Ricomponiti
Non sapeva precisamente cosa fosse successo, né tantomeno sapeva a chi chiedere ulteriori informazioni. D'altronde, se a telefono Kathleen si era limitata a nome dell'ospedale, piano e numero di camera, un motivo doveva esserci.
"Revie," ecco cosa pensava Bastian, le mani tremanti sul volante strette attorno alla gomma tanto da lasciare il segno, "questa è la volta buona che ti ammazzo. Questa è la volta buona che ti ammazzo, bastardo."
Stava lavorando quando Kathleen lo aveva chiamato, dal cellulare di Jacob, la voce spezzata e tanto bassa da essere a malapena udibile, per dirgli che Bod aveva avuto un incidente, che era stato portato in ospedale con urgenza, che a malapena riusciva a muoversi, muoviti, Bastian, per favore. E Bastian lo aveva fatto: aveva spento il computer, aveva mandato un messaggio per annullare una lezione pomeridiana, nell'uscire, tanta era la foga, aveva attentato alla sua stessa vita inciampando nella spina del computer. Ricomponiti, cazzo. Non era tipo da perdere il controllo di pensieri e azioni e quello certamente non era un momento adatto alle prime volte e alle prime disastrose esperienze. Doveva salire in macchina, arrivare in ospedale, vedere Bod, tutto lì, semplici, lineari azioni da eseguire l'una dopo l'altra, per crollare ci sarebbe stato tempo dopo, per inveire contro un uomo che non sarebbe mai davvero stato vittima della sua rabbia ci sarebbe stata una notte intera. Ricomponiti.
"Revie," si era detto di ricomporsi, di sbrigarsi, di pensare alla strada e nient'altro, ma quel ghigno continuava a far capolino nei suoi pensieri, immobile nonostante lui fosse di corsa, "se gli hai fatto del male, se gli hai fatto del male di nuovo, io..."
Come poteva essere successo qualcosa d'altro? Jacob aveva inventato una storia per ogni taglio, per ogni livido, aveva riso, ogni tanto, sono sbadato, lo sai, aveva pianto, altre, non chiedere, sto bene, dammi solo un attimo, si era morso le labbra per non gridare quando un movimento gli aveva fatto perdere la vista per il dolore.
Non ci aveva messo molto, ad arrivare all'ospedale, le difficoltà erano arrivate con il districarsi in quel dedalo di corridoi, il labirinto sembrava troppo intricato per avere fine. Valeva la pena, per trovare l'uscita, di perdersi. Ma lui era certo del fatto che, alla fine di quel labirinto, ne avrebbe trovato un altro, e un altro ancora, poi, perché Jacob non riusciva a uscirne, da quelle strade sempre più strette e sempre più graffianti, perché Jacob soffocava, e anche Bastian ora cominciava a sentire la gola chiudersi a ogni boccata d'aria. Non c'era davvero via d'uscita da un labirinto di dolore, né per chi lo provava, né per chi cercava di affievolirlo.
Ma l'ospedale una vita d'uscita ce l'aveva, e alla fine, Bastian si trovò davanti Evan e Kathleen, impegnati a discutere con delle infermiere. Conosceva Evan dai vari incontri scuola-famiglia, quelli in cui i professori si erano detti preoccupati per Jacob, quelli in cui si era proposto di dare ripetizioni, se necessario, quelli in cui Evan aveva affermato di non avere idea di cosa potesse avere il figlio. Non era certo di voler approfondire riguardo quanto Evan davvero sapesse. In quanto padre, avrebbe dovuto proteggere Bod. Proteggerlo, non lasciare che venisse stretto sempre più dagli artigli di quel rapace. Ricomponiti.
«Professore, cosa ci fa qui?»
Ricomponiti, era facile dirlo. «Avevo lezione con Bod. Mi ha risposto Kathleen, a telefono, mi ha detto che era qui, e ho pensato di venire di persona a informarmi sulle sue condizioni di salute.»
Evan annuì, mentre una delle infermiere si allontanava dall'ora forse troppo stipato corridoio per entrare nella stanza di Jacob. Bastian la seguì con lo sguardo quasi per inerzia, il cuore stretto in una morsa, come sta?, le labbra schiuse, posso andare a vederlo? Può ricevere visite? Starò poco, voglio solo...
