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-Capitolo 47-

Ci eravamo baciati. Solo questo bastava per far battere il mio cuore ad una velocità supersonica. Il modo con il quale mi torturava il labbro, la mia schiena sulla sabbia come i miei capelli insabbiati. Quel sapore salino del suo labbro carnoso. Era scoppiato dentro il mio petto, uno stormo immenso, volavano dentro di me, facendo capriole e prendendo direzioni che si diramavano in tutto il mio corpo, percosso da spasmi. I suoi occhi argentei che mi scavavano l'anima libera. I suoi morsi delicati e mai dolorosi. Come spingeva bene la sua erezione contro la mia fessura, ed ero bagnata terribilmente, tanto la voglia di essere presa su quella spiaggia dorata, brillante per i raggi solari che la scaldava, e avrei voluto stare a cavalcioni su di lui, e godermi la sua lunghezza che mi penetrava. Solo con questo pensiero m'infuocavo, serravo le gambe per i miei pensieri impuri, che mi causava lui. Lui che quando pronunciai un nome sconosciuto, si staccò con il volto paonazzo, come se io fossi stata un fantasma. Aveva costruito subito il secondo dopo un muro indistruttibile. L'attimo prima le sue labbra che premevano sulle mia, la sua lingua calda che sapeva amare così bene ogni parte della mia bocca famelica, e quello dopo il nulla. Era ritornato l'Alan glaciale. Era colpa mia, come mi era venuto in mente?! Jason?! Eppure non conoscevo nessuno con questo nome. Forse il mistero viveva dentro di me, vedevo cose che non avrei dovuto. Forse ero io la sbagliata. Non esistevano scheletri nel suo armadio. Mi chiedeva tempo, mi baciava, mi sconvolgeva, e mi distruggeva.
Era stato il bacio più bello che qualcuno mi avesse dato. Immaginavo qualcosa di spettacolare, ma ogni mia fantasia veniva spazzata via dalla realtà, che Alan era parte di me. Volevo sentirmi sua, completamente, disperatamente. Sentivo il sentimento crescere, sbocciare come fiori, sorgere come l'alba al primo mattino.
Ma avevo rovinato tutto. Vedevo i suoi occhi torbidi. Vedevo come mi guardava, bruciante. Il pugno con il quale raccolse la sabbia con rabbia, rilasciandola e serrai appena gli occhi per paura di riceverla addosso.
Le mie suppliche mentre lo rincorrevo, non erano servite.
Ed ora sentivo solo ancora il suo sapore mistico sulle labbra gonfie, e gli occhi ancora umidi, come le ciglia dove il mascara bagnato le aveva attaccate tra loro, come finte.

Tornai dentro casa, aprendo la portafinestra con un cigolio tenue, quasi vergognandomi di qualcosa. La richiusi piano, accompagnandola con la maniglia, e spazzando via con il dorso, una lacrima rimasta sospesa, prima di voltare l'angolo.
Guardai verso il salotto, vedendo Dorothy, alzarsi dalla poltrona e raccogliere dei gomitoli di lana, posandolo in un cestello di vimini, posto sul tavolino.
"Cara" sentii la voce melensa di Dorothy, mentre guardavo fissa le scale, come incantata, e mi riscossi scuotendo la testa e voltandosi verso di lei, che mi sorrise genuinamente.

"Alan è..." non terminai la frase, poiché la vidi annuire e come sempre sapeva tutto, ci leggeva bene, come se fossimo un racconto.

"È successo qualcosa vero? Me lo aspettavo" si fece la domanda e si diede la risposta, alzando le spalle e stringendosi nel golf azzurro.
Abbassai lo sguardo imbarazzata, giocando con la punta dei piedi, oscillando su i talloni, ed annuii senza alzare lo sguardo.
"Ha bisogno di un po' di tempo, non è semplice, te l'ho detto" mi spiegò ciò che già mi aveva spiegato alla gelateria, solo che il problema ora ero anche io. Se avessi tenuto la mia lingua al suo posto o solo dentro la sua bocca dal sapore virile, tutto ciò non sarebbe successo, quel nome non sarebbe fuoriuscito dalle mie labbra aride. Perché avevo ancora bisogno del suo sapore. Era stato un bacio che mi aveva spalancato violentemente la porta del cuore, e non avevo la forza per richiuderla.
La guardai fissarmi con i suoi occhi dolci, e comprensivi, mentre innalzai le spalle, avviandomi verso le scale e salendole flebilmente.

