-Capitolo 70-
Pov. Alan
Richiusi il taccuino con violenza, gettandolo nel sedile accanto al mio, cadendo a terra con un tonfo sordo sul tappetino nero.
Ciò che avevo trovato era ciò che immaginavo, ma vederlo scritto, e letto a mente, mi aveva causato un bruciore forte alla bocca dello stomaco.
L'unica cosa che poteva risollevarmi era Che finalmente Kristal sapeva quasi tutto.
Non mi era venuta a cercare ancora e forse era scossa.
Non ero riuscito ad impedire il matrimonio, e se non fosse stato per la sua memoria ripresa in tempo, a quest'ora sarebbe rimasta solo Hope e sposata con Simon.
Lui a cui avrei voluto spaccare la faccia, solo per aver tentato di molestare la mia speranza.
Ma era partito da coniglio, e non me ne fregava più un cazzo.
Ora che niente impediva il nostro legame, consumato solo da verità celate e da l'odio che avrei accolto, sino all'ultima goccia.
Il silenzio accompagnava il mio tragitto, spezzato solo dal rumore ovattato, delle macchine che passavano, per via del finestrino alzato.
Le giornate diventavano sempre più calde, solo per riscaldare le mie paure infondate.
Sbattei una mano sul volante, con un tonfo secco, tanto da sentire il palmo formicolare.
Cosa si può sperare, quando perdi la propria speranza?!
Non lo sapevo, ma volevo credere che avrei potuto riaggiustare ogni singola cosa.
Forse avrei dovuto uccidere Miranda.
Ma sarebbe servito solo a ricordare che infondo dentro il mio corpo, scorreva il sangue di Valten, ed io non lo volevo.
L'unica cosa che può uccidere una persona, è sentirsi soli e abbandonati. Come mi ero sentito io, come si era sentita Kristal.
Ma noi avevamo le nostre anime solitarie, a confondersi e ritrovare pace.
Lei si sarebbe sgretolata ed appassita, proprio come i fiori che curava nel suo giardino.
Superai il cancello aperto, sentendo la ghiaia sfrigolare sotto il peso delle ruote, per sostare e scendere da lì.
Sbattei con veemenza lo sportello, mentre guardavo intorno, in cerca di qualcosa, forse un punto fermo che mi aiutasse a capire, che Krys sarebbe passata a ridarmi calore, a ripulire i miei demoni.
Aprii svogliatamente la porta di casa mia. Anche il tintinnio delle chiavi mi dava fastidio.
E non appena la richiusi con un tonfo debole, sentii un profumo floreale, insinuarsi nelle mie narici, come a rinfrescarmi e a riprendermi da ogni male fisico e mentale.
Anche se il corpo era ancora in subbuglio, bastò quella folata, per medicarmi.
Mi voltai come un pazzo, con gli occhi sbarrati, cercando il suo volto perfetto e la sua anima sofferente.
Era qui. Lo sentivo. Ogni fibra del mio corpo si stava snodando.
Avanzai verso il salotto, in cucina, e corsi su per le scale. Quelle scale dove se non avessi resistito fin sopra la camera, avrebbero portato il sapore del suo sesso.
Lo stomaco sembrava piegato come un cartone, da quanto mi doleva.
Il cuore prese a correre feroce, come un'animale che scappava dai cacciatori.
Aprii ogni singola stanza, con il suo odore permeato tra le pareti.
Era più forte. Non era l'odore che avevo sentito quando ero andato via da casa.
Questo era l'odore di Krys. L'avrei riconosciuto tra altri mille.
Finché non trovai la porta della stanza segreta, socchiusa.
Un sorriso illuminò il mio volto, complice di una felicità smisurata.
Il corpo fremeva e reclamava di vedere i suoi occhi.
E poteva amarmi e detestarmi. Poteva fare di me ciò che voleva.
Io ero un suo servo, servo del suo amore.
Mi avvicinai cauto alla stanza, cercando di fare piano. Come un ladro che doveva derubare un bene prezioso.
Attaccai la schiena al muro, stando rasente ad esso, per sbirciare da quel piccolo spazio che permetteva, di vederla.
Finché non decisi di poggiare una mano sudaticcia sulla maniglia fredda, e spalancarla.
Chiusi gli occhi per quel breve tempo, finché non li riaprii difronte alla stanza, trovando il vuoto, il suo odore più forte, e i suoi occhi raffigurati nei molteplici quadri, che mi fissavano, ognuno con una sfumatura ed espressione diversa.
Abbassai la testa, sorridendo della mia sorte. Una risata irosa e debole.
