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[ AVVISO IMPORTANTE: per chiunque abbia iniziato a leggere questa storia prima del 26 Novembre 2022, ho da poco deciso di trasformarla da una x reader a una x oc, in quanto ho costruito il personaggio di T/n basandomi sin da subito su tutte le caratteristiche e la storia di uno dei miei oc di My Hero Academia, Aya Yūkanao, a eccezione dell'aspetto fisico. L'unico cambiamento che questo comporterà sul libro saranno i nomi, che da "T/n" diventeranno "Aya" e da "N/s" diventeranno "Chiaki". Ciò significa che se volete comunque identificarvi nella protagonista potete tranquillamente farlo, in quanto l'unica cosa che dovrete fare sarà immaginare un nome diverso da quello che ho pensato io.
Grazie per la pazienza e buona lettura <3 ]
Mia madre mi posò una mano sulla spalla. "Non ho dubbi che sia così anche per lui."
La speranza che finalmente avevo nel cuore prese gli angoli delle mie labbra e li allargò in un enorme sorriso: è proprio vero, allora, che quando sei circondato dal buio la cosa migliore da fare è accendere la luce. È un fatto talmente scontato che neanche lo prendiamo in considerazione, quando invece dovrebbe essere la prima cosa a venirci in mente.
Diedi un bacio sulla guancia a mia madre e le augurai la buona notte, per poi dirigermi al piano di sopra ed entrare in camera mia. Mi stesi sul letto senza neanche pensare a dover cambiarmi i vestiti e mi addormentai poco dopo con ancora quell'espressione da ebete stampata in volto.
Avrei voluto che Keigo potesse vederla.
La mattina dopo, come mi ero promessa di fare, presi un autobus e tornai in ospedale. A me avevano dimesso quasi subito, dato che le mie ferite non erano particolarmente gravi. Avevo delle bruciature qua e là per il corpo: alcune che ancora dolevano e altre che quasi neanche percepivo, se non per la strana sensazione che provocavano sulla mia pelle; avevo delle ferite sul braccio sinistro e il lato destro della mia fronte, causate dal loro contatto con pezzi di vetro e rocce che per fortuna non erano andati troppo in profondità; e avevo infine sbucciature e piccoli graffi, del tutto inevitabili in situazioni di quel calibro.
Il caso di Nejire e Tamaki però non fu lo stesso: i due infatti erano stati ricoverati in ospedale quella notte, cosicché i dottori potessero supervisionarli e guarirli meglio.
Alla reception mi diedero il numero della stanza in cui erano entrambi ricoverati e mi diressi immediatamente dove indicato. Salii le scale fino al terzo piano e bussai dopo aver identificato il numero esatto sulla porta. Una volta entrata stavo per salutare, ma mi accorsi che, oltre ai due a cui ero andata a far visita, c'era anche Mirio.
Da quel che sapevo e che mi aveva detto lui stesso, non aveva preso parte alla guerra, in quanto non possedeva più il suo quirk, perciò mi sembrava alquanto strano vederlo lì. Il ragazzo alzò il braccio e agitò la mano per salutarmi, sorridente come sempre, e mi ci volle un momento per processare e corrergli incontro ad abbracciarlo. Feci lo stesso anche con gli altri due, essendomi accorta di non averli neanche salutati per la sorpresa, e Tamaki suggerì che fosse il caso di darmi delle spiegazioni. A quel punto Mirio iniziò:
[ giusto perché lo sappiate, mi sono presa la libertà di cambiare qualche dettaglio rispetto alla storia originale in questo punto ]
"Eri si è sempre impegnata molto e ha sempre avuto una grande forza di volontà nel riuscire ad avere pieno controllo del suo quirk, questo lo sappiamo bene tutti"
Io annuii, sapendo quanto la bambina aveva sofferto a causa di Overhaul l'anno precedente e quanto con il nostro aiuto aveva provato a superare i brutti momenti e a rendere il suo potere un qualcosa di completamente suo, e non materiale di sfruttamento come lo era stato per tanto tempo.
Il ragazzo, altrettanto consapevole, riprese il discorso: "Ultimamente sono stato un po' giù, perché pensavo che non avrei mai più riavuto il mio quirk, che non avrei mai più potuto partecipato alle lezioni, che il mio sogno di una vita non sarebbe mai sfociato in qualcosa di più. Eri deve averlo notato, dato che stamattima presto - dovevano essere le quattro o le 5 - me la sono ritrovata davanti alla mia porta che diceva di voler provare a darmi indietro il mio quirk"
"È proprio premurosa" commentai, addolcita quanto preoccupata dalle azioni della piccola Eri.
