato di questa poesia lunga, e ho meditato a lungo prima di decidere di pubblicarla qui su Wattpad, inizialmente per la paura di un possibile plagio da parte di qualcuno, e in secondo luogo perché non smetto di rivederla e limarla per renderla sempre migliore. Vi prego di ricordare che tutti i diritti d'autore di questa poesia sono riservati, e di passare a vedere le altre mie opere se questo testo vi è piaciuto. La poesia non è piacevole, ed anzi è piuttosto pesante e difficile da smaltire, in particolare se letta col tono giusto, ma il risultato è molto intenso. Leggete lentamente e apprezzatela, dato che mai come in questa breve opera ho concentrato tanto lavoro.

Ricorda, Samel

Ricorda il di' che ci additò dolenti
ricorda, Samel, ricorda per me,
per quel lunghissimo viaggio che mai non finiva
le stanche rotule che crollavano sotto i femori,
e il freddo che ci ghiacciò i midolli delle ossa
quando aprirono le porte diradando i miasmi.

Ricorda il suo candido guanto, e sospira
ricorda, Samel, ricorda per me,
spiccava sul lercio camice il rosso sbiadito
e gli occhi di uomo che non conosce certezza,
pallidi come brinati frutti di fico caduti
o larve infreddolite di un insetto di campagna.

Ricorda le sue grida sbraitate con forza,
ricorda, Samel, ricorda per me,
gli sputi nella condensa come lacrime dopo uno schiaffo,
e il soldato che ci afferrò le braccia intirizzite,
conducendoci davanti a quel bianco individuo,
già ci divorava l'animo con occhi pieni di meraviglia.

Ricorda gli sporchi orli del suo camice,
ricorda, Samel, ricorda per me,
quando si accovacciò sulla terrosa, sporca neve
studiandoci le membra quasi fossimo bestie morte,
e noi terrorizzati non potevamo muoverci,
né guardarci negli occhi in cerca di conforto.

Ricorda il moccio che umettava i labbri albini,
ricorda, Samel, ricorda per me,
il fruscio degli uomini, donne e bambini
che accanto strascicavano i piedi con terrore
i loro occhi vacui mentre ci fissavano,
noi eletti dall'angelo albino della morte incombente.

Ricorda il tragitto fino alla grande casa,
ricorda, Samel, ricorda per me,
gli imbarazzati passi incespicati sulla neve
e le ampie falcate del dottor Mengele
il sudore e le lacrime si condensavano in brina
e la gola era troppo secca per piangere.

Ricorda il viale alberato e spoglio,
ricorda, Samel, ricorda per me,
le ombre dei cipressi sulle foglie morte
che livide ci consacravano al triste destino,
ricorda l'intonaco scrostato e le spine sopra i cancelli
e i freddi edifici, gelidi e perfetti.

Ricorda la grande porta di ferro,
ricorda, Samel, ricorda per me,
sprangata come orrido scrigno di latta
la pesante maniglia ruotò cigolando e gemendo,
il riflesso del serio volto mentre ci spingeva,
e la soglia ci inghiottì le membra avidamente.

Ricorda le piastrelle di freddo marmo grigio,
ricorda, Samel, ricorda per me,
era freddo il pavimento sotto i piedi nudi
ma non potevamo fermarci a riposare,
già mi mancava il cuoio dei calzari rossi,
e il velluto del tappeto sacro della sinagoga.

Ricorda i ricordi che tiepidi riaffioravano,
ricorda, Samel, ricorda per me,
sconsolandoci ancor più di quel gelido figuro,
non parole, non sguardi, ma il clangore dei chiavistelli
ci strozzava i singulti e i silenziosi pensieri
come rotto rintocco di condanna innocente.

Ricorda le lerce stuoie di pagliume,
ricorda, Samel, ricorda per me,
e l'ultima cupa stanza in cui ci condusse
e noi non avevamo la forza di giacervi,
quand'egli stirò le fredde labbra tagliate da geloni
"Sono il vostro dottore" disse senza sorridere.