«Forse sarebbe meglio se uscisse, signore, mentre controllo i valori.»
Sbatté le palpebre, ritrovandosi, senza nemmeno che dovesse dare al suo corpo il comando, ad affacciarsi alla porta. Jacob era lì, e delle tre persone presenti, al momento era l'unico a catturare il suo interesse. Sdraiato sul letto, la pelle pallida messa ulteriormente in risalto dall'azzurro malato delle coperte quanto delle pareti, aveva una gamba ingessata, sollevata, le braccia ricoperte di elettrodi collegati ai macchinari più disparati. In un momento di panico, forse irrazionale, Bastian si ritrovò a sperare di sapere cosa significassero, quei numeri, quali fossero quelli da tenere d'occhio per sapere che andava tutto bene, che quello era uno stato passeggero di un corpo che sarebbe tornato a stringere il suo.
«Ho ogni diritto di stare qui. Lei faccia pure il suo dovere, non le sarò d'intralcio: Bod vorrebbe che io restassi.»
"Bod vorrebbe che io restassi," i denti di Bastian affondarono nel labbro appena il pensiero fu completamente formulato. "Bod non vorrebbe essere qui," quella era la verità, "Bod vorrebbe essere lontano da qui, con una cioccolata calda davanti."
Il dolore, la paura, sono spesso motivo di distrazione. Bastian non si era fermato a pensare a chi fosse, la terza persona nella stanza, forse, irrazionalmente, quello era stato un suo modo di proteggersi. Perché se Evan era fuori, se Kathleen era in corridoio, chi altro poteva essere in quella stanza se non la stessa persona che aveva maledetto lungo la strada, che aveva odiato un po' di più giorno dopo giorno anche se in silenzio, sentendosi crescere dentro qualcosa di maligno che sentiva non appartenergli, ma impossibile da ignorare?
«Revie.»
Quando il giovane che gli dava le spalle si voltò, Bastian si sentì cadere, sentì il suono e il dolore del vetro sul pavimento, dove aveva trovato il coraggio? Dove aveva trovato il coraggio di presentarsi lì dopo aver ridotto Jacob in quelle condizioni?
Le labbra di Revie si aprirono in un ghigno, il metallo del piercing che conferiva un aspetto ancora più inquietante a quello che sembrava un cattivo da fiaba dopo aver perso il suo fascino. «Professore.»
L'infermiera non sembrava essere sorpresa dalla situazione, dal gelo sceso nella stanza nel momento in cui gli occhi dei due si erano incrociati. Continuò con il suo lavoro, scrivendo numeri sulla carta, lo stridio della penna l'unico rumore oltre a quello del battito del cuore di Jacob, di sottofondo, monitorato in modo preciso dai macchinari.
Bastian raddrizzò le spalle, la postura di chi aveva un ruolo da continuare a recitare, professore, finché Evan fosse stato lì, finché non fosse stato solo con Bod, finché non fosse stato saggio stringerlo a sé. «Cosa gli hai fatto, questa volta?»
«Professore, piano con le accuse,» il corvino inclinò la testa, quel ghigno ancora ben dipinto, un'opera d'arte che aveva dell'orrendo, intoccabile e destinata a mantenere il suo posto in qualunque museo in cui fosse stata trasferita. «Bod ha avuto un incidente.»
Bastian si rese conto di aver tenuto i pugni stretti fino a quel momento, le unghie conficcate nella pelle, la calma apparente di un mare in tempesta che sembrava poterlo annegare da un momento all'altro. Dal labirinto non si usciva, credeva di averlo imparato guardando Jacob, e invece l'insegnante era stata l'esperienza, anche lui non riusciva a trovare la via d'uscita, anche lui non riusciva a seguire il percorso più saggio verso la salvezza. «Un incidente con cui tu non hai niente a che fare, chiaramente.»
«Chiaramente.»
Bastian non riusciva a spiegarsi come fosse possibile indossare la cattiveria e il dolore altrui come una giacca su misura. Bastian non riusciva a capire come fosse possibile fare dell'oscurità la propria casa, quando tutto quello che sapeva lui dell'oscurità era la sensazione di soffocamento, di impotenza, che portava con sé.
«Smettetela...»
