-Capitolo 46-
Pov. Alan
Ero ancora ad osservare il mare, come si rifletteva bene il sole dentro di esso, sembrando quasi un velo dorato. Non ci facevo caso da quanto tempo ero lì, ma abbastanza per acquietare la mia agitazione interiore.
Mi sfilai la maglia, gettandola sulla sabbia, e mi diressi verso quelle onde che mi chiamavano come il canto delle sirene.
Entrai a poco a poco, sentendo quanto fosse fredda, al contatto con il mio corpo accaldato dalla corsa, e dal sangue che ribolliva. Mi piegai appena in avanti, raccogliendo con le mani a coppa, un po' d'acqua, gettandomela sul viso, e passandomi le mani bagnate ai lati dei capelli, tirandoli indietro. Finché non girai i volto, verso la casa di Dorothy, vedendo la sua figura sinuosa, camminare lentamente verso di me. Era una dea, una libellula leggiadra, dove il vestito bianco le svolazzava appena per quel poco vento, evidenziando le curve del suo corpo che mi ammaliava.
Mi parai meglio il volto con la mano sulla fronte, poiché il sole mi ostruiva appena la visuale. Era sempre più vicina, ed i capelli svolazzavano liberi nell'aria, finendole anche sulla fronte, che con una smorfia dolce, si spostò con i polpastrelli.
Sentii delle gocce d'acqua, scivolare lente dai miei capelli, per fare il tragitto dal contorno del mio volto, fino alle spalle, mentre Hope si fermò sul bagnasciuga, direzionando un attimo lo sguardo tempestoso verso di me, spostandolo subito verso il faro in lontananza. Solo quel refolo di vento, ed il rumore tenue delle onde, spezzava quel silenzio, come il cinguettio di alcuni uccellini.
"Ho..." non terminai il suo nome, che forse sarebbe finito anche con una mia scusa disperata, che prese parola lei, come se la mia voce in quel momento le facesse male.
"Ti cercava Dorothy" affermò rigida e con una bile in gola, come se fosse stata costretta a cacciar fuori tagli parole, spese per uno come me.
"Hope...io..." tentai di dire, vedendo il suo sguardo guizzare gelido un secondo, su di me. Mi fissò come a volermi fare del male, non sapendo che tutto quel tempo separata da me, era stato più agonizzante di qualsiasi dolore fisico.
Mi guardò quasi sdegnata, corrucciando appena il volto, per poi scuotere la testa, e girarsi di spalle per andare via. No cazzo!
Camminai dentro l'acqua, a fatica, sembrando di tirare su del cemento dalle gambe, toccando finalmente la sabbia, e raggiungendola in due falcate. Allungai la mano, stringendole il polso, in una morsa stretta, facendo così arrestare la sua quasi corsa, per mettersi al salvo da me.
Non la sentì imporre resistenza, quasi come se il mio tocco fosse qualcosa che la calmava e la agitava al contempo, capace di sentire i suoi respiri affannosi.
"Aspetta" sussurrai fievole e dolcemente, tirandola delicatamente dal polso indietro, per far aderire la sua schiena al mio petto, e sentire il calore del suo corpo e del suo bagnoschiuma alla vaniglia.
"Che vuoi?" Chiese in un sussurro filante, quasi impercettibile, vedendola appena chiudere gli occhi. Sentivo come il suo corpo si fosse rilassato al contatto con il mio, come le sue spalle si fossero abbassate, senza più quella postura rigida, ma manteneva il contatto fisso sulla casa, come una bussola per non perdersi.
In un attimo lasciai il suo polso, portando subito entrambe le mie mani su i suoi fianchi, ancorandola stretta a me, ed un sospiro rilasciare le sue labbra rosee.
"Mi dispiace, mi dispiace da morire" ammisi il più veritiero e mortificato possibile, la voce rauca e così struggente, che ricordava tanto quel giorno, ma lei ora era qui tra le mie braccia, nella sua casa, il mio cuore.
Portai le labbra che tremavano per i sentimenti che provavo per un'essere così leggero e forte come lei, verso il suo lobo, sentendola emettere un dolce ansimo spezzato.
