-Capitolo 62-
Pov. Alan
Guardai il portone dinanzi a noi aperto, per intrufolarci e sentire la ghiaia sotto il peso delle ruote, scricchiolare pesantemente, fino a sostarla. Notai il volto di Vanessa accigliato e sorpreso, per averla portata a casa mia, na non fece domande.
Scesi in fretta, per andare ad aprirle lo sportello, mentre titubante scese, riportandosi la borsa sulla spalla esile.
"Pic-nic nel tuo giardino?" Domandò goliardica, mentre scossi la testa, prendendola per il polso, e salire la scalinata.
Mi fermai un attimo, mentre il suo volto era rilassato e un sorriso dipinto, quando il mio rimaneva impassibile e l'agitazione che abitava dentro di me, si accumulava.
Scrutai con occhi vigili, se Miranda stesse arrivando.
"Possiamo entrare o dobbiamo ammirare il portone di casa tua?" Chiese quasi spazientita, dal mio restare immobile, finché non mi girai per aprire la porta bianca con un cigolio tenue, e lasciarla entrare, richiudendola dietro le mie spalle.
Avanzò verso il salotto, come era solita fare, togliendosi la borsa beige dalla spalla, e posarla delicatamente sul divano in tessuto.
"Vuoi qualcosa da bere?" Le domandai nell'attesa, ma in realtà la domanda era più diretta al mio io interno. Avevo bisogno di bere per alleviare quella tensione che mi faceva sentire come se le ossa del mio corpo, andassero in frantumi.
La vidi scuotere la testa, perlustrando la casa, come se fosse la prima volta che la vedesse.
Mi girai di spalle, avanzando verso la credenza come di consuetudine, e riempirmi un bicchiere di cristallo con dell'amaro ambrato. Lo stesso amaro che avevo sotto al palato, e lo stomaco aggrovigliato, emetteva lamenti silenziosi.
Sentivo il respiro venirmi a mancare, privandomene quasi, e rafforzai la presa sul bicchiere, che si sarebbe ridotto in frantumi, tra le mie dita.
Finché il rumore corposo, del pomello di ottone, sbattuto con vigore contro il legno bianco della porta, non mi portò a sbattere con un tonfo secco, il bicchiere sulla credenza, dove il liquido all'interno oscillò come un'onda.
"Chi è?" Chiese presa di soprassalto Vanessa, mentre la superai, per andare ad aprire.
Presi un respiro profondo, con quanto più ossigeno avessi nel corpo scombussolato, fino a spalancare la porta.
Mi si parò subito davanti il volto rilassato e compiaciuto di Miranda, che alzò un angolo delle labbra, come un cenno di saluto maligno, fino a spostare i suoi occhi dello stesso colore di quelli di Vanessa, verso il salotto.
Le sue pupille si dilatarono notevolmente, le rughe si distesero per formare un'espressione di gioia, e le iridi luccicavano di felicità, nel guardare da dietro la sagoma di Vanessa, che era ancora seduta sul divano.
"È...è lei?" Mi chiese balbuziente e soffice, senza guardarmi, ma restando incollata lì.
Non potevo essere commosso da questa scena, non riuscivo ad essere contento minimamente. Le avrei voluto sputare in pieno viso la mia saliva che scarseggiava, e strattonarle fuori da casa mia.
Ma non lo feci. Non ero come mio padre, ero una persona migliore, ero nobile di animo.
Scivolò mesta lo sguardo sul mio, che sembrava un iceberg gelido, mentre richiusi la porta, e si avvicinò a passi febbrili verso Vanessa.
"Vanessa?" La chiamò come se la stesse invocando, e avrebbe voluto constatare se non era solo un suo sogno, nel rivederla dopo anni.
Sentii Vanessa sussultare ed emettere un suono esterrefatto, che lasciò le sue labbra scarlatte, prima di alzarsi, e puntare i suoi occhi verso Miranda, e successivamente verso di me.
"Sono io. Lei chi è?" Interpellò tranquilla, tornando sul volto di Miranda, che sembrava ancora incredula, avanzando verso Vanessa.
Protese le mani in avanti, prendendo senza consenso le sue, stringendole delicatamente, e carezzarle soavi.
"Vanessa" ripeté angelica, passando a rassegna con gli occhi, la sua figura, per ammirarla meglio.
"S...sono tua madre" sussurrò con la voce spezzata dall'emozione, rafforzando la presa sulle mani di sua figlia.
"Madre? Ma..." si bloccò girandosi fulminea verso di me, che in tutto ciò rimasi con le braccia conserte, appoggiato al muro con le caviglie accavallate.
"Tu lo sapevi. Mi...mi hai detto che mi aveva abbandonata" urlò graffiante, lasciando la presa sulle mani di Miranda, per passarsele tra i capelli corvini, e dirigersi verso di me, funesta.
"Mi dispiace solo per te. Lei non è la persona che credi" rivelai burbero, ma senza scompormi. Il mio cuore non avvertiva dolcezza, e non trasmetteva nulla. Ero privo e svuotato.
"Ma è mia madre. Come hai potuto tenermi all'oscuro. Mi hai tirata fuori da quel posto di Merda otto anni fa. Quando mi hanno presa avevo solo sei anni. Non ricordavo nulla. Credevo di essere sola, piangevo, ed ogni volta tenevo stretto a me un peluche a forma di coniglietto, sperando..." si bloccò mentre il suo volto iniziò a rifarsi di lacrime di dolore, mischiandosi al rimmel nero, e la sua bocca si piegava all'ingiù per emettere dei singulti spossanti che le mozzavano il respiro.
"Sperando di rivederla un giorno" terminò con il fiatone, passandosi il dorso della mano, sul viso macchiato.