Mirio mi rispose sorridendo: "Già" e riprese a parlare subito dopo un mio cenno di approvazione: "Anche se con qualche protesta da parte mia e difficoltà e sforzi da parte sua, alla fine ce l'ha fatta, e a quel punto la mia fierezza nei suoi confronti ha superato il grande stupore"
Si fermò un attimo a ripensare a quel momento con in volto un sorriso più tenero e vulnerabile rispetto al suo solito, dopodiché terminò il discorso: "Ho chiesto il permesso al professor Aizawa per partecipare alla guerra insieme a voi: sapevo sarebbe stato rischioso, di certo mi serve ancora del tempo per ristabilire la mia forma dopo mesi che sono stato senza combattere, però sapere di avere il potere di fare qualcosa e non fare comunque niente anche se i tuoi compagni sono in pericolo era una sensazione insopportabile, perciò ho combattuto lo stesso, anche se nel frattempo mi sono fatto un po' male" concluse il tutto con una risata per sdrammatizzare, per rendere il tutto più leggero, cosa che lui nonostante tutto era sempre riuscito a fare. Togata Mirio è sempre stato il primo a provare genuinamente a risollevare il morale a chiunque ne avesse bisogno, è sempre stato il primo a sorridere e a impegnarsi al massimo in ogni situazione, è stato colui che per il bene del prossimo aveva sacrificato l'unica cosa che pareva lo legasse al suo sogno; ne erano rimaste due, però, due cose fondamentali che non lo avevano mai abbandonato: la determinazione e la speranza che un giorno ce l'avrebbe fatta. Adesso, nel momento che sembrava essere il più buio della sua vita, esse gli avevano illuminato la strada, e tutti suoi sforzi e la sua costanza erano stati ripagati: un'occasione per ricominciare si era aperta davanti a lui, e lui ci si era tuffato a capofitto, gustando e approfittando di ogni momento. Credo proprio che Nighteye sarebbe stato orgoglioso di lui, se avesse potuto vederlo.
Lo abbracciai di nuovo, sta volta con le lacrime che mi sgorgavano dagli occhi per la contentezza. "Siamo fieri di te" gli sussurrai con il viso premuto forte contro la sua spalla: credevo proprio che ne avesse bisogno.
Un'ora buona passò inosservata attraverso la strada affollata delle nostre risate, e provai un tale senso di tranquillità che, nonostante la situazione generale non fosse delle migliori, mi fece sentire la persona più felice del mondo.
Chiesi a Nejire se prima di andare potessi parlarle in privato e, ottenuta la sua conferma, ci dirigemmo nel bagno della stanza. La mia amica sembrava già estremamente eccitata al pensiero di uno scambio di segreti che non accadeva da tanto tempo, e contagiò anche me con il suo entusiasmo.
Le raccontai di come avevo incontrato Keigo quattro mesi prima, degli allenamenti aggiuntivi che facevo con lui, della guerra e di ciò che era successo il giorno precedente sul tetto. Nejire adesso pareva paralizzata, era rimasta in silenzio per tutto il tempo, e l'unica cosa che riuscì a dire dopo qualche attimo di riflessione fu: "Wow".
Tra tutte le cose che avrei potuto dirle, quella era sicuramente l'ultima che potesse aspettarsi.
Dopo una decina di secondi, però, la ragazza mi prese le spalle e me le scosse con forza, accompagnata da un largo ed euforico sorriso: "E io lo vengo a sapere soltanto adesso?! È una notizia fantastica! Quasi non ci credo, potrei svenire!"
Io presi a mia volta le sue spalle per cercare di calmarla e mi misi a ridere, non sapendo minimamente cosa rispondere. Non servì farlo però, in quanto, prima che potessi pensare a una risposta, mi ritrovai la mia migliore amica con le braccia attorno al mio collo: "Sono così contenta per te".
Rimasi spiazzata, ma poi le avvolsi la schiena con le braccia e affondai la testa nell'incavo del suo collo.
"Alla fine avevo ragione io!"
"Su cosa?"
"Hai trovato qualcuno che ti ha aiutato a capire come fare, e ce l'hai fatta!"