Aprii la porta di camera, con un cigolio, e la paura che una volta rilasciata la maniglia fredda, lui fosse lì, mi percosse come una scossa violenta.
Scrutai l'interno e potei rilasciare un sospiro di sollievo nel trovare la camera vuota, e la porta del bagno aperta. Forse era da Jhonny, o semplicemente non voleva incrociarmi, e tutto quello mi faceva male. Male perché erano stati i giorni più colorati della mia vita.
Mi sfilai mogia il vestito, lasciandolo cadere ai miei piedi, ed il mio corpo preso da un colpo di vento, come se improvvisamente sentissi freddo, dentro le ossa e sotto pelle.
Presi delle mutandine ed un reggiseno pulito, avviandomi verso il bagno, e richiudendomi la porta alle spalle, in quello spazio che aveva accolto il nostro desiderio accecante, e tutto tornava nella mente, come pezzi di un film che non puoi sospendere.
Chiusi gli occhi, azionando il soffione del box doccia, e senza neanche preoccuparmi che l'acqua picchiasse fredda sulla piastrella di marmo, entrai, dando sfogo ai miei pensieri, come se l'acqua aiutasse.

Mi passai entrambe le mani tra i capelli, gettando la testa all'indietro, e leccandomi le labbra. Il suo sapore si era permeato su di esse, come se non volesse venire spazzato via, anche ora che erano bagnate, lo potevo avvertire.
Come potevo essere stata così cretina da pronunciare un nome di chissà chi. La mia testa non se lo spiegava, e nulla mi collegava ad un possibile Jason. Era stato lo sprazzo di un momento, come se il mio cuore avesse dato voce propria, non ascoltando altro.
Chiusi con il palmo quasi come a voler disintegrare, la maniglia del soffione, lasciando che le ultime gocce mi scivolassero sul corpo.
Avvolsi il corpo, colto da un brivido, con un telo, e mi guardai allo specchio. Il collo era ancora arrossato per la forza con il quale mi aveva stretta, ma non faceva male quanto l'averlo baciato e sentirmi abbandonata, così confusa e dispersa nei pensieri.

Scossi la testa, come a non volerci pensare, e mi avviai ad aprire la porta, ma come lo feci, misi male il piede, dove il tappeto scivolò da sotto la mia pianta, facendomi perdere l'equilibrio. Ero pronta a rimanere spiaccicata a terra come una soletta consumata. Quando due braccia forti e virili, mi presero per la vita, cingendomela in modo stretto, nella sua morsa, rialzandomi e facendo aderire il mio corpo nudo per via del telo che era scivolato, sul suo torace anch'esso nudo.
Mi sentii divampare, al contatto con il suo calore, e quelle braccia che m'infondevano sicurezza.
Alzai piano lo sguardo, mordendomi il labbro in soggezione, per rilasciarlo lentamente, mentre i suoi occhi si scontrarono con i miei. Sembravano più calmi, un ghiaccio tenue che riconoscevo, quello in cui mi perdevo senza ritrovare più la via del ritorno, perché era lì che volevo stare, era con lui che volevo stare.
Avevo il corpo parato dal suo, ma ciò nonostante, serrai appena le gambe, sfiorando la sua, sentendomi già in fibrillazione ed una bile in gola, difficile da far scendere e stendere i muscoli del cuore che batteva prepotente.
"Alan m..." non riuscii a finire la frase di ulteriori scuse, che il suo corpo mi fece arretrare, sbattendomi la schiena contro al muro, ed in un attimo le sue labbra presero possesso delle mia, in modo selvaggio e bisognoso. Non era più il bacio di assaggio di prima, questo infuocava le viscere, disseminava la pura perdizione totale. Abbatteva ogni cosa, e segnalava la mia arresa totale.
Mi morse il labbro inferiore più carnoso, facendomi sfuggire un ansimo, che non uscii del tutto, poiché scivolò con la sua lingua vellutata, dentro la mia bocca, trovando la mia e iniziando un gioco seducente, mentre le sue mani scendevano, accarezzandomi i fianchi e l natiche fresche, facendogli sfuggire gemiti che mi mandavano in delirio, come il suo sapore divino.
In un attimo mi alzò dalle natiche, sentendo le sue mani ruvide e calde, tenermi ancorata a lui, ed avvinghiai le mie gambe intorno al suo bacino, senza mai staccare le nostre labbra, dove i respiri erano spezzati da ansimi e la voglia di divorarci era incontenibile.
Portai le mani tra i suoi capelli, tirandoli verso di me, in modo possessivo, mentre il muro freddo con la mia pelle accaldata era un piacere unico.
Mi faceva ondeggiare come se mi stesse riempiendo, vedendolo staccarmi dalla parete, e camminare con me, che come un koala mi reggevo al mio albero, verso il letto matrimoniale, che chiamava i nostri corpi.
Sentii le molle del letto scricchiolare, e la mia schiena pressata su quelle soffici lenzuola sgualcite. Chiusi un attimo le palpebre, per far rimanere impresso tutto ciò che sarebbe successo, mentre la sua bocca aveva abbandonato la mia un secondo, sentendo il respiro corto comprimere il petto, tanto da far male. Finché non sentii le sue mani, su i miei polsi, sfilarli debolmente dal suo collo, ed allontanarmi dalla sua fonte di calore.
Riaprii gli occhi come spaesata, vedendolo girato di spalle, e passandosi una mano tra i capelli più volte, come se qualcosa lo turbasse.
"Alan" lo chiamai con voce fievole, quasi ad aver paura anche a sussurrare il suo nome, ma non si voltò dalla mia parte, tentò di sviarmi e si avvicinò alla porta.