"Mi dispiace, non so come dirtelo, non so come fare. Non so cosa mi sia preso, non ti farei mai del male, preferirei morire che vederti soffrire. Mi dispiace Hope" ripetei nuovamente disperato, basso e bisognoso di sapere che lei mi credesse.
"Perché? Perché l'hai fatto?" Mi pose la domanda con voce afona, quella che tanto temevo. Sapevo che volesse delle risposte, ma non potevo dirle il motivo, e ciò mi dilaniava.
"Non so cosa sia successo, era un incubo" cercai di farle intendere con quel poco, ma in un attimo si agitò sotto la mia presa, divincolandosi dalle mie mani che erano rimaste ferme come se avessi ancora i suoi fianchi da tenere, girandosi fulminea verso di me. Vedevo i suoi occhi azzurri più scuri, con lampi accesi.
"Sussurravi delle parole, un incubo sulla tua vita? Sul tuo passato? Mi hai chiesto di non farti domande ma come posso...come posso non fartele, dopo che...mi...mi hai quasi strangolata Alan" rivelò pungente ma con voce simile ad un singulto, ed il suo azzurro riempirsi appena di un velo dal quale sarebbe scesa una lacrima trasparente, e mi sarei voluto prendere a pugni, per non vederle quell'espressione distrutta e quel volto contratto, dove il mento traballava appena.
Abbassai un attimo lo sguardo sulla sabbia, notando i miei piedi ricoperto da quel cemento dorato, passandomi una mano sul volto, come a volermi graffiare.
"Ti ho detto che mi dispiace" ricalcai quasi esasperato, ma sapevo che aveva ragione.
La sentii battere le mani tra loro, con un colpo secco.
"Bene" affermò rabbiosa, voltandosi nuovamente, ed iniziando a camminare, ma la bloccai di nuovo, con un'altra presa salda sul suo polso fragile.
"Lasciami" s'impuntò cercando di ritrarre il polso, dalla mia mano che sembrava acciaio inossidabile.
"Lasciami, tanto non vuoi rispondere alle mie domande, ed il cerco risposte, sono stanca Alan del tuo mistero" mi sputò contro, voltandosi nuovamente verso di me, con ancora il suo polso stretto nella mia mano, spintonandomi appena con quella libera, per colpirmi il petto, ma presi anche quella, lasciandola ancorata lì, proprio sulla parte dove batteva il mio cuore. Sapevo che poteva sentire sotto il suo palmo, quei battiti indemoniati che mi procurava solo lei da una vita.
"Non posso, ti prometto che saprai tutto, presto, davvero" la guardai negli occhi, trasmettendole tutta la tristezza che provavo sul perché non potevo dirle nulla. Cosa potevo raccontare ad una Hope? Invece una Kristal avrebbe saputo parte di ciò, ma non tutto. Erano la stessa persona, che non sapevano niente del mio passato, non ero mai arrivato a dirlo a lei, che la nuova lei non poteva comprendere. Mi stavo scavando una fossa, non mi ero preparato un cazzo di discorso, convinto che non l'avrei più rivista. Ed era riapparsa nella mia vita, un segno del destino. Lei era destinata a me, perché io credevo nella speranza di rivederla, ed ora era qui la mia speranza per riprendermela.
"Dici sempre così" mi riscosse dai miei pensieri, con il tono di chi non ha più voglia di stare a certi giochi, ma non erano giochi questi, era la vita di un mistero pazzo come me.
"Te lo sto promettendo Hope, saprai tutto. Ho bisogno di poco tempo per spiegarti tutto. Ma quando torneremo ti prego" la supplicai nuovamente, accarezzandole con il pollice, le sue nocche, sentendo il suo palmo aderire completamente al mio petto. Tenne gli occhi bassi, per rialzarlo a poco, in modo lento, verso i miei, dove quel buio veniva spazzato via, per lasciare posto ad un argento vivo, come mi sentivo in sua presenza.
"Non lo so. Sono come le altre, cosa sono per te?" Domandò come se volesse conferme, appena imbarazzata, notandola mordersi il labbro, in quel gesto che mi faceva completamente impazzire, ed obbligare il mio corpo a scoparla in ogni modo.