Finché non spostai gli occhi dal pavimento, risalendo piano verso il tavolo dove c'erano le tempere, fino a scivolarli persi, sul cavalletto che reggeva il quadro ancora incompleto.
Un foglio ripiegato era appeso con una puntina rossa, nel mezzo.
Il cuore mancò un battito irregolare, lasciando che le pupille nere come il catrame, risucchiassero il mio gelido color ghiaccio, lo stesso ghiaccio in cui in sua assenza era sepolta la mia anima.
Avanzai a passi lunghi e distesi, strappando il foglio, e la puntina scivolò a terra con un rumore fugace, appena percepibile.
Spiegazzai il foglio, tra le mani che tremavano, vedendo la sua calligrafia elegante, riempire ogni singola riga.
Mi sentii agitato, come non lo ero mai stato forse in tutta la mia fottuta vita.
Passai un palmo sul pantalone di lino, lisciando pieghe immaginarie, fino a convincermi di leggere, e di avere un duro colpo da incassare e da risolvere.
- Caro Jason...o forse dovrei dire Alan.
Non voglio scriverti una lettera, voglio solo sfogare i miei sentimenti.
Sono venuta, con l'intento di vederti, e non nego che ero ansiosa di rincontrare i tuoi occhi di ghiaccio, che sapevano accendermi il corpo, tutti i sensi in allerta quando tu eri nei paraggi.
Non ti ho trovato, e ho tirato un sospiro di sollievo, o non sarei riuscita a lasciarti questa lettera, ed a dirti tali parole.
Ti ho amato immensamente da Kristal, tu sei stato quel faro in mezzo al mare, che lo illuminava di notte quando sembrava ricoperto di catrame che mi inquinava, ma tu avevi inquinato il mio cuore, con il tuo amore.
Ti ho imparato ad amare da Hope, o forse ti ho sempre amato.
Quando sei apparso da dietro Vanessa, il mio mondo si è fermato. Portavi la camicia candida aperta davanti, mettendo in mostra il tuo corpo perfido, perché mi attirava verso di te come il canto delle sirene.
Eri dannatamente bello, con quelle labbra dischiuse e carnose, dove un fremito convulso mi prese tra le gambe, avendo la voglia di morderle e sentire quel sapore, che da Kristal abusavo come una droga.
I tuoi occhi di ghiaccio mi tormentavano le notti, rendendo i miei sogni qualcosa di proibito. Vedevo Simon disteso di fianco a me, ma cercavo te.
Cercavo i tuoi occhi da incendiario. Mi rigiravo tra le lenzuola, agitandomi e non spiegandomi perché mi sentivo così.
Io Kristal ricordavo i tuoi occhi, per Hope era un tormento.
Sei sempre stato con me, e neanche lo sapevo. Che tu non sei la mia ombra, tu sei il pezzo del mio cuore.
Ti ricordi quel giorno? Il giorno dove tutto si arrestò. Dove non ero più un numero, non ero più Kristal Evans.
Erano venuti ad informarmi di notte, i controllori, mentre ero sveglia sul letto, conscia che se avessi chiusi gli occhi, gli incubi mi avrebbero consumato.
Tu eri il mio respiro, per resistere in mezzo a quello schifo.
Mi dissero che la sera stessa, avrei festeggiato il mio decimo cliente, e come premio il capo mi aveva affidato a suo figlio.
Volevo te, volevo consumarmi con te, e piansi senza avere conforto da nessuna. Le tre ragazze che erano in camera con me, erano tristi e logorate, che il consolare non rientrava nel nostro vocabolario. Ma con te mi veniva semplice, aiutarti a raggiungere i tuoi sogni, quando il vento fumava la tua sigaretta che tenevi tra le dita, con il ciuffo scompigliato che nascondeva i tuoi occhi magnetici, e lo sguardo perso rivolto al cielo.
E tu consolavi me. Poggiasti le tue mani ruvide sul mio punto vita, soffiandomi nel lobo, che un giorno tutto questo sarebbe finito, dove i fremiti attraversavano il mio corpo esile e scarno, dovuto dal cibo a base di pane e minestra, e carne cruda che rifiutavo di mangiare.
Ed io ci credevo sai Alan? Ci credevo con tutta me stessa. Mi ripetevo che un giorno sarei stata libera, e sarei fuggita lontano con te.
Poi la notte buia mi ricordava di Grace. Mia sorella non la potei più vedere da quando ci strapparono di casa, e mia madre venne uccisa sotto i miei occhi consumati dalle lacrime inutili che versavo.
Ogni volta in fila, speravo di vederla ed abbracciarla. Ma lei era stata messa nel campo adiacente al nostro. I fili spinati e le telecamere impedivano l'accesso.