"Ho dovuto farlo" le comunicai serio e coibente, riportando l'attenzione verso Miranda, che raccolse i capelli di sua figlia, come un segno affettuoso, vedendo Vanessa socchiudere gli occhi, ed il corpo ancora tremolante.
Finché non si girò, allacciando le braccia intorno al collo di Miranda, che l'accolse, stringendola forte ed accarezzandole la schiena.
"Bambina mia. Mi dispiace così tanto, tanto" si scusò pentita, continuando a sottolineare quanto le dispiacesse.
"Tanto. Ho aspettato troppo. Ma dovevo. Io so che non potrò avere il tuo perdono" si autocommiserò fievole e melliflua, mentre Vanessa scosse la testa, portando la sua mano ingioiellata, verso la guancia scarna di Miranda.
"Lo hai già il mio perdono. Io...io non credevo che ti avrei mai rivista. E qualsiasi motivo esso sia, non voglio passare il restante del tempo ad odiarti" le spiegò carezzevole, rigettando le braccia al collo di Miranda, che le baciò la cute, lasciandole i capelli con le mani.
"Abbiamo un patto se non ricordo male" sputai fermo e saldo, decidendo di porre fine, a quel grazioso quadretto famigliare, che non mi impietosiva per niente.
La vidi aprire gli occhi maligni, verso di me, con ancora delle lacrime sospese per la commozione, staccandosi dal corpo di sua figlia.
"Aspettami fuori" le intimò con un tono dolce, accarezzandole la guancia, mentre Vanessa annuì, accostandosi un attimo al mio orecchio, e sfiorando la mia spalla.
"Me la pagherai Stronzo" sussurrò aspra, mentre le riservai un ghigno, sentendo il tonfo pesante della porta.
"Tornando a noi...ah sì giusto. La fine della frase" constatò goliardica, gongolando di felicità nell'aver rivisto sua figlia, e nel potermi ridurre in polvere nociva, il minuto dopo.
"Direi che prima sia giusto farci un bicchierino" proclamò come se stessimo festeggiando alla sua rimpatriata, avanzando senza consenso verso la credenza, per riempire due bicchieri con del Cointreau, che tenevo dentro la vetrina, tornando tronfia verso di me, e porgendomelo.
Fece per farlo cozzare contro il mio, ma allontanai il bicchiere, portandomelo alle labbra, per lasciar scorrere il liquido, all'interno della mia gola, e sentire un lieve bruciore espandersi tra i miei organi, mentre mi rivolse un sorrisetto che non seppi decifrare.
"Vedi Alan" iniziò a dire, mentre inizia a tossire dopo due minuti, sentendo un crampo allo stomaco, come se fosse stato stretto in una morsa forte, con delle catene di acciaio inossidabile.
Arrancai appena, fino alla parete, per appoggiarmi contro il muro freddo, come un sostenimento.
Avvertivo la sua voce più lontana, benché fosse vicino a me.
"Purtroppo hai perso questa battaglia. Domani l'altro, la tua Krys convolerà a nozze, o meglio Hope. E tale rimarrà, quando annuncerà davanti al nome di Dio, il suo fatidico -lo voglio-" rivelò piena di enfasi e di gioia, mentre mi portai una mano sulla fronte improvvisamente calda, come se fossi stato sotto effetto di allucinogeni pesanti.
Oscillai appena, come se il mio equilibrio stesse vacillando, e la testa si muoveva da sola a destra e sinistra. Le palpebre si socchiusero appena, avvertendole pesanti, mentre tentavo di guardarla negli occhi che sprizzavano malvagità pura, e la sua figura sdoppiarsi lentamente. Tentai di scuotere la testa, per riprendere la normale visuale, ma furono tentativi vani.
"Ch..che caz...zo...st...ai dice..." non riuscivo a formulare una frase, come se la mia gola fosse stata impastata con del catrame in poltiglia.
"Shh, non ti affaticare. Hope resterà per sempre così, perché tu non potrai impedirle il suo matrimonio. Non avrai mai la tua Krys indietro" sputò fiera ed orgogliosa, quella rivelazione, sospirando con immensa vittoria, mentre rise nel vedermi, portare un palmo al muro, e girarmi appena con il busto, mentre mi chinai per lasciare uscire un conato improvviso. Finché non sentii un sapore aspro e da voltastomaco salirmi e riverberarsi sul palato, facendomi emettere un rutto ovattato, spalancando la bocca, come meccanizzato, ed il corpo preso da uno spasmo come un pugno assestato forte sullo stomaco, farmi fuoriuscire del vomito, e sentire colare un rivolo lungo il mento.
"Tr...oi...a" sussurrai con la voce dimezzata, sentendo il cuore affaticarsi, e prendere un battito irregolare.
"È solo un po' di ortensia e due petali di rosa bianca, piccolo Alan" rivelò la sua Merda macabra, per poi appoggiare una mano sulla mia spalla, che non riuscii a scostare, poiché le forze mi stavano abbandonando del tutto, ed avevo ancora il busto chinato e gli occhi rivolti verso il pavimento sporco del mio vomito giallognolo.
"Grazie alle mie poche parole, Hypnos su di te scenderà, le tue palpebre si chiuderanno da sole, e un sonno profondo ti colpirà.
Solo io svegliarti potrò, quando giusto lo riterrò. Tra due giorni ti risveglierai, e tardi sarà ormai".
Pronunciò come impossessata e con gli occhi chiusi, un rito, sentendo una scossa percorrermi la spina dorsale, come un elettroshock, fino a farmi cadere, come se il mio corpo fosse stato una pezza, al suolo, chiudendo gli occhi per accogliere l'oscurità.
"Buon riposo Alan".
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