"Puoi prepararti, ed in fretta" mi congedò pungente e burbero, tenendo la sua mano sulla maniglia fredda, prima di abbassarla e richiudere la porta con un tonfo netto che riecheggiò tra le pareti.
Mi alzai dal letto con un cipiglio in volto. Se la mia lingua non fosse stata risucchiata e la mia mente non fosse stata momentaneamente spenta da un'interruttore che illuminava i circuiti del cuore, avrei voluto sparargli come proiettili, le cose peggiori.
Ci eravamo nuovamente baciati, mi aveva rifatto sua, ed ormai lo ero, e poi mi aveva abbandonato. Vittime di noi stessi, due corpi che non potevano separarsi, ma insieme creavamo troppi problemi irrisolti. Eravamo un immenso rebus, ed io non ero mai stata brava a risolverli.

Mi avvicinai al cassetto, con le mani che tremavano, e gli occhi appena lucidi. Non dovevo piangere, non dovevo lasciare che i sentimenti che nutrivo per lui, mi lacerassero.
Ogni mia domanda comunque non sarebbe stata risolta, non riuscivo a farlo parlare. Non potevo accontentarmi del suo modo di possedermi. Forse dovevo tornare alla mia vita, alla vita reale, che anche se non così magica, non mi avrebbe fatto così male, come questa sensazione di vuoto che si era creato nel mio stomaco.
M'infilai gl'indumenti, pettinando velocemente i capelli, nel quale le setole davano leggere carezze al mio cuoio capelluto.
Finché non guardai l'ultima volta la stanza, aggiustando il letto, nel quale le mani pizzicavano, nel toccare quelle lenzuola che avevano accolto amore ed odio.
Ripiegai i miei sentimenti nella busta insieme ai vestiti nuovi, e richiusi la porta.

Scesi lentamente le scale, senza alzare mai lo sguardo, ma mantenendolo sulle mie scarpe che gradino dopo gradino, mi fecero arrivare al parquet.
Solo in quel momento alzai gli occhi, che prima sbattei più volte, ridonandogli vigore e senza far notare che avrei voluto bagnarli con le lacrime salate.
Trovai Dorothy, con il suo solito sguardo dolce e di chi aveva compreso, scuotendo la testa ed indicandomi Alan che se ne stava girato di spalle, con il viso rivolto verso la finestra che dava sul mare, e la mano a reggere la tenda, quasi da volerla strappare.
Ingoiai il magone e serrai le labbra tra loro, in segno che non sempre il tempo può giovare a nostro favore. Avevo bisogno di spiegazioni che sarebbero rimaste irrisolte. Era tornato l'Alan che prendeva e non dava, e quel suo lato non mi piaceva, non ora che avevo assaporato il vero Alan che mi faceva muovere sotto il suo tocco leggero ma rude al tempo stesso. Non lo stesso che mi guardava con il suo argento, citando frasi di Jane Austen. Non lo stesso che mi aveva regalato lucciole luminose, in un barattolo che tenevo dentro il sacchetto.