Avevo letto dei campi di concentramento a scuola, ma quello si avvicinava a tale.
Solo con te vedevo quel fascio di luce, e mi lasciavo cullare.
Quando le tue labbra si posarono sulle mie, mi sembrò di morire. Mi sentii cedere, e le tue mani mi strinsero i fianchi con avidità, come una supplica di non scappare, di rimanere con te per sempre.
Ma nulla è per sempre. Nulla dura. Ogni cosa a un inizio ed una fine.
La notte che mi diedero quella notizia, era il giorno dopo , di quando facemmo la pazzia di respirare la libertà per due ore.
Mi avresti riportata all'ora in cui tutti si sarebbero svegliati.
Volevo vedere il mare, e tu mi portasti.
Rubasti una vecchia auto, e mi ricordo che risi a crepapelle vedendoti imprecare, e sporcarti la maglia bianca di nero, per cercare di far partire quella carcassa. E quando ci riuscisti, guizzasti in macchina, facendomi il solletico, e zittendo i miei lamentii e le mie implorazioni, con la tua bocca peccaminosa, in cui mi perdevo e mi rilassavo, divenendo un automa. Potevi fare di me ciò che volevi.
Ero tua Alan...lo sono sempre stata. Da quando ti vidi la prima volta sul terrazzo. Con quel blocco da disegno e la matita ferma in mezzo alle pagine.
Il filtro tra le tue labbra, e fissavi un punto impreciso, davanti a te. Il ciuffo pece che il vento faceva svolazzare.
Mi avvicinai a passi sostenuti, talmente piccoli da sembrare di rimanere immobile, quando parlasti, m'immobilizzai davvero.
La tua voce rauca, era qualcosa di melodioso e attraente per me.
Ti voltasti appena, inchiodandomi con i tuoi occhi di ghiaccio, rimanendo seduto con le spalle al muro, ed a fumare tranquillamente.
Mi dicesti se mi avevano mai detto che era maleducazione spiare.
Non me l'avevano mai detto. Non spiavo mai nessuno.
Ma quel giorno avevo imparato a spiare te, le tue movenze, i tuoi gesti. Dio, ero affascinata da ogni cosa che dicevi.
Ed ero solo una ragazzina.
Quel giorno facemmo l'amore su quella spiaggia. Con il tuo corpo che mi scaldava dai brividi, e le tue labbra che baciarono ogni centimetro della mia pelle diafana. Il mare aveva accolto i nostri gemiti dolci, perché quelli avidi li consumavamo l'uno nelle labbra dell'altro.
Ti chiesi di farmi sentire solo una ragazza che voleva sentirsi amata da un ragazzo, ma non uno qualsiasi.
Tu mi guardasti lussurioso, tentando di non cedere, ed allora poggiai la mia mano sul tuo petto, proprio dove batteva il tuo cuore, potendo sentire i battiti riverberarsi sotto al mio palmo, e ti chiesi quasi in un'ordine, di fare l'amore con me.
Fu la notte più travolgente di tutta la mia vita, fino a quel momento.
Mi scordai di mia madre, di Grace, di essere una bambola usata per dare piacere a mafiosi russi pieni di soldi.
Mi scordai di non essere libera, perché in quel momento mi sentivo più libera di ogni altra cosa.
Quella mattina mi alzai all'alba come sempre, per venire nel nostro posto segreto. Quella terrazza era il nostro porto sicuro.
Ma quella mattina non trovai te. Quella mattina trovai il capo...Valten.
Mi pietrificai sul posto, il cuore cessò di battere dalla paura di aver violato la legge.
Era di spalle, finché non si voltò lentamente verso di me, con un ghigno sul volto.
"374" soffiò fuori rauco il mio nome, perché quello era il nostro codice di riconoscimento.
Non risposi rimasi lì sul posto, piantata sul terrazzo freddo, come il vento che si schiantò addosso alla mia figura minuta.
Ero divenuta una ragazza forte, ma dentro portavo tagli che non si sarebbero mai rimarginati e mai cicatrizzati.
"Ti aspettavi di vedere Jason. Sono venuto io a portarti la lieta notizia. Non è potuto venire lui" rivelò crudo, con la soddisfazione dipinta in faccia, mentre i brividi si propagavano inesorabili.
"Lui è...io..." biascicai fuori parole sommesse, per il timore che m'incuteva.
"Ah non te l'ha detto. Povera Kristal" disse il mio nome lentamente, mentre mi paralizzai maggiormente. Non aveva mai usato i nostri nomi.
"Che cosa?" Trovai il coraggio di fare una frase di senso compiuto.