Ricorda le melliflue parole di conforto,
ricorda, Samel, ricorda per me,
sputando blateri con sprazzi tedeschi,
e dure sillabe scandite a spiegarci chi era
chirurgicamente cianciava, freddo e serio,
come becchino che espone le sua bare al cliente.

Ricorda la sua triste, biascicata storia,
ricorda, Samel, ricorda per me,
Josef Mengele era dottore e scienziato,
un uomo importante, gracchiava impassibile
"Io vi ho salvati da un lavoro arduo e duro,
ma voi fanciulli dovrete obbedirmi."

Ricorda il timore di aprire la bocca,
ricorda, Samel, ricorda per me,
e la titubante volontà di formulare fonemi
"Dov'è la mamma? Dove Rebecca?"
Giaceva ancora improfanata la tomba del padre nostro?
Così pure Dio ci aveva abbandonato.

Ricorda le sue piatte e grigie consolazioni,
ricorda, Samel, ricorda per me,
come stesse leggendo la Torah irritato
"Ora siete miei. Siete i miei bambini."
Viscide carezze sulla pelle fredda e grigia,
e se sfiorava una nostra lacrima ritraeva la mano.

Ricorda il pianto quando sgorgò forte,
ricorda, Samel, ricorda per me,
come fiume in piena scorreva la disperazione,
si lavavano le braccia incrostate, e tutto fuoriusciva,
piangemmo da lacerarci il cuore, straziati dal dolore,
poggiati all'illacrimoso pilastro dal camice albino.

Ricorda la plumbea zuppa di ceci,
ricorda, Samel, ricorda per me,
mangiavano in silenzio su piatti di legno
e tutti sussultavano al più timido clangore,
ci ingozzammo affamati guardandoci negli occhi
già parevamo sfocati nei pallori dell'iride.

Ricorda i bambini di Josef Mengele,
ricorda, Samel, ricorda per me,
i gomiti scoordinati che cacciavano mestoli di sbobba
nelle gole aride di visi deformi dal pianto
storpietti, gemelli, volti contorti,
a tavola sedevano pargoli smembrati.

Ricorda lo sguardo del piccolo Michele,
ricorda, Samel, ricorda per me,
un occhio aveva blu e l'altro verde,
e spalancava le orbite sorridendo senza un dente,
parlammo col sugo in bocca, di mamma e Rebecca,
e la mente non si svuotava stringendo le fauci.

Ricorda le sterili litanie svogliate,
ricorda, Samel, ricorda per me,
delle posate sui piatti, i gorgoglii delle gole
e il brusìo ringhiato di mormorii in ebraico
come cicaleggio invernale al rosso crepuscolo
quando la notte imbrunisce i campi di segale.

Ricorda lo zelo del bambino sdentato,
ricorda, Samel, ricorda per me,
nelle vene sue in rilievo un impeto di prodezza
s'intravedeva, ed egli si levò in piedi
con bieca innocenza incominciò: "Y'hi shem Adonai",
per abitudine o pazzia a ringraziare il suo Dio del pasto.

Ricorda lo schiaffo di odio malsano,
ricorda, Samel, ricorda per me,
le gote che si contorcevano in un muto grido
e le bianche dita che come frusta lo marchiavano,
il bambino sdentato cadde dalla seggiola
la paura strozzava l'eco dei suoi singulti di dolore.

Ricorda il terrore nelle facce dei bimbi,
ricorda, Samel, ricorda per me,
muta era l'aria, mute le loro gole
rigidi come morti sterpi nella brina
il tepore delle viscere bloccato dall'orrore,
e l'unico rumore era lo stropiccìo dei guanti.

Ricorda la squallida camera grigia,
ricorda, Samel, ricorda per me,
e la morte di mosche appassite nella polvere,
le grigie ragnatele che ghermivano l'ombra
cinereo e annerito era ovunque l'intonaco
e la luce artificiale nutriva grasso lo squallore.

Ricorda il clangore della porta sprangata,
ricorda, Samel, ricorda per me,
sollevò nebbia di polvere come cenere bigia,
fin lì ci aveva accompagnati il medico rigido
e una brughiera vermiglia e lacrimata sui palmi
ci aveva impresso con le fredde, ruvide mani.