Sospirai pesantemente, avvicinandola di più a me, portando il suo polso, dietro al mio collo, aderendo il mio bacino al suo, per vederla intensamente.
"Non paragonarti minimamente ad una Vanessa. Tu per me sei quel pezzo che manca, tu per me sei di più, e neanche lo sai" rivelai a cuore aperto, con il battito che accelerava e sapevo che lo stava sentendo, lo capivo dai suoi occhi più limpidi.
Si avvicinò di poco a me, sporgendosi verso il mio volto, e le sue labbra mi sapevano possedere lo sguardo.
"Allora perché non mi baci?" Riformulò un'altra domanda, spostando lentamente il mio sguardo dalle sue labbra, ai suoi occhi maliziosi.
Dio se volevo baciarla, se desideravo di nuovo la sua bocca, come si desidera acqua nel deserto arido. Come si desidera di morire e poi ritornare a vivere.
Ed in quel momento mi tornò in mente una nostra scena, la più importante, come se il filo nella mia testa si stesse riavvolgendo.
*****************flashback****************
-Hai mai baciato qualche ragazza?- eravamo sul nostro terrazzo fedele, il refolo di vento che soffiava debole su i nostri corpi affiancati, e la sua domanda bruciapelo, mentre guardava un punto non definito difronte a lei, per poi portare la sua completa attenzione su di me.
-Si- risposi semplicemente, era la verità, ma senza dirle quante ne avevo baciate, senza rivelarle che spesso mio padre, mi faceva andare ad appuntamenti con le donne dei suoi amici ricchi mafiosi, come fossi un gigolò, che pagavano bene anche solo per la mia compagnia e per dei baci che mi facevano schifo.
La guardai abbassare lo sguardo sul cemento freddo, portandosi maggiormente le ginocchia al petto, e circondandole con le sue esili braccia.
-io non ho mai baciato- sussurrò appena, quasi vergognandosi di ciò, non sapendo che per me era la cosa più bella che potesse dirmi.
Mi alzai in piedi, pulendomi appena i pantaloni, e porgendole la mano difronte a lei, che mi guardò spaesata, non capendo il mio intento, perciò le regalai un sorriso per rassicurarla.
Sfiorò dolcemente con i polpastrelli il mio palmo, per poi lasciarsi tirare su, perdendo appena equilibrio, e finendomi addosso, con il suo petto che aderì perfettamente al mio, sentendo il suo seno sodo, schiacciato. I cuori battevano frenetici, ed i nostri occhi si guardavano con ardore, con un'amore viscerale. Scivolai con il palmo aperto dietro il suo fondoschiena, verso il suo fianco, accarezzandola dolcemente ma facendole sentire la passione e la voglia che avevo di averla mia e basta. Ero stufo di uomini che la toccavano, mi faceva un mare di Merda tutto ciò, lei era preziosa, era mia.
Socchiuse debolmente le palpebre, aprendo di poco le labbra, per lasciar uscire un dolce sospiro, sentendola persa, mentre i folti capelli avevano anima libera.
-perché non mi baci?- mi domandò persa, e con una voce talmente seducente da potermi disintegrare e ridurre in frammenti taglienti.
Riaprì gli occhi verso di me, guardandomi con un luccichio speciale, etereo, sentendo la passione accendersi come fiaccole.
Non le risposi, l'avvicinai solo di più a me, sfiorandole con la punta del naso il suo.
-che importanza dai al bacio?- le domandai allora, dolcemente e vibrante, non potendo più aspettare che quella bocca rosea fosse mia, lasciando che la mia lingua si beasse della sua.
Mi fissò intensamente, pensandoci un po' su, oscillando la testa e mi scappò da ridere debolmente.
-non ridere- mi ammonì con la voce falsamente offesa, allacciando le sue braccia al mio collo, per tenermi stretto a lei, ma non me ne sarei mai andato, né in quel momento né mai.
-è la cosa più intima che due persone possano condividere, per me è tutto il bacio. Mamma me lo diceva sempre, che quando troverò la persona giusta, avrò desiderio di baciarla- mi accarezzò con i polpastrelli la nuca, vedendola rabbuiarsi al ricordo delle parole di sua madre. La mia piccola libellula.