"Jason è il mio gigolò. Intrattiene piacevolmente le mogli dei mafiosi. Le porta a cena, le fa regali, e poi se le sbatte, in qualche suite di lusso che pagano profumatamente" mi confessò quelle parole che mi sgretolarono completamente il cuore. I miei occhi tentavano di non piangere, non potevamo mostrarsi deboli, o saremmo state punite e picchiate. Messe in isolamento.
Ma era come se aghi appuntiti mi infilzassero il bulbo per indurmi a rovinarmi di lacrime amare.
Si avvicinò a me, ed ormai il mio corpo era una pietra fredda e vuota.
Poggiò le sue mani grandi, sulle mie spalle dal quale le clavicole spuntavano fuori.
"374 l'amore è un illusione. È un'utopia delle menti malate. L'amore rende deboli 374. Non crederci. Tu sei questa. Tu meriti di più dell'amore. Tu meriti il piacere assoluto" parlò pacato, come se mi stesse dando delle lezioni di vita inutili.
"Sai perché ti ho scelta per mio figlio? Perché sei la più bella. I tuoi capelli ramati, le poche lentiggini che ricoprono il tuo naso grazioso. Il tuo corpo esile ma sinuoso. I tuoi occhi azzurro cielo ammaliano. Nascondono una sensualità che ti appartiene" mi fece miliardi di complimenti mentre volevo solo piangere per essere stata presa in giro da te. Era tutta una falsa Jason, Alan. Tutto falso. E solo all'ora mi resi conto di quanto fossi stata sciocca.
"Ti aspetta stasera Jason. Troverai il vestito pronto in camera tua" m'informò risoluto e con una punta di soddisfazione per avermi dilaniato l'anima, più di quanto non avessi fatto te, che raccontavi bugie alle mie orecchie che credevano ad ogni singola parola.
E fu così Alan. Corsi in camera a piangere disperatamente. Con il petto dolente. Le doghe che gracchiavano per i miei spasmi convulsi dovuti ai singulti incessanti.
Strinsi al petto la foto di Grace e mia madre. Sarei stata forte per loro.
Mi misi il vestito rosso sangue, lungo fino alle ginocchia.
Lo scollo a cuore che tirava su il mio seno che aveva perso consistenza.
E quando mi dissero il mio turno, con il mio nome, cacciai l'ansia ed entrai nella camera.
Tu eri poggiato ai piedi del letto, a sedere, con i gomiti puntellati sulle ginocchia.
Ti girasti verso di me, con i tuoi occhi di giaccio che mi avevano fatto innamorare perdutamente, e nonostante tutto non potevo reprimere quei battiti e brividi che provai nel trovarti lì, rilegato in uno smoking nero, che mi mozzava il fiato.
La musica arrivava sorda ai nostri uditi. I due flûte di champagne posati sul tavolino di legno, in quella casetta di legno.
Feci un passo verso di te. Ti dissi solo -tu sei...- sapevi dove voleva finire la mia frase, ma tu con uno scatto repentino poggiasti il palmo sulle mie labbra.
Desti due spari, sfoderando dalla fondina una pistola, tirandoli a vuoto, mentre sobbalzai dalla paura.
Ma tu mi tranquillizzasti dicendomi scusa, ma io non sentivo più nulla.
Mi dicesti che eri il mio salvatore, e portasti con l'altra mano un fazzoletto da un'odore acre sulle mie labbra, e ciò che mi ricordo fu solo che caddi a terra, battendo la testa contro qualcosa di duro e spigoloso, mentre il tuo grido mozzato arrivò sordo alle mie orecchie.
Lì non ero più nessuno Alan. Non ero 374, non ero Kristal, non ero Hope.
Ma tu eri il mio salvatore ed io ero la tua speranza.
Ma per quanto io ti ami Alan non posso...non riesco a perdonarti.
Le bugie, il poetarmi via la memoria. Avrei superato il dolore della morte di Grace, con te al mio fianco. Ma tu avevi preferito nascondere come sempre.
Fammi vivere senza più dolore.
Ma sapevi che il mio cuore ti avrebbe ritrovato.
Non posso Alan. Non posso davvero.
Non ti odio, ma non riesco a starti vicino. Ora che potevamo. Ora che so tutto.
Non è un addio.
Starò via, non ti dirò dove andrò. Il mio cuore da Hope ti ha trovato.
Il tuo cuore mi troverà.
Ci rivedremo lo stesso giorno, di quello fatidico. La stessa ora.
Se mi vedrai apparire, vorrà dire che sarò disposta a sentire le tue parole.
Ciao Alan. Per sempre tua Krys. -
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro