-Capitolo 66-
Per tutta la notte non avevo chiuso occhio. Avevo ancora impressa l'espressione solenne di Vanessa, nel disintegrare l'ultimo pezzo di me, con le sue parole che mi causavano una disfunsione degli organi.
Come di consuetudine, prima del gran giorno, Simon dormì a casa sua, mentre io andai da Joy, che mi cedette il suo letto caldo e morbido, lasciandomi piangere in silenzio, e cullarmi da sola, carezzandomi le braccia fredde come marmo.
Il buio proteggeva il mio volto arrossato, e l'alba si elevò troppo presto, donando luce a quell'oscurità che infestava il mio cuore.
Gettai un'occhiata all'abito candido, rilegato nel nylon trasparente, appeso alla gruccia, sul pomello bianco dell'armadio.
L'anta fatta in specchio nel mezzo, rispecchiava la mia figura a sedere, poggiata con la schiena contro la testata in ferro battuto beige, e le mie mani che stringevano le lenzuola di lino color panna con delle rose disegnate lucide in rilievo, volendole tenere come arma di difesa.
Non puntai mai lo sguardo sul mio volto, avrei trovato frustrazione, tristezza, ansia, afflizione, arresa.
Si perché oggi mi sarei arresa e mi sarei concessa in sposa a Simon.
Mi passai tre dita sudaticce, sotto la rima cigliare, vestendomi di un sorriso tessuto come le perle che riempivano il corsetto.
Finché non sentii il cigolio tenue della porta aprirsi, e la voce squillante di Joy cantare il motivetto.
"Tanti auguri a te, tanti auguri..."si fermò sulla soglia, con un muffin sul piattino ed una mano a parare la fiamma della candeline rosa, scrutando il mio volto.
"Tanti auguri zombie, tanti auguri a te" terminò goliardica, facendomi nascere la prima risata cristallina della giornata, mentre mi sventolai una mano davanti agli occhi. Lacrime di gioia e di dolore volevano scorrere insieme, ma si fermarono appannando appena la mia vista, facendola tornare lentamente normale.
"Grazie Joy" proclamai serena, vedendola avviarsi verso di me, e mettersi a sedere sul letto, guardandomi e facendomi cenno con la testa piegata di lato, dove i capelli neri le ricaddero sulla spalla sinistra, di spegnere la candelina.
Corrucciai le labbra in una smorfia, ma la sua espressione era un chiaro segnale di obbligo, perciò inalai più ossigeno possibile, e soffiai la negatività che spense la fiammella vivace, mentre poggiò il piatto sul letto, battendomi le mani entusiasta.
"Dopo tutto è sempre anche il giorno del tuo compleanno bella addormentata" affermò tranquilla e di un'energia che scacciava via ogni tristezza possibile, per alleggerire il mio cuore, scrollando le spalle in maniera altezzosa.
Afferrai il piatto, sentendo un certo languorino solleticarmi il palato, e azionare le mie papille gustative che avrebbero gioito di quel muffin cosparso di glassa al cioccolato. Ma appena presi il piatto, mi schiaffò debolmente la mano.
"Ferma lì" mi ammonì quasi con tono severo, mentre sgranai gli occhi lamentandomi con un verso.
"Prima serve una foto per Instagram" bofonchiò solenne, e mi passai una mano sulla fronte accaldata in maniera esasperata. Non sarebbe mai cambiata ed io l'adoravo esattamente così.
"Direi che di prima mattina, struccata e spettinata, potrei passare per uno spaventapasseri. Di conseguenza avresti pochissimi cuori" la redarguì bonariamente, ma la vidi fare spallucce, come se la cosa non la toccasse.
"Correrò il rischio" ribatté non curante, portandosi il telefono davanti al viso e scattarmi una foto, con il dolce in mano ed un sorriso genuino finalmente, ad incorniciare il mio volto ovale.