Ricorda i perpetui ed infiniti pianti,
ricorda, Samel, ricorda per me,
su un fianco dormimmo quella notte, come amanti,
e come amanti ricordammo il comune passato,
piangendo e rimpiangendo le palpebre crollavano
e sognammo salini orrori in incubi asfissianti.

Ricorda la sbiadita luce che ci destò tramorti,
ricorda, Samel, ricorda per me,
mai alba più orrida e desolata ci colpì,
Iddio aveva intinto il suo pennello nella melma
e già pregustava le atrocità che emergevano dal campo
e il sole era un grumo di pallido barlume.

Ricorda i muri e i cunicoli eterni,
ricorda, Samel, ricorda per me,
sinuosi e plumbei si spogliavano labirintici
di plumbei calcinacci vividi di tiepida calce,
e alla luce degli spifferi d'alba trapelanti dalle sbarre
un cupo mosaico si rifletteva sul camice del dottore.

Ricorda il laboratorio infernale, nostra meta,
ricorda, Samel, ricorda per me,
frontiera della tomba di pargoli sventurati,
che nero ci fagocitava dalla pesante porta,
s'infilò i guanti, il pazzo, e sorrise,
non ricambiammo, ignari del futuro dolore.

Ricorda le grosse macchine infernali,
ricorda, Samel, ricorda per me,
gingilli, trastulli, attrezzi ed intrugli,
borbottavano e sbuffavano le bestie di metallo
siringhe, vasche, bottiglioni arcani
non alchimia, ma tortura, aspettava noi sventurati.

Ricorda la lama che rimpiango ancora,
ricorda, Samel, ricorda per me,
me la fossi infissa nelle tempie, ah!
Ché la tua prigione di carne mi viziava i nervi.
Lo estrasse da un panno lercio come l'anima
di chi chirurgo terribile la porse a me.

Ricorda la lama che mi tormenta ancora,
ricorda, Samel, ricorda per me,
con più incertezza la stringesti, livido d'orrore,
i tuoi brividi ancora rimembrano le mie dolenti vertebre
estensione del braccio tuo come come la nuca di me,
e il condiviso terrore si propagò alle radici.

Ricorda gli sguardi di arido timore,
ricorda, Samel, ricorda per me,
come aghi infissi nel cranio ci tormentava alla radice,
le nocche tremule e pallide dolevano dal ghermire,
e s'erano appannate le cerulee pupille
mentre in terrore si mutava la nostra incomprensione.

Ricorda gli offuscati istanti di dolore e morte,
ricorda, Samel, ricorda per me,
vividi li ricordo rantolando nel letto,
sapendo che nel velluto io riposto, e non di bara
mentre giaci tu sotto il fango, divorato dai vermi,
nella terra sfiorita di lacrime infertili.

Ricorda le croste d'orrore nell'esofago,
ricorda, Samel, ricorda per me,
soffocati dall'atrocità come epidemia nelle ossa
delle parole che ora stava pronunziando il dottore,
ma caliginose apparivano ai nostri stanchi orecchi
sgomenti come monoliti battuti dallo zefiro.

Ricorda la vasca ove ci condusse
ricorda, Samel, ricorda per me,
tre metri profonda, come una lercia tomba,
il sangue era secco e grumoso, come sporca resina
ci gettò dentro Mengele, sbraitando fosche sillabe,
e noi precipitammo ignari e confusi.

Ricorda il dolore nel corpo e nell'anima,
ricorda, Samel, ricorda per me,
miracolo fu che non ci ferimmo di lama,
ancora stretta nei tremanti pugni d'infante,
ma le tempie ancora mi pulsano rimembrando
il crepitante dolore della gamba tua rotta.

Ricorda il terrore che lievitava piano,
ricorda, Samel, ricorda per me,
uggiolavi per le ossa stridenti dal dolore,
e vacillavo io nella mia incomprensione,
troppo tardi il tuo grido si fece fiamma viva
per illuminare il torpore dei miei vaghi sensi.

Ricorda le parole scandite con odio,
ricorda, Samel, ricorda per me,
capii perché quello, e la volontà del pazzo,
non la sussurrai per terrore di aver inteso bene,
ero solo col tuo essere di dolore e latrati,
e tutto s'appannava dietro i miei stanchi occhi.