Le alzai il mento, con l'indice ed il pollice, riportandola verso i miei occhi che sapevano amarla.
-L'hai trovata questa persona?- le chiesi con un magone che mi strozzava la gola, facendo uscire le parole a difficoltà, sperando che fossi io.
E tutte le mie insicurezze vennero spazzate via, dal suo annuire dolcemente e convinta, avvicinandosi di più alle mie labbra che la bramavano.
********************************************
Mi passai la lingua sul labbro, socchiudendo appena gli occhi, con la testa china. Combattuto con me stesso.
"Non..." non terminai la frase, che sentii le sue mani, staccarsi in modo brusco e furente da me, portandosi i capelli all'indietro.
"Alan...vaffanculo" sbottò spigolosa, scansandosi i capelli con un gesto repentino della mano, che le erano finiti sulla guancia sinistra, voltandosi nuovamente. Dio, non c'era verso.
Camminava spedita, verso casa. Lasciarla andare?! Correre?! Avevo solo una soluzione, la più rischiosa ma anche la migliore.
Mi portai il ciuffo all'indietro con la mano che prudeva, esalando un respiro pesante, prima di correre verso la sua direzione.
La raggiunsi, prendendola per entrambi i fianchi, buttandola a terra sulla sabbia asciutta, e montando su di lei. Vidi le sue labbra spalancate in un secondo, e le sue pupille, piccoli puntini neri in mezzo ad un mare cristallo, dilatate per lo stupore e l'irruenza, del mio gesto, mentre le rivolsi un sorriso incurvato all'insù, che la lasciò sospirare, e girare appena il volto quasi cacciando uno sbuffo divertito.
"Tu sei pazzo" affermò brusca ma rivelando un sorriso che cercava di tenere soppresso dentro la labbra.
"Sono pazzo perché sto mandando a fanculo tutto" le sussurrai ad un palmo dal suo naso in modo intrigante, sentendola allargare le gambe e farmi spazio, mentre fremevo dentro di me.
"Che vuol dire?" Domandò incuriosita, mentre le portai l'indice sulle labbra schiuse per zittirla, vedendola guardare il mio gesto con i suoi occhi da cerbiatta.
Socchiuse le palpebre, e come sempre tirò fuori dolcemente la lingua, leccandomi l'asta del dito con la punta morbida ed umida, facendomi spingere l'erezione contro la stoffa delle sue mutandine, mentre il vestito le era salito quasi fino alla vita, e sussultò come colta alla sprovvista, stringendomi il fianco, mentre le accarezzavo i capelli che finivano tra le mie dita, morbidi e setosi, sapevano di agrumi, sapevano di lei, del suo sapore spettacolare.
"Vuol dire che tu per me sei questo" la guardai negli occhi, dove potevamo specchiarci di emozioni vere, rimaste troppo tempo chiuse ed abbandonate nel cassetto del cuore.
Tolsi dolcemente il dito, facendolo scivolare sul suo labbro inferiore carnoso, che si aprì, fino al mento, mentre ansimò in quel modo urgente, perché avevamo aspettato troppo. Ma dovevo farla mia ora, con la cosa più importante per lei, perché lei era ancora la mia Krys.
Lasciai che il dito scorresse fino sotto al suo mento, per lasciare spazio al mio labbro inferiore carnoso che si appoggiò dolcemente al suo superiore, leccandolo in modo lento, mentre sospirammo entrambi. Sentii le sue gambe, stringere le mia per non lasciarmi andare, ed i polpastrelli accarezzarmi la nuca, scendendo verso le scapole, ed il suo bacino che si alzò appena, per aderire meglio al mio, con la punta del cazzo dentro i boxer che solcò così bene le sue labbra, da farle piantare le unghie sulle mie scapole. Dio, stavo perdendo ogni facoltà di controllo.