Non si era soffermato a osservare il viso pallido di Jacob tanto a lungo da averlo saputo sveglio. Stanco, probabilmente tanto stretto tra le braccia della morfina da riuscire a capire a malapena quello che stava succedendo attorno a sé, ma sveglio.
«Bod...» fece un passo avanti, aspettandosi quasi di dover lottare contro Revie, per arrivare al letto su cui Jacob era bloccato.
Revie non fece un passo indietro, ma non gli impedì nemmeno di avvicinarsi a Jacob.
Se una parte di Bastian provò gratitudine, in quel momento, la rabbia fu lesta a soffocare quella luce, per quanto fioca fosse. Le dita di Bastian sfiorarono la mano sinistra di Jacob, libera dagli aghi e dagli elettrodi.
Jacob non reagì.
E lì, e allora, Bastian capì che non ci sarebbe stato modo di andare avanti assieme in un labirinto che si restringeva. Se lo avevano percorso in tre, fino a quel momento, tra battibecchi e tentativi di strapparsi respiri a vicenda, ora non era più possibile. Ora, uno di loro avrebbe continuato solo, alla ricerca dell'uscita. Due, avrebbero continuato a tenersi per mano, a misurare le distanze e gli spazi in una danza o in una lotta alla sopravvivenza. L'aria non sarebbe bastata, se avessero insistito, non sarebbe bastata l'energia.
Quel che era peggio? Quella consapevolezza non apparteneva solo a lui.
Revie sembrava una bomba pronta ad esplodere, sembrava pronto ad accogliere un rifiuto e farne distruzione, i muscoli del viso contratti fino a fare marmo della pelle, una mano posata casualmente su un macchinario, ma pronta a stringere, pronta a distruggere, per fare del proprio dolore – dolore? Bastian dubitava ne avesse e avrebbe mai provato, lui – la caduta altrui.
«Mi accarezzeresti il viso?»
Bastian sbatté le palpebre, le dita che ancora esitavano sul dorso della mano di Jacob, la cute ruvida di sangue secco. Non serve chiederlo, avrebbe risposto, avrebbe sorriso, anzi, non ci sarebbe nemmeno stato bisogno di parole, non avesse alzato lo sguardo.
Perché Jacob, no, Jacob non stava guardando lui, non stava chiedendo a lui quel tocco.
Lasciò che la mano scivolasse via da quella di Jacob, le dita che pregavano perché quella presa si facesse di nuovo forte, che speravano d'intrecciarsi come tante volte era successo nel farsi promesse, nel mormorarsi frasi, nel pianificare giorni e mesi e chissà quanto tempo assieme.
Non trovò il coraggio di spostare lo sguardo su Jacob una seconda volta, alla sola idea di come fosse l'espressione di Revie in quel momento sentì lo stomaco rivoltarsi. Sapeva che non c'era via d'uscita dal labirinto, per Jacob, sapeva che ogni momento speso al fianco di Revie lo aveva portato più a fondo, più lontano da una qualunque tipologia di salvezza, eppure...
Ci aveva sperato. Con tutto il cuore, aveva sperato di essere abbastanza forte per entrambi, di poter trovare la strada giusta, di poter respirare aria che riempisse i polmoni di Bod prima ancora che i suoi. Ci aveva sperato, forse troppo, forse stupidamente.
No, non "forse", perché la richiesta di Jacob non lasciava spazio a libera interpretazione. Avevano modo diverso di vedere gli artigli di Revie. Se erano coltelli, per Bastian, da cui scappare e proteggere, Bod ancora riusciva a vedere una tenerezza nel loro tocco.
Ricomponiti. Lasciò la stanza, in silenzio, le labbra troppo secche per salutare Evan, per rassicurare Kathleen. Faticò, per trovare la porta da cui era entrato, la macchina da cui era sceso, la strada da cui era arrivato. Percorreva al contrario una strada già conosciuta, con una pesantezza che non gli permetteva di ricordare, con delle mura strette attorno al cuore che gli impedivano di versare le lacrime che gli solleticavano la gola. Non c'era davvero via d'uscita da un labirinto di dolore, né per chi lo provava, né per chi cercava di affievolirlo. Non c'era davvero modo di sopravvivere all'amore.
Niente avrebbe voluto Bastian, in quel momento, più di potersi abbandonare a una carezza.
Ricomponiti.
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