Terminammo di mangiare il dolce, facendo a metà, e combattendo con le forchettine per l'ultimo pezzetto che ovviamente andò alla festeggiata, per iniziare a prepararci.
Non avevo chiamato nessuna estetista, poiché voleva occuparsi Joy di trucco e parrucco, e se c'era una persona a cui potevo affidare tutto di me, era proprio lei.
Mi spinse per le spalle, verso il bagno, nel vedere quanto fossi triste a dover abbandonare il letto, e come una madre mi fece una ramanzina con finto tono austero, dove risi e la presi in giro con un "agli ordini mammina" ricevendo un suo sorrisetto laterale soddisfatto.
Chiusi debolmente la porta del bagno, sfilandomi lentamente la maglia di Joy, per gettarla nel cesto dei panni sporchi in vimini.
Era un bagno che adoravo, poiché aveva uno stile vintage, come i mobili di legno ridipinti con colori eccentrici come lei. Rosso, blu, verde, giallo, per spezzare la monotonia delle piastrelle bianche ed asettiche.
Lei sapeva colorare la sua vita, lei era come quei mobili, mentre io ero una piastrella apatica e priva di vita.
Abbassai lo sguardo, fissandomi le dita dei piedi come a temporeggiare e viaggiare in qualche ricordo di noi, ma la mente decise di non infliggermi inutile dolore, che oggi era il giorno della svolta, e che era meglio accantonarlo.
Mi portai con il busto chinato in avanti, notando che finalmente invece del solito box doccia, potessi usufruire di una vasca.
Aprii il rubinetto, spruzzando il bagnoschiuma alla vaniglia, che mischiandosi con l'acqua formò la schiuma, inalando il dolce aroma che lasciò tra le pareti.
Non c'era più nulla da scoprire. Sarei tornata alla normalità, niente più sofferenza e mistero.
Mi lavai e oziai dentro la vasca, raccogliendo con le mani a coppa, la schiuma, per soffiarla e vederla elevarsi e separarsi come piccoli fiocchi di neve, che ricadevano all'interno.
Lui aveva regalato un rubino a Vanessa. Lei che era la sorella di Simon.
Ora era tutto chiaro come Simon avesse conosciuto Alan e perché avesse avuto tanta fiducia in lui. Mentre io mi sentivo di essere stata plagiata e graffiata, macchiata di peccato.
Alan mi aveva solo usata, per magari farsi beffa di me alle mie spalle, deridendomi e dandomi della stupida, per aver creduto in un'amore a senso solo.
Infondo lui non mi aveva mai detto quelle paroline fatidiche, che io avrei rivelato se non mi avesse bloccata.
Vivevo nelle favole, aveva ragione Joy. Come ogni principessa, come la bella addormentata, mi sarei svegliata senza il bacio del vero amore, ma con un'armatura lucente, per combattere la guerra con me stessa ed evitare di ritrovarmi a pezzi, di nuovo.
Avvolsi il corpo nell'accappatoio che mi aveva accuratamente sistemato Joy sul termosifone spento, prendendo l'asciugacapelli ed il pettine. Ma appena lo accesi, sentii un urlo strozzato di Joy e la porta venir sbattere furente contro il muro, dove la maniglia di ferro cozzò pesantemente contro la piastrella, e la sua mano strapparmi di mano il phon.
"Ci devo pensare io" mi ammonì con tono autoritario, per poi elargire un sorriso.
"Non sei normale" affermai scioccata, venendo presa per le spalle e messa a sedere con irruenza, sopra la sedia, mentre prese tra le dita i capelli, per arrotolarli sulla spazzola ed iniziare ad asciugarli, con il rumore ventoso del phon.
"Mai detto di esserlo" replicò fiera, facendomi scoppiare in una fragorosa risata, che si riverberò anche al ventre.
Mi lasciai cullare i capelli da Joy e dal calore dell'asciugacapelli, che mi fece accaldare e tingere le guance di un rosso acceso.
