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-Capitolo 75-


"Come ti senti?" Sobbalzai appena presa alla sprovvista dalla voce melodiosa di Dorothy, mentre ero intenta a prepararmi per il giorno che avrebbe segnato forse un nuovo inizio.

Spostai gli occhi dalla mia figura allo specchio, dove il vestito rosso mi fasciava perfettamente, accarezzando ogni mia curva e mettendo in risalto il mio seno, fino ai suoi.

"Bene...credo" mormorai in conflitto, mentre scossi la testa.
"Agitata" confermai veritiera, voltandomi del tutto verso di lei, che si avvicinò a passi dolci verso di me.

Poggiò delicatamente i suoi palmi sulle mie spalle, sistemandomi i capelli con una delicatezza che non sentivo da tempo sul mio cuoio capelluto. Usurato e strattonato troppe volte dagli uomini violenti, di un passato che scalciavo con tutte le mie forze, per allontanarlo dal mio nuovo presente.

"Andrà bene. Abbi fiducia" mi confidò carezzevole, avvertendo subito un senso di conforto dato anche dai suoi occhi nocciola splendenti.

Ero stata ansiosa tutto il giorno, e non avevo messo quasi niente sotto i denti. Il palato sembrava imburrato, ma la salivazione scarseggiava.

Esalai un respiro tenue, restando incollata ai suoi occhi.
"Lo spero davvero" affermai speranzosa mordendomi il labbro, mentre mi fece cenno di aspettare.

Piegai appena la testa di lato, sentendo i capelli solleticarmi il collo nudo, per vederla raggiungere il comodino intarsiato, ed aprire con un rumore gracile il cassetto, estraendo da uno scrigno due perle, che strinse nel pugno come segno di affetto, ad un ricordo bello e doloroso.

"Indossali" m'incitò, poggiandoli sul mio palmo aperto, guardandoli con stupore.

"Non pos..." la vidi ammonirmi con un gesto dell'indice alzato e le sopracciglia chiare corrugate, come era solita fare e sorrisi.

"Erano della madre di Alan. Indossali" rivelò quasi in una supplica, in un favore per lei, ed annuii vedendola sorridermi raggiante.

Fermai le due perle con le farfalline dietro il lobo fresco, e con l'indice mi fece cenno di girarmi verso lo specchio, per notare quanto mi donassero e si armonizzassero con i tratti del mio volto.

Mi morsi il labbro con il sorriso stampato in faccia, come non avevo dai tempi di Hope con Joy e da Hope con Alan.
Così mi girai e l'abbracciai forte prendendola in contropiede, poiché forse mi fiondai con troppa foga che ricambiò subito, ridendo tra i miei capelli.

"Perché non mi hai detto niente, lasciando che Miranda facesse tutto ciò?" Le posi una domanda che mi frullava in testa dall'arrivo, toccando la perla liscia dell'orecchino, girando l'asta dentro al buco.

Mi guardò comprensiva, sistemandosi la forcina tra i capelli biondi. Era così diversa da Miranda. Gli stessi occhi ma nei suoi c'era bontà.
"Non mi avresti creduto da Hope. Alan era troppo testardo e lo avevo messo in guardia di non affidarsi a Miranda. Aveva iniziato a praticare magia nera, ed io tentai di fermarla, ma lei non voleva sentire ragioni. E comunque le cose dovevano fare il loro corso mia cara, come tutto in questa vita" rispose alla mia domanda, in maniera pacata e soffice, come una melodia di una canzone suonata al pianoforte, che pizzicava le corde del cuore.

Aveva ragione. Le cose avevano avuto il loro corso, e speravo solo nel meglio. In un futuro senza falsità.

"Vuoi essere accompagnata?" Mi chiese gentile, forse per aiutarmi a superare quella fase di combutta interiore, che faceva arrovellare il mio stomaco, come un processo di lavaggio e asciugaggio nei dry wash.

"Ce la farò da sola" la rassicurai limpida, tentando di non cedere al subbuglio ma concentrandomi su i suoi occhi che amavo in ogni sfaccettatura diversa.

La vidi avvicinarsi, posando le labbra sottili sulla mia fronte, per lasciarmi un lieve bacio, che esprimesse tutto il suo bene, lo stesso che volevo io a lei.
Aveva fatto di tutti in questo mese. Mi aveva insegnato a cucinare vecchie ricette di sua madre. Avevo finalmente imparato a fare la pasta frolla senza romperla in mille briciole, ed ogni giorno per Jhonny sfornavo i miei esperimenti che molto spesso gradiva e se non gli piacevano storceva il naso in un chiaro segno di riprovarci, dove mi divertivo a lanciargli la farina ed iniziare una lotta tra zia e nipote.