A quel punto mi ricordai di ciò che mi aveva detto quel triste giorno all'uscita di scuola, e capii quanto fossi grata e felice di avere un'amica come lei. Le risposi: "Tu hai sempre ragione"
"Modestamente? Sì, è così"
Scoppiai a ridere a quell'affermazione, e così fece lei.
Ci staccammo dall'abbraccio e tornammo dai nostri due amici, probabilmente confusi ma non stupiti dalla lunga e privata conversazione che avevamo avuto.
Nejire si rimise a letto, ed io salutai tutti e tre con un abbraccio prima di uscire dall'ospedale con la luce negli occhi che non mi lasciava sola da ormai mezza giornata.
( Punto di vista: esterno )
Quel pomeriggio Aya ricevette una chiamata da Keigo, che le chiedeva se potesse raggiungerlo ad un determinato indirizzo. Non aveva specificato per quale motivo dovesse recarsi lì, perciò il suo tragitto in autobus fu tappezzato da punti interrogativi, paranoie e supposizioni di ogni tipo, positive o negative che fossero. Nejire due giorni prima aveva proprio avuto ragione: era cambiata, ma in fondo restava sempre la stessa.
Aveva pensato di mettersi una felpa a colori scuri dotata di cappuccio, così da non attirare troppo l'attenzione e fare a meno che un eventuale agente della commissione potesse riconoscerla.
Scese alla fermata più vicina al luogo dell'appuntamento e, dopo essersi quasi persa e aver raggiunto finalmente la via che cercava, vide vicino ad un lampione Keigo e l'eroe Best Jeanist, che fino ad allora non aveva ancora mai visto dal vivo.
Salutò scuotendo la mano destra, e il suo amico, che non sapeva se dovesse o meno chiamare ancora così, mise giù il telefono con aria sollevata e ricambiò il cenno, sorridendo come solo lui sapeva fare. Notò solo in quel momento, grazie alla luce del sole, che a Keigo si era formata una cicatrice che gli partiva dalla parte sinistra del mento e saliva fino a poco sopra il labbro superiore. Sul suo viso erano ancora visibili dei piccoli segni di bruciature, i suoi capelli erano di poco più corti e spettinati, ma ciò non toglieva neanche un minimo di lucentezza e bellezza dai suoi occhi ambrati e perennemente giovani: occhi di chi non ha smesso mai di sognare, occhi di chi ama con tutto sé stesso.
Una volta che la ragazza fu arrivata di fronte ai due eroi, Keigo la presentò a Best Jeanist. Lei gli strinse la mano e pronunciò un cortese "Piacere di conoscerla", chinando lievemente la testa in segno di rispetto; era un eroe molto capace che aveva mostrato grande abilità e autocontrollo durante la guerra, e il minimo che potesse fare era mostrare il suo riconoscimento.
Senza che Aya glielo chiedesse, Keigo procedette con lo spiegare perché l'aveva fatta andare lì: "Devo fare una cosa piuttosto importante per me al momento, e volevo che fossi presente. Ho incontrato Jeanist poco fa e ha detto che verrà volentieri insieme a noi".
Fu generico ma esaustivo, perciò lei annuì e dichiarò: "Possiamo andare, allora".
Hawks guidava il passo, e in pochi minuti arrivarono davanti ad un piccolo edificio. Il ragazzo si fermò e non fece né disse niente per qualche istante, come se quella porta che si ritrovava davanti gli aprisse gli occhi su un mondo a cui dava le spalle da tanto, troppo tempo. Pareva avesse paura di varcare quella soglia, paura di girare una pagina indietro e rispolverare la storia sgradita del perché era diventato ciò che era.
La ragazza gli diede un pugnetto sulla schiena e lui, giratosi, trovò come sempre il suo sorriso d'incoraggiamento, che sembrava ancora una volta aver funzionato.
Il ragazzo bussò alla porta, che si aprì di uno spiraglio al contatto della sua mano con il legno. A quanto pareva era già aperta, ma da quello che riuscirono a dedurre non vi era nessuno all'interno. Keigo chiamò: "Mamma?" ma non fece altro che confermare che la casa fosse vuota e a dare vita ad ulteriori dubbi nella testa di Aya: quindi quella era la casa di sua madre?