Guardavo attraverso lo specchio, con quanta premura mi preparasse.
Mi parlava di come mi avrebbe truccata, e mi lasciai andare all'arrendevolezza.
Avevo depositato ogni forma di arma, e mi sarei arresa anche sul trucco.
"Quindi anche se ti metto un rossetto rosa schocking ti va bene?" Mi domandò beffarda, mentre depositava il phon e prendeva la trousse rosa dei trucchi.
"Credo che un lucidalabbra nude sia meglio" la informai rabberciata, accomodante, con le labbra corrucciate in una smorfia, vedendola alzare le sopracciglia.
"Allora non sei così arrendevole come credevo" rivelò cristallina, con l'espressione di chi sapeva.
Come sempre ad opera finita, ammirai il mio riflesso allo specchio, vedendo un'altra Hope.
L'ultima volta che mi aveva truccata, era per andare dal mio nemico del cuore, invece ora era per andare all'altare con l'uomo che non era riuscito appieno a conquistarlo.
Ci dirigemmo in camera, mentre carezzevole m'informava che ero stupenda, e che lo chignon morbido con delle ciocche a boccoli che fuoriuscivano, dall'acconciatura tempestata di forcine con diamantini, era deliziosa e rendeva giustizia al mio volto. Se non altro brillavo grazie a quei diamantini incastonati tra i capelli.
Sfilai il nodo in vita dell'accappatoio, lasciandolo cadere soffice lungo le spalle, mentre Joy sfilò il nylon, e mi aiutò ad indossare il vestito.
L'anta a specchio, ci mostrava. Era dietro di me ad allacciare e tirare ogni nastro, mentre il bustino diveniva più stretto e dimezzava il mio respiro ad ogni tiro, ma ormai ero abituata a vivere senza respirare.
Mi lisciò amorevole la schiena, come per togliere pieghe immaginarie, mentre le mie mani restavano lungo i fianchi, a sfiorare il tessuto più pomposo su i fianchi.
-Vestito giusto, sposo giusto- mi ripetei come un mantra, ricordandomi della frase che disse lui. Lui sosteneva che Simon fosse sbagliato, ma il vero sbaglio era stato donarmi a chi mi aveva illusa e poi delusa. Senza scappatoie e sotterfugi per sfuggire a quella passione, che mi bruciava le viscere. Mi consumava la facoltà del pensiero.
Gettai uno sguardo verso il pizzo che ricopriva la gonna, fino a risalire verso la vita, adornata da una fascia con perline ed altre a ricoprire il bustino in pizzo a fascia.
Le clavicole esili che sporgevano dalle mie spalle, ed il collo lasciato nudo, dove solo alcune ciocche mi solleticavano dolcemente. Finché non vidi Joy fissarmi e scrutarmi.
Le sue labbra non emettevano suono, ma i suoi occhi ambrati dicevano di più. Le sue pagliuzze dorate, sapevano che non era giusto, e tentava di scavarmi dentro per convincermi di ciò che forse già sapevo.
Per salvarmi, per tirarmi fuori.
Ma io avevo deciso. Quindi confermai con un cenno di assenso del capo, che ero convinta di fare quel passo, sentendo le sue mani carezzarmi le spalle e poi annuire voltandosi per andarsi a preparare.
Cercai di non pensare a niente, mentre le molle del letto cigolarono e si lamentarono sotto il mio peso. Si lamentavano come la mia anima. Portavo il peso di mille colpe.
Fissai come distrazione inutile, le unghia smaltate di rosa carne. La semplicità aveva incontrato il mistero irrisolvibile.
E più scacciavo lui come una mosca fastidiosa che ti gira intorno, più sembrava ritornare e darti noia.
Allungai la mano verso un foglio scarabocchiato, adagiato sul comodino laccato, che non avevo notato la mattina.