Guardavamo i cartoni insieme ridendo come bambini. Andavamo sulla spiaggia insieme a Benjamin e Calvin, schizzandoci con l'acqua.
Era la famiglia che volevo, ma non volevo Calvin certamente. La sognavo con Alan. Noi tre, niente di più. Ci speravo ancora, perché Hope lo avrebbe fatto.

Salutai Dorothy calorosamente che mi rassicurò di nuovo, poiché Jhonny sarebbe rimasto a casa di Benjamin.

Presi le chiavi della macchina poste sulla credenza, ed uscii, venendo investita da un dolce refolo di vento, che spostò i miei capelli dietro le spalle, solleticandomele.
Scesi lentamente le scaline del porticato, sentendo i tacchi affondare appena sul terriccio sabbioso, ed aprii lo sportello con un cigolio come ad aspettare che io entrassi dentro.

Allungai lentamente il braccio, infilando la chiave, e girandola pigiando più del dovuto all'interno.
Guardai Dorothy dalla finestra che alzò il pollice, e sorrisi facendo retromarcia ed immettendomi sulla strada buia, illuminata solo da dei lampioni che costeggiavano essa.

Sentivo le gambe tremare, come il corpo. Il cuore pompava veloce. Tenevo la testa staccata, ed il corpo era una macchina che sapeva già cosa fare e a quanto andare.
Poche macchine spezzavano il silenzio che portavo all'interno dell'abitacolo, sfrecciando accanto a me.
Lasciavo che mi sorpasserò. Loro avevano più fretta, io avevo scelto la calma assoluta, gustandomi il momento con un'agitazione spalmata addosso al mio corpo.

Finché non intravidi alla mia destra l'autogrill dove ci fermammo quella volta, per comprare i marshmellow.
Svoltai la macchina, sostando davanti alle pompe di benzina, e scesi di macchina.

Guardai i molteplici camion fermi, e alcune macchine fermarsi a fare il pieno per un viaggio, io invece facevo un viaggio nei ricordi.
Tirai la leva nera unta e piena di manate, venendo investita dall'odore di fritto e caffè.

Mi lasciai le occhiate della gente dietro le spalle. Non era da tutti i giorni vedere una ragazza in un abito a sirena con uno spacco laterale ed i tacchi, fermarsi in un autogrill.
Ispezionai con occhi attenti tra i molteplici scaffali, afferrando la busta dei mashmellow. Era l'ultima. Aspettava me, noi.

"Quanto?" Domandai alla signora dietro al bancone bianco, con i capelli biondi raccolti in una coda, ed un sorrisetto di scherno nel vedermi agghindata.
Forse pensava che ero una escort di lusso, ma se dovevo esserlo sarei stata solo di un uomo.

Kristal stai già partendo con il piede sbagliato!

"7 dollari bellezza" affermò limpida, ciucciando una caramella al sapore di menta che emanava il suo alito.

"Certo" scossi la testa persa nei pensieri, poiché mi guardava aspettando con impazienza per servire il prossimo cliente, in fila dietro di me.
Aprii la borsa, frugando per trovare il portafoglio, quando mi ricordai di non averlo dietro. Lo avevo scordato in macchina.

"Merda! Cioè mi scusi, vado un secondo a prendere i soldi in macchina e..." la notai sbruffare ed acconsentire annoiata, e mi voltai, scontrandomi con un corpo caldo, ma non sollevai lo sguardo dal pavimento, e non chiesi scusa.

Uscii fuori, venendo colpita da una folata più elevata, aprendo la macchina per prendere il portafoglio, piegandomi sul sedile.
Dio chiunque mi avrebbe visto in questa posizione, avrebbe ispezionato a fondo il mio deretano, ma non era quello il punto.

Quando lo trovai sotto il sedile, cacciai un sospiro di sollievo, inalberandolo come se avessi vinto un'oscar, e tornai dentro con foga. Allungai frettolosamente la banconota che rifiutò.
"Il ragazzo di prima, ha pagato lui." Biascicò apatica, storcendo la bocca.

"Oh" seppi solo dire una cavolo di vocale, come in uno quiz televisivo, prendendo il sacchetto ed uscendo.
Almeno qualcuno era stato gentile!

Tornai dentro la macchina, poggiando il sacchetto al mio fianco, ed arrivare fino alla Leadbetter beach.
Solo cinque chilometri, tanta ansia.