Ricorda la sadica bramosia sua,
ricorda, Samel, ricorda per me,
chi simbiote dell'altro aveva percepito con lui
or con quella lama se ne doveva scindere,
così disse serio, immerso nella penombra
e i nervi nostri si sfaldarono inerti con noi.

Ricorda l'acqua quando ci lambì i piedi nudi,
ricorda, Samel, ricorda per me,
il marcio miasma infetoriva le vesti
e la sozzura gorgogliava lievitando piano,
gelida era l'acqua, e ci serrò il ventre in una morsa,
come l'anima del dottore che ancora ci scrutava.

Ricorda il crogiolo di vago dolore,
ricorda, Samel, ricorda per me,
rancido ci assaliva il cranio nostro, e ringhiava
scotendoci di freddi spasmi nei midolli ossei,
come bambole in mano a moribondo burattinaio
che boccheggia le ultime tenaci convulsioni.

Ricorda la lucidità che giunse allora,
ricorda, Samel, ricorda per me,
ci schiacciò con impietosa mole come macigno,
e comprendemmo allora appieno le sadiche parole,
allora il dolore ci travolse e ci assorbì in esso,
tutto era dolore, la disperazione ci rodeva le ossa.

Ricorda l'ultimo istante tuo di vita,
ricorda, Samel, ricorda per me,
annaspavi strenuamente, diafano alle mie cornee,
e il tuo innocente, lattiginoso viso gonfio
impallidiva come cadavere brulicante di schiuma,
brancolando per fagocitare avidamente aria putrida.

Ricorda la pugnalata che sola bastò
a recidere quel doloroso filo che ghermivi ancora
lo strazio tuo m'aveva invaso, e traboccavo.
Gorgogliava il sangue con l'acqua melmosa,
non per odio o stremo colpii, ma ti prego di perdonarmi,
ero ormai crocifisso agonizzante della tua mente.
Le palpebre tue si chiusero docilmente
come petali di splendido fiore al crepuscolo,
cadesti come un angelo, e io inspirai piangendo,
mi sentii morire allora, scisso da me stesso.
Non mi riscaldava il conforto, ma m'opprimeva,
come la glaciale acqua in cui stagnavamo melmosa,
e la tua bianca salma si gonfiò tumefatta,
trascinando il mio carcame percosso dallo strazio.
Inermi brividi mi fragellavano le viscere
quando il dottore scese compiaciuto e serio,
ci trasse dall'acqua come carcasse di bestia,
gioendo impietoso della superba sua opera.
Poco ricordo di ciò che accadde poi,
e invano t'invocherei di porgermi aiuto,
perdonami, Samel, perdona il mio peccato,
Iddio non può scrostare da quella lama la mia colpa.
Sfumate visioni di scolorite uniformi,
e gli alleati salvarono il nostro rudere di carne,
e il loro ospedale non era così candido,
quando ti recisero da me alla base del collo.
Tu non conosci l'orrore, Samel,
abbandonato tra le braccia della fredda morte,
di ricordare il passato con la mente tua,
ma nelle notti d'inverno mi sussultano le vertebre,
e i tuoi vitrei occhi ancora riflettono il suolo,
il crudele destino ti ha reso disgraziato, o innocente
ma non ti ha condannato per un odio che non serbi.
Ora Ippocrate mi cinge con dolci catene,
sebbene la mia colpa ha radici di nervi e ossa,
e nel letto dormo a manca, mentre la mente mi divora
risvegliando il dolore, il tormento e i ricordi,
ricordi di lame con cui vorrei lacerarmi,
ricordi di pianti e urla gracchiate,
ricordi che mi fanno amare la morte.
Ma tu non ricordi, Samel, beato lassù,
il tuo spettro non mi perseguita quanto il mio,
ecco: il nodo è fatto, e la seggiola di frassino
porge il suo schienale a queste odiose carte.
Ricorda, Samel, che l'enfiate fiamme dell'inferno,
sono dolore dolce per i ricordi miei amari...

Copyright © ElegantStork 31/08/2017.
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