Era una modesta abitazione fornita di tutto il necessario per il benestare di una persona o due, aveva un solo piano e sembrava piuttosto ordinata, eccetto per dei frammenti di porcellana sparsi per un piccolo tratto di pavimento accanto ad un tavolo. Su quest'ultimo, la ragazza intravide un foglio di carta bianco, e si avvicinò cautamente per prenderlo senza farsi male. In alto a sinistra ergeva la scritta "Caro Keigo". La porse quindi al suo amico, che si mise a leggerla attentamente permettendo anche a lei e all'altro eroe di comprenderne le parole.
"Caro Keigo,
scusami tanto, degli uomini orribili sono venuti qui a casa e mi hanno minacciata, pretendendo che dicessi loro della nostra famiglia, così ho dovuto raccontargli tutto di te e di tuo padre. Sono veramente dispiaciuta. Non voglio causarti più alcun problema, perciò me ne andrò.
Per favore, stammi bene. Sono davvero fiera di te.
- Tomie Takami"
All'eroe occorse qualche secondo per metabolizzare il tutto, e allora mormorò, "Quindi Dabi ha usato delle persone per questo? Come diavolo ha fatto a spingersi così tanto oltre...?"
Poi abbassò la testa e sospirò, in preda allo sconforto "È stata proprio mia madre a far trapelare la cosa, allora..."
Aveva finalmente capito come avesse fatto Dabi a sapere il suo nome e a conoscere tutte quelle informazioni sulla condizione all'epoca della sua famiglia.
"Deve... essere dura, amico" commentò Jeanist, cercando di empatizzare con l'eroe. "Come dico sempre, è come dei jeans stret-" "No" fu la risposta di Hawks, che continuava a mantenere lo stesso tono di voce, e non si muoveva di una virgola dalla posizione che aveva assunto. Riprese a parlare, come se fosse arrivato ad un concetto che doveva esprimere per poterlo capire davvero.
"Quando il nome 'Takami' mi è stato portato via, la relazione tra me e mia madre era finalmente sparita, e ho sempre pensato che mi andasse bene. Pensavo che essere salvato significasse solo avere la facoltà di voltare le spalle a tutto".
Si alzò in piedi e inizio a vagare per la stanza senza badare alle direzioni. "Quando vieniamo messi all'angolo troviamo la libertà, ed è lì che fuoriesce la vera natura di qualcuno; ecco perché Bubaigawara era una così brava persona: in cuore, era disperato di essere d'aiuto agli altri".
Si girò e guardò dritto e deciso verso i due.
"Anch'io voglio essere così" dichiarò.
Ad Aya venne la pelle d'oca.
"Anche se ciò che Dabi ha detto sulla famiglia Todoroki è vero, non credo che sia lo stesso adesso".
Quando Dabi si era ripreso dalla battaglia contro Aya, infatti, si era scontrato con Endeavour e Shoto e aveva rivelato al mondo intero la sua vera identità, insieme a tutti i problemi che vi erano a casa sua. Questo aveva infangato gravemente l'immagine di Endeavour, e aveva peggiorato ancora di più l'opinione che i cittadini avevano sulla società degli eroi, diminuendo esponenzialmente la loro fiducia in essa.
"Quindi che cosa avresti intenzione di fare?" Chiese Best Jeanist.
Hawks non ci pensò un attimo: "Ricominciare dall'inizio"
Aya inclinò la testa di lato.
"Endeavour è nei guai, e devo salvarlo così come ha fatto lui con me quand'ero piccolo"
Vivida luce entrò e spazzò via la nebbia dal cielo azzurro negli occhi della ragazza: Keigo sembrò notarlo, e piccole stelle si accesero nel tramonto ambrato dei suoi.
"Jeanist, puoi aspettarci fuori qualche minuto?"
Lui annuì, avendo capito quasi prima di loro cosa stesse accadendo, e si chiuse la porta dell'abitazione alle spalle per poi appoggiarsi al muro esteriore con la schiena.
Hawks si assicurò che l'altro eroe fosse uscito, poi si avvicinò di più ad Aya e confessò: "Veramente c'è anche un'altra cosa all'inizio con cui vorrei ricominciare"
"Cioè?"
Lui le prese le mani. "Voglio ricominciare da te e dalla nostra promessa. Diventiamo eroi insieme, come l'ultima volta, solo che in questa non ci separeremo"
Aya non sapeva cosa dire, ma alzò il mignolo della mano destra, con lacrime affacciate alle finestre dei suoi occhi in attesa di poter uscire: "Promesso?"
Lui allora tirò fuori il mignolo della sinistra e sorrise: "Promesso"
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