Mi stropicciai appena l'occhio destro che sembrava appannato, ma senza premere. Se mi fossi sbavata l'ombretto oro, Joy avrebbe fatto un putiferio.
Sorrisi a quel pensiero di una Joy sclerotica, cominciando a leggere nel frattempo.
-Trovava in lui un innato senso di agio, come se lo conoscesse da una vita.
Ma infondo la vita cos'è? Sappiamo realmente che stiamo vivendo ma meno come lo stiamo facendo.
Era attratta dal scoprire cosa si celasse dietro cotanta freddezza e al tempo stesso dietro tanta fermezza e dolcezza.
Ella parve affascinata e insensatamente trasportata, dal mistero.
Incosciente. Chiunque avrebbe saputo, l'avrebbe potuta avvertite.
Aveva preferito ascoltare il suo cuore pazzo.
Egli non l'amava. La possedeva in ogni forma concepibile.
Usurpata. Ella si sentiva sottratta del suo cuore e mandato in carneficina.
Fu convinta che l'amore rendeva deboli ed arrendevoli, e che avrebbe sposato colui che l'avrebbe fatta sentire una regina. Seppur vuota ed asettica, ella non avrebbe più sofferto di un'amore non corrisposto.-
Guardai una goccia trasparente, macchiare il foglio, rendendomi conto che era scivolata senza volere, dai miei occhi.
Sembrava stata scritta apposta per me.
Finché non sentii la voce vellutata di Joy, ed il minuto dopo vederla fare la sua comparsa, dalla soglia.
"Allora come sto?" Fece un giro su se stessa, ammirando come le stesse bene il vestito dorato, con delle spalline sottili, che accarezzava le sue curve morbide e sensuali. Mentre i capelli erano dolci onde, che li facevano apparire più corti e voluminosi.
"Sei stupenda" le rivelai veritiera, e con il cuore, vedendola avanzare verso di me con un sorriso smagliante, per rassicurarmi, e tendermi la mano che accettai, abbracciandoci calorosamente, quasi da stritolarci.
"Che hai fatto tutto questo tempo? Sono lenta lo sai" si scusò come meglio poté, anche se non servivano scuse.
"Ho letto...questo" presi il foglio che avevo lasciato sul lenzuolo, e glielo porsi. Finché non scoppiò a ridere.
Innalzai un sopracciglio circospetta. Non era certamente una barzelletta.
"Interessante che tu abbia letto la mia bolletta. Dovrò entrare nelle grazie dell'uomo della luce" fece una battuta esilarante, ma che in quel momento mi fece sentire apatica.
Un colpo netto al centro del petto, come se mi avessero appena fucilato senza pietà alcuna.
La mia mente giocava brutti scherzi, e forse rasentavo davvero la pazzia.
"Già" stirai quelle parole, togliendo le pieghe che la mia voce inclinata avrebbe dato, grazie ad un sorriso che elargii.
La vidi fare spallucce incurante, porgendomi il bouquet sublime, con fiori bianchi e lilla, ed adornato di perline come l'abito.
Lo presi in mano, rivolgendole un sorriso caloroso, mentre afferrò la pochette bianca, ed aprì la porta.
Rimasi un attimo basita, quando vidi una carrozza difronte a me, con un cavallo bianco ed un cocchiere che ci aspettava giù.
"Una carrozza" sussurrai più a me stessa che a Joy che si mise a ridere.
"Vai bella addormentata" si beffeggiò di nuovo, ricevendo una mia linguaccia ed accettai il palmo del cocchiere, che ci aiutò a salire, per accomodarci sulla panca rossa, sentendo il cavallo nitrire, e ad una tirata delle redini, partire con il rumore degli zoccoli che spazzava via i miei pensieri.
Forse stavo diventando pazza, o forse leggevo cose che la mia mente partoriva, per convincermi sempre di più che stavo facendo la cosa giusta.
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