In un secondo, mosse il labbro contro il mio, succhiandolo dolcemente, ed aprì le labbra, lasciandomi scivolare la lingua dentro la sua bocca, leccando dolcemente il suo contorno, prima di entrare, e trovare la sua lingua vellutata, intrecciarsi alla mia, ed era come tornare a vivere in quel momento. La mia resurrezione.
Il suo sapore era sempre lo stesso, più maturo con gli anni, era sempre lei, il mio amore di una vita. Tracciavo con la lingua ogni sua singola parte, per gustarmi tutto finché potevo, avevo paura del dopo.
La sua lingua ricambiava con una delicatezza e voglia, che mi uccideva dentro, rendendo difficile anche respirare, ma con il suo bacio
Mi bastava.
Uscirono degli ansimi disperati dalle nostre labbra, mentre ci strusciavamo con gl'indumenti addosso, sentendo il mio cazzo indurirsi sempre di più, e le sue mutandine farsi madide, mentre ci baciavamo con passione.
Portai la mano, sulla sua guancia, accarezzandola dolcemente, e alternavo ogni tanto la lingua a dei morsi sul suo labbro dolce e fresco.
"La mia piccola libellula" le sussurrai sulle sue labbra, sentendola leccarmi il labbro superiore con occhi ammalianti.
Mugugnò disperata quanto me, che gemevo in maniera gutturale dentro la sua bocca, esplorando ogni singola parte, che conoscevo a memoria, ma mi era mancata da poter non respirare più.
Presi tra le mie labbra, il suo labbro inferiore, succhiandolo in modo passionale e troppo ardente, per potermi fermare, per non andare avanti, volendole togliere quelle mutandine e affondare dentro la sua calda intimità, assaporando con movimenti rotatori le pareti vaginali, e come si sarebbe contratta.
Ma fu un attimo a far perdere tutto, a farmi ritornare al presente, perché lei era chiusa dentro una scatola, ed io non avevo la chiave, perché le magie non si spezzano così, con un bacio.
"Jason" chiamò disperatamente il mio secondo nome, quello che odiavo, e come una scossa elettrica che ti fulmina, mi staccai con l'affanno e lo spavento dipinto sul mio volto dove gli occhi da argento, tornarono in un attimo una lastra di ghiaccio, quasi vetro che taglia e fa male.
Portai la mano sulla sabbia, affondando le dita dentro, sentendo quei granelli graffiarmi le dita e pizzicare, e neanche il vento mi smuoveva più.
Aprì gli occhi, come confusa, ricordandosi subito come mi aveva chiamato.
"Io...Alan, non lo so perché..." non la lasciai finire, che mi alzai da sopra di lei, in uno scatto fulmineo, arrancando indietro come impaurito. Avevo paura di me stesso, di cosa sarebbe successo a breve tempo. Non avevo calcolato che in lei tutto riaffiorava a poco, non avevo calcolato un cazzo. Mi avrebbe odiato, mi avrebbe disintegrato, non prevedevo che con un bacio lei si ricordasse in uno sprazzo che Jason ero sempre stato io, e lei era sempre stata Krys.
"Alan" mi chiamò con un urlò spezzato da un lieve pianto, alzandosi da terra ed aggiustandosi il vestito per cercare di correre verso di me, ma la sabbia impediva una corsa a perdifiato, facendo affondare i suoi piedi ad ogni passo.
"Alan ti prego" mi richiamò sentendo il suo singhiozzo e le parole masticate, mentre tirava su con il naso.
"Preparati, partiamo" rivelai con vigore e pungente, doloroso come il morso di una tarantola, senza voltarmi ma camminando verso casa di Dorothy.
"Ti prego Alan, non volevo, non conosco nessuno con questo nome" mi urlò frustata dietro le mie spalle, ma troppo lontana per raggiungermi, troppo.
"Ho detto preparati" asserii nuovamente, spigoloso e cupo, arrivando verso la portafinestra, aprendola e richiudendola con un tonfo netto, mentre trovai Dorothy sulla poltrona cognac del salotto, con l'uncinetto in mano, ed il volto di chi sa tutto, ma non vuole dire nulla perché già sa che lo sbaglio ero stato io. Già sapeva che non dovevo, che poteva succedere, ma il mio cuore non poteva non riscontrarsi con il suo.
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