"Possiamo andare" affermò secco, lasciando la tenda Beige che si mosse, ritornando alle sue pieghe normali, e incrociando un secondo il mio sguardo che diceva tutto, mentre il suo era illeggibile, indecifrabile.

"Si" replicai con il suo stesso tono, privo di qualsiasi enfasi, sentendo la voragine accrescere perché stavamo rientrando nel varco, tempo e spazio reale.

"Fatti abbracciare cara Hope" esultò melensa Dorothy, spiegando le braccia e mi avvicinai per essere accolta dalla gentilezza fatta in persona, sentendo un bacio tenue rilasciato sulla mia nuca.
"A tempo debito saprai, e vedrai" mi sussurrò sull'orecchio, come se fosse stata una frase che potesse indurmi a pensare altro, ma al momento non vi era nulla dentro, se non il fatto che Alan era l'uomo di ghiaccio che teneva in pugno i miei sogni ed ora i miei giorni.

Mi sciolsi dall'abbraccio guardandola mentre annuiva convinta, e forse sapeva ciò che io non sapevo.
"Grazie Dorothy, sei stata gentilissima ad ospitarmi" la ringraziai dolcemente, ma il tono che usai era velato di malinconia a cui lei non badò, ma anzi mi ammonì con la mano.

Mi diressi verso la porta finestra, già aperta e con Alan a reggerla, senza prestarmi attenzione e il suo ignorarmi mi portava a voler urlare contro di lui, ma mantenni la mia salda maschera di finzione, sul fatto che tutto andasse miseramente bene.
Finché non sentii dei piccoli passi veloci, e la voce di Jhonny gridare.
"Aspettate zii" la sua voce supplichevole, con una voce triste e spezzata da un lieve singhiozzo morto sul nascere, ci portò a guardarci negli occhi, un barlume di luce tra me ed Alan, che ora mi guardò più profondo, facendomi sprofondare nell'abisso del suo ghiaccio.
Ci voltammo entrambi verso Jhonny che stava per perdere l'equilibrio verso l'ultimo scalino, sventolando nella mano un foglio.
Fin quando non si fermò esausto, e piegandosi appena su se stesso, per la foga del correre.
"Questo è per...voi" ci comunicò con ancora l'affanno, ma avvicinandosi e spiegazzandoli davanti ai nostri occhi pieni di sentimento per quel ragazzino.
Guardai prima Jhonny negli occhi nocciola, per spostarli verso il disegno. Sentii come un pugno in pieno petto, facendomi sussultare per il colpo incassato dentro.
Raffigurava me con i capelli rossi e marroni, per non avere la matita del colore dei miei capelli. Alan e lui nel mezzo, più basso di noi, con un sorriso sfavillante.
Sentii qualcosa partire dentro e scaldarmi ovunque, portandomi una mano sulle labbra, e gli occhi umidi.

Mi abbassai appena per arrivare alla sua altezza, e così anche Alan che mi sfiorò senza volere il braccio, che fu subito percosso dal brivido che provocava in me.
"È bellissimo, lo porterò sempre con me" gli rivelai veritiera e melensa, vedendolo sorridere e i suoi piccoli occhi furbi illuminarsi come candeline.

"È davvero bello, sarai un pittore eccezionale campione. Ci rivediamo presto ok?" Gli pose la domanda Alan, guardandolo fisso negli occhi, vedendo Jhonny annuire.

"Porterai anche zia vero?" Gli domandò spiazzando entrambi, e sentendomi di nuovo scaldare. In un secondo Alan guizzò i suoi occhi ancora lucidi verso di me. Si vedeva quanto tenesse a lui, e mi stirò un sorriso, che non sapevo comprendere.

"Solo se vorrà" gli rispose con fermezza, mentre mi stupii. Mi chiedeva davvero se lo volevo? Mentre pochi minuti prima mi aveva baciata e abbandonata.
Decisi comunque di non dire nulla a riguardo ma gli bastò la mia occhiataccia fulminea.

"Tornerò Jhonny. Devo sapere come andrà con la tua ragazza" lo stuzzicai amorevolmente, vedendolo chiudere un occhio, a mo' di occhiolino d'intesa.

Li salutai un'ultima volta, prima di entrare in macchina, mentre sbandieravano le loro mani, con Dorothy che teneva la sua sulla spalla di Jhonny, guardandoli, prima di sentire la macchina far scricchiolare i sassolini, ed allontanarci dalla magia, per fare marcia verso quel posto in cui tutti prima o poi tornano. La realtà.

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