Finché non la vidi stagliarsi al mio lato, e girai per spostarla nel parcheggio prima della radura che portava sulla spiaggia.
Mi slacciai lentamente la cintura, e spensi la macchina, abbandonandomi un attimo contro il sedile.
Guardai con occhi affascinati e pieni di ricordi, le onde calme che si assopivano sulla sabbia fine e fresca.

Mi tolsi le scarpe, prendendole dal cinturino tra l'indice ed il medio, ed anche il sacchetto.

Richiusi debolmente la macchina, superando la piccola radura incolta, sentendo le sterpaglie graffiarmi appena il dorso del piede, finché non averti i granelli fini e freschi, dando sollievo alla mia pianta.
Era l'unica spiaggia che aveva dei faretti incastonati, per dare luce a quella magia.
Per far notare il colore cobalto del mare di notte fonda.

La luna piena e pallida, padroneggiava tra le nuvole terse con sfumature blu indaco, bianco e grigio fumo.
Mi piegai appena, continuando a fissare le onde con il suo rumore rilassante, che dava beneficio al mio stato irrequieto.
Posai la busta e le scarpe. Finché non spostai lo sguardo, sentendo uno scoppiettio, ed intravidi poco lontano da me, un piccolo fuoco, ed una figura a sedere sulla sabbia. Il ciuffo che si spostava con il vento, la camicia aperta che lasciava scoperto il suo petto.
Il mio cuore che mancò due battiti quasi come ad arrestarsi, per riprendere più veemente la corsa.

Mi alzai in uno scatto, raccogliendo scarpe e sacchetto, per avvicinarmi cauta.
Quando il suo volto illuminato dal fuoco, si sollevò appena. I suoi occhi ghiaccio riscaldati dal chiarore rossastro del fuoco, si mescolarono al mio azzurro cristallo, creando lo stesso colore del mare e del cielo.
I tratti del suo volto teso, dove la barba ispida e trasandata lo rendeva più bello e selvaggio, si distesero, facendo scomparire quei solchi sulla fronte, alzandosi lentamente, mentre lasciai cadere a terra le cose, e calpestai la mia ansia, perché il suo sguardo mi dava protezione e mi rassicurava.

Ora possiamo morire!

Si passò una mano tra il ciuffo, elargendo un sorriso ed esalando un sospiro di sollievo, nel vedermi lì.
I suoi occhi famelici ardevano più del fuoco, scivolando senza pudore sulla mia figura, ed il vestito sembrava disintegrarsi ad ogni sua occhiata, sentendo quella convulsione in mezzo alle gambe, ed una contrazione al basso ventre, facendomi stringere le gambe per l'eccitazione che sapeva farmi crescere anche solo con la lingua che si passò tra le labbra carnose.
Finché non lo vidi sorridere sfacciato, increspando le labbra in un sorrisetto laterale, capace di uccidermi e far nascere il mio istinto felino e primordiale.

"Ciao Kristal" il mio nome uscito dalle sue labbra, con tono rauco, sembrava una melodia che non sentivo da tempi immemori.

Abbassai un attimo lo sguardo, ricordandomi che io ero Krys e non Hope.

Mi avvicinai di più, muovendomi sinuosa verso di lui, e portai una mano sul mio collo, scendendo con i polpastrelli e vederlo fissare perso il mio gesto, fermandosi proprio tra la spaccatura dei seni, giocando con la stoffa dello scollo generoso.

"Ciao Alan" soffiai dolcemente il suo nome, con voce calda, sentendolo emettere un verso esasperato.
"Mi hai trovata" aggiunsi, vedendolo annuire e camminare fino a ritrovarmelo difronte. Il suo odore pungente assalì il mio olfatto, ed il suo alito caldo mi solleticò la pelle, facendomi rabbrividire.

"Il cuore mi ha suggerito bene" sussurrò al mio lobo, sfiorando il mio incavo del collo, con le sue dita squadrate, e girai il volto a metà, vedendo i nostri occhi incatenarsi e scoppiare come il fuoco al nostro lato.

"Ti ho battuto sul tempo mia Krys" sussurrò seducente, sull'angolo delle mie labbra, provocandomi un fremito, indicando i mashmellow ed il suo trovarsi lì, mentre sorrisi.

"Pensi di avere la vittoria in pugno. Non ti ho perdonato ancora" rintuzzai saccente ma sensuale, vedendolo farmi un sorriso sfacciato.

"No" scosse la testa, poggiando le sue mani ruvide su i miei fianchi, con avidità e dovetti trattenere un ansimo strozzandolo infondo alla gola.
"Mi basta sapere che sei qui, che non sei un dipinto, un mio sogno erotico, una mia utopia" mi confidò lascivo, ed ogni sua parola era un colpo al mio cuore, che si stava riaggiustando.

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